PNL - Coaching - Mediazione
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Significa riuscire a creare in noi una forma mentis mediativa per costruire, mattone dopo mattone, la nostra struttura da mediatori. E quindi, quale miglior aiuto se non farsi supportare dalla PNL e dalle tecniche del coach approach?
L’autrice, nota coach in diversi contesti organizzativi, accompagna il lettore nella conoscenza e nell’approfondimento delle tecniche e dei modelli operativi della PNL, con lo scopo di aiutare il futuro coach/mediatore ad utilizzarne con efficacia tutte le risorse. Il coach/mediatore è in primis un facilitatore della comunicazione, colui che ripristina il flusso comunicativo interrotto fra due parti in conflitto; un esperto di comunicazione che deve conoscere ed approfondire le tecniche della comunicazione efficace e del coach apprroach di cui i due pilastri portanti sono: EGOLESS E ARS MAIEUTICA.
Solo se penseremo profondamente e veramente da mediatori, saremo mediatori, ossia agiremo da mediatori.
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Anteprima del libro
PNL - Coaching - Mediazione - Raffaella Verga
1. Una premessa doverosa: parliamo di cultura
Abbiamo pensato di scrivere questo capitolo sulla mediazione impostandolo con un taglio prettamente comunicativo e comportamentale, due aspetti della mediazione sui quali i riflettori si accendono, a nostro parere, non a sufficienza.
Ciò che il mediatore porta in setting mediativo è una conoscenza della giurisprudenza e della prassi giuridica di riferimento, ma anche, e osiamo affermare, soprattutto un suo essere mediatore; una capacità dell’essere che riusciamo a portare in setting dopo un accurato iter formativo su noi stessi (in quanto sappiamo che il processo di apprendimento dell’essere passa attraverso le fasi del: sapere, saper fare e infine saper essere).
Cosa significa il saper essere mediatori?
Significa riuscire a creare in noi una forma mentis mediativa (aprirci alla cultura di riferimento) per costruire, mattone dopo mattone, la nostra struttura da mediatori; dal nostro modo di pensare, infatti, derivano le nostre azioni. Solo se penseremo profondamente e veramente da mediatori, saremo mediatori, ossia agiremo da mediatori.
Proviamo a riflettere un attimo sul fatto che già nel 1930 un grande studioso (poco conosciuto), Galtung, effettuò una serie di ricerche sulla Pace, considerando la guerra e la violenza come malattie
sociali.
Evidentemente a livello logico – razionale e intellettuale non possiamo che essere d’accordo con lui, ma poi nella nostra piccola quotidianità come agiamo nel confronti del conflitto?
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Approfondimento: chi è Johan Galtung?
Johan Galtung (Oslo, 24 ottobre 1930) è un sociologo e matematico norvegese, fondatore nel 1959 dell'International Peace Research Institut e della rete Transcend per la risoluzione dei conflitti.
È uno dei padri della peace research (o peace studies).
Le sue opere ammontano a un centinaio di libri e oltre 1000 articoli.
Le istituzioni internazionali si sono spesso rivolte a lui per consulenze tecniche in fatto di mediazioni di conflitti.
L’attività di Galtung non è puramente accademica, perché il suo ruolo di consulente in situazioni di conflitto ha spesso portato a risultati concreti. Per esempio, in un dissidio relativo alla linea di frontiera fra Perù ed Ecuador, la proposta di Galtung constava di quattro parole (pare che le soluzioni ai conflitti debbano poter essere formulate così): area binazionale, parco naturale. Proposta accettata.
Il segreto dell’arte della mediazione nonviolenta?
«In primo luogo identificare i partecipanti, fare una ricognizione dei loro obiettivi, e trovare le loro contraddizioni; in secondo luogo distinguere fra obiettivi legittimi e illegittimi; infine costruire ponti fra rispettive posizioni legittime»
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Ricordiamoci sempre che anche i piccoli conflitti quotidiani fanno parte del grande agire della guerra, nel macro o nel micro tutti gli atteggiamenti violenti rappresentano i piccoli focolari
del nostro essere sempre pronti alla guerra
, a difendere il nostro posto, il nostro spazio, etc.
Galtung si inserisce in queste nostre riflessioni con un apporto di una rilevanza basilare: inventa (ricordiamolo, nel 1930!) un nuovo settore di studi delle scienze sociali la peace research.
Di primo acchito può forse sfuggire l’innovazione apportata da Galtung alle scienze umane, ma è sufficiente osservare che prima di Galtung non esistevano centri di studi sulla pace. Certamente esistevano studiosi di problemi militari. Ma definire la pace come assenza di guerra è, secondo Galtung, come definire la salute come assenza di malattia.
Il punto di forza del pensiero di Galtung è quello di avere fatto della pace un concetto ben determinato, al centro di un vastissimo campo di ricerche. Sua è la concettualizzazione di pace negativa (assenza di guerre), positiva (tensione verso una società più giusta), nonviolenta (superamento delle ingiustizie con mezzi nonviolenti).
Se pensiamo che, nonostante la sua grandezza
di pensiero e l’impatto sociale delle sue opere, Galtung non è molto conosciuto e non viene citato mai come studio per la conduzione delle mediazioni, non possiamo che leggere il dato come una grave mancanza del nostro essere socialmente mediatori.
Secondo la nostra mentalità avversariale, della quale siamo intrisi perché condizionati fin da bambini, nel momento stesso in cui si presenta un conflitto fra due parti, automaticamente scatta in noi la sentenza: torto o ragione, pertanto uno vince e l’altro perde.
Lo sentiamo anche nelle aule di mediazione ora che sono presenti i tirocinanti: ascoltiamo spesso commenti da parte degli osservatori che decidono loro chi delle due parti ha ragione e chi ha torto.
In questi casi, purtroppo, mancando una formazione cognitiva di base, le persone fanno emergere i loro forti e radicati condizionamenti culturali, di una cultura connotata dal pensiero win lose.
La mediazione è l’esatto contrario: win win
La mediazione si basa sul concetto di costruzione di ponti!
Normalmente