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Il trattato decisivo
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E-book102 pagine1 ora

Il trattato decisivo

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Averroé, arabo nato nel 1126 a Cordova (Spagna), divenne presto noto in Occidente grazie ai suoi prestigiosi commentari delle opere di Aristotele e Platone: adottati come “testi di riferimento” nella emergente Facoltà delle Arti di Parigi, vennero utilizzati anche da Alberto Magno e Tommaso d’Aquino. «Averoìs ch’el gran commento feo», con queste parole viene ricordato da Dante, che lo colloca nel Limbo, in compagnia di sapienti e patriarchi.
Dissidi interni alla nascente università, porteranno all’accusa – errata – di essere sostenitore della dottrina della “doppia verità”; la sua immagine, così, muterà drasticamente: ne sono lampante prova i numerosi affreschi nei quali è rappresentato con scherno e disprezzo.
 Con Il Trattato decisivo sulla natura della connessione tra Religione e Filosofia, sconosciuto nel medioevo latino, Averroé vuole dimostrare che la Religione, se correttamente interpretata, invita alla speculazione razionale. “Il vero non contrasta con vero”, è la formula, di sapore aristotelico, che costituisce lo zoccolo duro delle argomentazioni di questo Trattato; seguendo Averroé, le Scritture e la Scienza non possono che concordare, le contraddizioni che si generano saranno solo apparenti, risolvibili con una lettura allegorica del Testo Sacro.
LinguaItaliano
EditoreIl Prato
Data di uscita7 feb 2012
ISBN9788863361537
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    Il trattato decisivo - Averroè

    La figura di Averroé

    Averroé, latinizzazione condotta sulla base della traduzione ebraica del suo nome, Abu’l-Walìd Muhammad Ibn Rushd, nasce nel 1126, in Spagna, a Cordova, in una famiglia di illustre tradizione, probabilmente di lontana origine Cristiana. Una parziale conferma di questa origine viene dall’analisi del nome composto del trisavolo di Averroé, in esso infatti appare Abd Allah, caratteristico, come fa notare Miguel Cruz Hernandez¹, dei convertiti all’Islam.

    Cordova era all’epoca il centro culturale del mondo islamico occidentale. Avveroé ha qui modo di formarsi dedicandosi allo studio delle scienze islamiche, in special modo approfondendo la giurisprudenza fino ad essere, stando allo storico arabo Ibn abi Usaybi’a², una «fenice in questa scienza».

    Nel 1153 Ibn Rushd si trova a Marrakesh, in contatto con la corte di Abd al-Mu’min, primo sovrano della dinastia almohade. Dal suo commentario al De Caelo e dal commentario al Libro L della Metafisica, si può dedurre che in quel periodo si occupasse dell’osservazione degli astri, nella speranza di concretizzare le teorie matematiche in teorie fisiche.

    A Marrakesh, in quegli anni, operava Ibn Tufayl, noto ai latini come Abubacer, mecenate versato in ogni ambito del sapere. Celeberrimo è il suo romanzo filosofico pervenutoci col titolo di "Filosofo autodidatta", scritto con l’obiettivo di mostrare come la filosofia, o più in generale il sapere scientifico e la fede musulmana conducano sulla medesima via. Il comune interesse per le scienze e per le ricerche astronomiche lo ha probabilmente portato all’incontro con Averroé. Ibn Tufayl era solito presentare al Califfo almohade – del quale era fidato medico personale – uomini di scienza e di lettere, pregandolo di onorarli e lodarli. Uno di questi fu proprio Ibn Rushd; egli, in una discussione sulla eternità del mondo, come ci riporta al-Marrakushi, fece una ottima impressione al Califfo Abu Ya’qub Yusuf, che nel frattempo era succeduto al già citato al-Mu’min, mostrando l’ampiezza del suo sapere³. Lo stesso Califfo espresse a Ibn Tufayl il desiderio di vedere compilati dei commentari in grado di rendere accessibile la vasta e complessa opera dei filosofi antichi, in special modo quella di Aristotele. Ibn Tufayl, ritenendosi ormai vecchio e troppo impegnato negli incarichi di corte, rigirò l’invito ad Averroé che accettò e svolse al meglio l’annoso compito, divenendo ben presto il Commentatore per antonomasia.

    Come attestato di stima, nel 1169, anno seguente all’incontro col califfo, Ibn Rushd venne, dallo stesso, nominato ‘cadì’ di Siviglia, centro amministrativo del potere almohade. Al tempo della presentazione al califfo, Averroé aveva già 42 anni; Miguel Cruz Hernandez⁴ motiva la tardività di questo incontro con i legami che la famiglia di Ibn Rushd aveva avuto con la precedente dinastia, quella almoravide: sia il nonno che il padre erano stati infatti cadì di Cordoba sotto tale regno.

    A Siviglia redasse il suo primo commento al De partibus animalium di Aristotele. In esso espresse anche ram - marico per la lontananza dalla sua biblioteca, rimasta a Cordova, lontananza che gli impediva un lavoro approfondito.

    Circa due anni più tardi, nel 1171, venne nominato cadì della sua rimpianta città natale, Cordova. Negli anni seguenti, nonostante i numerosi viaggi nelle città del regno almohade che la sua carica gli imponeva, ebbe modo di redarre un gran numero di commenti.

    Nel 1182 Ibn Tufayl lasciò l’incarico di primo medico del califfo ad Ibn Rushd. Alla morte del califfo Yusuf, prese il potere il figlio Ya’qub al-Mansur che, come il padre, aveva enorme stima del pensatore di Cordova. Purtroppo nel 1185 la fiducia nutrita per anni mutò; il Califfo, dopo aver allestito una spedizione contro i Cristiani, culminata nella vittoria di Alarcos, prese misure drastiche contro Averroé . Molte storie sono state scritte intorno a questo evento, di certo si sa che fu confinato a Lucena, a sud di Cordova; i suoi libri furono arsi al rogo e le sue dottrine furono bandite in quanto ritenute pericolose per la religione. I motivi di questa drammatica svolta possono essere ritrovati nelle pressione che i giureconsulti fanatici (fuqahà), estremi difensori di una feroce ortodossia, fecero al califfo affinché mostrasse la propria aderenza alla Legge⁵.

    Nel periodo di esilio Averroé dovette subire anche le angherie di alcuni poeti che gli dedicarono volgari satire⁶. Tale periodo non durò molto, nel 1195 il califfo lo rivolle a Marrakesh, presso la sua corte; ivi morì nel dicembre del 1198, all’età di settantadue anni; il suo corpo fu prima sepolto fuori le mura della città ed in seguito portato nella natia Cordova.

    1Cfr. Miguel Cruz Hernandez, Averroes y el sentido del Islam in Averroes y los averroismos, Actas del III Congreso Nacional de Filosofia Medieval. Zaragoza 1999

    2Prendo la citazione da Georges Anawati, La filosofia araba in Storia della Filosofia diretta da Mario dal Pra, Vallardi editrice, pag. 323

    3Cfr. Miquel Forcata Nogues, La ciencia en Averroes in Averroes y los averroismos, Actas del III Congreso Nacional de Filosofia Medieval. Zaragoza 1999

    4Cfr. Miguel Cruz Hernandez, Op. Cit.

    5Cfr. D. Macdonald, Development of Muslim theology, New York 1903, pag. 255

    6Cfr. S. Munk, Melanges de philosophie juive et arabe, Paris 1859

    Le opere che fecero di Averroé il Commentatore

    Averroé condusse, secondo l’insegnamento del suo ideale maestro Aristotele, un vero bios theoretikos, ossia una vita completamente dedita alla ricerca. Alcune tradizioni ci raccontano di un uomo che non passava una giornata senza aver dedicato qualche ora allo studio; altre – assai più leggendarie – raccontano che Averroé abbandonò i libri in sole due occasioni: nel giorno del funerale del padre e nel giorno del suo matrimonio. Al di là di quest’aura mitica, la dedizione di Averroé la si può facilmente dedurre dalla mole di opere che ci ha lasciato.

    Secondo la cronologia stilata da Alonso⁷, Averroé aveva già scritto, prima di essere presentato al califfo Yusuf, alcuni commenti minori alle opere di logica di Aristotele, alla Metafisica e alla Fisica. Si era inoltre occupato di scritti di medicina. Ma la grande svolta la si avrà, come è stato poc’anzi evidenziato, dopo l’assegnazione del compito di rendere accessibile Aristotele, il vero Aristotele, agli studiosi arabi.

    I commenti alle opere di Aristotele – e, come vedremo, ad un’opera di Platone –, possono essere divisi, secondo il metodo usato nel redigerli, in tre categorie. Abbiamo anzitutto i commenti minori o parafrasi; in essi è Averroé stesso a parlare dal principio alla fine, parafrasando la dottrina dell’autore senza seguire l’ordine del testo originale. In secondo luogo troviamo i commenti medi; in essi si segue il testo con l’ordine originario, commentando ogni paragrafo. Infine troviamo i grandi commenti nei quali, oltre ad una approfondita e dettagliata spiegazione, viene riportato il testo originale nella sua forma estesa.

    Questi commenti fecero di Averroé il Commentatore per antonomasia, presentato da Dante come «Averrois ch’el gran commento feo»⁸. Dopo la morte di Averroé i suoi scritti ebbero larga diffusione nel mondo latino⁹, divenendo prezioso materiale di studio per la nuova generazione di filosofi e teologi: Sigieri di Brabante, Boezio di Dacia e soprattutto Tommaso D’Aquino furono tra i primi fruitori dell’opera di Averroé. Addirittura, qualche decennio più tardi, presso la Facoltà delle

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