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Parole come gemme: Studi su filosofia e metafora
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E-book446 pagine6 ore

Parole come gemme: Studi su filosofia e metafora

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Info su questo ebook

Una riedizione, con una sistematica revisione che in moltipunti è divenuta riscrittura o integrazione di parti inedite, dei lavori preparatori a Essere e analogia (2012), il testo che costituisce sia il momento culminante di queste varie riflessioni sul rapporto tra dispositivo analogico, lingua e pensiero, sia la loro cornice teoretica. L’analogizzazione in Platone tra ontologia, matematica e mito; la questione del metaforico considerata compiutamente in due contesti classici (il pensiero di Aristotele e di Heidegger); la critica all’interpretazione linguistica delle categorie aristoteliche; le acute intuizioni di Bachelard e di alcuni filosofi analitici (Black, Hesse, Boyd) sul ruolo delle metafore nella scienza – queste trattazioni, per la prima volta raccolte insieme, attestano la coerenza delle indagini speculative condotte dall’autore nell’ultimo quarto di secolo, in vista di una nuova ontologica del sapere.
LinguaItaliano
EditoreIl Prato
Data di uscita4 feb 2013
ISBN9788863361964
Parole come gemme: Studi su filosofia e metafora

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    Anteprima del libro

    Parole come gemme - Vincenzo Cicero

    i cento talleri

    49

    VINCENZO CICERO

    PAROLE COME GEMME

    STUDI SU FILOSOFIA E METAFORA

    Agli Sdrammaticati

    per i loro vent’anni

    Direttori di collana

    Jacopo Agnesina, Università del Piemonte Orientale - Vercelli

    Diego Fusaro, Università di Milano - San Raffaele

    Segretario di redazione

    Mario Carparelli, Università del Salento

    Comitato Scientifico

    Giovanni Bonacina, Università di Urbino

    Gaetano Chiurazzi, Università di Torino

    Vincenzo Cicero, Università di Messina

    Massimo Donà, Università di Milano - San Raffaele

    Domenico Fazio, Università del Salento

    Sebastiano Ghisu, Università di Sassari

    Giuseppe Girgenti, Università di Milano - San Raffaele

    Marco Ivaldo, Università di Napoli - Federico II

    Roberto Mordacci, Università di Milano - San Raffaele

    Pier Paolo Portinaro, Università di Torino

    Roberta Sala, Università di Milano - San Raffaele

    Andrea Tagliapietra, Università di Milano - San Raffaele

    I membri del Comitato Scientifico fungono da revisori. Ogni saggio pervenuto alla collana I Cento Talleri, dopo una lettura preliminare da parte dei Direttori di collana, è sottoposto alla valutazione dei membri del Comitato Scientifico (due per ogni saggio).

    Le proposte di pubblicazione devono essere inviate ai seguenti indirizzi: info@ilprato.com o, in forma cartacea, Casa Editrice il Prato, via Lombardia 43, 35020 Saonara (Padova).

    ebook by ePubMATIC.com

    ISBN 9788863361964

    Indice

    Prefazione

    Nota editoriale

    Sigle

    Analogie e ambiti ontologici Filosofia, matematica e storia in Platone secondo la Scuola platonica di Tubinga-Milano

    I. Il sistema platonico. Matematica e filosofia

    § 1. Le dottrine non scritte e la concezione ontologica fondamentale di Platone

    § 2. Il sistema filosofico aperto di Platone

    § 3. L’analogizzazione tra matematica e ontologia

    § 4. La serie matematico-dimensionale quadriarticolata

    § 5. L’ambito ideale

    5.1. I Numeri ideali

    5.2. Le Metaidee e il dualismo metodologico di Platone

    5.3. Le altre Idee come generi e specie

    5.4. L’Uno-Bene e la struttura assiologica

    § 6. L’ambito dell’Anima e degli enti matematici

    § 7. L’ambito dei fenomeni

    § 8. La dottrina del movimento

    II. La rappresentazione mitica del corso storico e la com prensione filosofica della storia in Platone

    § 0. Platone filosofo della storia

    § 1. Le epoche cosmiche secondo la rappresentazione mitica

    § 2. Il rapporto tensionale dei Principi nella storia del cosmo in generale

    § 3. L’analogia storico-strutturale tra cosmo, polis e singolo uomo

    § 4. L’evoluzione del sapere umano in generale e della filosofia in particolare

    § 5. Lo Stato ideale e gli Stati esistenti. Autorità e libertà

    § 6. Storia, mito e logos

    tÕ metaϕorikÒn

    La definizione aristotelica della metafora

    Introduzione

    § 1. Eminenza del fenomeno metaforico

    § 2. Filosofia e metafora

    § 3. Momenti e obiettivi di questo studio

    § 4. Sullo stile discorsivo scelto per la trattazione

    I. Sostrato e settori concettuali di una definizione

    § 0. Aristotele, Poetica, 1457 a 6-9

    § 1. metaϕor¦... ™stin... ™piϕor£

    § 2. ÐnÒmatoj ™piϕor£

    2.1. Aristotele, De interpretatione, 16 a 3-8

    2.2. Semeion

    2.3. Sỳmbolon

    2.4. Tripartizione dell’interrogativo: che cos’è l’ònoma?

    A. Phonè e boùlesis onòmatos

    B. Pàthema, homòioma, phàntasma e pragma

    C. Nòema

    2.5. L’ònoma come categorema

    § 3. ÑnÒmatoj ¢llotr…ou

    § 4. À ¢pÕ toà gšnouj ™pˆ e0doj, À ... À

    § 5. À kat¦ tÕ ¢n£logon

    II. Verso il fondamento speculativo della metafora

    § 0. Metafora e metaforema

    § 1. M…mhsij, po…hsij, tšcnh

    1.1. Pòiesis, mìmesis e techne in Platone. L’interpretazione heideggeriana

    1.2. Aristotele: la mìmesis come impulso naturale

    1.3. La techne in generale

    1.4. La techne poietica: il mythos

    § 2. LÒgoj, ™rmhne…a, lšxij

    2.1. La pòiesis tragica come mìmesis suprema

    2.2. Logos e hermeneia

    2.3. Lexis retorica e lexis poietica

    2.4. Le virtù della lexis in generale

    § 3. Virtù e fisionomia ontologica della metafora

    3.1. Esempi aristotelici dei quattro tropi metaforici

    3.2. Normalizzazione onomatica e convenienza epiforica

    3.3. Gli asteia: to pro ommaton poièin

    3.4. Metafora, similitudine ed enigma

    3.5. To to hòmoion theorèin

    § 4. Metafora e analogia: logos poietico e logos filosofico

    4.1. La metafora e le insufficienze onomatiche di un idioma

    4.2. L’analogia come fondamento speculativo della metafora

    4.3. To anàlogon e l’accezione fondamentale di to on

    4.4. Alètheia e nous

    4.5. Metafora e logos filosofico

    Metaphorisches und Metaphysik

    Interpretazione di una sentenza heideggeriana

    Preludio. L’abbozzo dei cardini speculativi di una sentenza e l’anomalia heideggeriana

    § 1. Der Satz vom Grund, VI, p. 72,19-20

    § 2. L’apparire e i sensi

    § 3. La distinzione metafisica tra sensibile e non-sensibile

    § 4. La trasposizione come concetto metafisico di metafora

    I. L’Als-Struktur come radice di ogni predicazione

    § 5. La pristina quaestio del pensiero filosofico

    § 6. Il senso di essere

    § 7. Il Dasein e la sua apertura radicale

    § 8. L’articolazione dell’essere-nel-mondo

    § 9. Fenomeno ermeneutico e Als-Struktur

    § 10. La trascendenza del Dasein

    § 11. La trascendentalità dell’inquanto

    § 12. Tempo estatico e inquanto

    II. Essere, tempo e metafisica

    § 13. Duplicità della questione che cos’è l’essere?

    § 14. Il presenziare come senso metafisico dell’idea dell’essere

    § 15. Temporalità ed eternità, ossia la distinzione metafisica più fondamentale

    § 16. La costituzione onto-teo-logica della metafisica

    § 17. L’incidenza epocale della metafisica

    § 18. La responsabilità metaforico-trasposizionale del pensiero metafisico

    § 19. Verso una nuova interpretazione dell’idea dell’essere

    § 20. La Sache del pensiero oltremetafisico

    § 21. L’Ereignis come senso oltremetafisico dell’Als-Struktur

    III. La parola cenno di poeti e pensatori. Metaphorisches e metaphorikòn

    § 22. L’attuale dominio incondizionato della presenzialità

    § 23. La necessità di una rimodulazione dell’ermeneusi metafisica

    § 24. Limiti della comprensione heideggeriana della grecità

    § 25. Oltre il lÒgoj, la Sage

    § 26. L’Ereignis e le difficoltà di approntare un nuovo paradigma speculativo

    § 27. Ônoma e Wort

    § 28. Cenni, ovvero …

    § 29. … le parole di poeti e pensatori

    § 30. L’autentico confronto tra metaϕorikÒn e Metapho risches

    Lingua e pensiero

    La lettura benvenistiana delle categorie di Aristotele

    § 1. Il problema moderno del filo conduttore grammaticale nell’interpretazione delle categorie di Aristotele

    § 2. La tesi di Benveniste: le categorie aristoteliche sono categorie fondamentali della lingua greca

    § 3. I presupposti teorici della tesi di Benveniste

    3.1. In che senso viene qui messa in discussione la tesi di Benveniste

    3.2. La struttura del saggio Catégories de pensée et catégories de langue

    3.3. La nozione benvenistiana di langue

    3.3.1. La realtà della lingua e l’inconsapevolezza dei parlanti

    3.3.2. La teoria linguistica di Benveniste non opera nessuna «chiusura del linguaggio»

    3.3.3. Le categorie di Aristotele sono sottoclassi di lessemi

    3.4. Il linguaggio e le lingue

    3.4.1. L’apertura benvenistiana al linguaggio

    3.4.2. La linguistica è scienza delle lingue e scienza del linguaggio

    3.5. Linguaggio e pensiero

    3.5.1. La facoltà del linguaggio non è un fatto umano

    3.5.2. Il pensiero categorizza una realtà ri-prodotta dal linguaggio

    § 4. La chiusura benvenistiana al pensiero

    4.1. Il pensiero è per Benveniste il linguaggio senza l’aspetto fonetico

    4.2. Il pensiero e le lingue empiriche

    4.3. L’inadeguatezza delle proposizioni metafisiche di Benveniste

    4.4. Riepilogo generale della messa in discussione della tesi di Benveniste

    4.5. Suggestioni della tesi benvenistiana in Ricoeur e in Eco

    4.6. Le obiezioni di Derrida

    § 5. Conclusioni

    Ritmo e modello

    I primi riconoscimenti del ruolo scientifico di certe metafore

    I. Bachelard e il diritto alla metafora scientifica

    § 1. Meschonnic, Benveniste e Bachelard: una perspicua nozione di rythme

    § 2. La metaforologia bachelardiana all’avanguardia

    § 3. Il diritto a metaforare nella filosofia e nella scienza

    § 4. Valenza onto-crono-logica della metafora ritmica

    II. Models and Metaphors in Science

    § 1. La concezione interattiva della metafora in Black

    § 2. Hesse e la spiegazione scientifica come ridescrizione metaforica

    § 3. Accesso epistemico, catacresi e inesattezza: la metafora scientifica secondo Boyd

    Appendice. Glossario dei termini greci impiegati in tÕ metaϕorikÒn

    Bibliografia

    Prefazione

    Are not words parts and germinations of the plant?

    (S. T. Coleridge)

    La parola Ð lÒgoj che figura all’inizio del vangelo di Giovanni ha sembianza metaforica. Infatti sul piano della terminologia tecnica è perfettamente assimilabile alle locuzioni coinvolte nel disposto definitorio classico – i.e. aristotelico – di metafora.

    Il lÒgoj giovanneo è, in senso linguistico, un nome allotrio, vale a dire una voce che, rispetto alla proprie significazioni generalmente accepite (dalla più comune alla più rara), patisce una mutazione fin lì inedita. E benché da Eraclito ad Aristotele la filosofia offra un intero parco rigoglioso di accezioni logiche – ciascuna a suo tempo e a sua volta dischiusa da gemmazione metaforica –, tuttavia la notizia di Giovanni risalta con maggiore nettezza di fronte ai due momenti epocali che la precedono da presso nella metamorfosi semantica della parola: la dottrina del logos negli Stoici e, specialmente, in Filone d’Alessandria.

    Alle determinazioni ricapitolate e rinnovate (tramite risignificazione del nome) dall’Alessandrino, il quale parla del Logos come distinto da Dio e insieme identico a Dio, come strumento della creazione e nel contempo legame cosmico, l’Evangelista aggiunge qui un elemento inaudito, sconcertante: quel Logos, che «in principio era presso Dio», ora s¦rx ™gšneto, «si è fatto carne»¹. Il Logos da cui s’è generato il tutto si è infine fatto uomo, e la sfera semantica della parola Ð lÒgoj si arricchisce allora, grazie al dispositivo metaforico, di una nuova accezione: l’umanazione.

    Dunque, la più arcaica delle parole divine², la più prossima al qeÒj in quanto da lui pronunciata principialmente (nella unicissima ¢rc¾ ¢rcîn), non è dicibile altrimenti che more metaphorico. Non solo, ma si configura essa stessa come metafora. La parola che si dà ™n ¢rcÅ è difatti una trasferenza poietica, parola creatrice per eccellenza, «per mezzo della quale tutto è stato creato» – datrice dell’essere alle cose mediante il dirle imperativamente (Genhq»tw ϕîj, «Luce sia»), tramite il chiamarle iussivamente all’esistenza...

    La questione della metaforicità del lÒgoj giovanneo è il filo propulsore – la mozione remota – degli studi raccolti in questo volume, per quanto non vi sia mai menzionata né tantomeno discussa. Dopo la recente edizione del mio Essere e analogia, si è fatto più trasparente il vincolo che li avvince vicendevolmente alla questione iniziale, cioè il legame dell’¢n£logon, alle cui concrezioni metaforiche non sfugge alcun enunciato epistemico.

    Parole come gemme, perciò: da cui improvvisi possono conflagrare rami, foglie e fiori, e insieme turchesi, diaspri e lapislazuli, in tutti quei discorsi che, governati dalla metafora, danno nerbo alle scoperte filosofiche, artistiche, scientifiche.

    note

    ¹ Lo sconcerto provocato dall’incarnazione del Logos è inferiore solo allo scandalo paolino per la sua morte di croce (Fil 2,6-8).

    ² Logos non è però, nel contesto neotestamentario, anche la parola superiore a ogni altra (tÕ Ônoma tÕ Øp1r p©n Ônoma). Questa primazia spetta al nome: Gesù Cristo signore (kÚrioj ’Ihsoàj CristÒj, cfr. Fil 2,9-11).

    Nota editoriale

    La gran parte degli scritti qui raccolti è già stata pubblicata nel corso degli ultimi vent’anni. I due testi più antichi (sulla metafora in Aristotele e in Heidegger) sono stati integralmente rivisti, e in generale ho eliminato diverse note che, dato l’accorpamento degli scritti, sarebbero risultate pleonastiche, mentre non ne ho aggiunte di nuove se non, tra parentesi quadra, quando vi sono stato costretto dalla necessità di rinviare decisivamente a più recenti saggi miei e altrui.

    Ho aggiornato (ritradotto) tutti i brani citati da opere non italiane, uniformato i riferimenti bibliografici sul modello di Essere e analogia, e adeguato naturalmente gli aspetti redazionali ai criteri della collana iCentotalleri.

    A differenza del mio modus scribendi più recente, che prevede l’uso della prima persona singolare, ho lasciato il plurale maiestatico originario, mantenendolo anche nelle parti inedite.

    Analogie e ambiti ontologici corrisponde alle prime due parti (pp. 11-49) del più ampio scritto: Filosofia, matematica e storia in Platone secondo la Scuola platonica di Tubinga-Milano. Con documenti sul «mutamento di interpretazione» avvenuto in Konrad Gaiser riguardo al «numero nuziale», in: K. Gaiser, Il discorso delle Muse sul fondamento dell’ordine e del disordine. Interpretazione e commento storico-filologico di Repubblica VIII 545 D - 547 A, presentazione di G. Reale, saggio introduttivo, traduzione e indici a cura di V. Cicero, Vita e Pensiero, Milano 1998, pp. 7-65.

    Il secondo studio è uscito vent’anni fa a doppia firma: S. Cariati - V. Cicero, tÕ metaϕorikÒn. Una interpretazione della definizione aristotelica della metafora, prefazione di G. Barberini, Gabriele Corbo Editore, Ferrara 1992. L’attuale riconfigurazione del testo, operata però secondo la volontà di non stravolgere il peculiare stile discorsivo originario, è mia esclusiva responsabilità. I paragrafi e sottoparagrafi già esistenti sono stati titolati sistematicamente anche nel corpo del testo, non solo nel sommario (come nella prima edizione); e in appendice al volume è stato aggiunto un glossario dei termini greci impiegati nel saggio, accompagnati dalle corrispettive definizioni ivi adoperate.

    Il terzo studio è apparso inizialmente come monografia: Metaphorisches und Metaphysik. Interpretazione della sentenza heideggeriana sul fenomeno metaforico, EDAS, Messina 1993. Oggi lo riscriverei in maniera assai diversa, sia dal punto di vista dello stile, sia per la terminologia, ma, proprio per non tradire la fisionomia primaria dello scritto, ho limitato al minimo gli interventi stilistico-terminologici. Ho introdotto ex novo la paragrafazione.

    Lingua e pensiero ha visto la luce per la prima volta con il titolo: L’interpretazione linguistica delle categorie aristoteliche in É. Benveniste, in: A. Trendelenburg, La dottrina delle categorie in Aristotele, prefazione e saggio introduttivo di G. Reale, traduzione e saggio integrativo di V. Cicero, Vita e Pensiero, Milano 1994, pp. 285-353. Il § 4.6 su Derrida è inedito.

    La prima parte del quinto studio sulla metafora nella scienza è un rifacimento delle pp. 99-107 del volume: Istante durata ritmo. Il tempo nell’epistemologia surrazionalista di Bachelard, Vita e Pensiero, Milano 2007, cap. IX, Il diritto alla metafora e un’appendice ritmoanalitica, §§ 1-4. La seconda parte è inedita.

    Sigle

    Nei rimandi interni, i cinque studi del volume vengono siglati come segue:

    Gli altri due miei scritti più volte citati sono contrassegnati così:

    Analogie e ambiti ontologici

    Filosofia, matematica e storia in Platone

    secondo la Scuola platonica di Tubinga-Milano

    L’uguaglianza proporzionale ha un grande potere fra gli dèi e gli uomini.

    Gorgia, 508 A

    Quando si possiede la conoscenza adeguata, allora ogni figura, ogni sistema numerico e ogni rapporto armonico, come pure l’accordo di tutte le rivoluzioni astrali, si rivelano necessariamente come una cosa sola. E si manifesteranno così – lo ripeto – solo se li si conosce volgendo correttamente lo sguardo all’Uno. A chi medita a fondo, infatti, sarà chiaro che tutte queste cose sono per natura tenute insieme da un unico legame... Senza tali conoscenze, in nessuno Stato potrebbe mai esserci qualcuno davvero felice.

    Epinomide, 991 E - 992 A

    Nel corso di questo singolo studio vengono impiegate le seguenti sigle di edizioni italiane di opere di Gaiser:

    I. Il sistema platonico. Matematica e filosofia

    § 1. Le dottrine non scritte e la concezione ontologica fondamentale di Platone

    La tesi di fondo della Scuola platonica di Tubinga-Milano¹ è che, per cogliere il pensiero di Platone nella sua vera totalità, non ci si può limitare alla lettura dei dialoghi, ma bisogna annettervi anche le testimonianze antiche sulla filosofia esoterica di Platone, cioè su un nucleo filosofico maturo già almeno all’epoca di composizione del Protagora ed esposto per intero soltanto davanti alla cerchia interna dell’Accademia. Aristotele ha indicato questo complesso filosofico intraccademico con l’espressione ¥graϕa dÒgmata, dottrine non scritte.

    Con esoterico non si deve però intendere qui il riferimento a una dimensione segreta o misterica, chiusa ed esclusiva, bensì il carattere di elementi dottrinali che Platone comunicava compiutamente solo, appunto, nella ristretta cerchia dei discepoli, i quali erano in grado di appropriarsene in modo adeguato perché avevano alle spalle una lunga preparazione matematico-dialettica.

    L’esoterica platonica va dunque nettamente distinta, per esempio, dalla segretezza pitagorica. I membri del sodalizio pitagorico dovevano giurare di tenere segreto il loro speciale sapere, e alla violazione del giuramento seguivano delle sanzioni: la segretezza aveva in definitiva lo scopo di salvaguardare la compattezza e la forza del sodalizio. Nulla di tutto ciò avveniva invece nell’Accademia platonica: nessun membro di essa doveva giurare di non divulgare i contenuti dei colloqui didattici; né alla diffusione scritta della teoria esoterica corrispondeva alcuna sanzione. Platone mirò sempre unicamente ad assicurare le condizioni migliori per una formazione filosofica, e questo sia nell’interesse di coloro che si accostavano per la prima volta alla filosofia – per i quali la comunicazione delle cose più difficili, senza una adeguata preparazione, sarebbe stata solo controproducente –, sia a difesa dell’oggetto stesso dell’attività filosofica, il quale per lui era sacro e non poteva essere dato in pasto a lettori incompetenti o maligni.

    Ora, come le indagini storiche e filologiche dei sostenitori del paradigma tubingo-milanese hanno ormai ampiamente documentato e dimostrato, le dottrine non scritte di Platone sviluppano in estensione e pongono in una prospettiva unitaria ciò che nei dialoghi viene menzionato solo per allusioni, oppure abbozzato in modo frammentario. Soprattutto, la seria considerazione della tradizione platonica indiretta fornisce la cornice completa di quel programma filosofico di Platone che nei dialoghi resta sempre e soltanto allo stato di schizzo provvisorio: il programma di portare a realizzazione concreta il metodo dialettico entro la visione sinottica dei nessi strutturali fondamentali dell’intera realtà, la quale fa capo in ultima analisi a due Principi supremi (›n kaˆ ¢Òristoj du£j: Uno e Diade indeterminata).

    La prima novità che le dottrine esoteriche di Platone presentano rispetto ai dialoghi è infatti la seguente: La suprema e più vera realtà non è soltanto al di là dei fenomeni e della loro mutevolezza, ma anche al di là delle Idee stesse, che – come si apprende dagli scritti platonici – sono gli archetipi strutturali delle cose; questa sfera suprema della realtà è propriamente costituita da due Principi ultimi tra loro opposti, i quali però non si escludono affatto l’un l’altro, ma cooperano sempre secondo un peculiare rapporto sinergico: il primo, quello positivo, porta il nome di Uno o Bene (contrassegnato da determinazioni come forma, identità, limite, quiete, uguaglianza, ordine, razionalità ecc.), mentre l’altro, sotto il nome di Diade indeterminata o Grande-e-piccolo (mšga kaˆ mikrÒn), funge da Principio della negatività (recante in sé i caratteri della materialità, dell’alterità, dell’illimitatezza, del movimento, della disuguaglianza, del disordine, dell’irrazionalità ecc.).

    La struttura ontologica globale della realtà – la struttura dell’Essere in generale e in particolare – è dunque per Platone costituita e determinata dall’opposizione-cooperazione di questi Principi: ogni essente è strutturalmente il risultato dell’azione congiunta dei due Principi, ossia è «generato» per delimitazione del Principio materiale da parte del Principio formale, e risulta così un misto. Perciò i due Principi sono non essenti, ma anteriori all’Essere, anche all’Essere più autentico (le Idee).

    Platone distingue quindi tre ambiti ontologici principali (ciascuno, a sua volta, ulteriormente articolato al proprio interno) derivanti dall’azione sinergica dei due Principi e gerarchizzati nel seguente modo discendente:

    1) l’ambito ideale, al cui vertice stanno le Idee-Numeri o Numeri ideali (i Numeri «inoperabili» della Decade: rapporti proporzionali fondamentali da cui derivano poi tutte le altre Idee e tutti gli altri numeri «aritmetici») e le Metaidee (Unità/Molteplicità, Essere/Non-essere, Per-sé/Relativo, Identità/Differenza ecc.);

    2) l’ambito intermedio «matematico-psichico», con gli enti matematici da una parte (la cui sfera, nella quale si esplica la serie dimensionale numero–linea–superficie–corpo, è oggetto delle discipline matematiche basilari: aritmetica, geometria, stereometria, astronomia pura e harmonologia), e l’Anima dall’altra (intesa come forma matematica semovente);

    3) l’ambito dei fenomeni corporei, nel quale si ha la distinzione di sovralunare e sublunare, di corpi mobili eterni e di corpi mobili corruttibili ecc. (Per i tre ambiti più in dettaglio v. infra, pp. 21 ss.)

    È questa, in linee assai generali, la concezione ontologica fondamentale di Platone, quale risulta dalla complementarità contenutistica delle dottrine non scritte e dei dialoghi letterari.

    § 2. Il sistema filosofico aperto di Platone

    Rispetto ai dialoghi, dunque, la dottrina platonica orale si caratterizza per la sua spiccata tendenza all’unificazione del molteplice e al legame sistematico di tutti gli ambiti ontologici e conoscitivi. In tal senso, lo scopo più profondo di Platone è stato di pervenire a un sistema filosofico quanto più possibile comprensivo e dinamico, aperto – non definitivo né immutabile, giacché per lui il pensiero umano, essendo costitutivamente de-finito, non è capace di soϕ…a, di scienza nel senso pieno ed esaustivo («divino») del termine (Apologia di Socrate, 23 A), bensì solo di ϕilosoϕ…a, di tensione erotico-noetica autentica verso la scienza (Simposio, 204 AC).

    Il problema del sistema aperto non si pone ovviamente rispetto ai dati fenomenici – i quali, pur regolati da precise leggi strutturali, sono così numerosi e vari che nessuna sfera conoscitiva umana può mai sperare di attingerli nella loro interezza e completezza. L’assunto di Platone è piuttosto che neppure le conoscenze metafenomeniche, incluse quelle filosofiche, possono mai aspirare a configurarsi in un sistema assoluto e definitivo. Infatti, è vero che Uno e Diade indeterminata, mentre sono inaccessibili alle discipline matematiche inquanto tali (Repubblica, 510 B ss.), possono essere colti solo dal filosofo attraverso una illuminazione improvvisa (Lettera VII, 341 CD), la quale poi viene da lui sviluppata con rigore dialettico e applicata sinotticamente all’intera realtà; ma le insufficienze costitutive del logos umano (ibid., 342 A ss.) impediscono che l’intuizione dei due Principi supremi e la sinossi del Tutto si articolino mai discorsivamente in modo adeguato e perfetto. Ecco soprattutto perché al sistema platonico è estraneo qualsiasi atteggiamento rigidamente dogmatico.

    D’altra parte, le testimonianze sulle dottrine non scritte di Platone non consentono di stabilire con sicurezza quale sia il senso ultimo del rapporto sinergico tra i due Principi (cfr. anche DM, pp. 128 ss.).

    È certo che in entrambi i casi si tratta di potenze originariamente attive, cause ontologiche, fondamenti efficaci di tutto l’Essere: l’Uno costituisce la totalità del Bene, è la scaturigine prima dell’Essere, e sta senz’altro al vertice della gerarchia ontologica; la Diade indeterminata è invece la radice attiva del Non-essere e del Male, e appare essenziale e decisiva quanto l’Uno. Inoltre, la relazione reciproca dei due Principi non è sempre uguale, giacché nella loro attività, e specialmente nella loro manifestazione sensibile, essi si compenetrano l’un l’altro ora più intensamente ora più debolmente.

    Tuttavia, non è attestato nessun filosofema platonico in cui questa cooriginarietà e sinergia dei due Principi (dualismo) venga risolta in una ulteriore, superiore Unità (monismo). In ogni caso, la tradizione platonica indiretta riflette soltanto una concezione dualistica di tipo bipolare dei Principi, mostra cioè che essi si contrappongono l’un l’altro cooperando sempre insieme, senza mai elidersi a vicenda o conciliarsi una volta per tutte. Ora, è appunto su questa concezione che vediamo basarsi il tratto sistematico dei discorsi orali di Platone, i quali miravano a una fondazione rigorosa di tutte le singole discipline matematiche a partire dalla disciplina suprema, la filosofia (la dialettica).

    I pensieri esclusivamente speculativo-costruttivi della dottrina esoterica dei Principi si rivelano, visti nel loro complesso, come i tratti fondamentali di un progetto sistematico che dev’essere inteso come tentativo fecondo di una dinamica spiegazione scientifica dell’universo spirituale e materiale: un progetto che accoglieva e sviluppava presupposti filosofici storicamente dati, e che nell’Accademia veniva verificato, criticato e corretto in modo sempre nuovo.

    Il sistema filosofico, insieme alla dottrina esoterica dei Principi supremi, è stato dunque concepito dallo stesso Platone solo ed essenzialmente come approssimazione ipotetica alla verità, e non come riproduzione diretta di una conoscenza definitiva. Il tono in buona parte didascalico di questo scritto rende giocoforza rigido e asseverativo quello che in senso platonico è invece di per sé plastico e approssimativo.

    § 3. L’analogizzazione tra matematica e ontologia

    La sistematicità così intesa è stata raggiunta da Platone grazie allo sfruttamento delle virtù paradigmatiche della matematica. Egli ha infatti scoperto che nei tre ambiti ontologici principali (ideale, psichico, corporeo), e nei relativi sottoambiti, operano leggi strutturali tra loro analoghe, perfettamente esprimibili in termini matematici e determinate di volta in volta dal peculiare grado di compenetrazione reciproca e cooperazione dei due opposti Principi supremi.

    Il presupposto fondamentale di tutta l’ontologia platonica è per l’esattezza l’analogia tra la struttura globale della realtà e la sfera particolare della matematica, per cui in ogni sfera ontologica i due Principi agiscono sinergicamente sempre secondo una medesima legge strutturale matematicamente esprimibile. L’intera gamma delle scienze matematiche è quindi concepita da Platone come un ambito di riproduzione e di accertamento che consente di conoscere oggettivamente i modelli autentici (le strutture ontologiche) in una forma concentrata; e un affine ambito di riproduzione, in cui pure si rispecchiano tutte le cose, è per lui costituito dal linguaggio.

    È pertanto l’analogia a consentire la connessione delle diverse strutture riproduttive tra loro e la comprensione del rapporto tra modello e copia (tra Idea e fenomeno). E se da un lato, coerentemente con la concezione platonica della philosophia, ogni tipo di verifica e di rappresentazione logica va inteso come ipotetico-provvisorio, dall’altro lato, però, proprio la consapevolezza del carattere riproduttivo degli ambiti disciplinari e delle nozioni settoriali dà adito alla possibilità di un approfondimento e di un incremento del sapere umano.

    Platone, in definitiva, ripone l’esperienza della verità nella consapevolezza dell’analogia tra ciò che è concettualmente rappresentabile e la cosa stessa. Certo, neppure la dottrina platonica orale è in grado di rappresentare direttamente la verità, ma può fornire solo un’approssimazione ipotetica a essa. Tuttavia, Platone ha sondato esaustivamente la possibilità di una sinossi intuitiva, di uno sguardo panoramico di tutti gli aspetti ontologici, e una tale conoscenza l’ha riservata solo a quei pochi in grado di sostenere una disciplina lunga e poliedrica, soprattutto matematica e dialettica.

    Matematica e ontologia generale stanno per Platone in un rapporto di reciproca illuminazione e fondazione: le leggi ontologiche devono essere scoperte, verificate e descritte con l’ausilio metodologico-paradigmatico della matematica; e a sua volta la matematica, inquanto scienza che deve procedere in modo sistematico, viene in generale definitivamente fondata e legittimata solo nel più ampio contesto dell’ontologia filosofica e della dottrina dei Principi, giacché l’ambito degli enti matematici, insieme a quello dell’Anima cosmica, è concepito da Platone come cerchia intermedia in cui l’intera struttura è contenuta in forma concentrata.

    Se dunque la matematica, nei confronti dell’ontologia filosofica generale, ha senz’altro per Platone una preminenza euristico-metodologica, essa è però subordinata alla filosofia dal punto di vista del contenuto, proprio perché le leggi matematiche, considerate nel loro complesso, hanno il loro fondamento non nello stesso ambito matematico, ma nell’Uno e nella Diade indeterminata.

    In tal modo, attraverso la stretta connessione tra matematica e dottrina filosofica dei Principi, Platone ha contribuito in modo decisivo alla fondazione della matematica come scienza che procede in modo rigorosamente assiomatico e consapevolmente sistematico. Egli non si è limitato ad accogliere e sfruttare il sapere matematico del suo tempo, ma ha anche stimolato la stessa indagine matematica per guidarla verso la soluzione di determinati problemi particolari che gli sembravano ontologicamente significativi – per esempio, verso i problemi relativi ai rapporti aritmetico-geometrici della serie dimensionale, ai rapporti divisori complessi (commensurabilità, incommensurabilità, irrazionalità), alla costruzione matematica dei cinque corpi regolari (scoperti dall’accademico Teeteto), all’inclusione della stereometria (dottrina delle entità geometriche tridimensionali) nel complesso delle scienze matematiche (cfr. DM, pp. 122 ss.).

    Platone ha posto i matematici del suo tempo davanti al compito di trovare le leggi che servono al filosofo per ricondurre in modo sistematico tutte le cose ai Principi supremi mediante una riduzione logica (analisi), e per poterle derivare attraverso una corrispondente deduzione sistematica (sintesi) dai Principi stessi. Solo attraverso la connessione con la dottrina filosofica dei Principi platonici la matematica è stata definitivamente condotta fuori dalla sua condizione di disciplina sperimentale e frammentaria, ed è stata fondata come scienza sistematica e puramente teorica.

    § 4. La serie matematico-dimensionale quadriarticolata

    Come si ricava ripetutamente dalle testimonianze della tradizione platonica indiretta, ma anche da alcuni passi dialogici, il punto nevralgico in cui Platone trova paradigmaticamente contenuti la mescolanza, l’intreccio e l’unificazione delle determinazioni principiali opposte è il legame matematico-dimensionale. La gradazione gerarchica nella concatenazione ontologica (dalle Idee ai fenomeni visibili) viene infatti interpretata da Platone in analogia alla serie particolare, esprimibile in termini matematici, delle dimensioni (megšqh): numero–linea–superficie–corpo (legge strutturale della dimensionalità; cfr. anche DM, pp. 117 ss.).

    Platone apporta innanzitutto un’importante modifica alla determinazione pitagorica delle quattro dimensioni spaziali fondamentali. Mentre infatti per i Pitagorici la serie dimensionale cominciava con il punto, per Platone essa comincia invece con il numero, il quale solo impropriamente può dirsi dimensione spaziale, in quanto esso è piuttosto anteriore all’estensione spazio-dimensionale.

    La serie dimensionale determina quindi la costruzione e la gradazione gerarchica degli ambiti ontologici (Idee–Anima–fenomeni), e in ogni ambito ontologico si realizza di volta in volta in una forma particolare, ma pur sempre analogica.

    Ora, la serie dimensionale fa capo a determinate leggi matematiche che s’imperniano sul medio proporzionale, grazie al quale è possibile cogliere un rapporto di commensurabilità tra la figura regolare (definita entro il giusto e perfetto limite) e quella irregolare (non definita da un limite preciso), per esempio tra linea e superficie, o tra un quadrato e un rettangolo di uguale superficie. Date le associazioni platoniche del limite, della commensurabilità e della razionalità all’Uno, e dell’illimite, dell’incommensurabilità e dell’irrazionalità alla Diade indeterminata, si comprende come nella serie dimensionale e nella legge del medio geometrico Platone vedesse la possibilità di ricomprendere l’irrazionalità entro il primo Principio, mediando appunto l’Uno e la Diade indeterminata a partire dall’opposizione tra figura regolare e figura irregolare (cfr. DM, pp. 118 ss.). Perciò nella struttura delle dimensioni è possibile riconoscere e dimostrare matematicamente sia l’opposizione tra i Principi supremi della filosofia platonica, sia la loro mediazione.

    La cooperazione tra i due Principi si precisa meglio nel senso che il Principio della Molteplicità (Diade) indeterminata produce il dispiegamento dimensionale fino alla corporeità, mentre il principio dell’Unità garantisce ovunque l’unità del limite e della forma, e, così facendo, assicura la coesione regolare nella struttura dimensionale. È esattamente il medio proporzionale a produrre nella catena delle dimensioni una ripartizione uniforme dell’opposizione dei Principi, e lo fa in corrispondenza della tensione tra la dimensione anteriore e quella posteriore: la dimensione anteriore è sempre, rispetto a quella posteriore, il limite strutturante, mentre l’ambito subordinato partecipa di quello superiore grazie al proprio limite. L’Unità consiste perciò nella dimensione «anteriore», strutturante e determinante (limite, peras), la Diade indeterminata nella dimensione posteriore (illimite, àpeiron).

    La successione delle forme dimensionali getta così luce anche sull’importante legge ontologica platonica secondo cui l’ambito sovraordinato agisce di volta in volta su quello subordinato in qualità di limite strutturante e plasmante, mentre per converso, risalendo via via a ciò che è più originario, la forma dipendente e derivata degli ambiti inferiori viene eliminata. Infatti il rapporto ontologico di derivazione dei tre ambiti dai due Principi supremi è di dipendenza unilaterale, nel senso che l’ambito ontologicamente superiore può esistere ed essere pensato senza l’inferiore, ma non viceversa: se ciò che per natura è anteriore viene eliminato, insieme a esso viene eliminato anche ciò che gli è posteriore; con la semplice eliminazione del posteriore, invece, non viene coeliminato l’anteriore. E questa è più precisamente la legge della

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