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101 storie di gatti che non ti hanno mai raccontato
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101 storie di gatti che non ti hanno mai raccontato
E-book381 pagine3 ore

101 storie di gatti che non ti hanno mai raccontato

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101 ritratti dell'animale più elegante e misterioso della storia

Gli Egizi li chiamavano Myou, per il loro dolce miagolio. I Greci li amavano così tanto che quando ne moriva uno i proprietari lo piangevano come fosse un membro della famiglia. Gli Etruschi e i Romani li tenevano nelle proprie abitazioni per scacciare i topi. Da sempre apprezzati per la loro indipendenza, dolcezza e astuzia, i gatti furono maltrattati solo nel Medioevo, poiché ritenuti amici e complici delle streghe. Tra le pagine di questo libro scoprirete 101 avventure di ieri e di oggi; storie legate al mito e curiosi fatti di cronaca, come la vicenda di Vaino, un gatto finlandese che ha percorso 800 chilometri per tornare a casa. E poi ancora descrizioni e aneddoti di gatti illustri, come Socks, inquilino della Casa bianca, e Dina, la dolce gatta di Alice nel paese delle meraviglie; ma anche vite di gatti sconosciuti che hanno da svelare segreti magici e misteriosi. 101 storie per innamorarsi dell’animale che non va mai accarezzato contropelo perché, come disse il temibile Cardinale Richelieu: «Dio ha creato il gatto affinché l’uomo possa accarezzare una piccola tigre».


Monica Cirinnà
ha iniziato a militare come volontaria nel movimento animalista dopo la laurea in Giurisprudenza. Ha partecipato alla nascita dell’ARCA (Associazione Romana Cura Animali) e si è impegnata nella battaglia per la legge che vieta la soppressione degli animali randagi. Eletta in Campidoglio, è stata la delegata alle Politiche per i Diritti degli animali, per le quali ha creato un apposito ufficio comunale. Oggi è consigliere comunale a Roma e presidente della Commissione delle Elette.


Lilli Garrone
nata e cresciuta a Roma, ha lavorato al «Corriere della Sera» e all’«Avvenire». Laureata in Lettere, ha scritto, con il produttore Leo Pescarolo, La cucina di Marco Polo, un libro alla scoperta di ricette incredibili.
LinguaItaliano
Data di uscita16 dic 2013
ISBN9788854126879
101 storie di gatti che non ti hanno mai raccontato

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    Anteprima del libro

    101 storie di gatti che non ti hanno mai raccontato - Monica Cirinnà

    ANCOR PRIMA DI EVA: IL COMPAGNO DI LILITH FU UN GATTO

    Occhi gialli, pelo irsuto, denti lunghi e aguzzi. Niente fusa, solo un soffio molto potente e la capacità di ringhiare agli altri animali. È questo il possibile ritratto del primo gatto apparso nella storia. È il compagno di Lilith, la regina della notte; secondo la tradizione della cabala ebraica, la prima donna creata, prima compagna di Adamo e precedente a Eva. Il nome di questo gatto non si conosce, ma di lui si parla perfino nella Bibbia. Appare quando si narra del caos iniziale cui torna la terra dopo il regno di Edom, che corrisponde più o meno all’attuale Giordania. È scritto che Lilith aveva trovato dimora con iene, satiri e gatti selvatici. Più di preciso in una citazione di Isaia (34,14) si dice che «i gatti selvatici si incontreranno con le iene, e i satiri si chiameranno l’un l’altro, vi farà sosta anche Lilith e vi troverà tranquilla dimora». Quindi, che proprio il gatto sia stato il compagno della prima donna, più ribelle e temeraria di Eva, non ci sono dubbi. Così come non ci sono dubbi che fin dall’antichità i felini siano stati protagonisti di miti e leggende, perché ritenuti animali dotati di misteriosi poteri e qualità soprannaturali: potevano vedere al buio, avevano un grande senso dell’orientamento e sapevano cacciare con maestria.

    Niente fusa, ma neanche una cuccia: il rapporto tra questo gatto, dal quale era bene guardarsi, soprattutto per le sue unghie e i suoi denti, e la sua padrona, era così profondo e viscerale che nessuno dei due amava mai allontanarsi dall’altro. Insieme cacciavano e facevano scorribande nelle ore notturne: Lilith, infatti, era chiamata anche la luna nera e nella religione mesopotamica era considerata il demone femminile associato alla tempesta. Il suo gatto non era da meno: feroce, selvatico e ribelle come lei, donna ripudiata perché si rifiutò di obbedire al marito. E il suo gatto doveva avere ancora le caratteristiche che si attribuiscono ai primi felini apparsi sulla terra: zampe più corte, canini lunghissimi, capace di assalire tutti gli animali più piccoli della sua taglia e di immobilizzarli con le sue poderose unghie. Chissà che anche Lilith non abbia ricevuto qualche bel graffio…

    2.

    CIPRIOTA, IL PAPÀ DI TUTTI I GATTI DOMESTICI

    Il mio nome è Cipriota perché sono stato trovato sepolto accanto al mio padrone nell’isola di Cipro. Dicono che io sia uno dei gatti domestici più antichi della terra: infatti la mia tomba risale a 9500 anni fa. Forse non sono proprio il più vecchio, ma di sicuro rappresento la testimonianza più antica dell’amicizia fra l’uomo e il gatto. A fare la mia scoperta è stato un gruppo di archeologi francesi guidati da Jean Denis Vigne: sono stato trovato in un luogo chiamato Shillourokambos, un antico villaggio neolitico di quest’isola del Mediterraneo dove, secondo tradizione, è nata anche la dea Venere. Che fossi molto amato dal mio padrone (padroncino o padroncina, chissà: lo scheletro trovato accanto a me è molto piccolo) lo dimostra la mia tomba: sono rimasto accucciato per secoli sotto terra circondato da una fila di 24 conchiglie. Proprio come se fossi stato collocato lì, accanto a lui, per tenere compagnia al mio amico uomo durante il suo ultimo viaggio. Sono state fatte poi molte ricerche scientifiche e si è dimostrato che al momento della mia sepoltura avevo solo otto mesi: forse, non vollero farmi sopravvivere al mio compagno di giochi. Che fossi un gatto addomesticato, lo dimostra anche il fatto che ero adagiato in una piccola fossa a quaranta centimetri dagli altri reperti trovati dagli archeologi, che testimoniano come la famiglia dove vivevo fosse abbastanza importante. E la sepoltura in comune dimostra, secondo chi mi ha fatto tornare alla luce, che con il mio padrone c’era un legame speciale, quasi spirituale.

    Ho anche un nome scientifico, oltre quello personale: Felis silvestris. E in realtà non sarei originario di Cipro, perché qui mancano le tracce di un’evoluzione della mia specie: i miei antenati sarebbero stati portati qui dai mercanti, perché come tutti quelli della mia stessa razza dovrei essere originario della zona fra il Tigri e l’Eufrate. Probabilmente chi navigava aveva già scoperto quanto i gatti fossero utili nel dare la caccia ai topi e quindi li caricava sulle imbarcazioni e li portava in giro per il Mediterraneo. Io comunque sono nato a Cipro, in una bella casa, e voglio pensare che mi tenessero per fare compagnia alla famiglia e per giocare un po’ con loro. Nel villaggio dove abitavo – in mezzo alla campagna, ma non lontano dal mare – c’era una gran vita, e io scorazzavo per le stanze e fra i campi senza allontanarmi mai troppo. Ai miei tempi l’isola di Cipro era poco abitata, e il rischio di incontrare animali selvatici con i quali avrei avuto la peggio era molto alto. Così preferivo spaventare le lucertole, o rincorrere i topolini, non lontano dalla mia abitazione. E soprattutto mi piaceva stare accucciato accanto al fuoco, a prendermi qualche carezza lungo pelo.

    Poi venne il triste giorno in cui il mio amico e protettore morì. Io ero ancora piccolo, e non ricordo molto, se non singhiozzi e lacrime, e una cerimonia funebre lunga e imponente secondo le tradizioni dell’isola. Poi mi sono trovato addormentato per sempre: con cura mi hanno scavato la nuova cuccia nel terreno e mi hanno circondato di conchiglie. Così sono riusciti a ritrovarmi perfino dopo 9500 anni.

    3.

    MATOU, L’EGIZIANO

    Eccoci in Egitto, dove il gatto veniva venerato come fosse un Dio. Il suo nome comune era Myou, che ci ricorda un po’ il suo dolce miagolio. Il nostro racconto ha inizio dalle gesta del coraggiosissimo e assai noto Matou. Un gatto che, secondo il Libro dei morti degli egiziani, ha combattuto e sconfitto Apophis, il serpente pitone delle paludi, simbolo delle forze malvagie che si scagliavano contro l’umanità. Non a caso da quel momento in poi il gatto è sempre stato considerato un nemico dei rettili in generale. Sembra quasi di vederla ancora oggi questa battaglia fra il gatto e il serpente piumato: Matou che si nasconde pronto ad attaccare non appena Apophis mette fuori la testa dalle acque melmose; il serpente che sinuosamente si nasconde fra i papiri e i canneti; il gatto che non demorde, immobile per ore con lo sguardo attento a tutto quel che accade; l’assalto finale con le unghie e i denti alla testa del serpente prima che possa sparire di nuovo nella palude.

    Un gatto eroe e, probabilmente, un eroe dal pelo scuro, perché secondo la laggenda Matou era un gatto nero: chi è superstizioso oggi crede che porti sfortuna, in particolare se ha l’insana idea di attraversare la strada davanti a noi (anche se in Inghilterra è vero il contrario). All’epoca dei Faraoni, invece, il gatto nero era associato alla dea Bastet, raffigurata con corpo di donna e testa di gatto, colei che rappresentava la vita, la fecondità e la maturità.

    Matou e Myou, dunque. I felini diventano di famiglia: quando il gatto moriva, gli egiziani gli riservavano tutti gli onori del caso, fornendogli anche dei topi mummificati che avrebbero dovuto sfamarlo durante il viaggio per l’Aldilà. E tra i reperti della storia egizia possiamo trovare accanto a una mummia e un sarcofago numerosi gatti neri mummificati. Compagno di vita dell’uomo, volto di una dea, ma anche un amico utilissimo: per uccidere i piccoli roditori che si infilavano nei silos pieni di grano, gli egiziani liberarono centinaia di gatti che divennero abilissimi in questa caccia, salvando così i loro raccolti. Anche per questo non stupisce che venissero considerati delle divinità: combattevano i serpenti e salvavano i raccolti. Diventarono poi i prediletti dai sacerdoti, e nei templi presero il posto che prima era delle leonesse. Per loro vennero anche organizzate imponenti feste religiose. Erodoto racconta che in un’occasione si radunarono oltre settemila persone, giunte da tutte le parti del regno, per festeggiare la dea Bastet. E durante la cerimonia, migliaia di gatti camminavano tra la folla ed erano amorevolmente accuditi dai sacerdoti. Tanta era la venerazione per il gatto che se qualcuno, anche per sbaglio, osava ucciderne uno, veniva condannato a morire. Diodoro di Sicilia racconta di un cittadino romano lapidato dal popolo egizio per avere ucciso involontariamente un gatto schiacciandolo sotto il suo carro. E il rispetto degli Egizi per i gatti era tale che costò loro più di una battaglia. Si narra – chissà se sia leggenda o verità – che nel 525 a.C. il re persiano Cambise decise di conquistare la città di Pelusio, oggi Porto Said. La cittadina era difesa dagli egiziani e allora Cambise ordinò che ognuno dei suoi soldati portasse sullo scudo un gatto. Gli Egizi, par paura di ferire gli animali che tanto amavano, si arresero senza lottare.

    4.

    NADJEM, IL PRIMO GATTO CON UN NOME

    Siamo ancora sulle sponde del Nilo, e siamo qui per scoprire come era effettivamente la vita dei gatti domestici: in compagnia dei lussuosi egiziani non poteva che essere lussuosa. Sembra che i gatti fossero viziatissimi e venissero vestiti e truccati in più di un’occasione: indossavano collane, orecchini, anelli per il naso e collari preziosissimi. Chissà solo se ne erano contenti.

    Di un gatto domestico si sa più degli altri: è un micio vissuto durante il regno del faraone Thutmose III, tra il 1479 e il 1425 a.C. Il gatto era chiamato Nadjem, che significa caro o stella. È questo, dunque, il nome del primo gatto nella storia e viene menzionato in una parete della tomba di un funzionario di basso livello, Puimre, che venne seppellito fuori le mura dell’antica città di Tebe. Il suo nome è tutto quello che conosciamo di Nadjem, ma per averlo chiamato caro o stella e per aver voluto incidere il suo nome nella tomba, il suo padrone deve averlo amato moltissimo.

    Possiamo provare a immaginare Nadjem al fianco del suo padrone mentre lui svolge con accuratezza la sua attività; oppure mentre tornano a casa al tramonto l’uno accanto all’altro, dividendo poi il cibo. Una vita modesta, forse, rispetto a quella del gatto del faraone ricoperto di gioielli o a quelli delle famiglie degli alti funzionari, ma sicuramente più libera e più ricca di affetto. E passata alla storia. Ed è un vero peccato che nessuno dei due possa essere a conoscenza del fatto che avendo menzionato il gatto di casa nella sua tomba, Puimre ne ha fatto il primo gatto che chiamiamo ancora con il suo nome dopo migliaia di anni.

    5.

    RE SALOMONE E IL SUO AMICO A TAVOLA

    Dello straordinario rapporto tra il re più saggio dell’antichità, Salomone, e il suo amico gatto sappiamo tutto da un racconto medievale, redatto da mano ignota intorno all’anno Mille. La storia si intitola Salomone e Marcolfo, ed è il racconto di un serrato dibattito tra il re pieno di sapienza e di gloria e un contadino sgraziato (dicono che avesse una fronte rossa e rugosa oltre a una grande testa) ma ricco di astuzia e molto, molto eloquente. L’argomento della disputa era estremamente complesso: è più forte l’istinto, la natura o la cultura? L’anonimo medievale racconta che Marcolfo arrivò alla corte del re dall’Oriente: tra i due nacque subito un’accesa discussione quando Salomone, ricevendo a palazzo il contadino come nuovo suddito del suo regno, gli chiese le sue origini.

    «Quali sono le tue?» avrebbe risposto il viaggiatore. Il re, colpito da tanta loquacità e sfrontatezza, decise di continuare a discutere con lui e per diversi giorni lo invitò a cena affrontando temi sempre più difficili. Fino a che non si arrivò alla famosa disputa filosofica, che vede coinvolto il nostro gatto. Questo è il racconto così come riportato dallo scritto:

    Re Salomone prese posto a tavola attorniato dai suoi familiari e cortigiani. Marcolfo si sedette con loro e nascose tre topi nella manica della sua tunica. In effetti, alla corte del re vi era un gatto vestito che, ogni sera, durante la cena regale, doveva reggere una candela davanti a tutti, restando in piedi su due zampe e tenendo nelle altre due una lampada. Poco prima della fine del pasto Marcolfo liberò uno dei topi; vedendolo il gatto voleva inseguirlo, ma venne trattenuto da un mormorio di disapprovazione del re. Lo stesso accadde per il secondo topo, per cui Marcolfo liberò anche il terzo: allora il gatto, incapace di frenarsi ancora, gettò la candela e si mise a correre dietro al sorcio finché non lo prese. Allora l’astuto contadino disse a Salomone: «Ecco, mio re, ti ho dimostrato che la natura è più forte dell’istruzione».

    Solomon et Marcolphe, a cura di W. BENARY,

    Heildeberg 1914

    La storia non dice come reagì re Salomone alla provocazione: forse bene, visto che aveva avuto una prova più che inconfutabile dell’argomento del dibattito o forse male, perché il gatto che reggeva la candela doveva essere non solo molto caro al re, ma anche trattato con i guanti e saziato con i cibi migliori. Ma la sua natura, libera come quella di tutti i felini, non era adatta a reggere ogni sera una candela per il piacere del sovrano.

    Così, grazie a una curiosa storia medievale che riporta un episodio lontano nel tempo abbiamo ottenuto una grande verità: il gatto è uno spirito libero, guardatevi bene dal volerlo sottomettere.

    6.

    LA DOLCE GATTINA DI OTTAVIANO AUGUSTO

    «La mia gatta dal pelo lungo e dagli occhi gialli, la più intima amica della mia vecchiaia…». A scrivere questi bellissimi versi per la sua micia è nientemeno che un imperatore romano: Ottaviano Augusto. L’uomo che riuscì a unificare sotto il dominio di Roma gran parte del mondo allora conosciuto e a costruire quel meraviglioso altare che è l’Ara Pacis amava moltissimo la sua gatta. È quasi una scoperta, perché poco si sa di come vivevano i nostri amici felini all’epoca degli antichi romani. Si sa, ad esempio, che per la caccia ai topi, i gatti avevano dei pericolosissimi rivali per le vie della capitale: il furetto, una bestiolina che ritenevano molto più adatta a scacciare i grossi e, fin da allora, numerosi sorci romani.

    L’amore di Ottaviano Augusto per la sua gattina è una sorpresa. Non ne conosciamo il nome, ma le parole che l’imperatore le dedica sono toccanti:

    Il cui amore per me sgombro da pensieri possessivi, che non accetta più obblighi del dovuto… mia pari così come pari agli dèi… non mi teme e non se la prende con me, non mi chiede più di quello che sono felice di dare… Com’è delicata e raffinata la sua bellezza, com’è nobile e indipendente il suo spirito; come straordinaria la sua abilità di combinare la libertà con una dipendenza restrittiva.

    Da www.gattiancats.it/storia/roma

    Non si poteva descrivere meglio l’intesa che si può avere reciprocamente, l’affetto e la compagnia di un gatto di casa. «Mia pari così come pari agli dèi», scrive l’imperatore, quasi a simboleggiare che nel palazzo era forse l’unica a tenergli testa. Segno, se ancora ce ne fosse bisogno, della regalità del gatto, che concede la propria amicizia solo a chi ne è degno. E se non conosciamo il nome della gattina di Augusto, sappiamo, però, che sono numerosi i nomi, con tanto di cognome, che nella capitale venivano dati ai felini. Eccone alcuni: Felicula, Felicia, gattina o micina, oppure cattus o cattulus, gatto o gattino.

    Così anche nell’antica Roma, il gatto rappresenta un compagno di vita e un fedele accompagnatore nell’Aldilà. E si sa, ad esempio,

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