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Mollo tutto e cambio vita. Il metodo pratico e innovativo per progettare il piano B perfetto
Mollo tutto e cambio vita. Il metodo pratico e innovativo per progettare il piano B perfetto
Mollo tutto e cambio vita. Il metodo pratico e innovativo per progettare il piano B perfetto
E-book277 pagine3 ore

Mollo tutto e cambio vita. Il metodo pratico e innovativo per progettare il piano B perfetto

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Info su questo ebook

Il libro ideale per tutti coloro che vogliono cambiare lavoro e ritrovare la felicità. 

Quante volte ci siamo sentiti insoddisfatti del nostro lavoro, ma quando ci siamo chiesti “Che cos’altro potrei fare?” non abbiamo trovato una risposta? Anche quando siamo consapevoli che a renderci infelici sono la mancanza di tempo, la frustrazione e la monotonia, spesso la paura ci impedisce di provare a risolvere la situazione. Questo libro fornisce una guida pratica su come riprendere il controllo della propria vita, liberandosi dal giogo di un lavoro troppo stressante e disegnandosi una nuova prospettiva lavorativa indipendente e su misura. Analizzando e smontando le più comuni scuse e paure generalmente accampate per evitare di buttarsi in un nuovo progetto, Monica Lasaponara accompagna il lettore in un percorso volto al raggiungimento della vera soddisfazione professionale. Un libro indispensabile per tutti coloro che desiderano una vita diversa, libera dallo stress di un lavoro inadeguato e proiettata verso il futuro.

Vuoi cambiare lavoro, fare qualcosa di veramente tuo, ma non sai cosa e come fare? Affidati al metodo più efficace per trovare la strada più adatta a te.
Perché la tua vita è troppo preziosa per fare un lavoro che non ti piace.
Monica Lasaponara
Ha lavorato per quindici anni nel marketing televisivo, prima di dedicarsi all’innovazione sociale e allo studio dei metodi alternativi di carriera. È l’unica Escape Coach® in Europa e offre corsi, workshop e percorsi a chi è in cerca di una dimensione professionale diversa dal classico lavoro da dipendente.
LinguaItaliano
Data di uscita23 lug 2021
ISBN9788822754257
Mollo tutto e cambio vita. Il metodo pratico e innovativo per progettare il piano B perfetto

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    Anteprima del libro

    Mollo tutto e cambio vita. Il metodo pratico e innovativo per progettare il piano B perfetto - Monica Lasaponara

    EM538.cover.jpgem.jpg

    538

    Prima edizione ebook: settembre 2021

    © 2021 Newton Compton editori s.r.l., Roma

    ISBN 978-88-227-5425-7

    www.newtoncompton.com

    Edizione elettronica realizzata da Punto a Capo, Roma

    Monica Lasaponara

    Mollo tutto

    e cambio vita

    Il metodo pratico e innovativo

    per progettare il piano B perfetto

    marchio.front.tif

    Newton Compton editori

    Indice

    Prologo

    Parliamoci chiaro sin da subito

    Da dove sono partita io

    Capitolo 1. 1. Le credenze limitanti

    1.1 Il Cambiamento non è un interruttore

    1.2 Il Cambiamento non è acquistabile

    1.3 Il problema della passione

    1.4 Non ti serve un’idea geniale

    1.5 Il Cambiamento non finisce mai

    Capitolo 2. 2. Le paure

    2.1 Le competenze

    2.2 La vergogna

    2.3 Gli altri

    2.4 Il tempo

    2.5 I soldi

    2.6 La stoffa giusta e la motivazione

    E adesso?

    Capitolo 3. 3. Perché non ce la fai più

    3.1 Come siamo messi?

    3.2 Quali forme ha il malessere?

    3.3 Come stanno cambiando le cose

    Capitolo 4. 4. Conosciti

    4.1 La formula del lavoro ideale

    4.2 Strappa il tuo curriculum

    4.3 Il tuo stile di vita ideale: l’unico business plan di cui hai bisogno.

    4.4 Scopri cosa sai (e vuoi) davvero fare

    4.5 Di cosa è fatto il tuo mondo?

    Capitolo 5. 5. Attivati

    5.1 Sai fare un frullato?

    5.2 Il filo sottile

    5.3 Mission Possible

    5.4 Ogni business nasce per risolvere un problema

    5.5 Il magico potere del micro-business

    5.6 La teoria dello scalino

    Capitolo 6. 6. Informati

    6.1 Studia il mercato

    6.2 Conosci i tuoi clienti

    Capitolo 7. 7. Raccontati

    7.1 Il tuo storytelling

    7.2 Come lo chiamo?

    Capitolo 8. 8. Preparati

    8.1 L’Energia

    8.2 L’organizzazione del tempo

    8.3 Le risorse economiche

    8.4 Allenarsi all’indipendenza

    Capitolo 9. 9. Lanciati (soft)

    9.1 Quello che non devi fare

    9.2 Quello che invece devi fare

    Capitolo 10. 10. Tutto quello che ho imparato sul cambiamento

    10.1 La verità sulla paura

    10.2 La verità sul fallimento

    10.3 Il nodo cruciale

    10.4 Dalla testa in giù

    10.5 La magia dei piccoli passi

    10.6 Il segreto di tutto

    Io ci sono, noi ci siamo

    Appendice. 105 micro-business che puoi fare anche tu

    Ringraziamenti

    Ognuno è stato creato per un determinato lavoro,
    e il desiderio di quel lavoro è stato messo
    in ogni cuore.
    Rumi

    Prologo

    Parliamoci chiaro sin da subito

    Partiamo da un assunto: se hai deciso di leggere questo libro c’è qualcosa che non va nella tua vita lavorativa.

    Molto probabilmente ti ritrovi in una o più di queste situazioni:

    – Fai un lavoro che ti piace ma non ne sopporti il contesto: il capo, i colleghi, gli orari folli, la mancanza di senso, di tempo e di libertà.

    – Fai un lavoro che non ti piace, dunque a quanto appena detto dobbiamo aggiungere che lo fai solo perché devi pur vivere – ovvero pagare affitto, mutuo, bollette e via dicendo – e perché magari ci sono altre persone che dipendono da te.

    – Il lavoro che prima ti piaceva ora non ti piace più, così da una parte ti starai dicendo che hai sbagliato tutto nella vita, dall’altra che forse è troppo tardi per fare qualcosa di diverso.

    – Hai perso il lavoro e, mentre sai benissimo che dovresti darti una mossa a cercarne un altro, continui invece a chiederti se esista una strada alternativa per non ritrovarsi sempre nella stessa situazione.

    – Ogni tanto pensi con un brivido di follia che ti piacerebbe tanto fare qualcosa di tuo, ma subito dopo ti attanaglia il pensiero del «sì, ma cosa?». Non hai la più pallida idea di quale potrebbe essere la risposta, ma in compenso hai già mille paure.

    Queste sono ovviamente semplificazioni di un immenso ventaglio di possibilità, che spesso si mischiano tra di loro, e che hanno però una radice comune. Siamo stati educati a pensare, giustamente, che il lavoro sia una cosa seria, che il posto fisso sia garanzia di felicità (questo meno giustamente) e sigillo dell’essere adulti e responsabili, e che la vita in fondo è fatta così: se si è fortunati si lavora per un certo numero di anni e poi si va in pensione. Dopotutto l’educazione che riceviamo non ci insegna realmente come stare al mondo o come affrontare ciò che va fuori dai binari, dunque qualunque pensiero che si discosti da quanto appena detto viene automaticamente bollato come infantile, da sognatori e, soprattutto, per gente che ha i soldi. Un’altra distorsione comune è quella che vede, come unica alternativa a un lavoro da dipendente, quelle storie del tipo molla tutto e apre un bar ai Caraibi che, per forza di cose, è quanto di meno praticabile esista per la stragrande maggioranza delle persone normali.

    Quelle che, per l’appunto, hanno magari una famiglia e tante spese, e che la felicità si accontenterebbero di trovarla anche in un posto meno esotico e più a portata di mano.

    Questo libro è dunque un libro per gente normale.

    Persone che non possono permettersi di mollare un lavoro di punto in bianco.

    Persone che hanno vite già fitte di impegni e poco tempo a disposizione per buttarsi in progetti irrealizzabili.

    Persone che sono attanagliate da paure, dubbi e sensi di colpa.

    Persone di ogni età, sesso, formazione e carriera.

    Quindi sì, se hai preso in mano questo libro sei una persona normale, ma sei anche una persona che si sta già concedendo due possibilità: quella di andare a vedere cosa ci sia al di là del classico lavoro da dipendente, e quella di scoprire come creare la propria alternativa, ossia un lavoro che la renda felice.

    Non troverai in questo libro nessuna soluzione miracolosa, né tantomeno promesse di successo o ricchezza.

    Troverai invece un metodo, collaudato su di me e sulle centinaia di persone che ho aiutato in questi anni a cambiare la propria vita lavorativa, che fa leva su un presupposto molto semplice: il Cambiamento non dipende da nessuna delle variabili che abbiamo menzionato (ti riassumo le principali: il tempo, i soldi, la famiglia, l’età, la bravura o la fortuna), ma solo e unicamente dal tuo atteggiamento mentale.

    So cosa stai pensando ora, che quello che hai appena letto somiglia molto a una frase fatta.

    Se è così, la prendo come una sfida perché il mio intento, nello scrivere questo libro, è proprio quello di dimostrarti il contrario.

    E di guidarti, passo dopo passo, a lavorare in primis proprio sul tuo atteggiamento mentale, per poi portarti a individuare praticamente cosa poter fare e come farlo, e come organizzarti al meglio per progettare il tuo Cambiamento lavorativo senza stravolgimenti o colpi di testa.

    Perché la vita è troppo preziosa per fare un lavoro che non ti piace.

    Da dove sono partita io

    I due giorni più importanti della tua vita

    sono quello in cui sei nato e quello

    in cui scopri il perché.

    Mark Twain

    Per tanti anni sono stata una campionessa di atteggiamento mentale sbagliato. Anzi, voglio essere veramente onesta, di atteggiamento mentale sbagliato e di sensi di colpa. Ho avuto il mio primo contratto di lavoro a tempo indeterminato a ventiquattro anni. Ricordo esattamente il momento in cui, mentre tutti si complimentavano con me, io pensai con sgomento e con fastidio verso me stessa: e quindi la vita è tutta qui? Dovrò fare questo fino alla pensione?. Ovviamente soffocai subito quel pensiero ingrato, e non so quante volte negli anni io mi sia detta o mi sia sentita dire «ma tu lo sai che c’è gente che farebbe carte false per avere il tuo lavoro?». Mentre crescevo, mentre i miei amici facevano fatica ad accaparrarsi un contratto non precario, mentre i telegiornali sottolineavano il tasso di disoccupazione, il mantra che mi ripetevo era sempre: sei fortunata ad avercelo un lavoro. Diventai davvero brava a scacciare ogni pensiero divergente tanto che, quando proprio non riuscivo a liberarmene, avevo adottato una strategia: davo la colpa agli altri, al mio capo, ai colleghi, al sistema, e cercavo un altro lavoro. E, ogni volta che ricominciavo in un posto nuovo, facevo leva su tutto il mio entusiasmo e la mia caparbietà, dicendomi che stavolta sarebbe stato diverso. Ovviamente non è mai stato diverso, e all’entusiasmo iniziale subentrava poi quella identica sensazione di non essere mai al mio posto. Oggi mi rendo conto che sopravvivevo e basta, tra somatizzazioni (solo a titolo di esempio: attacchi di panico, insonnia, gastrite, mal di testa, disturbi muscolari) e ricerche di alternative possibili.

    Fu proprio imbattendomi, tra queste alternative, nelle storie di quelli che mollano tutto e aprono un bar ai Caraibi che pensai di aver capito quale fosse il mio reale problema.

    Non esisteva un’alternativa al mio lavoro da dipendente per un motivo semplice: vivendo solo del mio stipendio, io non solo non avevo i soldi per aprire un bar ai Caraibi ma nemmeno quelli per comprarmi un biglietto aereo per andarci!

    Sì, lo so, c’è anche gente che parte e basta, ma io facevo e faccio parte della schiera delle persone normali, ricordi? Quindi pensavo cose del tipo: E se vado lì e poi non trovo nemmeno uno straccio di lavoro per iniziare? E se mi succede qualcosa? E se poi va male, devo tornare indietro, e non ho più neanche il mio lavoro in Italia?. Una volta appurata l’equazione non ho soldi = non potrò mai fare nulla di diverso decisi che così doveva andare, e che dovevo davvero fare la persona adulta. Cambiai nuovamente azienda e, per la prima volta nella mia carriera, mi ritrovai a lavorare con persone che mi piacevano e in un ambiente che mi valorizzava.

    Il tarlo che mi portavo dentro però stava solo riposando, perché bastò che il destino si mettesse di traverso con un periodo molto difficile e che l’azienda in cui stavo lavorando così bene venisse acquisita da una multinazionale con tutte le riorganizzazioni del caso, per far sì che la domanda «davvero la vita è tutta qui?» tornasse prepotentemente a galla. E così, per la prima volta, decisi di cambiare il mio atteggiamento mentale e ripartire da un’altra domanda, anzi da due.

    Ovvero: «ma davvero non si può lasciare un lavoro da dipendente se non si hanno tanti soldi?» e «cos’altro potrei fare?».

    Una cosa mi era chiara: non potevo continuare a fare quello che avevo sempre fatto, ossia lamentarmi e non fare nulla. Dovevo fare qualcosa di diverso. Decisi così di andare a vedere cosa ci fosse oltre l’ufficio.

    Ecco cosa feci:

    1. Mi avvicinai al mondo degli spazi di co-working¹, immaginando che lì dentro avrei trovato persone – freelance, liberi professionisti e piccoli imprenditori – diverse da quelle che ero abituata a frequentare. Se non volevo più lavorare come dipendente, pensai, dovevo capire che tipo di persone erano e come facevano quelli che lavoravano da persone libere. Iniziai a collaborare in maniera volontaria con uno di questi spazi, a partecipare ai loro eventi e a conoscere gente nuova. Lo shock fu immenso: quando raccontavo il mio malessere non ricevevo più commenti del tipo «eh, ma che ci vuoi fare» o «l’importante è che un lavoro ce l’hai», ma punti di vista totalmente diversi, di chi era per l’appunto già andato oltre tutto questo e mi stava dimostrando che tutto sommato era fattibile. Cominciai a relativizzare (una delle mie parole magiche!) il mio malessere e a capire che non ero un’aliena. Fu un passaggio fondamentale per mettere un po’ a tacere la brava bambina che era in me e tutti i miei sensi di colpa.

    2. Fino a quel momento nella mia vita mi ero occupata sempre e solo di marketing, e anche per il co-working stavo dando una mano su quello. Mi resi conto che era come se avessi sempre vissuto in una bolla – fatta per lo più di casa-lavoro-casa più due settimane di ferie ad agosto – ignara di quello che accadeva realmente nel mondo intorno a me, principalmente per mancanza di tempo. Il mio tempo libero era così poco e prezioso che lo dedicavo tutto ai miei cari e, sporadicamente, ai miei hobby, sentendomi per lo più esausta il venerdì sera e triste già dalla domenica pomeriggio. Mi osservai e pensai: come posso fare qualcosa di diverso, e magari anche di buono?. Una coincidenza fortuita mi portò a interagire, per un progetto di lavoro, con un’associazione che combatteva la violenza di genere. Scoprii un mondo di donne appassionate che gestivano diversi centri antiviolenza, nati per aiutare donne e bambini che vivevano situazioni difficilissime. Con la premessa che avevo poco tempo a disposizione, chiesi se potessi aiutarle in qualche modo. Mi risposero che non si poteva fare volontariato in un centro antiviolenza senza una formazione adeguata, e mi proposero di partecipare a un corso di formazione per diventare operatrice. Ovviamente risposi subito che non avevo le giuste competenze, immaginando che per fare qualcosa del genere bisognasse essere psicologhe o assistenti sociali. Mi risposero che serviva solo che io fossi una donna, bloccando così sul nascere ogni mia presunta inadeguatezza. Per partecipare al corso, una volta a settimana per circa un anno, sarei dovuta uscire prima dal lavoro. Presi coraggio e chiesi il permesso alla mia responsabile, che definire un capo carnefice sarebbe un eufemismo, e non so come – pur rischiando letteralmente ogni volta la morte in motorino perché ovviamente facevo sempre tardissimo per via del lavoro – riuscii a portare a termine il corso. Mi aspettava a quel punto un tirocinio sul campo di un mese, che ancora una volta incastrai tra permessi di lavoro e week-end, e in questo caso lo shock non fu solo immenso ma doppio. Da una parte scoprii in me un’energia che non pensavo di avere: facevo turni di notte o di ventiquattrore nel fine settimana, eppure non accusavo alcuna stanchezza. Anzi, ne uscivo letteralmente rinvigorita, rendendomi conto per la prima volta di cosa volesse dire fare qualcosa di utile. Da un’altra parte, il confronto con persone in situazioni così dolorose e complesse mi portò ancora una volta a relativizzare il mio malessere lavorativo. Se potevo essere di supporto a quelle donne e a quei bambini nell’aiutarli a ricominciare a vivere, com’era possibile che non riuscissi a occuparmi della mia di vita? Capii che, visto che ero riuscita a fare tutto quello, potevo benissimo occuparmi anche della mia domanda ossessiva («ma davvero non si può lasciare un lavoro da dipendente se non si hanno tanti soldi?») e decisi di continuare a fare quello che stavo facendo, ossia cose che non avevo mai fatto prima.

    3. Per trovare la risposta alla mia domanda partii da una banale ricerca su Google. La scrissi in inglese e mi venne fuori il progetto di un gruppo di ragazzi londinesi che si stava chiedendo le stesse cose e che stava organizzando una serie di eventi proprio con questo obiettivo: riuscire a trovare una risposta sensata a quel «ma davvero la vita è tutta qui?». Li contattai e mi candidai per organizzare anche in Italia degli eventi simili, ovviamente come volontaria (e in questo lo spazio di co-working fu un tassello che si inserì benissimo, trattandosi per l’appunto anche di uno spazio per eventi che potevo utilizzare a titolo gratuito). Dopo una serie di mail conoscitive, e di poco velate pressioni da parte mia, mi dissero di sì. Questi incontri si chiamavano Escape Monday perché si tenevano di lunedì (il giorno più funesto per chi lavora in ufficio) e l’obiettivo era proprio quello di raccontare storie di persone normali che avessero fatto un cambiamento lavorativo. Fu per me una grande soddisfazione contattare altrettante persone a Roma (gli eventi erano gratuiti, dunque non avevo un budget per eventuali spese di viaggio degli ospiti) e chiedere loro spudoratamente «come hai fatto a farlo?», per poi tagliare subito la conversazione quando mi parlavano di rendite, eredità o altre condizioni personali agevolate. Passai così un anno e mezzo ad ascoltare le storie di chi invece ce l’aveva fatta nonostante il mutuo, l’affitto, i figli e via dicendo, e a imparare dalle loro paure, dai fallimenti e dalle tante ripartenze. Intorno a questi eventi si creò pian piano una comunità di persone che li seguivano e che spesso, in virtù dell’esperienza e delle conoscenze che stavo facendo, mi chiedevano consigli. Diventai senza accorgermene un punto di riferimento per tutti quelli che, come me, stavano pensando a un percorso di transizione e cominciai a sperimentare, su di me e con loro, gli insegnamenti tratti dalle storie di cambiamento che avevo ascoltato.

    Mentre tutte queste cose accadevano nella mia vita, mi resi conto di una cosa. Avevo sempre pensato di non avere tempo, e invece scoprii che in realtà quello che mi era mancato fino a quel momento era l’energia giusta. Avevo letteralmente cambiato il mio atteggiamento mentale, ed ero uscita dalla cosiddetta zona di comfort, quel posto dove stai malissimo ma al tempo stesso stai anche bene, perché la conosci come le tue tasche, essendo fatta di tutte le routine che metti in atto ogni giorno da anni.

    Facendolo, avevo dato vita a una sorta di effetto domino.

    Far cadere il primo mattoncino era stato difficilissimo: ricordo i pensieri costanti, per ognuna delle cose che ti ho raccontato, del tipo ma cosa sto facendo? e che senso ha tutto questo?. Poi però, caduto quello, era stata una strada tutta in discesa, che aveva riattivato per l’appunto un’energia che non sapevo di avere. Ripensai alle persone nuove che avevo incontrato – quelle che lavoravano nel co-working, le donne che gestivano l’associazione, i ragazzi inglesi che organizzavano gli eventi – e mi resi conto che ciò che li accomunava era il fatto di essere persone che avevano uno scopo nella loro vita.

    E che questo scopo era diventato il loro lavoro.

    Fu una vera e propria illuminazione: io stavo male per quello, perché il mio lavoro non aveva un reale senso per me. Non era solo una questione di orari, colleghi, capi, riunioni interminabili e via dicendo. Era piuttosto un mancato allineamento tra la persona che ero e quello che facevo durante le mie giornate.

    Capii anche perché avevo fantasticato per anni su mille altre strade che poi non avevo mai avuto il coraggio e la voglia di percorrere: non rappresentavano, per l’appunto, il mio scopo.

    Che invece era proprio lì davanti a me, in quello che avevo fatto in quei mesi: aiutare gli altri mentre aiutavo me stessa, e creare via via un metodo pratico che andasse a scardinare in primis tutte le paure e le credenze limitanti che ci impediscono di immaginare una vita oltre l’ufficio, per poi passare concretamente a indagare cosa fare e come farlo.

    Realizzai così che il mio scopo era aiutare le persone a trovare il proprio.

    COSA PUOI FARE ORA

    Ti consiglio di leggere questo libro avendo accanto a te un quaderno e una penna, oppure creando un file nel tuo pc o una nota sul tuo cellulare. Ti chiederò infatti via via di appuntarti delle cose e/o di fare degli esercizi. Al di là di questo, c’è poi soprattutto la necessità di imparare piano piano a osservarti, e a fissare di conseguenza tutti i pensieri e le riflessioni che farai man mano che andremo avanti in questo percorso. Ti accorgerai alla fine quanto tutto questo potrà esserti utile.

    Questo è il mio consiglio e l’ideale sarebbe che tu lo ascoltassi, ma so che c’è un altro lato della medaglia:

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