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1001 cose da sapere e da fare con il tuo gatto
1001 cose da sapere e da fare con il tuo gatto
1001 cose da sapere e da fare con il tuo gatto
E-book1.106 pagine8 ore

1001 cose da sapere e da fare con il tuo gatto

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Info su questo ebook

Intelligente? Curioso? Indipendente? Affettuoso? Come altro descrivere il gatto, questo animale che accompagna gli esseri umani fin dalla notte dei tempi, ma che forse non è stato ancora pienamente compreso? In quest’ampia raccolta dedicata al nostro amico felino, scoprirete la sua storia, le leggende di cui è protagonista, le curiosità che lo riguardano e avrete tutte le informazioni utili per curarlo e renderlo felice. Dai gatti eroici a quelli resi celebri dal cinema e dai cartoni animati, dalle tecniche educative ai segreti per un rapporto sano e affettuoso, un percorso dettagliato e originale vi farà conoscere le caratteristiche fisiche e psicologiche di questa creatura affascinante e misteriosa, il suo linguaggio, le sue passioni e le sue paure. Imparerete a prendervi cura del vostro gatto, a nutrirlo in modo corretto e a comprenderne bisogni e desideri. Il libro ideale per chi ne è già innamorato e vuole saperne sempre di più, ma anche per chi non ha ancora provato le gioie della convivenza con un micio ed è alla ricerca di qualche buon motivo per sperimentarla.

Roberto Allegri

è nato nel 1969, è giornalista e scrittore. Collaboratore fisso del settimanale «Chi» fin dal primo numero, ha pubblicato una trentina di libri, alcuni dei quali sono stati tradotti in inglese, giapponese e portoghese. Grande amante e conoscitore degli animali domestici, ha già scritto Vita da gatti, istruzioni per l’uso; Il gatto giorno per giorno e Il mio maestro zen ha la coda. Con la Newton Compton ha pubblicato 1001 cose da sapere e da fare con il tuo gatto e 1001 cose da sapere e da fare con il tuo cane.
LinguaItaliano
Data di uscita13 mag 2014
ISBN9788854166783
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    Anteprima del libro

    1001 cose da sapere e da fare con il tuo gatto - Roberto Allegri

    Un’antica alleanza

       1.

    L’uomo e il gatto: amici di vecchia data

    L'uomo e il gatto si conoscono e vivono insieme da quasi diecimila anni. Lo dimostrano le scoperte archeologiche.

    Ma ognuno di noi può trovare le tracce di questo antichissimo legame dentro di sé. Quando si incontra un micio, infatti, ci si sente irresistibilmente attratti da lui, non solo per la sua eleganza e la perfezione delle sue forme. Qualcosa di misterioso, invisibile e molto forte irradia dal suo sguardo e ci cattura. In quel momento, ci si sente trasportati indietro nel tempo, in una terra lontana, assolata, nell’istante in cui il primo uomo e il primo gatto decisero di stare vicini e di collaborare. Lo fecero con diffidenza però, e con prudenza. E parte di quelle emozioni è ancora presente nel gatto che, a differenza del cane, non è completamente addomesticato, ma conserva nel suo carattere alcuni lati estremamente selvatici. In fin dei conti però, questa è una delle ragioni per cui ci si innamora dei gatti. Ogni micio è proprio come un ponte che ci collega al mistero della foresta, alla nostra parte più selvaggia, radicata profondamente dentro di noi.

       2.

    Cipro, 8500 a.C.

    Per molto tempo si è creduto che uomo e gatto fossero amici da almeno cinquemila anni, dall’epoca dell’antico Egitto. Ma studi recenti hanno spostato ancora più indietro la data della prima alleanza. Il Museo di Storia naturale di Parigi ha reso pubblici i risultati di studi e ricerche che evidenziano come uomini e gatti vivrebbero insieme da oltre 9500 anni. È stato infatti scoperto a Cipro, la grande isola del Mediterraneo che si trova davanti alle coste egiziane, un sito archeologico di grande importanza. Si tratta dei resti di un villaggio che, in base ai rilevamenti, risulta essere stato abitato tra il 7000 e l’8500 a.C. Nel villaggio è stata anche scoperta una sorta di tomba contenente le spoglie di un uomo accanto a un gatto. Abbastanza logico concludere che quella persona sia stata sepolta insieme all’animale che aveva più caro.

       3.

    Il sito di Khirokitia

    Il dottor Donald Engels è un professore associato di Storia all’università dell’Arkansas nella cittadina di Fayetteville. Oltre a essere un grande esperto del periodo medievale e di Alessandro Magno, è un profondo conoscitore della storia del gatto. In un suo famoso libro intitolato Classical cats, il dottor Engels racconta del ritrovamento a Cipro, nel sito neolitico di Khirokitia, di una mandibola di gatto. Esami successivi hanno poi rivelato che la mandibola apparteneva a un grosso gatto vissuto circa 6000 anni prima della nascita di Cristo. L’animale doveva per forza essere stato portato sull’isola dall’uomo in quanto a Cipro manca qualsiasi testimonianza fossile di un’evoluzione felina, cioè i gatti non sono mai vissuti in quel luogo prima della comparsa degli insediamenti umani.

       4.

    La prima collaborazione

    Nel suo libro il dottor Engels si domanda anche se il gatto, di cui si sono ritrovati i resti nel sito archeologico a Cipro, non fosse stato ucciso per essere mangiato. Ma ritiene improbabile che gli antichi abitanti di Cipro avessero portato via mare il micio sull’isola al solo scopo di ucciderlo per cibarsene.

    Molto più facile invece pensare che l’animale fosse apprezzato fin da allora per la compagnia, ma soprattutto per l’utilità nel difendere le scorte alimentari dai roditori. Infatti non è casuale che i primi gatti siano apparsi a Cipro quasi contemporaneamente alle prime pratiche agricole e quindi al diffondersi dell’abitudine di immagazzinare quantità di granaglie capaci di attirare topi e ratti. Ed è proprio questo aspetto il segreto che sta alla base dell’amicizia tra uomo e gatto.

       5.

    L’antico Egitto

    Il primo grande esempio di convivenza tra uomini e gatti si ebbe però nell’antico Egitto.

    Sulla civiltà egiziana si scrivono tonnellate di libri, saggi e romanzi, e si fanno centinaia e centinaia di film. Le piramidi, la più famosa rappresentazione di quel periodo storico che parte dal 3100 a.C. e arriva fino al 30 a.C., sono al centro di dibattiti e ipotesi anche tra le più fantasiose.

    Ben documentata è anche l’amicizia tra uomo e gatto, attraverso i primi esempi di addomesticazione. Amicizia che assume i caratteri di una vera e propria devozione. Per gli antichi Egizi, il micio diventa talmente importante da essere considerato una divinità. È protetto con leggi severissime, e viene addirittura imbalsamato dopo la morte in speciali sarcofaghi fatti su misura.

       6.

    Il gatto selvatico africano

    Il gatto che diventa amico dell’uomo nell’antico Egitto appartiene alla specie Felis sylvestris lybica, ed è detto anche gatto selvatico africano. Ha il mantello color sabbia e una lunga coda con strisce nere.

    I più antichi resti di gatti domestici egizi sono datati tra il 4000 e il 3000 a.C. Il professor Donald Engels, nel suo libro Classical cats, riporta un brano di Claudio Eliano, filosofo e storico romano, in cui si racconta di gatti selvatici addomesticati in Egitto. Qui si legge che i gatti, insieme ad altri animali selvatici come le manguste o i falchi, venivano catturati con il cibo, resi docili e poi utilizzati ad esempio nella caccia.

    Claudio Eliano sottolinea la fedeltà che i gatti selvatici dimostrano verso gli esseri umani. Scrive lo storico romano: «Mai daranno addosso ai loro benefattori una volta che siano stati liberati del loro carattere originario e naturale».

       7.

    I granai del Faraone

    Il regno del Faraone in Egitto si basava interamente sulle coltivazioni. E i recipienti che contenevano i cereali erano talmente capienti da diventare leggendari.

    Ovviamente simili quantità di cibo attiravano eserciti di piccoli roditori come i ratti, animali capaci di scalare pareti praticamente lisce e di infilarsi in pertugi strettissimi. Era impossibile per i guardiani dei silos reali sperare di vincere una guerra contro un simile nemico. Ma loro alleati erano i gatti.

    Abilissimi cacciatori, i gatti selvatici partecipano a questa sorta di scambio di favori: accanto agli uomini venivano difesi dai predatori più grandi e avevano molto cibo a disposizione. Da parte loro, gli uomini avevano la possibilità di proteggere i loro magazzini, pattugliati da vere e proprie macchine contro i roditori. E la diretta conseguenza di questo fu che le famiglie che conservavano il cibo anche in casa impararono a tenere un gatto tra le mura domestiche.

       8.

    Una squadra speciale contro i nemici

    Topi e ratti erano, nell’antico Egitto, i peggiori nemici perché insidiavano le dispense di cibo. A questi si devono aggiungere i serpenti, numerosi lungo le sponde del fiume Nilo, che mettevano a repentaglio la vita dei contadini. L’arrivo del gatto tra gli animali domestici rappresentò quindi una novità straordinaria.

    Possiamo dire che erano l’arma X, oppure una sorta di squadra speciale.

    Gli animali che vivevano accanto all’uomo erano destinati a precisi lavori e occupazioni. C’erano cavalli per i carri da guerra e poi muli, asini e dromedari per il trasporto delle merci e il lavoro nei campi. E c’erano i cani, che facevano la guardia al bestiame ed erano usati per la caccia. I gatti invece avevano un solo compito: uccidere i roditori e i serpenti. Un’attività nella quale, tra l’altro, sapevano eccellere.

       9.

    Nei dipinti egizi

    Sono molte le immagini risalenti all’antico Egitto che ritrag gono i gatti: ulteriore prova della grande considerazione in cui erano tenuti questi animali.

    La maggior parte dei dipinti, conservati nelle tombe, raffigura un gatto seduto sotto la sedia di personaggi e dignitari di corte più o meno importanti. In genere, l’animale si trova sotto la sedia di una donna a simboleggiare, secondo gli esperti, la fertilità.

    I gatti sono ritratti anche nell’atto di cacciare uccelli lungo il fiume. Un dipinto in particolare, che si trova nella necropoli tebana e risale al 1450 a.C., è considerato un assoluto capolavoro perché rappresenta con estremo realismo un gatto mentre cattura tre anatre contemporaneamente. Il dipinto spiega molto bene come il micio venisse utilizzato anche nelle battute di caccia sul Nilo.

       10.

    Il gatto divino

    Il fatto che i gatti fossero nemici di animali pericolosi come i roditori, i serpenti e gli scorpioni fu il motivo per cui assursero a vere e proprie divinità. In poco tempo, infatti, essi diventarono i prediletti dai sacerdoti dei templi e presero il posto che prima era delle leonesse come rappresentanti delle dee Bastet e Sekhmet. Bastet veniva raffigurata con un corpo di donna e la testa di gatto. Era la signora del canto e della danza, della prolificità degli uomini e degli animali, la protettrice della maturazione delle messi e dei frutti. Ed era considerata la dea dell’amore. Nella sua mano sinistra spesso veniva raffigurato un amuleto sacro a forma di occhio di gatto, l’utchat, che aveva poteri magici. Questo amuleto veniva riprodotto nelle decorazioni delle case – dove proteggeva da furti, malattie e incidenti – nei templi e nei gioielli. Tenuto al collo proteggeva i viaggiatori, e regalato agli sposi rappresentava l’auspicio di una prole numerosa.

       11.

    Le feste della dea

    In onore della dea Bastet venivano organizzate imponenti feste religiose. Centro del suo culto era la città di Par Bastet (attuale Zagazig).

    Erodoto, lo storico greco vissuto tra 484 e il 425 a.C., racconta che in un’occasione si radunarono oltre settemila persone, giunte da tutte le parti del regno, per festeggiare la dea.

    Durante le cerimonie, migliaia di gatti camminavano tra la folla ed erano amorevolmente accuditi dai sacerdoti.

    Per i ministri del culto i gatti erano anche una cospicua fonte di guadagno. Il famoso storico greco Diodoro Siculo, vissuto tra il 90 a.C. e il 27 a.C. e autore della monumentale Bibliotheca historica, racconta che era diffusa l’usanza di votare i propri bambini ai gatti sacri. I sacerdoti dunque vendevano ai genitori dei piccoli delle medagliette raffiguranti teste di gatto che, assicuravano, appese al collo dei figli li avrebbero protetti.

       12.

    Poteri magici

    Gli antichi egizi ritenevano che il gatto, proprio perché manifestazione della divinità, fosse dotato di poteri magici.

    Si pensava che potesse conoscere i segreti delle sfere celesti dato che i suoi occhi brillavano di notte proprio come la luna. Il fatto che potesse vedere anche al buio faceva di lui un chiaroveggente. Il micio infatti era chiamato mau, che significa vedere, e i sacerdoti si rivolgevano agli dèi dalle sembianze di gatto proprio per conoscere in anticipo dove il nemico avrebbe colpito.

    Mau è anche il nome di una razza di gatto originaria proprio dell’Egitto, considerata la più antica allevata dall’uomo. Quasi del tutto estinta, questa razza fu salvata dalla principessa russa Troubetzkoi che, nel 1956, fondò un famoso allevamento in Canada chiamato Fatima.

       13.

    Vezzeggiati e onorati

    Erodoto spiega che in Egitto i gatti tenuti nelle case erano non solo ben nutriti, ma anche vezzeggiati e trattati con ogni riguardo. E quando un micio moriva era una tragedia. I suoi padroni si rasavano le sopracciglia in segno di lutto e il cadavere dell’animale veniva imbalsamato con aromi, mediante un procedimento molto simile a quello riservato agli umani, e deposto in un sarcofago di legno dipinto o di calcare che ne riproduceva l’immagine.

    Il sarcofago era poi scortato dai magistrati e portato in un cimitero riservato solo ai gatti. Gli incaricati di questa incombenza erano, per legge, esentati da qualsiasi altro lavoro manuale.

    Nel 1890 furono trovate nella zona di Béni Assuan migliaia di piccole mummie feline. E altre necropoli per gatti sono state trovate a Bubastis, a Sakkarah e a Stabe-Antar vicino a Tebe. Si ritiene che in tutto l’Egitto siano milioni le mummie di gatto ritrovate dagli archeologi.

       14.

    Leggi senza appello

    Nell’antico Egitto i gatti godevano di una considerazione tale da essere protetti anche da leggi rigide che punivano molto severamente chi attentava alla loro incolumità. Erano preservati dai pericoli non solo grazie alla devozione popolare, ma anche grazie all’intervento della stessa autorità. Questa è la prova più evidente di quanto i gatti fossero preziosi per l’Egitto del faraone.

    Gli interventi contro chi minacciava la salute di un micio possono apparirci oggi spropositati. Infatti, se qualcuno uccideva un gatto, anche per sbaglio, veniva immediatamente condannato a morte. E spesso veniva linciato dalla folla. Diodoro Siculo racconta di avere assistito in Egitto alla lapidazione di un cittadino romano colpevole di avere schiacciato, involontariamente, un gatto sotto il suo carro.

       15.

    La vittoria di re Cambise

    Polieno, retore macedone che visse a Roma sotto Marco Aurelio, nella sua opera di aneddoti militari, Stratagemmi, racconta un episodio estremamente significativo. Nel 525 il re persiano Cambise II, figlio di Ciro il Grande, invase l’Egitto, Paese del quale divenne poi re assumendo il nome di Metusira Kamebet. La battaglia decisiva per la conquista dell’Egitto si svolse presso la città di Pelusium, sul ramo orientale del Nilo. La resistenza egizia era tenace e, nonostante le terribili macchine da guerra, i persiani non riuscivano a espugnare la città. Allora re Cambise, che conosceva la venerazione degli egizi per gli animali e in particolare per i gatti, ne fece mettere un gran numero proprio di fronte al suo esercito. Di colpo gli egizi smisero di combattere per paura di ferire gli amati gatti. Deposero le armi, Pelusium capitolò e il re persiano si impadronì dell’Egitto.

       16.

    A difesa dell’esercito

    Anche Erodoto, raccontando la storia della guerra tra l’Egitto e l’esercito assiro di re Sennacherib, avvenuta nel 701 a.C., riferisce un episodio molto interessante.

    Per combattere gli invasori il faraone radunò mercanti, commercianti e contadini, li fece marciare contro Sennacherib e li fece accampare proprio di fronte alle forze nemiche. Calò la notte, e col buio i due eserciti vennero presi d’assalto da una miriade di topi. I roditori divorarono le faretre, le corde degli archi e le impugnature degli scudi degli assiri, che si trovarono così senza armamenti. Gli egizi, invece, non subirono alcun danno: avevano con loro i fedeli gatti da cui non si allontanavano mai. I felini avevano messo in fuga i topi e preservato così le armi.

       17.

    Le proverbiali nove vite

    Pirandello scriveva che i gatti hanno sette vite. Ma queste vite nei Paesi anglosassoni sono addirittura nove.

    Dicono infatti gli inglesi: «To have nine lives as a cat» (avere nove vite come un gatto). E pare che questo detto popolare abbia origini nell’antico Egitto.

    Alla base della cosmogonia egizia, infatti, c’era l’Enneade, cioè un gruppo di nove dèi, dei quali il principale era Atum-Ra, il dio creatore. Il centro di questo culto era nella città di Eliopoli, e qui il dio Atum-Ra era raffigurato proprio come un gatto. Era quindi un dio che da solo ne incarnava nove, quindi nove vite.

    Da questo a ritenere che anche i gatti – emanazioni del dio – avessero lo stesso numero di vite, il passo è stato breve.

       18.

    L’antica Grecia

    A partire dall’VIII secolo a.C. i gatti si diffusero in Grecia e poi nelle colonie in Italia meridionale.

    Il mondo greco fu il nuovo grande centro di diffusione per i piccoli felini. Vi giunsero a bordo delle navi dei mercanti fenici e macedoni che portavano con sé merci e animali dall’Egitto.

    Sulle navi i gatti erano perfettamente a loro agio. Le stive, infatti, erano spesso popolate da ratti e topi, e i felini potevano svolgere al meglio il loro compito. Per questo erano ben visti dai mercanti: erano la loro assicurazione sul carico trasportato.

    Prima della scoperta dei gatti, sulle navi si usavano le donnole per tenere lontani i roditori, ma i mustelidi erano troppo famelici e finivano con l’aggredire anche gli animali da commerciare.

    I gatti erano più affidabili. Inoltre, era ben nota la tradizione egizia secondo cui i gatti, cari alla dea Iside, erano capaci di curare le malattie e di dominare il tempo atmosferico. Avere un micio a bordo voleva dire tenere lontane le tempeste.

       19.

    Felini importati

    Nel suo libro Classical cats, il professor Engels ricorda che una delle prime rappresentazioni artistiche greche che ha come protagonista un gatto risale a circa 1600 anni prima di Cristo. Si trova nel sito archeologico di Akrotiri, sull’isola di Santorini.

    Nel dipinto si vede un piccolo felino maculato che caccia le anatre in un canneto. Forse si tratta di un servalo, cioè un felino nordafricano che evidentemente era stato importato in Grecia dai mercanti.

    Lo stesso soggetto – tipico anche dei dipinti egizi – si trova anche in altri siti archeologici greci e spiega come i gatti delle navi, più o meno addomesticati, una volta sbarcati venissero usati per la caccia nelle paludi. Pare proprio che il primo incarico del gatto in Grecia fosse quello di strumento venatorio.

       20.

    Gatti e ghepardi

    A poco a poco, anche i greci si accorsero della grande abilità dei gatti nell’uccidere i topi e si diffuse così l’abitudine di tenerli in casa.

    Ma dal momento che la società greca non si basava sulla coltivazione dei cereali come quella egizia, i gatti non furono mai ritenuti indispensabili per la difesa di granai e dispense. Lo dimostra anche il fatto che i greci non allevavano i gatti, ma li acquistavano dai mercanti che a loro volta li importavano dall’Egitto.

    Insieme ai mici, però, per la caccia erano usati anche i ghepardi, che i greci chiamavano leopardi da caccia. Fu il drammaturgo Sofocle (496-406 a.C.) a chiedersi, in una sua tragedia: «È possibile che un gatto cresca fino a diventare un leopardo?».

       21.

    Protagonista di leggende

    Proprio perché formidabili cacciatori, i gatti erano consacrati ad Artemide, dea della caccia e signora degli animali, una delle divinità più popolari nell’antica Grecia.

    Artemide, tra i suoi tanti e straordinari poteri, aveva anche la capacità di entrare nel corpo di un gatto o di assumerne la forma. Si narra che quando gli dei entrarono in guerra con i giganti, si trasformarono in animali per poter fuggire alla loro furia. Zeus, il re degli dèi, si mutò in un ariete e Artemide in un gatto.

    I mici erano anche cari ad Atena, che spesso veniva chiamata Atena il Gatto, perché i suoi occhi erano luminosi e potevano vedere al buio. E la leggenda racconta come fu Taras, figlio del dio Poseidone e fondatore della città di Taranto, a portare per primo in Italia un gatto proveniente dall’Egitto.

       22.

    I greci gli diedero il nome

    Pare anche che siano stati proprio i greci a dare il nome al gatto, attorno al 500 a.C. Lo chiamarono ailouros. La parola è composta da aiolos, che significa che si muove, e ouros, che invece significa coda. Con questo nome i greci vollero indicare il gatto come l’animale che agita la coda.

    Già a quei tempi ci si era accorti che il micio usa moltissimo la coda, specie in presenza dell’uomo. I greci erano quindi a conoscenza della capacità del gatto di comunicare usando la sua lunga appendice, una specie di antenna capace di trasmettere segnali inequivocabili di gioia, rabbia, noia, paura, irritazione, rilassamento. Forse si tratta dei primi esempi di osservazioni etologiche.

       23.

    Le favole di Esopo

    Lo scrittore greco Esopo, che visse tra il 620 e il 560 a.C., è noto in tutto il mondo per le sue Favole che hanno per protagonisti gli animali, presi come esempio dei vizi e delle virtù degli esseri umani. Molte di queste favole raccontano di gatti. Ci sono gatti di fattoria, che interagiscono con galli e galline e si dimostrano il più delle volte traditori e malvagi; ci sono gatti domestici che vivono in casa e sfoderano la loro astuzia per catturare topi e uccelli, escogitando elaborati tranelli; e ci sono i gatti selvatici che fanno la tana nei tronchi d’albero e possono competere con le volpi in fatto di furbizia. Oltre ad avere un alto valore letterario, le favole di Esopo sono interessanti anche perché ritraggono la vita dei gatti nella fattorie e nelle case, raccontano cosa mangiavano e come erano trattati dagli uomini.

       24.

    Il gatto nei trattati naturalistici

    I greci sono stati i primi a descrivere il modo di vivere dei gatti e a fare su di loro precise osservazioni naturalistiche. Ad esempio, il grande Aristotele (383 a.C. 322 a.C.) descrisse molti comportamenti del micio nella sua Storia degli animali. Lo paragona al cane e alla mangusta e scrive: «Gatti e manguste generano lo stesso numero di figli dei cani, sono dediti alla stessa dieta e vivono per circa sei anni».

    Il filosofo Claudio Eliano (170-235) nel trattato Sulla natura degli animali racconta dell’amore per la pulizia tipico dei gatti e di come siano abili cacciatori di uccelli. Aezio di Amida, medico e scrittore che visse tra la seconda metà del V e la prima metà del VI secolo, sosteneva invece che i gatti sono portatori di malattie, diverse a seconda del colore del pelo.

       25.

    I primi gatti italiani

    I gatti arrivarono in Italia a bordo delle navi greche e nel nostro Paese fondarono colonie fin dall’VIII secolo a.C. Erano conosciuti dagli etruschi. Infatti nella Tomba del Triclinio a Tarquinia è conservato un affresco che risale al 470 a.C. Vi sono raffigurati alcuni commensali a un banchetto e sotto i tavoli si vede chiaramente un grosso gatto che avanza sinuoso. L’aspetto del micio è molto simile a quello dei gatti egizi: allungato, maculato e con la coda striata.

    I gatti giunsero in Italia anche al seguito dell’esercito romano. Verso il 30 a.C., dopo la conquista dell’Egitto da parte di Ottaviano Augusto, divenne abitudine per i legionari tenere alcuni gatti tra le loro file con il solito scopo: proteggere le riserve alimentari dai roditori.

       26.

    I gatti dei romani

    Oggi i gatti di Roma sono diventati famosi e vengono fotografati dai turisti, specie quelli che visitano il Colosseo. Ma ai tempi degli antichi romani, i mici non erano poi così amati e apprezzati. Probabilmente, i romani volevano prendere le distanze dalle abitudini dei greci, i quali erano invece molto legati ai loro gatti.

    In ambito domestico, i romani usavano altri animali per tenere alla larga i topi e i ratti. Non era difficile vedere nei giardini dei patrizi mustelidi come le faine, le martore o le donnole che, opportunamente addestrate, svolgevano il compito di salvaguardare le dispense e i granai.

    Gli antichi romani prediligevano maggiormente i cani che, secondo loro, incarnavano i valori di lealtà e fedeltà che tanto ammiravano. I gatti erano considerati più frivoli da questo punto di vista. Infatti, si sa che i romani eressero molti monumenti sulle tombe dei loro cani, ma non ci è giunta traccia o testimonianza di alcun monumento in onore di un gatto.

       27.

    Nomi e stele funebri

    Non si conoscono tombe romane dedicate ai gatti, ma sono note invece quelle di persone che in vita erano state grandi amanti dei piccoli felini.

    Ad esempio, una pietra tombale trovata a Bordeaux (allora Gallia romana), e datata tra il 75 e il 125 d.C., raffigura una bambina con i suoi animali preferiti. La piccola tiene in braccio un gattino e ai suoi piedi c’è un gallo.

    Erano poi diffusi in tutto l’impero romano nomi di persona, soprattutto femminili, ispirati al gatto come Felicula, Felicla, Catta e Cattula.

    Una pietra tombale del II secolo porta il bassorilievo di un micetto. Fu eretta da Calpurnia Felicla, nome che significa gattina, per se stessa e per il marito Germullus.

       28.

    I gatti di Pompei

    Alla fine dell’agosto del 79 d.C., un’eruzione del Vesuvio distrusse le città romane di Pompei ed Ercolano. È un fatto storico che ormai conoscono tutti. Meno noto è il fatto che, duranti gli scavi archeologici, non sono mai stati trovati resti di gatti. Eppure pare che i piccoli felini fossero di casa nelle cittadine ai piedi del Vesuvio, come dimostra un famosissimo mosaico che raffigura un gatto nell’atto di cacciare delle anatre, che si trovava a Pompei e che ora è conservato al Museo archeologico di Napoli. È un gatto molto realistico, dal corpo compatto e dalle zampe grandi, col mantello maculato e la coda striata tipici dei piccoli felini che arrivavano dal Nord Africa con i legionari. La conclusione più plausibile è che i gatti siano fuggiti prima del cataclisma, salvandosi. È infatti riconosciuto anche dalla scienza che i gatti sono in grado di percepire nell’atmosfera la presenza di particelle cariche, che si liberano in gran numero prima di un sisma.

       29.

    La gattina dell’imperatore

    Ottaviano Augusto, vissuto tra il 63 a.C. e il 14 d.C., è stato il primo imperatore romano. Il suo principato durò quarant’anni e determinò un’epoca. Ottaviano riformò l’esercito, il commercio, l’economia, la cultura, le leggi e la moneta di Roma. È considerato tra i più grandi personaggi dell’antichità. Pochi anni prima di morire, Ottaviano dettò le sue memorie, una sorta di testamento nel quale sono raccolte tutte le opere da lui compiute. E a un certo punto l’imperatore parla anche della sua gatta. È una straordinaria dichiarazione d’amore e di rispetto per l’indipendenza dei piccoli amici con la coda. Dice Ottaviano: «La mia gatta dal pelo lungo e dagli occhi gialli, la più intima amica della mia vecchiaia, il cui amore per me è sgombro da pensieri possessivi, che non accetta obblighi più del dovuto, mia pari così come pari agli dèi, non mi teme e non se la prende con me, non mi chiede più di quello che sono felice di dare. Com’è delicata e raffinata la sua bellezza, com’è nobile e indipendente il suo spirito; com’è straordinaria la sua abilità di combinare la libertà con una dipendenza restrittiva».

       30.

    Il buio del Medioevo

    I primi secoli dopo la fine dell’impero romano vedono il diffondersi dei gatti praticamente in tutta Europa. Il loro compito è sempre lo stesso: la guerra contro i topi. Per questo sono protetti e accuditi soprattutto dai contadini nelle campagne.

    Poi però le cose cambiano. Inizia a diffondersi una nuova idea del gatto, che lo vuole non più collaboratore dell’uomo ma creatura malvagia che attenta alla sua anima. Forse per il suo movimento sinuoso, forse per i suoi occhi che gli consentono di vedere al buio, forse per il suo legame con le religioni pagane: resta il fatto che il Medioevo segna un periodo nefasto per il gatto. La Chiesa cristiana ne fa la personificazione del diavolo e lo perseguita. In Europa, tra il 1000 e il 1700, vengono massacrati milioni e milioni di gatti, sulla base di dicerie, superstizioni e ignoranza. Ogni buon cristiano si sentiva in dovere di uccidere qualsiasi gatto per conquistarsi il Paradiso.

       31.

    La Bolla autorizza lo sterminio

    Il 13 giugno del 1233 papa Gregorio IX (1170-1241) emanò la bolla Vox in Rama, con la quale dava inizio all’Inquisizione. Nel documento, tra le altre cose, il pontefice, ricordando che Lucifero cadde dal cielo sotto forma di un gatto nero, autorizzava lo sterminio nel nome di Dio di tutti i gatti, specialmente quelli neri. In questo modo, ogni cristiano che volesse fare la volontà di Dio era autorizzato a infliggere strazianti pene e poi a uccidere qualsiasi gatto gli capitasse a tiro. Incoraggiati o spaventati dal potere del papa, i cristiani si diedero da fare bruciando vivo, scorticando, bastonando e addirittura crocifiggendo ogni gatto nero. Durante determinate feste, si arrivava addirittura a gettare i poveri gatti dai campanili delle chiese.

       32.

    Le credenze più folli

    Nel Medioevo la persecuzione contro i gatti raggiunse vette di allucinante follia. Le credenze più assurde si diffondevano in fretta, come il fuoco tra la paglia secca.

    Ad esempio era consolidata la certezza che se si seppelliva un gatto vivo sotto la soglia di casa si assicurava la solidità della costruzione, che, in questo modo, avrebbe resistito anche a un terremoto. Per obbedire a questa superstizione, sono stati murati gatti vivi anche sotto la Torre di Londra e sotto la cattedrale di Christ Church a Oxford.

    Uccidere un gatto dopo la mietitura era il sistema migliore per assicurarsi un ottimo raccolto l’anno successivo. Un rimedio infallibile per preservare il bestiame dalle malattie era quello di bruciare vivo un gatto, facendo passare le mucche o le pecore attraverso il fumo. La cenere dei gatti arsi sulle pubbliche piazze veniva conservata nelle case per proteggersi dalla sfortuna.

       33.

    Un intero paese contro i gatti

    Metz è una cittadina nel nord-est della Francia, capoluogo della regione della Lorena. È una suggestiva meta turistica e tra i suoi tesori vi è la cattedrale di Saint-Étienne, con vetrate del 1959 opera di Marc Chagall. Nel 1344, però, la cittadina fu protagonista di una sinistra vicenda legata alla persecuzione dei gatti. In quell’anno, si registrarono molti casi di corea di Sydenham, una sorta di encefalite infettiva nota comunemente col nome di Ballo di San Vito. Ovviamente la colpa del male venne data ai gatti, e così si scatenò una vera e propria caccia al felino. Tutti quelli che si riuscirono a trovare in paese vennero bruciati sulla pubblica piazza. Da quel momento si instaurò una macabra tradizione che durò fino al 1777. Ogni anno, per proteggere la cittadinanza dalle malattie e in ricordo di quell’epidemia debellata grazie all’uccisione degli animali, tredici gatti venivano rinchiusi in una gabbia di ferro e poi bruciati.

       34.

    La caccia alle streghe

    Il 5 dicembre 1484 papa Innocenzo VIII (1432-1492) con la bolla Summis desiderantes effectibus decretò la caccia alle streghe. Sono ben note le nefandezze di quel periodo: si torturava e si bruciava una donna anche solo se aveva i capelli rossi, ritenuti un segno del demonio.

    La persecuzione comprendeva ovviamente i gatti, ritenuti diabolici e quindi degni compari delle streghe. Anche solo dar del cibo a un gatto era sufficiente perché una donna venisse accusata di pratiche diaboliche. Si pensava anche che se non veniva subito praticata un’incisione a forma di croce sulla pelle dei gattini appena nati, questi all’età di sette anni si sarebbero trasformati in streghe. E si diceva che di notte le donne anziane prendessero la forma di gatti neri per andare a succhiare il sangue al bestiame nelle stalle. I gatti, così come le donne accusate di essere streghe, erano condannati a soffrire in modo atroce e venivano perciò giustiziati nei modi più crudeli. Ad esempio venivano chiusi in canestri di vimini e poi sospesi sopra il fuoco.

       35.

    Salvati dai contadini

    L'Europa del Medioevo è stata quindi il teatro di soprusi e violenze inaudite. Bastava un sussurro di sospetto per essere arrestati e torturati, e infine giustiziati con l’accusa di stregoneria.

    È quasi un miracolo che i gatti non siano del tutto scomparsi in Europa, sotto l’implacabile e folle persecuzione cui furono sottoposti. In effetti andarono molto vicino all’estinzione. Sopravvissero grazie alle loro qualità, all’intelligenza e alla capacità di riprodursi piuttosto in fretta. Ma anche grazie all’aiuto provvidenziale dei contadini.

    Le credenze religiose che vedevano il gatto come un essere diabolico erano infatti diffuse soprattutto nelle città.

    Ma nelle campagne, dove la gente toccava con mano la fatica di seminare e poi raccogliere, il micio era ancora tenuto in alta considerazione, perché nemico dei roditori che insidiavano i granai. Nonostante scomuniche, bolle e minacce di supplizi eterni, la Chiesa non riuscì mai a sradicare dal cuore dei contadini l’amore e il rispetto per i gatti. E fu la loro salvezza.

       36.

    Vita dura per il gatto nero

    Simbolo dei gatti perseguitati nel Medioevo è il gatto nero, ritenuto la massima personificazione del male. Purtroppo tali superstizioni esistono ancora oggi e apprendiamo con stupore che i gatti neri sono tra quelli che vengono maggiormente abbandonati. Non solo: le associazioni animaliste riportano che molti tra i gatti investiti dalle auto sono neri e che vengono presi di mira deliberatamente dagli automobilisti, desiderosi di allontanare la sfortuna. Inaudito. Secoli e secoli di simili stupide credenze hanno reso però i mici neri scaltri e guardinghi. Tra i gatti europei, razza che può presentare una moltitudine di colorazioni del mantello, i neri sono quelli più decisi e sanno adattarsi meglio di tutti alle difficoltà.

    È stato rilevato che più della metà dei gatti randagi presenti nelle città, dove la vita è difficile, è proprio di colore nero.

       37.

    False credenze

    Che il considerare un gatto nero iettatore sia una stupidità, lo dimostra il fatto che nei Paesi anglosassoni è vero il contrario.

    Il famoso zoologo inglese Desmond Morris, nel suo libro Catwatching, spiega che è vero che in Gran Bretagna nel periodo della caccia alle streghe i gatti neri erano considerati creature demoniache, ma c’era anche la convinzione che restare illesi dopo averne incontrato uno era segno di straordinaria fortuna. Dal momento che questo avveniva sempre, i gatti col pelo scuro passarono presto a essere considerati dei portafortuna. Ancora oggi nella contea dello Yorkshire la gente è convinta che se un gatto nero entra di buon mattino in camera da letto, la giornata sarà splendida e fortunata. E se a vedere il gatto è una ragazza giovane, significa che presto si sposerà. Esiste infatti il detto: «Quando il gatto di casa è nero, alle ragazze non mancheranno gli spasimanti».

       38.

    I gatti dell’Islam

    Quando, nel VII secolo, la religione islamica iniziò a diffondersi, i gatti, odiati dal mondo cristiano, furono protetti e preservati dai musulmani. Era infatti permesso loro l’accesso alle moschee.

    L’Islam considerava il gatto un animale puro, al punto che l’acqua della ciotola in cui aveva bevuto un micio poteva essere usata anche per le abluzioni rituali. Nel mondo islamico si credeva che i gatti apparissero in sogno alle persone per insegnare loro la musica e che le fusa dei gatti fossero in realtà delle preghiere. Si racconta che Baybars al-Bunduqdari, quarto sultano mamelucco che governò l’Egitto e la Siria tra il 1260 e il 1277, fu uno dei primi a fondare organizzazioni di carità a favore dei gatti randagi, offrendo loro cibo e ricovero.

       39.

    I gatti e il Profeta

    Si narra che Maometto avesse una grande predilezione per i gatti. La presenza di Dio si sarebbe manifestata al Profeta dell’Islam proprio sotto forma di un gatto bianco. La capacità dei gatti di atterrare, anche cadendo da grandi altezze, sempre sulle quattro zampe, deriverebbe da una concessione fatta da Maometto stesso. Un micio, infatti, lo aveva salvato dall’attacco di un serpente velenoso e il Profeta, in segno di gratitudine, avrebbe fatto sì che i gatti cadessero sempre in piedi. Alcuni gatti tigrati presentano sulla fronte strisce di pelo che formano una M. Secondo la leggenda quello sarebbe il punto esatto in cui Maometto accarezzò il primo gatto, e dal quel giorno i mici portano la sua iniziale sul capo.

       40.

    Aria di cambiamento

    Il Rinascimento (seconda metà del XIV secolo-XVI secolo) porta un vento nuovo in tutta Europa. La società, il pensiero filosofico, il concetto di uomo, la religione, le arti: tutto con il Rinascimento viene trasformato, rinnovato, riplasmato sotto l’azione di un nuovo modo di intendere la vita.

    Anche gli animali vengono rivalutati e diventano oggetto di una attenta osservazione scientifica, un po’ come era abitudine nel tempo antico. Ne sono la prova gli studi di Leonardo da Vinci. Gli animali ritratti nei disegni di Leonardo sono ricchi di dettagli anatomici come mai prima di allora si era visto. Gli uccelli, i cavalli e anche i gatti per Leonardo non sono più soltanto soggetti per un dipinto, ma veri e propri territori di indagine scientifica. Scrisse infatti: «Anche il più piccolo dei felini, il gatto, è un capolavoro».

       41.

    Una lenta riabilitazione

    Nel Rinascimento, il gatto torna a essere un animale domestico dopo la brutta parentesi delle persecuzioni.

    Nelle campagne la sua diffusione non è mai venuta meno, e così nel Cinquecento il micio continua a svolgere la sua mansione di cacciatore di topi. Ma anche nei palazzi dei nobili si inizia ad accogliere il gatto per godere della sua compagnia. Diviene il beniamino di poeti e scrittori e molti artisti lo ritraggono nei dipinti. Una lenta rivalutazione felina è in atto. In alcune zone dell’Europa, uccidere di proposito un micio è reato e, in altre, diventa obbligatorio allevare dei gatti nelle tenute agricole, proprio per scongiurare nocive invasioni di roditori. Solo negli ambienti ecclesiastici, ad esempio nei dipinti delle chiese, il micio, sebbene abbia un ruolo marginale, conserva un aspetto minaccioso e nefasto.

       42.

    I primi a pelo lungo

    Nel Cinquecento e nel Seicento, in Occidente, i gatti domestici erano solo a pelo corto. Erano i discendenti dei gatti greci e romani, che a loro volta venivano dall’Egitto. Gatti tigrati, quindi, simili a quelli selvatici africani, i primi ad aver fatto amicizia con l’uomo. Il XVI e il XVII secolo vedono però l’arrivo anche in Europa dei gatti col pelo lungo, provenienti dall’Oriente.

    Pare che il primo gatto d’angora ad arrivare in Italia sia stato importato dallo scrittore ed esploratore romano Pietro Della Valle, vissuto tra il 1586 e il 1652. Della Valle portò con sé dei gatti bianchi dal pelo lungo, di ritorno dalla Turchia. Si dice che il suo progetto fosse quello di fondare un allevamento di questa nuova razza, già diffusa in Francia. I sultani turchi, infatti, erano soliti omaggiare la nobiltà francese regalando gatti d’angora. L’astronomo ed esploratore Nicolas-Claude Fabri de Peiresc fondò un allevamento di gatti dal pelo lungo, che pare avesse come clienti i reali di Francia e il cardinale Richelieu.

       43.

    Contro la peste

    Secondo il professor Donald Engels, i gatti avrebbero potuto salvare l’Europa dalle terribili pestilenze che nel Trecento e poi nel Seicento rischiarono di azzerarne l’intera popolazione.

    Engels spiega che le civiltà classiche, greca e romana, furono immuni per più di un millennio dalla peste. Ciò era dovuto alle efficientissime norme igieniche adottate da greci e romani e all’abitudine di accudire molti gatti nelle città, per tenere lontani i ratti neri, portatori della malattia.

    Nel Medioevo invece l’epidemia prese il sopravvento.

    La peste, che fu detta Morte Nera, ebbe inizio nel 1346 e continuò fino al 1351. In Europa costò la vita a quasi metà della popolazione e dopo il primo scoppio ci furono una serie di epidemie minori, tra cui le più gravi furono quella del 1630, citata anche da Manzoni nei Promessi sposi, e quella del 1656.

    In periodi come questi, i ratti proliferavano nelle città ma non si usavano i gatti per combatterli. Al contrario, qualcuno li incolpava di diffondere le malattie.

    Solo a Londra, durante l’epidemia del 1660 furono uccisi 200.000 gatti e 40.000 cani, ritenuti responsabili del morbo. Nulla si fece invece contro i roditori che riempivano le strade.

       44.

    La prima mostra felina

    A partire dal XVIII secolo, in Europa i gatti cominciano a essere decisamente rivalutati. Merito anche dell’Illuminismo che, rifiutando qualsiasi forma di superstizione, riprende a considerare positivamente tutti gli animali.

    Il gatto diventa un vero e proprio animale da compagnia. La gente lo alleva e lo accudisce, non solo per le sue doti di cacciatore di topi ma anche per l’aspetto fisico, le linee sinuose, la dolcezza dello sguardo.

    Questo sentimento di attrazione per l’estetica felina avrà la sua decisiva consacrazione nell’Ottocento con la nascita delle prime mostre di gatti.

    La prima mostra felina in Europa ebbe luogo nel 1871 nel Crystal Palace, l’enorme costruzione eretta vent’anni prima per ospitare l’Esposizione universale.

    A quella mostra parteciparono oltre trecento gatti, quasi tutti persiani e siamesi, e il successo fu tale che si pensò di organizzarne altre. Il progetto purtroppo fu interrotto dallo scoppio della prima guerra mondiale.

       45.

    Grande fermento anche in Italia

    La prima mostra felina italiana si svolse a Torino nel 1935. Due anni dopo, il dottor Ermando Bruno, insieme ad altri appassionati gattofili, fondò la Federazione felina italiana con lo scopo di promuovere le rassegne di gatti nelle città di Torino, Milano e Firenze. La seconda guerra mondiale bloccò i progetti e gli entusiasmi, ma a conflitto terminato, nel 1946, il dottor Bruno costituì legalmente la FFI e organizzò nel castello del Valentino la prima Esposizione internazionale felina di Torino.

    Nel 1997 la Federazione divenne Associazione nazionale felina italiana (ANFI).

    Si tratta dell’unica associazione che può vantare un riconoscimento da parte dello Stato con decreto ministeriale.

    Seconda Parte

    Come fare amicizia

       46.

    Soltanto una diceria

    Una popolare diceria ritrae il gatto come un animale solitario e asociale. «Si affeziona solo alla casa», dicono: il micio sarebbe quindi incapace di instaurare un rapporto profondo con le persone che lo accudiscono. Niente di più falso. Chiunque abbia un gatto sa bene che questo animale sviluppa con il suo padrone un legame fortissimo. Non solo, ma basta osservarlo con attenzione per rendersi conto che è tutto fuorché asociale.

    Il gatto esprime il proprio stato d’animo attraverso una vasta e complessa gamma di sistemi di comunicazione. Usa infatti gli occhi, i movimenti della coda, dei baffi, delle orecchie, del corpo. Utilizza, inoltre, raffinate marcature olfattive e visive attraverso i graffi lasciati dagli artigli. Niente male per qualcuno che dovrebbe essere asociale, no?

       47.

    Imparare il gattese

    Non è per niente difficile imparare a parlare col proprio gatto. Ci vuole pazienza, molta calma e spirito di osservazione. Il micio è talmente loquace che farà lui la prima mossa. Il suo desiderio di comunicare è infatti grandissimo. Noi dobbiamo solo rimanere in ascolto. Il segreto è non avere fretta e mettersi a sua disposizione. Il gatto capta all’istante se siamo tesi, preoccupati, arrabbiati per qualcosa e può anche decidere di non interagire con noi se non siamo di buon umore. Ma se invece cerchiamo di dimenticare lo stress e ci dedichiamo interamente al nostro animale, anche solo per pochi minuti, il risultato sarà strabiliante: in poco tempo impareremo il gattese, la lingua dei gatti!

       48.

    Una coda con molte funzioni

    Lunga o corta, morbida oppure glabra, la coda del gatto è una sorta di bandiera per lui. È robusta, costituita da un numero di vertebre che può andare da quattordici a ventotto, molto articolate fra loro, in modo che la coda risulti estremamente flessibile.

    La coda svolge molte funzioni. È una sorta di asta di equilibrio che permette al gatto di fare acrobazie sui tetti, ad esempio. È indispensabile nella corsa, nel bilanciamento di un balzo e nel delicato movimento che consente al gatto di cadere sempre con le zampe in avanti. Nel momento del sonno, la coda può diventare come una sciarpa che il micio avvolge attorno al corpo per scaldarsi e ripararsi. Infine, la coda è un mezzo di espressione: il gatto la usa per comunicare il proprio stato d’animo. A seconda di come la tiene o di come la muove si possono capire le sue intenzioni e i suoi desideri.

       49.

    Il linguaggio della coda

    Se il gatto ci viene incontro tenendo la coda eretta e la punta piegata in avanti, ci sta salutando. È ben disposto, in pace e contento di vederci. È rilassato anche se la coda è curva verso il basso con l’estremità che punta in alto.

    Se la coda è tenuta immobile e si muove solo la punta, significa che il micio è irritato. Se invece la coda è bassa, a terra, e con il pelo ritto allora è spaventato da qualcosa. Una coda arcuata e arruffata appartiene a un animale sulla difensiva. Quando il gatto punta la preda, la coda è bassa e rigida. Poi inizia a oscillare a destra e a sinistra, segnale che sta per attaccare.

    Per un micio, scodinzolare non è mai sintomo di simpatia, come accade nel cane, ma di nervosismo, inquietudine, rabbia. Ecco perché, quando cane e gatto si incontrano, all’inizio non si capiscono al volo: lo fanno dopo qualche tempo, quando ciascuno di loro ha imparato la lingua dell’altro.

       50.

    Una questione di colori

    Gli occhi del gatto sono tra le cose che più amiamo di lui. Affascinano, colpiscono, emozionano. La loro forma, il colore, la profondità esercitano su di noi una malia irresistibile.

    Ma i gatti possono distinguere i colori oppure vedono il mondo in bianco e nero? Si deve tenere presente che il micio è un predatore e come tale è specializzato nel cacciare soprattutto all’alba e al tramonto, quindi in condizioni di luce piuttosto scarsa. I colori brillanti, che in quei momenti del giorno sono del tutto assenti, non hanno per il gatto alcuna attrattiva. Invece il suo occhio riesce a cogliere la gamma del verde, del blu e anche parte del rosso.

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