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Briciole di storia 2
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E-book315 pagine4 ore

Briciole di storia 2

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Info su questo ebook

Un viaggio attraverso i secoli, alla scoperta dell’alchimia e delle arti magiche medioevali, degli antichi romani e dei papi, dei Vichinghi e di quella che ancora oggi è definita la “professione più antica del mondo”. E poi, quali segreti si celano dietro le piramidi? Quando e perché abbiamo iniziato a usare le posate? Siamo sicuri che “si stava meglio quando si stava peggio”? Queste sono solo alcune delle domande che trovano risposta nel secondo volume di Briciole di Storia. Miti, leggende, battaglie memorabili, ma anche vita quotidiana e storie d’amore di un passato ormai lontano, ma che tuttora vive in alcune abitudini e modi di dire che non ci hanno abbandonato. Una prosa leggera e coinvolgente, impreziosita non di rado da uno spiccato gusto per l’aneddotica e capace di far immergere completamente il lettore nelle atmosfere del mondo antico così come nelle vicende della Storia più recente.

Lelio Finocchiaro è nato a Messina ma vive da molti anni a Lipari, nelle Isole Eolie. È sposato e ha due figli che lavorano con lui nella sua farmacia. Ha due lauree, in Chimica e in Farmacia, ma ha compiuto studi classici. è da sempre un curioso appassionato di storia antica e medioevale e cura da tempo una rubrica di pagine storiche presso un giornale locale, da cui ha tratto spunto per Briciole di Storia. Oltre al primo volume edito nel 2016, ha già pubblicato con Albatros Il Filo un noir dal titolo Le due liste.
LinguaItaliano
Data di uscita1 feb 2019
ISBN9788830600393
Briciole di storia 2

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    Briciole di storia 2 - Lelio Finocchiaro

    Albatros

    Nuove Voci

    Ebook

    © 2018 Gruppo Albatros Il Filo S.r.l. | Roma

    www.gruppoalbatrosilfilo.it

    I edizione elettronica dicembre 2018

    Dedico queste pagine a mia moglie, con la quale continuo a sostenere lunghe e stupende dispute storiche.

    In un certo senso la storia è come il mare. Come il mare può essere vissuta in mille modi diversi, subendone sempre lo stesso fascino.

    Le pagine che propongo costituiscono appunto uno degli infiniti modi con cui ci si può approcciare alla storia. Questa volta in maniera leggera, varia, a volte divertente e tale da potere suscitare la voglia di saperne di più.

    Lelio Finocchiaro

    PRIMA PARTE

    i miti

    Al lupo, al lupo!

    C’è un animale che possiamo incontrare nelle storie di tutto il mondo, sin da quando l’uomo esiste. Ed è sempre lo stesso che impersona il terrore e gli incubi nelle tradizioni di tutti i popoli. Lo troviamo nella paura che attanagliava i nostri antenati mentre attraversavano oscuri boschi sconosciuti, o nelle fiabe dove i nostri bambini temevano di essere divorati dalle sue fauci fameliche (chi non ricorda Cappuccetto Rosso?) o ancora nelle nostre credenze religiose, dove domarne uno voleva dire fermare il male. Questo animale è il lupo, animale al contempo splendido e pauroso, ispiratore di una moltitudine di detti popolari divenendo di volta in volta aggressivo (il lupo perde il pelo ma non il vizio), augurante (in bocca al lupo), spaventoso (fame o tempo da lupi) e comunque simbolo di caratteristiche negative o di un pericolo in arrivo (al lupo, al lupo, appunto...). Il terrore che ispira il lupo è atavico e si rifà al buio delle caverne e alla profondità vorace delle sue fauci. Nella mitologia greca era associato al significato di distruzione come incarnazione del dio Marte, mentre se incarnava Apollo aveva un significato solare. In quest’ultimo caso il bosco che attorniava il tempio era detto Lukaion (regno del lupo), ed Aristotele vi teneva le sue lezioni (da cui la parola Liceo). Chi non conosce la leggenda di Romolo e Remo e della lupa che li allattò? E fu un’altra lupa (Leto) che partorì Apollo e Artemide. Sempre nella storia delle tradizioni il lupo simboleggia la voracità e l’ingordigia, mentre la lupa la passione e la lussuria (la parola lupanare indica bordello e prostituzione). Il lupo porta alla follia e a terribili mutazioni. Già nella Bibbia si diceva, a proposito di Nabucodonosor, che fosse stato colto dalla pazzia del lupo, mentre si racconta che gli stregoni spagnoli medievali lo usassero come cavalcatura. Tutti conoscono, almeno per sentito dire, la leggenda degli Uomini-lupo e sanno della copiosa letteratura germanica sui lupi mannari. Nella Grecia Antica si dice che i licantropi venissero tutti rinchiusi nella città di Licopodi (ricordiamo che la licantropia è quella leggenda che vuole che alcuni uomini, nelle notti di plenilunio, subiscano una metamorfosi cambiandosi in lupi, del resto nelle Metamorfosi di Ovidio sono narrati circa 250 miti greci basati sulla comune capacità di trasformarsi). Anche la religione cristiana si rifà agli stessi archetipi con, ad esempio, San Francesco che ammansisce il pericoloso lupo di Gubbio. Il lupo è un animale totemico (cioè di forte significato simbolico) per quasi tutte le popolazioni mondiali. In Mongolia viene considerato antenato di Gengis Khan, mentre nelle Americhe, (dove pure è vivo il culto del giaguaro), ha un significato associato alle divinità guerriere. Nell’antico Egitto impersona il dio Anubis, e comunque riveste quasi sempre un ruolo psicopompo (cioè che accompagna le anime nel regno dei morti) simile a quello svolto da Caronte, dall’egiziano Osiride, dal greco Ermes, dal nordico Odino fino al Baron Samedi del Voodu haitiano).

    In realtà i motivi di queste paure si perdono nel tempo, prima ancora che la specie cane si differenziasse dalla specie lupo. Certo una volta le greggi e le sementi potevano essere messe in pericolo dai branchi di lupi attirati dal cibo e spinti dalla fame, e per questo visti come un nemico da uccidere, prima di scoprirne le doti di cacciatori esperti che spinsero uomini e lupi ad una vigile convivenza. È naturale che gli animali selvaggi siano stati percepiti come una natura seducente quando si riesce a controllarla, mentre come un pericolo quando invece segue le regole che le sono proprie. Oggi il cane, che pur sempre dal lupo deriva, è universalmente noto come un fedele amico dell’uomo, ma anche un tempo la descrizione dell’animale riportato come aggressivo e selvaggio rifletteva, forse, più l’inclinazione umana che quella animale. Il filosofo Tommaso Hobbes sosteneva che la natura dell’uomo è fondamentalmente egoista e rifiuta l’ipotesi che lo stesso possa avvicinarsi ai suoi simili per una inclinazione naturale, ispirando le sue azioni esclusivamente a motivi di sopraffazione e sopravvivenza. Del resto anche Plauto prima di lui dichiarava esplicitamente, con una frase rimasta famosa, che homo homini lupus (l’uomo è lupo per gli altri uomini). In passato spesso tutto era confinato nell’ambito sacro ed anche le caratteristiche animali venivano messe in relazione con il divino e quindi gli stessi venivano assunti ad alleati e protettori. Ogni animale ha colpito l’immaginario per le sue particolari caratteristiche e anticamente il farli assumere a totem consentiva in qualche misura l’appropriarsi di quelle stesse qualità. Alcune popolazioni (per esempio quelle celtiche) portavano uno specifico animale a simbolo (totem) di ogni loro clan. Col passare del tempo la zoolatria (adorazione degli animali), di cui si ha notizia addirittura prima del 3000 a.C., gradatamente cedette il posto all’antropomorfismo, passando attraverso figure ibride, parte umane e parte animali, come ad esempio la Sfinge (uomo e leone). La figura del lupo, come quella del resto anche di altri animali, non ci ha mai del tutto abbandonato, ed è presente in bandiere, monete, ideogrammi, simboleggiando nazioni e imperi, e se ne è fatto largo uso anche nella alchimia e nelle pratiche esoteriche, dove attraverso la sua rappresentazione si aveva modo di nascondere concetti riservati a pochi o riferimenti allegorici più o meno espliciti a varie divinità. Anche adesso che viviamo immersi in una cultura antropocentrica, in realtà continuiamo ad usare in maniera importante il simbolismo animale come una rappresentazione attuale delle nostre più antiche tradizioni.

    El Dorado

    Col nome di EL DORADO si indica un luogo leggendario dove sarebbe possibile trovare quantità enormi di oro e pietre preziose, ma anche antiche conoscenze esoteriche. Viene immaginato come una specie di Paradiso o di Eden perduto, situato agli antipodi, nel quale potere vivere in pace e felicità, dimenticando la fatica delle necessità quotidiane.

    Quando i conquistadores europei, in special modo gli spagnoli Cortes e Pizarro, sottomisero sanguinosamente Atzechi e Incas, notarono la quantità notevole di strumenti e monili d’oro di cui quelle popolazioni facevano uso, e credettero di essere vicini a scoprire la fonte di tante ricchezze. Il sogno di potere raggiungere luoghi meravigliosi e fiabeschi non era certo nuovo, e basta ricordare l’avventura di JUAN PONCE de LEON che nel 1513 raggiunse la Florida per cercare la fonte dell’eterna giovinezza.

    Anche in quei periodi ormai lontani, a dimostrazione di come in fondo le cose non siano dopo tutto cambiate molto, a farla da padrone erano le importanti famiglie di banchieri europei, in particolar modo tedeschi, e la sola notizia della possibilità di scoprire nuovi tesori fece sì che i banchieri Wesler d’Asburgo si gettarono a capofitto nell’impresa della ricerca dell’El Dorado, cominciando a chiedere e ottenere dall’imperatore Carlo V i diritti di sfruttamento di quella colonia che prese il nome di Venezuela (piccola Venezia). Fu nel 1525 che un luogotenente di Sebastiano Caboto, Francisco Cesar, risalì il Rio della Plata riportando il racconto di una città opulenta e pavimentata d’oro (Ciudad de los Cesares). Pedro de Heredia indicò che tale città dovesse trovarsi tra il dipartimento di Cordova e la Colombia, mentre Diego de Ordaz risalì l’Orinoco per cercare quella città che gli indigeni gli avevano detto avere intere montagne di pietre verdi (smeraldi?). I Welser mandarono Ambroisius Dalfinger a seguito della spedizione di Caboto, e costui, dopo aver fondato la città di Maracaibo, intraprese la prima spedizione verso l’interno nel 1529, tornandone a mani vuote. Fu protagonista di una seconda spedizione, in seguito alla quale morì colpito da una freccia avvelenata, ma nel frattempo altri esploratori, come Esteban Martin e Pedro Limpias, si cimentarono in difficili esplorazioni da cui tornarono in pochi ma con racconti mirabolanti che parlavano di mitiche ricchezze, argomenti di facile presa ed avvalorati dal fatto che la popolazione dell’interno usava l’oro come merce di scambio per ottenere coralli, perle e beni vari. Si contano almeno cinque importanti spedizioni verso l’interno alla ricerca dell’El Dorado e tutte partenti dal Venezuela. La spedizione più numerosa fu quella di Georg Hohermuth, composta di ben 500 uomini, che tornò decimata e in cui lo stesso Hohermuth perse la vita, ma che riuscì a prendere contatto con la tribù del Chibcha, a cui si attribuisce l’origine della leggenda dell’El Dorado.

    Nel 1536 al conquistador Belalcazar venne narrata la storia di un capo indigeno che usava gettare dell’oro nelle acque di un lago dove lui stesso si immergeva coperto di polvere d’oro. Da qui il detto El Indio Dorado, abbreviato in El Dorado. La località, vicino a Bogotà, sarebbe stata la laguna di Guatavita. Nello stesso luogo sarebbero pervenuti, da tre strade diverse, tre conquistatori, Quesada, Belalcazar e Federmann. La tribù dei Chibcha, purtroppo, venne decimata dai conquistadores e si estinse in pochi anni, tanto da non essere nemmeno nominata tra le popolazioni precolombiane. Tra l’altro i Chibcha non avevano giacimenti d’oro, ma l’unico giacimento di smeraldi delle Americhe. In pratica i conquistadores si confusero chiamando El Dorado la terra dei Chibcha dove l’unico oro era quello acquisito con scambi commerciali, mentre chiamarono Esmeraldas la zona della Colombia settentrionale che abbondava di oro di origine alluvionale.

    Furono compiute spedizioni anche nell’Amazzonia dove Lope de Aguirre si proclamò Re, e anche da Francisco Orellana, ma senza alcun risultato.

    Addirittura El Dorado venne ricercato nell’America del Nord, dove Francisco Vasquez de Coronado cercò inutilmente le sette città di Cibola.

    Ma anche prima, in pieno Medioevo, la ricerca di luoghi leggendari ricchi e felici aveva acceso la fantasia di molti, come avvenne ad esempio con il portoghese Pero da Covillas, che organizzò una vera e propria spedizione alla ricerca del favoloso Regno di Prete Gianni. Anche ai giorni nostri il miraggio delle città d’oro continua ad abbagliare viaggiatori ed esploratori. Sono del XX sec. spedizioni partite alla ricerca della cascata di Paititi, vicino Cuzco, indicata come luogo del vero El Dorado, o verso la foresta peruviana. Addirittura si è fatto ricorso a foto aeree e ad indicazioni satellitari che hanno individuato dei geoglifi (disegni sul terreno, come a Nazca) che alcuni hanno ipotizzato potessero indicare il vero luogo dell’El Dorado. Come è facile intuire, probabilmente l’uomo non smetterà mai di cercare in Terra il proprio Paradiso personale.

    Imhotep Re degli architetti

    L’antico firmamento egiziano era colmo di divinità di vario tipo, ma forse l’unica, all’infuori dei faraoni, che ebbe una realtà fisica concreta fu IMHOTEP (colui che viene in pace), visir del faraone Djoser (o Zoser), durante la III dinastia. Egli fu matematico, medico, architetto famoso ai suoi tempi ed anche molto dopo, giacché fu deificato addirittura duemila anni dopo la morte. Era detto l’architetto degli Dei, e fu a lui che si deve la progettazione e la realizzazione della ben nota piramide a gradoni di Saqqara, costruita per l’amato faraone Djoser. Il suo nome era noto anche al di fuori dell’Egitto, ed i Greci lo chiamavano Imuthes e lo consideravano figlio di Efesto. È stato reputato da sempre altamente probabile che la sua tomba si debba trovare tra le mastaba di Saqqara, non lontano da quello che i greci chiamavano Asklepion – sorta di ospedale che accoglieva gente venuta appositamente anche da lontano per farsi curare – ed il collegamento con il mondo egizio è stato dimostrato dal ritrovamento, durante scavi inglesi, di una unione sotterranea con un Ibeion, cimitero di Ibis mummificati. Sarebbe Imhotep l’autore di uno dei più antiche testi di medicina mai ritrovati, riportato nel papiro di Edwin Smith, dove sono descritti dettagliatamente traumi, fratture, ascessi e perfino un tumore. Da tenere presente che fu contemporaneo di Giuseppe – figlio di Giacobbe – anch’egli molto vicino al faraone. Il suo nome, dai latini, fu trascritto come Esculapio.

    Durante l’anno ben cinque giorni di festa erano dedicati a quello che era considerato il protettore della medicina.

    Insieme a Ptah – dio del mondo – e Sekmeth – dio della guerra –, faceva parte della cosiddetta triade di Menfi, ed il suo culto andò sfumando con l’avvento del Cristianesimo.

    Imhotep nacque alla periferia di Menfi intorno al 2800 a.C., e suo padre era anch’egli un valente architetto (a quei tempi era normale che i figli seguissero le orme paterne).

    Divenuto Visir di Eliopolis sotto il faraone Djoser, assurse a tale importanza da giungere a sostituire il faraone stesso in caso di sua assenza. Fu il primo costruttore a fare uso delle pietre come materiale per le sue realizzazioni. In realtà era molto eclettico nelle sue inclinazioni: viene ricordato anche per avere riorganizzato il calendario, e pare che scrivesse poesie. Si tramanda che abbia salvato l’Egitto da una grave carestia durata sette anni, e che per curare una malattia agli occhi della moglie abbia addirittura tentato, con successo, una specie di cura antibatteriologica.

    Per anni è stata cercata la tomba di Imhotep, nella convinzione che dovesse trovarsi nei pressi dell’Asklepion, ma con scarsi risultati. Recentemente, però, una spedizione del Saqqara Geophysical Survey Project, operante in zona dal 1990 e guidata da Ian Mathieson, valente archeologo inglese, ha fatto una interessante scoperta in una necropoli situata a circa 30 km a sud del Cairo.

    Si tratta in realtà di due grandi tombe delle dimensioni di 90 mt di lunghezza e di 50 mt di larghezza. In una di queste è presente una specie di scala che ricorda molto la famosa piramide a gradoni. Questo ha fatto ipotizzare che possa trattarsi della tomba di Imhotep ed in tal caso si tratterebbe di una scoperta archeologica di enorme importanza.

    È stato a partire dal Nuovo Regno che il culto di Imhotep si propagò in tutto il paese e sono molteplici le iscrizioni che di lui narrano in svariati templi sia nel Basso come nell’Alto Egitto. Nel celebre tempio di Deie El-Bahari, dedicato ad Hatshepsut (il faraone donna), il nome di Imhotep è presente, insieme a quello di Amenhotep (entrambi divinizzati), in una cappella a lui dedicata.

    Per capire l’importanza del culto di Imhotep è sufficiente leggere quanto scritto in una stele, oggi conservata presso il museo di Marsiglia, dove lo stesso è indicato come figlio di Ptah, colui che conferisce vita al mondo.

    Il Diavolo

    Nell’Antico Testamento il Diavolo non esiste. La sua comparsa è legata al Nuovo Testamento e intesa come principio del Male. La parola Diavolo viene dal latino Diabolus (calunniatore). Esso è visto come contrapposizione al regno di Dio con il quale è in continua lotta e che dovrebbe essere definitivamente sconfitto nella battaglia finale del Giudizio Universale (Armageddon) quando le armate del Bene e del Male si dovranno scontrare per l’ultima volta. Spesso si identifica il termine Armageddon con l’evento che rappresenta, mentre in realtà esso indica una vasta pianura teatro nei secoli di epiche battaglie che lì hanno avuto luogo, sin dai tempi del faraone Tutmose in poi, e combattute con armi diverse, dalle frecce ai cannoni, e quale scenario migliore quindi per immaginare la battaglia finale se non presso il monte di Megiddo – in ebraico,Har Megiddo (da cui Armageddon). Per altro lo scontro allora si immaginava tra truppe a cavallo con spade e lance, mentre adesso per l’occasione si potrebbe immaginare, se proprio si vuole, fatto con miracoli e sortilegi. Il terrore del Diavolo (o Satana), inteso come Anti Cristo, fu una vera e propria ossessione nel Medioevo. È nell’Apocalisse che il Diavolo ha la sua prima rappresentazione: un essere con sette teste e dieci corna, figura che poi si è semplificata, mantenendo l’attributo delle corna, simbolo pagano, a volte con l’aggiunta delle ali. Al contrario di quanto accade con i santi, sempre e comunque perfettamente caratterizzati, il Diavolo, a simboleggiare la sua doppiezza, si presenta sempre con aspetti e sembianze multiformi, anche se sempre riconducibili alle sue due caratteristiche fondamentali di tentatore e di torturatore infernale. Nel primo caso spesso assume forme femminili. Il Diavolo è chiamato con molti nomi, tra cui Lucifero portatore di luce descritto come angelo bellissimo che per superbia volle equipararsi a Dio, venendo cacciato dal Paradiso, e poi Belzebù il Signore delle mosche, ma più sovente come Satana (letteralmente avversario). Inizialmente, ma sempre prima dell’anno Mille, esso fu rappresentato come una figura ridicola, grottesca, tale da essere deriso e schernito, solo dopo prese le sembianze di essere mostruoso, a volte peloso, scuro come la notte o rosso come il sangue. Il primo ad affermare l’esistenza del Diavolo fu S. Agostino, ma occorsero diversi secoli perché entrasse nella credenza popolare. Dopo la peste del IV sec. assunse aspetti tenebrosi resi egregiamente nelle pitture di Bruegel e di Bosch. Resta famosa la narrazione del Patto col Diavolo, trattato con grande efficacia nel Faust di Goethe, mentre la presenza del Diavolo è stata alla base della Santa Inquisizione e della caccia alle streghe (la principale accusa era infatti quella di giacere col Diavolo).

    L’immagine proposta è quella che per lungo tempo ha influenzato pittori e letterati, cioè quella del Diavolo insaziabile che si ciba di anime per poi espellerle. Anche Dante, nella sua Commedia, fornisce una sua rappresentazione del Lucifero infernale che con tre bocche stritola tre celebri traditori (Giuda, Bruto e Cassio). Successivamente, verso il XIV sec., il Diavolo comincia ad essere visto anche come una metafora dei vizi umani e in esso si rispecchieranno le immagini spaventose del licantropo, del vampiro, del lupo e di numerose figure simili. Essendo Dio creatore di tutto, viene naturalmente negata una esistenza autonoma al Male e quindi al Diavolo che, anche lui, deve la propria esistenza alla presenza del Bene tanto da essere stato raffigurato anche come un essere mostruoso che divora le sue vittime mentre piange di rabbia impotente. Nel Medioevo dunque il Diavolo è tentatore quando convince e seduce le vittime per conquistarne le anime, mentre è torturatore quando tra le fiamme dell’inferno dispensa le pene più disparate per l’eternità. Divertente risulta l’importante casistica in cui i diversi dannati vengono cotti, cucinati e divorati da Lucifero. Esiste del resto anche una figura di Diavolo dialogante che spesso si intrattiene in dispute dialettiche con la controparte angelica per contendere il possesso di qualche anima, come nel Morgante del Pulci, dove il demone Astarotte sostiene (facendo scandalo) che la salvezza è possibile anche per chi, pur non conoscendo il messaggio evangelico, si comporti rettamente. Con la cacciata di Lucifero e dei suoi, che avrebbe causato la separazione della luce dalle tenebre, si sarebbero, secondo Agostino, creati dei troni vacanti e gli uomini sarebbero stati creati per occuparli. L’idea del Male contrapposto al Bene è stata comunque una concezione che ha accompagnato l’uomo nella sua evoluzione sin da tempi lontanissimi. Da sempre infatti si è ringraziato il Dio buono per quanto di positivo potesse capitare, mentre si è incolpato il Dio cattivo di qualunque disgrazia, cercando di ingraziarsi il primo e di fuggire dal secondo. Senza la pretesa di nominarli tutti, potremmo ricordare Horus contro Seth nell’antico Egitto, il mesopotamico Marduk contro Tiamat, Zeus contro Dioniso, il Dio cananeo Baal contro Mot, il babilonese Gilgamesh contro il mostro Huwawa. Naturalmente il Diavolo è entrato nel folklore e nelle fiabe di molti paesi, apparendo come un essere malvagio piuttosto che come personificazione del Male, ma anche oggi esistono sette, cosiddette sataniste, che adorano il Diavolo a volte come Dio antagonista, a volte come espressione di rivolta e ribellione. Naturalmente la stessa visione del Male può essere, ed è, del tutto soggettiva, ed infatti mentre ad esempio per l’Occidente esso può essere rappresentato da quei terroristi che con estrema efferatezza compiono in tutto il mondo attentati contro donne inermi e bambini, rovesciando l’immagine, per quegli stessi terroristi il Male può coincidere con quell’Occidente ricco e arrogante che per troppo tempo ha sfruttato territori lontani (magari per carpirne risorse ingenti – una su tutte il petrolio –) e gente troppo debole per potersi difendere. Oggi la Chiesa sostiene che il Diavolo esiste, ma molti sono convinti che esso risieda e si identifichi con la parte oscura che si trova dentro ognuno di noi e che spesso ci porta a prendere, consapevolmente, decisioni sbagliate.

    Il gatto

    Capita, a volte, che la storia di un animale possa identificarsi in maniera stupefacente con l’evoluzione dell’uomo e della sua civiltà. Nel tempo sono migliaia le specie che si sono estinte o che sono cambiate così tanto da non avere più riferimento con la loro antica progenie. Animali prima considerati pericolosi o addirittura da eliminare, sono in seguito divenuti parte integrante della nostra vita di tutti i giorni. Il gatto, oggi normale partecipe della nostra quotidianità, per lungo tempo ha sofferto stenti e fame per poi, però, entrare a fare parte della nostra vita, mantenendo intatta la propria dignità e la propria indipendenza. Il Felino Dinictis, derivato da un animale selvatico denominato Miacis, pare che sia comparso sulla Terra almeno 10 milioni di anni fa, quindi ancora prima dell’uomo. Fu il gatto

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