L'epopea degli animali
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Anteprima del libro
L'epopea degli animali - Charles Louandre
Intro
Un godibile e dotto studio di Charles Louandre sugli animali nell’epoca antica, nel Medioevo e nelle leggende, sugli animali favolosi e i bruti
dell’inferno, sugli animali delle allegorie mistiche e morali, nell’arte cristiana e nei romanzi cavallereschi, nell’araldica e nei poemi satirici, nella giurisprudenza e nella filosofia moderna.
PREFAZIONE
È credenza generale, è anzi per così dire una tradizione nativa dei tempi favolosi che l’uomo e gli animali si dividessero pacificamente fra loro l’impero della terra nei primi giorni del mondo. Nell’età dell’oro le tigri si trastullavano cogli agnelli, e i leoni e gli orsi facevano innocuo corteggio al padre del genere umano sui verdi prati del paradiso terrestre. I latrati dei cani, il canto degli uccelli, i sibili dei rettili altra cosa non sono se non i dialetti di quel linguaggio universale delle prime età che mette in comunanza di rapporti e di idee tutti gli esseri. Gli animali parlano e l’uomo risponde.
La poesia inneggia a questa fratellanza di tutte le creature nella prima gioventù della terra, e la stessa antica scienza, per bocca del più illustre suo rappresentante, di Aristotele, ammette una misteriosa parentela fra l’uomo e l’animale, «facoltà comuni, facoltà affini, facoltà analoghe;» ammette perfino talora la supremazia del secondo.
«L’uomo, dice per l’appunto il filosofo di Stagira, ora ha più, ora meno della bestia», e in queste parole si trova la spiegazione di gran copia di leggende e di favole che formano ciò che si potrebbe chiamare la storia ideale degli animali.
Sia che noi prendiamo a considerare i tempi anteriori al cristianesimo, oppure il Medioevo, sia che poniamo mente alle tradizioni religiose, ovvero alle tradizioni poetiche e popolari, sempre troviamo che gli esseri inferiori postici accanto sulla terra dalle misteriose leggi della Providenza, appaiono con caratteri affatto diversi da quelli che assegna loro la scienza moderna. Là essi vivono come noi di una vita intelligente e morale. Nel paganesimo sono gli amici e i confidenti degli eroi e degli dèi; nella leggenda cristiana sono gli amici e i servi dei santi.
La Grecia e Roma danno loro lo spirito profetico; l’Egitto li divinizza e li adora; gli autori dei Bestiari ci istruiscono col loro esempio; gli agiografi ci edificano colle loro virtù. Infine noi li troviamo ovunque, sia nella letteratura, sia nei monumenti dell’arte, formando come il popolo fantastico di un altro mondo e di una nuova creazione, e in tal guisa si continua attraverso ai secoli uno strano lavoro, ove la scienza, la fantasia, la tradizione portano ognuno la loro parte di errore. Crediamo non sarebbe cosa inutile trarre fuori questo elemento meraviglioso dallo elemento reale cui si trova commisto. Speriamo dimostrare che la storia naturale per tal modo compresa, quale ce la presentano i vari monumenti dell’antichità e del Medioevo, diventa un curioso capitolo della storia stessa della mente umana.
Non ci faremo a ritrarre qui minutamente l’ufficio degli animali nelle credenze religiose e poetiche dell’India, dell’Egitto, della Grecia e di Roma. Sarebbe rifare per la centesima volta la storia delle idolatrie dell’antichità, e ricominciare il lavoro dei mitografi senza renderlo più compiuto o più esatto.
Non vogliamo uscire dal i: allora soprattutto la zoologia, tramutata dalla immaginazione dei poeti e dei narratori, assunse il carattere di un concetto morale e religioso. Tuttavia, siccome nel passato tutto si tocca e si annoda, siccome il Medioevo spesso non è altro che l’erede diretto delle rimembranze della Grecia e di Roma, giova dare una rapida occhiata ai tempi anticristiani per far meglio comprendere, nella nostra medesima civiltà, questa vasta epopea ove hanno parte gli ospiti selvaggi dei deserti e delle foreste, i mostri della favola e i draghi della leggenda: epopea strana, scritta dai monaci nel silenzio del chiostro, dai trovatori in mezzo ai disordini della vita mondana, e scolpita dai barbari artefici sui capitelli delle nostre chiese e sulle facciate delle nostre cattedrali.
La zoologia leggendaria per lungo tratto di tempo negletta dagli eruditi porse in questi ultimi anni argomento a qualche notevole pubblicazione. Citeremo solo il Phisiologus dei signori abati Martin e Cahier, il commento del signor Hippeau sul Bestiaire divin di Guglielmo il Normanno, le ricerche del signor di Reiffenberg sugli animali dei poemi cavallereschi, ed i pregevoli studi del signor Duchalais sull’iconografia simbolica. Finora però questo argomento non è stato svolto nel suo insieme giova adunque, ripetiamo, far conoscere questa strana e varia storia, seguendola nei differenti secoli: i lupi delle foreste celtiche, i pesci, i rettili, gli uccelli, accanto all’uomo come attori intelligenti di un dramma che si rappresenta, a mo’ dei misteri del Medioevo, sulla terra, nel cielo e nell’inferno.
GLI ANIMALI DEL MONDO ANTICO
Dai tempi favolosi fino ai giorni più splendidi della civiltà greco-romana, le scienze fondate sull’osservazione positiva dei fatti sembrano rimanere stazionarie. In tutta l’antichità Aristotele solo, studiando la natura, si applica a penetrarne i misteri; solo, e primo fra tutti, descrive con esattezza i costumi degli animali, e li classifica secondo le regole di una specie di fisiologia comparata; ma nessuno gli tiene dietro all’altezza in cui lo porta il suo genio. La scienza cui egli dà fondamento, presentendo la maggior parte delle grandi scoperte dell’avvenire, è come a dire soffocata dalle favole. Eliano, Ctesia, lo stesso Plinio ammettono senza esame e senza critica i fatti più straordinari; nessuno in quel tempo si dà pensiero di verificare. Anche gli esseri più noti e più facili ad osservare diventano argomento delle più bizzarre leggende. L’ignoranza e la superstizione popolare sfigurano affatto il mondo, e siccome l’errore stesso ha la sua logica, il difetto di ogni cognizione positiva fa sì che dappertutto si sostituiscono i sogni alla realtà, e senza posa si procede di meraviglia in meraviglia.
Pare che l’uomo, re della creazione, rinunzi allo antico suo impero, umiliando la ragione davanti allo istinto, dimentico dell’anima sua propria, largo agli animali delle sue facoltà, dei suoi sentimenti, delle sue passioni. Egli si abbassa portando gli animali al suo livello, ed anche al disopra; poi, quando ha trasformato gli esseri reali, inventa una folla di esseri fantastici dei quali ognuno accetta come incontestabile fatto la impossibile esistenza. Finalmente il politeismo, consacrando ogni sorta di fantasticaggini, viene alla sua volta a dare agli animali lo spirito profetico, il dono delle rivelazioni misteriose, e per ultima follia si spinge a farne altrettanti Dei. È d’uopo prima vedere in qual modo le credenze popolari, la poesia e la stessa filosofia li abbiano per così dire umanizzati.
Secondo una tradizione nata dal dogma della metempsicosi e divulgata in Grecia da Pitagora e da Timeo, gli animali non sono altro che uomini trasformati, i quali nella metamorfosi conservano la rimembranza del primiero loro stato. Alcuni filosofi danno ad essi le tre anime: l’ anima ragionevole, l’ anima sensitiva, e l’ anima vegetativa, che corrispondono a quello che venne detto più tardi la vita intellettuale, la vita organica e la vita animale. Plutarco scrisse un libro per provare che sono ragionevoli. Siccome le misteriose rivelazioni del loro istinto sono spesso più sicure delle operazioni del nostro intelletto, i poeti, e con essi i filosofi, li tengono in conto di nostri primi maestri nelle arti e nelle industrie. Noi abbiamo imparato dal ragno a tessere la tela, dalle rondini a murare, dal cigno e dall’usignuolo a cantare. Una cicala dotta al pari di questi uccelli dall’ugola divina nelle leggi dell’armonia, ottiene il premio della musica ai giochi Piziani. I cavalli dei Sibariti sono eccellenti nelle arti dilettevoli. I loro padroni li avevano ammaestrati nel ballo, e un giorno mentre in battaglia stavano per precipitarsi sopra i Crotoniati, questi, per incitarli alla pugna, presero a suonare il flauto: allora quei cavalli ballerini in luogo di continuare la loro corsa, si drizzarono sui piedi di dietro, e gettarono giù di sella tutti i cavalieri Sibariti facendo loro perdere la battaglia.
Con la miglior fede di questo mondo gli scrittori dell'antichità riportano una folla di fatti di questa sorta senza cercar mai di riconoscerne l'autenticità. Del resto essi non dovevano farne le meraviglie, poiché filosofi il cui nome era divenuto simbolo di saviezza, mostravano loro uomini nei quadrupedi, negli uccelli e perfino negli stessi umili insetti. Dal momento che l'universale credenza assimilava le bestie all'uomo, nella ragione e nelle opere dell'intelligenza, si poteva senza inconveniente prestar loro anche il linguaggio umano, perché quando si pensa, naturalmente si parla; ed è probabile che gli scrittori di favole, facendo conversare fra loro gli animali, non abbiano fatto altro che mettere in scena le tradizioni credute vere in quei tempi.
È naturale che la volpe di Esopo discuta con la cicogna, e che il topo cittadino di Orazio stia filosofando col topo campagnolo, quando la storia stessa racconta prodigi simili. Infatti, il giorno in cui Tarquinio fu rovesciato dal trono, un cane per le strade di Roma si rallegrò ad alta voce della cacciata di questo re. Al momento dell’assassinio di Domiziano, una cornacchia ottimista disse ad alta voce nel Campidoglio: «A meraviglia, fu benissimo fatto». Allorché Roma, oppressa da Ottone e minacciata da Vitellio, vide con terrore che la statua della Vittoria si era lasciate sfuggire dalle mani le redini di oro del suo carro, i buoi dell’Etruria furono intesi ragionare fra loro delle disgrazie dell’impero. Finalmente, durante il consolato di Lepido e di Catullo, un gallo, nel podere di Gallerio sul territorio d’Arminio, parlò, e Plinio che racconta questo fatto, dice che è tanto più straordinario, dacché non si conosce nella storia un altro esempio di gallo che abbia parlato. Per uno straordinario privilegio dell’istinto, gli animali imparano e parlano facilmente e senza fatica il linguaggio umano, mentre gli uomini non riescono a capire e parlare quello degli animali che per un favore speciale degli Dei. In tutta l’antichità Tiresia, Elena, Cassandra, Apollonio di Tiane e Melampo possederono soli questa meravigliosa scienza. Apollonio l’aveva ottenuta mangiando il cuore di un drago delle Indie, e i serpenti ne avevano dato le prime lezioni a Melampo. Un giorno i suoi schiavi, avendo trovato nel cavo di una vecchia quercia una nidiata di rettili, ne uccisero il padre e la madre, e portarono i piccoli al padrone che li fece allevare con cura. Giunti all’età di ragione, i serpentelli si mostrarono riconoscentissimi verso l’uomo che li aveva trattati tanto bene, e un giorno che egli dormiva profondamente, si avvicinarono alle sue orecchie, le lambirono lievemente con la lingua, e in tal modo gli resero tanto perfetto il senso dell’udito, iniziandolo inoltre nei segreti della lingua universale, che quando egli si svegliò rimase tutto stupito di sentire quello che si diceva nel consiglio degli Dei e di poter capire il linguaggio di tutte le creature.
Finora vediamo che nella zoologia fantastica dell’antichità ogni cosa si collega con una logica severa. L’animale ha le tre anime dell’uomo: