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P... come Peter. Il mistero del barboncino
P... come Peter. Il mistero del barboncino
P... come Peter. Il mistero del barboncino
E-book414 pagine5 ore

P... come Peter. Il mistero del barboncino

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Info su questo ebook

Luca Scrinzi vive a Bolzano con la madre e la sorella Isa. Del padre, fuggito con una schampista cingalese quando lui era molto piccolo, nutre un vago ricordo. Luca, insieme all'amica Ortensia, dedica molto tempo ai cani del rifugio "Snoopy House". Pierpaolo Tassi figlio di Filippo, ricco imprenditore, i cani li odia. Orfano di madre, viziato e malvagio, si diverte a far del male al prossimo. Luca e Pierpaolo, vittima e carnefice, sono compagni di classe. Da tempo Luca subisce le angherie che Tassi, insieme a un gruppo di bulli, gli infligge. Il dieci agosto 2016 il "signorino" Tassi scompare. Il padre si dispera. La polizia brancola nel buio. Passano i mesi, del ragazzo nessuna traccia. Filippo sta per essere inghiottito dal buco nero della disperazione quando la sua strada incrocia quella di Anna, madre di Luca e quella di Peter, un cucciolo di barboncino. Filippo si affeziona in modo morboso al cagnolino, piombato nella sua vita come un tornado. La proprietaria Mahira Osmanović glielo regala. Con l'aiuto di Anna e grazie all'affetto del barboncino, Filippo riprende in mano la propria vita, inseguendo ogni labile traccia che lo porti a ritrovare Pierpaolo.
LinguaItaliano
Data di uscita24 lug 2023
ISBN9791221488395
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    Anteprima del libro

    P... come Peter. Il mistero del barboncino - Cristina Hueller

    Capitolo 1

    Sono da poco passate le diciassette quando Luca esce dal portone del vecchio palazzo, sito in viale Druso numero centoquindici, in cui vive insieme alla sua azzoppata famiglia. Così gli piace definirla, con un pizzico di cinismo, mescolato a una spolverata di nostalgia.

    Il padre del ragazzino se ne andò di casa quando lui aveva quattro anni e i ricordi che lo riguardano sono molto nebulosi. L'oggetto del suo desiderio è la figura paterna in forma astratta, idealizzata, non quell'uomo con barba e baffi che lo fissa con occhi penetranti dalla foto incorniciata e posata in bella vista sulla decrepita credenza, azzoppata pure lei. Due volumi dell'enciclopedia Conoscere sostituiscono uno dei suoi piedini, distrutto dai tarli, forse già ai tempi della prima guerra mondiale.

    «Mobile d'epoca», dice nonna Maria, con supponenza.

    Ciarpame, la definirebbe qualsiasi antiquario, con un minimo d'esperienza.

    Ma torniamo a Dario, il papà di Luca, al quale il ragazzino assomiglia come una goccia d'acqua, stessi capelli neri e ribelli, occhi color ambra e sorriso incantatore. Da sempre, o meglio da quando Luca è diventato grandicello e ha compreso perché in casa manchi quel tassello di nome papà, si chiede come mai sua madre si ostini a tenere quella foto sfocata, in bella mostra. Il traditore era scappato con una giovane schampista cingalese: una sera di maggio del 2005 uscì di casa per andare a comperare le sigarette e non tornò più.

    Roba da vera telenovela.

    Anna, la mamma di Luca, aveva pianto un mese intero, senza mai uscire dal letto. Gli occhi gonfi e arrossati, le profonde occhiaie livide avevano stravolto il suo bel viso. Con i lunghi capelli spettinati e ingarbugliati pareva Medusa, la Gorgone dalla chioma di serpenti, a guardarla metteva veramente paura. Luca era convinto che se suo padre avesse potuto vederla in quello stato sarebbe scappato ancora più lontano, magari fino al Polo Nord. La donna piangeva, piangeva e non si preoccupava minimamente dei suoi figli. Luca in particolare non voleva neanche vederlo, perché il suo viso gli ricordava quel fedifrago di marito, fuggito con una sciacquetta da quattro soldi. Per fortuna intervennero i genitori di Anna; fu grazie a loro che Luca e la sua sorellina di un anno non furono affidati ai servizi sociali. Da allora sono passati anni luce, eppure quella maledetta foto è sempre lì, sulla credenza.

    A volte Luca fissa la foto del padre con occhi di fuoco, sperando di incenerirla. Vorrebbe infilzarla con degli aghi, pronunciare un rito voodoo e sperare che quel verme, in qualsiasi posto si sia rifugiato, si contorca dal dolore per colpa di quegli spilli. Ma lui non è che un ragazzo e non conosce nessuna formula magica per far soffrire le persone.

    «Un giorno o l'altro avrò i soldi per chiedere aiuto alla zia di Ginia, la haitiana del primo piano. Magari vincerò alla lotteria», fantastica spesso il ragazzo.

    Nel palazzo girano strane voci su quel donnone: nero come l'ebano e grosso come un ippopotamo. Pare che con i suoi poteri riesca a fare cose incredibili, come parlare con i morti, curare le emorroidi, far ricrescere i capelli e prevedere il futuro. Si mormora che, grazie al suo intervento, una signora della Bolzano bene, alla quale i medici avevano assicurato che non avrebbe mai avuto figli, abbia partorito quattro gemelli. Ginia ha giurato che sua zia Pascale può far tornare il padre di Luca e farlo innamorare ancora di sua madre, però (c'è sempre un però)... ci vogliono cento euro per finanziare il potente incantesimo.

    «A mia zia serviranno anche una foto e un indumento intimo di tuo padre, possibilmente un paio di mutande», ha spiegato Ginia a Luca, con lo stesso tono professionale che userebbe la segretaria di un qualsiasi studio medico.

    «E mi raccomando porta i contanti, altrimenti lascia perdere. Mia zia potrebbe infuriarsi; allora diventeresti tu la vittima dei suoi riti voodoo.»

    A quelle parole Luca aveva avvertito un brivido gelido lungo la schiena e se ne era andato borbottando: «In quel vecchio baule in cantina forse posso trovare le mutande, ma i cento euro...».

    Il ragazzo ha provato a parlarne con nonna Maria, l'ha supplicata di imprestargli i cento euro, le ha spiegato che quello è l'unico sistema per riunire la sua famiglia.

    In risposta la nonna gli ha allungato uno scappellotto dicendo: «Smettila di dire stupidaggini, pensa a studiare. Tra un po' di anni sarai tu l'uomo di famiglia, dovrai pensare a tua madre e a tua sorella. Come fai ad essere così credulone? Ginia e quella furbastra di sua zia vogliono solo spillarti dei soldi».

    Luca, immerso nei suoi pensieri, non si accorge di essere arrivato nella zona di pericolo: fermata dell'autobus di via Cesare Battisti.

    È lì che si ritrovano, ogni pomeriggio, alcuni dei suoi compagni di classe per organizzare le loro incursioni da teppistelli ai danni di qualche malcapitato.

    «Guarda chi si vede, il nanetto, cocco della profe di italiano», urla una voce sguaiata.

    Luca torna immediatamente alla realtà, si fa piccolo, piccolo e cerca di filarsela verso ponte Talvera. Lì, in mezzo alla folla, sarà al sicuro. La pensilina dell'autobus, a parte i ragazzi, è deserta.

    Accidenti, come ho fatto a non passare da Corso Libertà. Sono proprio un deficiente, adesso dovrò vedermela con 'sti cretini, arriverò tardi...

    Non fa in tempo a terminare il suo pensiero che viene raggiunto dai compagni e circondato.

    «Dove credi di andare? Volevi svignartela senza salutare i tuoi amici?» intima un tipo alto almeno trenta centimetri più di Luca.

    È Luigi Critelli, capelli a spazzola, tipo marine; muscoloso e forte come un grizzly, ma con un cervello da gallina. Pierpaolo, ehm, ehm il signorino Pierpaolo Tassi, quello con la puzza sotto il naso, che viene a scuola accompagnato dall'autista del padre, ricco imprenditore nel campo agroalimentare e Cavaliere del lavoro, lo ha assoldato come guardaspalle. Luigi segue Pierpaolo come un'ombra, sempre pronto a difenderlo da eventuali nemici. In cambio riceve una paghetta settimanale, ha libero accesso alla villa della famiglia Tassi e alla loro palestra privata. Luigi, figlio di un operaio in cassa integrazione è felice di godere dell'amicizia di Pierpaolo. Si vergogna da morire di quel padre che, per sfuggire all'umiliante realtà, si è dato al bere, rintanandosi giornate intere al bar Internazionale. Luca si chiede come faccia Luigi a non capire che Pierpaolo lo sta usando. Come è vero che la terra gira intorno al sole, prima o poi il signorino lo getterà via considerandolo al pari di una vecchia ciabatta puzzolente.

    «Vuoi rispondere?» ordina Carlo, strattonando Luca.

    «Scusatemi, non vi avevo visto, devo correre in parrocchia, perché mia sorella mi aspetta. Sta facendo le prove con il coro per la festa del 10 agosto. Devo andare, sono già in ritardo, ci vediamo domani.»

    Ostentando una sicurezza che non possiede, Luca cerca di allontanarsi, ma il cerchio si stringe e Carlo Randazzo, l'altro scagnozzo di Pierpaolo si avvicina a lui. Sono viso contro viso; Luca chiude gli occhi aspettando il pugno che arriverà, puntuale come sempre. Una zaffata di aglio lo raggiunge, il suo stomaco si ribella. Un conato di vomito lo coglie all'improvviso, vomita sulle scarpe di Carlo e sui pantaloni di Luigi; poi si volta verso Pierpaolo e tenendosi la pancia gli si avvicina, continuando a vomitare. Pierpaolo apre la bocca per chiamare Luigi ma rimane muto, mentre Luca imbratta la sua Lacoste... quella Lacoste rossa personalizzata con le iniziali PT, pagata ben centodue euro. Istintivamente tutti i membri del gruppo allargano il cerchio e si spostano per non sporcarsi. Luca individua una via di fuga tra Gianni e Fabrizio. Sa che i due fanno parte del gruppo solo per non subire i soprusi di Pierpaolo e degli altri. Capisce anche che, in quel momento di confusione totale, non ostacoleranno la sua fuga. Si dirige verso di loro, fa il gesto di dover vomitare di nuovo, e i due si spostano lasciandolo passare. Con il cuore in gola, lo stomaco in subbuglio, Luca corre come un pazzo, raggiunge vicolo Muri, scavalca la recinzione di una casa abbandonata da anni e lì vomita ancora, vomita l'anima insieme alla sua paura. É terrorizzato, ma non dal fantasma della giovane contessa, morta suicida, che si dice si aggiri nelle stanze di quella villetta, ma da quel branco di bulli che non lo lascia in pace, lo ha preso di mira con brutalità organizzata. Ricorda il giorno in cui tutto è incominciato, quel maledetto venerdì in cui, rientrando dal cortile alla fine della pausa, aveva visto Pierpaolo accanto al suo banco con un sorriso beffardo sul viso. Dietro di lui, Luigi Critelli, Leonardo Vinella, Gianni Ballarin, Fabrizio Peruzzo e Carlo Randazzo sghignazzavano, mentre Michele Franzoi sventolava una foto... quella foto.

    «Ma si può tenere nel diario la foto della sorellina con la mamma? Scrinzi, sei una mezzasega», lo aveva preso in giro Tassi.

    «Ridatemela subito, altrimenti...»

    «Altrimenti che cosa fai? Chiami la mammina? Michele, dalla a me, voglio tenerla io, mi piace la signora Scrinzi. Peccato, sia una povera pazza!»

    «Lascia stare mia madre...»

    Subito Franzoi aveva consegnato la foto al capo branco.

    Luca aveva tentato di strappargliela di mano, ma Luigi lo aveva strattonato e malmenato.

    «Guai a te se dici qualcosa di quello che è appena successo. Sappiamo dove trovare tua sorella», lo aveva minacciato Tassi.

    Era iniziato così il lungo calvario di Luca, sopportato in silenzio. Il ricordo di quei soprusi fa tanto male.

    Sono lunghi istanti di dolore a cui segue una disperazione profonda, un senso di impotenza assoluta. Questa volta l'ha combinata grossa e la pagherà cara, molto cara.

    A chi confidare quello che sta accadendo da mesi? A chi chiedere aiuto per arginare la prepotenza di quel gruppo di compagni di scuola che lo tiranneggia e lo malmena? Sicuramente non a quella catatonica di sua madre, persa nel rimpianto del marito traditore e nell'inutile attesa del suo ritorno. Giorni prima era entrata in bagno, mentre Luca si stava lavando, e non si era minimamente preoccupata di sapere come il ragazzo si fosse procurato quei brutti lividi sulla schiena. Di parlarne con nonna Maria, già piena di problemi, non se ne parla proprio.

    «Un padre, ci vorrebbe un padre», pensa Luca.

    «Come vorrei avere un padre al quale confidare questi soprusi, un vero padre che mi aiutasse con quei bastardi.»

    Lo sconforto lo assale, ma l'immagine di Pierpaolo imbrattato di vomito, la sua espressione ebete e stupefatta gli tornano alla mente, scatenando un moto di ilarità.

    Luca scoppia a ridere: «Intanto godiamoci questo momento, al resto penseremo dopo».

    Estrae il cellulare, chiama fra Giacomo, avvisandolo che arriverà con un po' di ritardo e lo prega di dire a sua sorella di aspettarlo al centro di ritrovo degli scout.

    Capitolo 2

    «Signorino! Come vi siete conciato», esclama Ernesto, l'autista di casa Tassi, storcendo la bocca in segno di disgusto. «Sporcherete tutta la macchina. Aspettate, prendo il plaid dal bagagliaio e lo stendo sul sedile.»

    «Stai zitto! Non fare commenti o ti faccio licenziare», bofonchia Pierpaolo.

    Ignorando le parole di Ernesto, sale sul sedile posteriore della Maserati Quattroporte e sbatte la portiera.

    «Portami a casa, svelto.»

    Non vede l'ora di arrivare, di togliersi di dosso quei vestiti sporchi di vomito e farsi una bella doccia.

    L'autista, senza dire una parola, richiude il bagagliaio, torna al volante e si mette a guidare. In men che non si dica un odore nauseante ammorba tutta la vettura. Ernesto potrebbe chiudere il vetro divisorio che separa i sedili anteriori da quelli posteriori ma non lo fa. Sa benissimo quanto sia irascibile il padroncino e non vuole attirare su di sé tuoni e fulmini di rabbia. È pagato molto bene per sopportare i suoi malumori.

    Il ragazzo ha un gran brutto carattere, è insensibile, vendicativo e a volte anche crudele, soprattutto con i deboli e gli animali. Come quella volta che l'aveva sorpreso in giardino: stava leggendo un giornale quando i guaiti di un cane avevano attirato la sua attenzione; era uscito e aveva notato un cagnolino legato a un albero, il signorino Pierpaolo, un bastone nella mano destra, puntava l'animale con sguardo sadico. Solo Dio sa che cosa avrebbe fatto a quella povera bestia se lui non l'avesse scoperto. Era stata una delle poche volte in cui Pierpaolo, con tono gentile, l'aveva supplicato di non dire niente al padre. Quante volte si era pentito di non averlo fatto, anche perché ultimamente il ragazzo era diventato sempre più prepotente e violento. Era arrivato addirittura a schiaffeggiare la povera Jasmine, accusata di avergli servito un caffè, a suo dire, quasi freddo. In realtà tutti sapevano che il signorino aveva provato a baciarla e lei lo aveva respinto. Risultato: licenziamento immediato della povera ragazza.

    Il signor Tassi era spesso lontano per affari e sua moglie era morta quando Pierpaolo era molto piccolo. Per compensare l'assenza della mamma e la propria latitanza a causa del lavoro, l'uomo aveva viziato il figlio in maniera esagerata ed esaudiva ogni suo piccolo desiderio. Cresciuto come un principe, allevato da una tata svizzera e accudito da una governante inglese, il ragazzo era abituato ad averle tutte vinte e si comportava come un tiranno. La servitù era rassegnata a obbedire alle sue richieste spesso assurde e insensate.

    Da tempo Pierpaolo non si divertiva più a terrorizzare i propri domestici o a colpire con la fionda qualche gatto randagio. Aveva provato allora a imporre la sua volontà e i suoi desideri ai compagni di classe, ma si era subito reso conto che a scuola nessuno lo temeva e tutti lo trattavano come uno qualunque. Non era come in villa, dove i dipendenti di suo padre scattavano a ogni piccolo desiderio del signorino. All'Istituto Tecnico Tecnologico Galileo Galilei non c'erano le care suorine della scuola privata che lo proteggevano e lo difendevano sempre. Per dimostrare ai suoi concittadini che non era affatto uno snob come tutti sostenevano, il signor Tassi aveva iscritto il figlio, peraltro poco studioso, alla scuola superiore pubblica. Nessuno in classe filava quel ragazzino troppo magro, dagli occhi piccoli e appena un po' strabici che si ostinava a voler fare il lord.

    Pierpaolo aveva provato invano a farsi eleggere capoclasse ma non ci era riuscito. Gli alunni della ID avevano scelto Luca Scrinzi. L'umiliazione di vedersi preferire un pezzente, un senza padre, un poveraccio che viveva in un palazzone fatiscente, lo fece andare su tutte le furie.

    «Bene», pensò. «L'avete voluto voi. Da oggi si cambia musica.»

    Incominciò così ad avvicinare alcuni dei suoi compagni e, ora con lusinghe, ora con minacce, riuscì ad avere una piccola corte di sudditi fedeli. Il clima all'interno della classe cambiò drasticamente.

    Luigi, il palestrato e Carlo, il lecchino, divennero i guardaspalle di Pierpaolo. Insieme a Gianni, Fabrizio, Leonardo e Michele costrinsero gli altri alunni a rieleggere il capoclasse e a votare per Pierpaolo.

    L'insegnante di italiano nutriva parecchi dubbi su questa rielezione e incominciava a rendersi conto delle dinamiche che si erano create nella sua classe. Cercò quindi di spingere i ragazzi a parlare con lei, a confidarsi, ma senza risultato.

    «Ragazzi, posso sapere perché avete rivotato per il capoclasse? Scrinzi, hai deciso tu di dimetterti?»

    Nell'aula nessuno parlò. Pierpaolo lanciò un'occhiataccia all'interpellato mentre Luigi, seduto nel banco dietro a Luca gli tirò un pugno nella schiena, senza che la professoressa Gastaldi si accorgesse di nulla.

    Luca allora rispose: «Sì, profe mi dispiace di aver creato tutta questa confusione, ma non me la sento di fare il capoclasse. È troppo impegnativo e io... in questo periodo ho altro da fare».

    La Gastaldi guardò negli occhi i suoi studenti, uno a uno. Quasi nessuno riuscì a sostenere il suo sguardo e lei comprese che c'era qualcosa di poco chiaro. In cuor suo si ripromise di capire cosa fosse.

    «Bene, allora l'argomento è chiuso. Aprite l'antologia a pagina ventiquattro. Anselmi vieni alla lavagna.»

    Luca tenne per sé il suo dramma. Non confidò a nessuno di essere la vittima preferita del gruppetto di bulli che si divertivano a maltrattarlo, a deriderlo, a rubargli la merenda e addirittura a minacciarlo di fare del male al cane di sua sorella o a lei stessa. Luca subì sempre senza fiatare, fino a quel giorno, in cui il suo stomaco reagì per lui, vendicandolo.

    Il puzzo di vomito si è fatto insopportabile, Pierpaolo si sfila la maglietta rossa e la getta sul sedile davanti, vicino a Ernesto. Senza degnarlo di un saluto scende dalla macchina e corre in casa.

    «Maledetto, Luca, giuro che ti farò pentire di essere nato», sibila, mentre si insapona sotto la doccia.

    «Nessuno mi ha mai umiliato così in vita mia. La mia vendetta sarà tremenda.»

    Si sciacqua con cura, esce dalla doccia, infila un prezioso accappatoio di Versace, si asciuga le mani e prende il cellulare. Ha già una mezza idea della bella sorpresa che preparerà per l'amico Scrinzi.

    Guarda la data sul calendario, compone il numero di Luigi e attende.

    Capitolo 3

    Dalla tapparella chiusa filtra un raggio di sole. Il rumore assordante della TV di là in cucina, annuncia che la mamma di Luca ha già incominciato la sua giornata da teledipendente. Il ragazzo guarda la sveglia sul comodino e si alza dal letto. Sono solo le otto e l'afa è già insopportabile. Per una città del Nord, quel caldo esagerato nelle prime ore del mattino è anomalo, un altro segno dei cambiamenti climatici che ormai si avvertono in ogni angolo del mondo. Luca si ricorda dell'ammonimento del professore di scienze, durante l'ultima lezione, prima delle vacanze.

    «Ragazzi, ricordatevi che ogni nostro piccolo gesto aiuta il pianeta a continuare a vivere. Quindi: non sprecate l'acqua, spegnete la luce quando uscite da una stanza, imparate a rispettare la natura e a fare la raccolta differenziata dei rifiuti. Contribuirete anche voi a salvare la terra. Dall'inizio del Novecento, epoca della seconda rivoluzione industriale, ad oggi l'uomo ha arrecato gravi danni all'ambiente.»

    Luca ripensa a quelle parole e si chiede se il suo misero contributo per cercare di arginare il degrado del pianeta possa servire a qualcosa, quando il presidente Trump ha fermato molte delle misure, poste in campo da Obama, per fermare i cambiamenti climatici.

    Cosa può fare un moscerino come me, se un gigante come Trump non si impegna a proteggere il pianeta? pensa Luca, scacciando una zanzara dal suo viso.

    Le zanzare, compresa quella tigre, ormai svolazzano dovunque e Bolzano assomiglia sempre più alla pianura Padana. Eppure molti continuano a sostenere che il clima non sia cambiato.

    Luca va in bagno, si lava, si veste e raggiunge la cucina, preparandosi psicologicamente ad affrontare la madre Anna, la sua sciatteria e il suo niente.

    «Buon giorno», esclama, cercando di nascondere un gesto di rabbia. Senza distogliere lo sguardo dallo schermo TV, Anna grugnisce una risposta incomprensibile. Nella cucina regna il caos: sul tavolo la vecchia moka, tazzine sbeccate, posate appiccicose, briciole di pane e bucce di mela. Sul lavello, una pila di piatti unti e pentole incrostate. Una decina di bicchieri sporchi infilati uno dentro l'altro pende pericolosamente sulla credenza, come una brutta copia della torre di Pisa. L'odore che si respira nella stanza è terribile.

    «Mamma, adesso non carichi più neanche la lavastoviglie?» chiede Luca.

    «Siete in vacanza, potete farlo tu o tua sorella», replica Anna, continuando a seguire la televendita.»

    «Isa ha dormito dalla sua amica Stella e lo sai che stamattina io ho un impegno. Te l'ho detto ieri.»

    «Non mi ricordo; adesso stai zitto, non sento niente», gli intima la madre.

    Luca sa che è inutile insistere, non caverebbe un ragno da un buco. Da quando suo padre se n'è andato, Anna ha perso ogni interesse per i figli e quella maledetta scatola parlante, piena di immagini e di colori le ha divorato l'anima. Per fortuna la presenza costante di nonna Maria e il suo aiuto finanziario hanno evitato l'intervento dei servizi sociali. Luca trema al solo pensiero di essere portato, insieme alla sorella, in qualche istituto o comunità.

    Prende l'unica tazzina pulita e si versa quel poco di caffè tiepido rimasto nella caffettiera, poi incomincia a riordinare la cucina. Tra poco arriverà nonna Maria. Non dovrà certo trovare la cucina in quello stato. Cerca di sbrigarsi, alle dieci ha appuntamento con Ortensia al canile. Non può fare tardi.

    Sistemato l'ultimo piatto nella lavastoviglie, l'accende, da una spazzata per terra, si avvicina alla madre, le dà un bacio sulla guancia e dice: «Ciao ma', io vado. Ricordati che hai promesso alla signora Clelia di andare a farle compagnia, oggi la sua badante ha il giorno libero. Ti prego, vacci. I soldi che ti dà ci servono ».

    «Sì, sì, ci andrò. Non preoccuparti.» Uno strano senso di colpa si sta impadronendo di lei. «Vai e, per favore, portati anche il cane di tua sorella, non voglio... non posso accompagnarlo al parco... stamattina mi sento poco bene.»

    «Non preoccuparti, Isa l'ha portato con sé a casa di Stella», le spiega Luca uscendo di casa.

    Raggiunge il portone ed esce di corsa, scontrandosi con la nonna.

    «Cos'è tutta questa fretta? É scoppiato un incendio?» gli chiede lei con un sorriso.

    «Ciao nonna! Scusami tanto, sono in ritardo e devo raggiungere Ortensia allo Snoopy House. Mi aspetta lì alle dieci. Chi la sente quella precisina, se arrivo alle dieci e tre minuti.»

    «Snoopy House?»

    «È il nome del rifugio per animali dove vado a fare volontariato... il canile, insomma. Devo scappare, ciao!»

    «Luca, sono solo le nove e venti, hai tutto il tempo che vuoi per arrivare al canile senza romperti l'osso del collo.»

    «Ok, nonna hai ragione. Ci vediamo più tardi.»

    Luca non può certo dire a nonna Maria che eviterà di passare dalla zona rossa per non incontrare Pierpaolo e i suoi compari, allungando così il percorso per raggiungere il canile.

    Il quindici di agosto il signorino partirà per Ibiza. Manca un secolo!Sarà dura restargli alla larga. Speriamo che al ritorno dalle vacanze si sia dimenticato di quello che ho fatto.

    Luca ha molti dubbi sul fatto che Pierpaolo possa scordare uno sgarbo, ma spera che il periodo di ferie renda il suo carnefice un po' meno crudele e vendicativo. Si sa, un bel periodo di vacanza rende tutti più tranquilli e rilassati.

    Mette da parte i cattivi pensieri e affretta il passo. Alle dieci meno cinque minuti raggiunge il canile. Ortensia lo aspetta davanti all'entrata. Gli fa un cenno di saluto con un sorriso celestiale, stampato sul volto. Luca ricambia quel sorriso, mentre nel suo stomaco le farfalle ballano un rock' n' roll al ritmo del suo cuore.

    Capitolo 4

    «Che puntualità», osserva Ortensia.

    Si avvicina a Luca e gli allunga un bacio sulla guancia. Già ai tempi della scuola materna quella bambina dai capelli rossi gli ha ispirato tenerezza e affetto. Il legame tra i due è cresciuto sui banchi di scuola alle elementari e alle medie, fino a diventare un'amicizia indissolubile.

    Ultimamente Luca si è reso conto dell'evoluzione dei suoi sentimenti nei confronti di Ortensia. L'affetto ha lasciato il posto a qualcosa di diverso, il cameratismo tra loro non gli basta più. Luca prova forti emozioni, vorrebbe stringere Ortensia e darle un bacio, un vero bacio, non un bacetto striminzito sulla guancia. Non ha mai provato un turbamento così grande per una ragazza: insomma si è innamorato. Più di una volta è stato sul punto di parlare con lei, di confessarle quello che prova. Ha sempre rinunciato per paura di perdere anche la sua amicizia.

    «Ehi, ti sei incantato? A cosa stai pensando?» domanda Ortensia.

    Luca arrossisce, distoglie lo sguardo da quegli occhi verdi, borbotta una risposta e insieme alla sua amica entra nel canile. Dalle gabbie, l'abbaiare dei cani li accoglie festoso, mentre procedono fino all'ufficio del direttore: il dottor Pallotta. Sono mesi che i due amici dedicano alcune ore alla settimana al volontariato nel canile e i cani ormai li conoscono. Sanno che il loro arrivo significa passeggiatina e grattatine di pancia a non finire; per questo scodinzolano contenti. Nella gabbia di Tobia e Charlie è in atto una vera e propria danza della gioia. I due bastardini sperano di essere i primi a uscire dalla gabbia per fare un giretto nel parco vicino al canile.

    La piccola Matilda, di razza pechinese fa le smorfiette a Luca, cercando di conquistarlo. La leggenda racconta che il pechinese sia nato dall'amore di un leone per una scimmia. Un leone si innamorò di una scimmia e rinunciò alla sua taglia e alla sua forza per restare con lei. Si dice che da questa unione nacque il pechinese. Dalla madre ereditò il musetto impudente e intelligente; dal padre prese la fierezza, il coraggio, la chioma e la nobiltà. Il cane pechinese è un aristocratico e uno snob per natura. Purtroppo la nobile discendenza non ha salvato Matilda dall'abbandono. I suoi padroni l'hanno mollata al canile con la scusa inverosimile di un viaggio in capo al mondo. Per giorni e giorni la cagnetta non ha toccato cibo e si è disperata. Ci è voluta tutta la pazienza e la dolcezza di Aurora, la veterinaria del canile, per far rinascere in Matilda la fiducia nell'essere umano.

    Luca si avvicina alla gabbia, allunga una mano tra le sbarre e la cagnolina gliela lecca, felice.

    «Non ti preoccupare, tra poco usciremo e potrai farti accarezzare la pancia.»

    «Che piacere rivedervi, ragazzi. Avete visto? I cani vi riconoscono e sono felici. Venite devo presentarvi il nuovo arrivato.»

    Il direttore del canile, sulla soglia dell'ufficio, invita Ortensia e Luca a entrare. Seduta su un divanetto, dai colori ormai sbiaditi, la veterinaria tiene in grembo e accarezza un cagnolino bianco e nero. È uno shitzu, ha lo sguardo spaventato e trema come una foglia.

    «Che carino, da dove arriva?» chiede Ortensia.

    «Ce lo hanno appena scaricato due tipi con una bimbetta in carrozzina. Questa volta la scusa è che la piccola ha un'allergia sul sederino. La causa, indovinate un po' qual è?»

    «Il cane?» esclama Luca.

    «Esatto», prosegue Aurora. «Sempre la stessa storia. Questi incoscienti non si rendono conto che adottare un cane non è uno scherzo. Dovrebbe essere per la vita, invece pensano di aver a che fare con un giocattolo e quando sono stufi o devono andare in ferie, se ne liberano. Agosto è il periodo peggiore per gli abbandoni. Dal divano alla gabbia del canile.»

    «Speriamo di trovargli presto un'altra famiglia», interviene il direttore. «Con questo siamo arrivati a trentadue cani. Non so più...»

    Un abbaiare furioso accompagnato da grida incomprensibili, interrompe il discorso del direttore. Il baccano proviene dal parco. Il direttore corre alla portafinestra, la apre ed esce sotto il porticato che circonda la struttura. Ortensia, Luca e la veterinaria, con il cane in braccio, lo seguono. A pochi metri dall'inizio del boschetto di cipressi, c'è un ragazzo steso a pancia in giù. Si copre la testa con le mani, i suoi pantaloni sono rotti all'altezza del sedere, dallo strappo si intravedono un paio di imbarazzanti boxer a fiorellini. È senza una scarpa e urla come un ossesso. Nespola, il mastino napoletano di sessanta chili lo sovrasta. Tiene serrata tra le fauci la scarpa del malcapitato e ringhia. Anche Pallino, il meticcio e Bubba, il bassotto sono lì, a un metro dal malcapitato e abbaiano furiosamente.

    Marco, l'addetto della pulizia gabbie, e Sasha, un altro volontario, sono vicini a Nespola e cercano di tranquillizzarlo.

    «Dai, bello, vieni qui. Prendi queste», lo imbonisce Marco, offrendogli un pugno di invitanti crocchette. «Non preoccuparti, è tutto finito. Adesso ci pensiamo noi. Questo spregevole ragazzino non la passerà liscia.»

    Come se avesse compreso il senso di quelle parole il cane smette di ringhiare, molla la scarpa, spazzola tutte le crocchette e si accuccia sull'erba.

    Sahsa estrae dalla tasca dei pantaloni un sacchetto di carta e si avvicina a Pallino e Bubba.

    «Forza, assaggiate questi buoni biscottini.»

    I due cani non si fanno pregare e mangiano gli snack. Lui ne approfitta, li lega al guinzaglio per riportali nel canile.

    «Portate via quel mostro, vi prego», piagnucola il tipetto sdraiato a terra. «Voglio andare a casa, lasciatemi andare.»

    «Non preoccuparti, che a casa ti accompagno io. Ma prima farò una bella telefonata ai Carabinieri, li aspetteremo qui e andremo insieme a loro a casa tua, bastardo», grida Marco.

    «Si può sapere cosa è successo?» si informa il direttore che ha raggiunto l'addetto alle pulizie, un omone di cento chili. Per uno strano caso del destino anche lui è napoletano e Nespola lo adora,.

    «Succede che questo mulacchiune stava nascondendo delle polpettine tra l'erba, nella zona dei cipressi», spiega Marco. «Polpettine farcite molto bene... con chiodi e puntine da disegno. Ah, c'erano anche delle salsiccette ripiene di delizioso verderame. Questo qui voleva far fuori i nostri cani.»

    L'addetto alle pulizie in preda alla rabbia acchiappa per le spalle il ragazzino disteso sul prato e lo costringe ad alzarsi. Sul suo viso, punteggiato di lentiggini, è stampata un'espressione di terrore.

    «Potrei strozzarti con le mie mani, maledetto assassino.»

    «Mi lasci, per favore! Io non volevo, mi ha costretto Pie...», supplica il ragazzo.

    «Marco, si calmi. Porti Nespola nella sua gabbia e telefoni ai Carabinieri», ordina il direttore.

    Strano, pensa questo tipetto avrà si e no quattordici, quindici anni e non sembra affatto un killer di cani .

    Con sguardo truce si rivolge al colpevole: «Sei in un gran brutto guaio. Sarà meglio che tu concluda quel nome. Chi ti ha ordinato di fare una cosa tanto meschina e crudele? E tu? Perché hai obbedito? Potevi rifiutarti di farlo.»

    «Per favore, non chiami i Carabinieri. Le ripeto, ho dovuto farlo, quelli non perdonano...»

    «Ma, ma quello è Gianni Ballarin», esclama Luca da sotto il portico.

    Insieme a Ortensia corre dal direttore e spiega: «È un mio compagno di classe».

    Gianni ha le lacrime agli occhi, è terrorizzato, cerca malamente di nascondere i ridicoli boxer che si intravedono dallo strappo nei pantaloni.

    «Ti prego, Luca, diglielo tu che sono stato costretto. Tu lo sai che è così. Non potevo dire di no.»

    Il direttore rivolge a Luca uno sguardo interrogativo, prende il telefonino, chiama Marco pregandolo di aspettare ad avvisare i

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