Un'Estate da Leoni
Di Marco Ferro
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Info su questo ebook
Durante una tranquilla serata al bar, Giovanni e Simone sono sorpresi dall'arrivo di un vecchio amico, scomparso dal paese ormai da dieci anni. Alessandro – detto il Matto – era la loro guida, il ragazzo più grande, quello che aveva sempre la risposta giusta al momento giusto. Proprio come allora, anche oggi è in grado di coinvolgerli con una delle sue idee strampalate.
Alla soglia dei trent'anni, i tre partono per un viaggio on the road all'insegna del divertimento, della musica e dell'alcol. Solo il Matto sembra essere a conoscenza della meta finale del viaggio.
Ma cosa nasconde Alessandro? Ogni tanto Giovanni nota nei suoi comportamenti qualcosa di strano. E forse i suoi dubbi non sono infondati…
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Anteprima del libro
Un'Estate da Leoni - Marco Ferro
CAPITOLO 1
Morire in estate non è mai stato un granché.
Fa troppo caldo e non hai nemmeno il tempo di accorgerti di cosa stia succedendo. E poi è davvero idiota andare via così, mentre ci si stava divertendo ma, soprattutto, quando ancora non si hanno nemmeno trent’anni.
Guardo fuori dal finestrino la strada che scorre via veloce, le rocce si alternano ad altre rocce. Davanti a me, al posto passeggero, c’è Simone. Il suo sguardo è concentrato, si aggrappa con forza al suo sedile.
Al posto di guida, c’è il Matto naturalmente. Il tachimetro segna i duecentoventi chilometri all’ora.
Do un colpetto sulla spalla di Simone.
«Senti, ma secondo te stiamo andando più veloce di un aereo prima del decollo?».
Lui respira affannosamente, ma riesce comunque a spostare lo sguardo per fulminarmi con gli occhi.
«Ti sembra adesso il momento?».
La sirena alle nostre spalle si dispiega e sembra sempre più vicina, nonostante il Matto prema sull’acceleratore con tutte le sue forze.
Lo osservo nello specchietto retrovisore. Tutto a un tratto, senza motivo, la sua faccia mi fa ridere.
E rido, rido forte.
«Insomma, Giovanni, ma che cazzo ti è preso? Ti sembra questo il momento?».
La macchina sbanda leggermente quando il Matto gesticola per rimproverarmi ma è più forte di me, mi fa ridere ancora di più.
Tutto questo è assurdo.
Il Matto si innervosisce ancora di più, ma poi anche lui si lascia andare in una risata.
«Sei un imbecille. Si può sapere che cazzo ti ridi?».
Lo guardo, mi mordo le labbra per non ridere ancora di più.
«Ragazzi, stavo pensando che tutti i grandi sono morti a ventisette anni».
Il Matto ride e quasi non investe una macchina che si trova davanti. Il mancato scontro lo fa eccitare ancora di più.
«Sei sempre stato un coglione, da quando eravamo piccoli».
Simone lascia cadere il volto tra le mani. Si dondola avanti e indietro.
«È finita, è finita...».
«Consolati, Simone. Tutti i grandi muoiono a ventisette anni, non lo sapevi? Saremo ricordati come dei grandi anche noi».
In quel momento, mi rendo conto che Simone ha ragione. È davvero finita. Gli tocco la spalla e guardo davanti a me, cercando di non pensare.
«Oh cazzo», bisbiglia il Matto.
Una macchina sulla destra, un tir sulla sinistra e più giù la scogliera che scende inesorabile fino al mare.
«E adesso?».
Mi aggrappo anche io al sedile posteriore, aspettando il peggio. Chiudo gli occhi.
E pensare a com’è cominciata tutta questa storia...
Se qualcuno me lo avesse raccontato qualche anno fa, non ci avrei creduto per niente. Lo avrei preso per matto e avrei continuato come al solito a farmi i fatti miei.
E invece sono qui. Proprio io. Anche se mi sembra che la coscienza stia abbandonando il mio corpo prima della mia vita.
Sta davvero finendo così?
E con il Matto accanto a me?
Chi se lo sarebbe mai aspettato?
CAPITOLO 2
Ora che ci penso da quando è cominciata tutta questa avventura non è passato neanche un mese. Ma che dico? Saranno passate appena due settimane.
Era un venerdì, nel tardo pomeriggio. Ero seduto al Bar Brasile con Simone e, come al solito, guardavamo distrattamente i passanti fuori sul marciapiede, commentando le loro vite.
«Hai visto Claudio?».
«Sì, con quelle scarpe luccicanti. Si vede che prende abbastanza al Comune...».
«Ma quella è Miriam?».
«No, ma che dici! Miriam? La sorella minore di Eugenio?».
«Proprio lei».
«Si è fatta davvero una bella ragazza...».
Sorseggiavamo i nostri Martini, e se ci avessero chiesto quale fosse la cosa più assurda che ci venisse in mente, forse, non saremmo nemmeno riusciti a immaginare quanto stesse per accadere da lì a breve.
Eravamo annoiati di commentare le vite degli altri e avevamo cominciato a leggere i risultati delle partite sulla Gazzetta dello Sport. Così, senza parlarci, soltanto annuendo e indicando di tanto in tanto qualche immagine.
Poi ho sentito uno strano singulto. Simone per poco non si è ingoiato l’intera l’oliva attaccata allo stuzzicadenti.
«Hai visto, Giovanni?».
«Che cosa?».
«Guarda fuori».
Quando mi sono voltato non riuscivo a credere ai miei occhi: prima ho visto il suo naso, schiacciato contro il vetro del locale. Poi ho visto i palmi delle sue mani. E poi l’ho riconosciuto.
«Mi venisse un colpo...».
Il ragazzo si è staccato immediatamente dalla vetrina scoppiando a ridere e facendo dei gestacci con le mani. Poi alzando le dita, ci ha fatto intendere che ci avrebbe raggiunti all’interno.
Simone si è voltato a guardarmi con gli occhi spalancati.
«Alessandro è tornato».
Un attimo dopo era proprio lì, insieme a noi, con nella mano, ben stretta, la sua pinta grande di rossa. E rideva, rideva. Non smetteva mai di ridere.
«Comunque siete proprio dei coglioni», ha detto dopo aver preso un lungo sorso. «Sapevo benissimo che vi avrei trovati qui. Non è cambiato un cazzo».
Simone scuoteva la testa sorridendo.
«Quanto hai ragione! Sembra che il tempo non sia mai passato».
Anche io non riuscivo a smettere di sorridere, osservando vecchi ricordi tornare alla mia memoria intatti.
«Quanto è passato, Matto?».
Lui si è lasciato sfuggire un sogghigno.
«Matto... era da tanto che non mi chiamavano così».
Intanto, Simone contava qualcosa sulle punte delle dita.
«Nel 2013 ho preso il diploma, poi nel 2015 c’era il concorso...». Poi si è voltato trionfante. «Non ci vediamo da dieci anni, Matto!».
«Dieci anni...», scandiva lui.
Io ero sorpreso. In più, ebbi come la sensazione che a lui desse fastidio quel suo vecchio soprannome.
«Davvero così tanto?».
Simone deve aver pensato la stessa cosa.
«Cos’hai fatto tutto questo tempo, Ale?».
Lui guardava fisso nel vuoto, sembrava non ascoltare. Poi a un certo punto si è come illuminato.
«Dieci anni...». Senza preavviso, il Matto ha fatto sbattere il palmo della mano contro il tavolo appiccicoso, facendomi trasalire. «Ma allora dobbiamo festeggiare!».
E senza aggiungere altro, il Matto aveva già raccolto le nostre cose e tirandoci per una manica si dirigeva verso l’uscita.
Simone puntava i piedi.
«Dai, aspetta. Dobbiamo ancora pagare!».
Il