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Io tra bene e male
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E-book351 pagine6 ore

Io tra bene e male

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Info su questo ebook

Anthoine Vithal è un uomo ricco e potente, ma dietro una maschera di cinismo nasconde tutte le fragilità dell’essere umano. Vive rinchiuso nella sua gabbia dorata per sfuggire a un passato che lo ha visto troppe volte mettere in gioco la sua vita, i suoi valori, i suoi sentimenti. Ma l’incontro casuale – anche se nella vita niente avviene per caso – con Andreas lo fa crollare, ponendolo di fronte alla nuda realtà. Anthoine e Andreas, l’uno un uomo di successo, bello, elegante, l’altro un clochard, uno di quelli che hanno deciso di non avere più contatti con la società.
Due scelte di vita così diverse, ma quale la più vera, la più onesta? Anthoine per lungo tempo ha vissuto in modo errato, Andreas ha scelto di essere libero in tutti i sensi, ma soprattutto dentro di sé, e questo gli consente di poter dire all’uomo incontrato per caso: “Ascolta uomo i tuoi occhi tremano, il tuo animo è prigioniero della tua mente, non c’è serenità nel ridere senza gioia…”. Ed è proprio quest’acuta osservazione a far sì che Anthoine intraprenda un viaggio nella sua memoria ripercorrendo la sua adolescenza, la sua gioventù gli errori commessi per amore, fino ad arrivare al carcere. Le riflessioni dell’autore sono quasi un monito per chi legge il suo libro: “Mentire a se stessi è questo il vero segreto della sconfitta”, e quando credi di avere perso anche te stesso, c’è qualcuno che ti ama con tale intensità, per quello che sei, e crede comunque in te e sa attendere, pronto a tenderti una mano, senza fare domande.

Antonio Vitiello nasce a Napoli nel 1963. La sua irrequietezza lo porta a scontrarsi con le innumerevoli contraddizioni di un’intera generazione alla continua ricerca di un equilibrio tra realtà e finzione, in una città orfana di sé stessa. E da questo scontro trae spunto per la sua opera, , attraverso la quale l’autore fa un’attenta e critica analisi di sé stesso ponendo l’accento su valori quali l’amore, la famiglia e l’amicizia come imprescindibili ed essenziali alla vita stessa.
LinguaItaliano
Data di uscita8 ott 2023
ISBN9788830690929
Io tra bene e male

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    Io tra bene e male - Antonio Vitiello

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    Antonio Vitiello

    Io

    tra bene e male

    © 2023 Gruppo Albatros Il Filo S.r.l., Roma

    www.gruppoalbatros.com - info@gruppoalbatros.com

    ISBN 978-88-306-8560-4

    I edizione settembre 2023

    Finito di stampare nel mese di settembre 2023

    presso Rotomail Italia S.p.A. - Vignate (MI)

    Distribuzione per le librerie Messaggerie Libri Spa

    Io

    tra bene e male

    Io. tra bene e male

    Dai vetri del lussuoso ristorante, tenuti aperti per accogliere la leggera brezza della sera che increspava le acque del porto, si udivano le note di un’orchestrina posta su di un palco in un angolo della stupenda sala da pranzo, i profumi delicati dei manicaretti serviti ai tavoli avevano attirato sin lì, Andreas, o Andreas il vagabondo, come simpaticamente lo canzonava la gente del luogo, che così come un cane da caccia con il suo finissimo fiuto scova la preda, così lui aveva raggiunto la sua meta, dove grazie al buon cuore dei camerieri avrebbe rimediato qualche avanzo.

    Andreas aveva un aspetto veramente raccapricciante, la gente al suo passaggio si scansava tamponandosi le narici per non subire il suo odore nauseabondo, fatto di urine stagnanti e di sudore secco, il suo abbigliamento era di quanto più strano e trasandato si potesse mai immaginare, le mani lunghe e affusolate, che avrebbero potuto essere quelle di un chirurgo o di un ottimo pianista, erano unte e ornate di unghia tali da generare invidia in una strega delle favole, i capelli formavano un tutt’uno, un’unica massa amorfa e incolore, il viso era seminascosto dalla lunga barba sporca e incolta, ma in lui c’era qualcosa che stonava, erano i suoi occhi, neri e lucenti che risplendevano fierezza, una fierezza tale che chi mai era riuscito a vincere la repulsione fissando quello sguardo era rimasto colpito dalla loro profondità propria dei grandi uomini. Come al solito aveva raccolto le sue cose, fatte di borse della spesa con le pubblicità di quasi tutti i magazzini del posto, orpelli di una ricchezza da lui rinnegata e ora derisa, riempiendole di quelle cose che un qualsiasi uomo in quella parte del mondo avrebbe definito spazzatura e si sedette con la mitica pazienza di un cercatore d’oro a setacciare la banchina attento ad ogni movimento. Il signor Vithal firmò il conto, qualcun altro sarebbe passato poi a saldare, e uscì dal locale avviandosi verso l’auto dove l’autista l’attendeva con il motore acceso. Stavolta non salì subito in macchina ma ordinò all’autista di aspettarlo, avrebbe fatto due passi, si accese una sigaretta e si incamminò verso la banchina. Chiunque poteva dire di averlo conosciuto lo avrebbe definito un tipo di poche parole ma quella sera era particolarmente cupo. Fece un tiro nervoso alla sigaretta e poi la tirò via con violenza ma cosa crede quella, un figlio, e cosa significa, è sempre la solita storia, appena hai bisogno di una donna, lei si tuffa nel ruolo della infermiera scrupolosa facendosi in quattro per te, ma appena abbassi la guardia si insinua nella tua mente cercando di fiaccarti lo spirito per poi colpirti inesorabilmente. Subito coglie al volo l’occasione e crede di poter fare il colpo grosso e incastrare il suo pollo, due moine, un sorriso e poi te la molla facendoti credere di amarti, e mentre tu sei lì a crearti degli scrupoli ti inonda di lacrime confessandoti di aspettare un figlio, ma la vigliacca finge anche la parte della donna di carattere che non vuole niente da te, che non accetterebbe mai la tua elemosina ma solo il tuo amore, vorrebbe convincerti della sua buona fede, ed invece ha già tutto il piano ben congeniato nella sua testolina, sostituire il suo bel monolocale per venire a vivere nella tua villa, il cappuccino al bar con una colazione a letto servita da camerieri filippini pagati da te, ma cosa crede che io sia arrivato al punto dove mi trovo per poi regalare tutto alla prima stupida arrivista che si infila nel mio letto, crede davvero che io sia così stupido, Cenerentola non esiste è solo una favola inventata per regalare un sogno a qualche povera illusa, i soldi li ho io e me li tengo, ho sudato per guadagnarmeli e di certo non me li faccio fregare come un pollo, se ne trovi un altro da spennare io non ci casco. E poi metter su famiglia che significato avrebbe oggi, una volta il mondo era migliore, si credeva in Dio, si rispettavano le sue dottrine come Dogmi imprescindibili, attribuendogli il segreto della vita e della morte, ma adesso viviamo l’era del possibilismo, le nostre continue scoperte nel campo medico, nelle tecnologie biomeccaniche, nella scoperta del cosmo, ci hanno portato inevitabilmente a sopravvalutarci facendo nascere in ognuno di noi la convinzione che tutto possa essere vinto o superato persino lui e stiamo lentamente costruendo una nuova torre di babele per raggiungerlo, conquistarlo e spodestarlo dal suo trono. C’erano dei valori che erano alla base della vita stessa, la famiglia, l’onestà, l’amicizia, tutte cose tradite per la legge del danaro e adesso gli unici valori che accettiamo sono quelli di scambio. L’amore poi, beh quello adesso lo si può ottenere facilmente collegandosi ad internet con un semplice click, non conviene più impelagarsi in rapporti difficili con donne che hanno confuso l’emancipazione con lo stravolgimento dei ruoli, oggi la loro massima aspirazione è comportarsi da uomo con l’unico risultato poi di finire sul lettino di uno psicoanalista sperando di ritrovare se stesse. E in tutto questo inutile spreco abbiamo ancora la presunzione di credere che basti mettere al mondo del figlio per sentirci genitori, li lasciamo crescere nelle mani di baby sitter sconosciute e poi pretendiamo che ci chiamino mamma e papà, convinti che di aver fatto il massimo per loro, ai quali non resta che rapportarsi con un televisore che abbiamo innalzato a rango di gestore dell’educazione mondiale. Phuà, ma siamo matti, questa non è vita, noi siamo in guerra, gli uni contro gli altri, solo chi si rende invulnerabile, protetto da una corazza di spesso cinismo, armato di micidiale egoismo può pensare di uscirne vincitore, ed io non intendo soccombere, io ne uscirò trionfante.

    Sorrise cinicamente, pienamente soddisfatto di se stesso e si incamminò verso l’auto.

    Anthoine Vithal era quello che si può tranquillamente definire il sogno di tutte le donne, alto un metro e ottanta, bruno, i suoi tratti somatici erano tipici dell’uomo mediterraneo, ma quello che era più importante, era ricchissimo, insomma un vero mito. Di lui si sapeva poco o niente, non frequentava locali notturni a parte la solita cena lì al porto, niente donne, abbigliamento appropriato al suo rango e il più bell’ufficio di Montecarlo. Questo aveva da sempre alimentato strane storie su di lui. Insomma proprio un tipo da favola il nostro splendido Anthoine. Appena vide Andreas un pensiero di disgusto, come se quell’uomo rappresentasse in lui quanto di più orrendo ci fosse al mondo, gli procurò un brivido che attraverso la schiena gli gelò gli arti. Si guardò intorno in cerca di una via d’uscita come se avesse paura di quell’essere e evitando il suo sguardo si portò il fazzoletto di seta al naso cercando di scansarlo. Mi dai qualche spicciolo ricco signore, gli disse il barbone tirando platealmente su con il naso, l’uomo con aria infastidita gli rispose maleducatamente vai a insudiciare l’aria altrove rifiuto umano.

    Andreas per nulla toccato da quelle parole, ormai vi era abituato, lo guardò attentamente negli occhi, l’uomo per un attimo incrociò quello sguardo e come se qualche forza misteriosa lo bloccasse rimase ad osservarlo. Il vagabondo, come se la voce gli venisse dal profondo disse con un tono quasi mistico ascolta uomo, i tuoi occhi tremano, il tuo animo è prigioniero della tua mente, non c’è serenità nel ridere senza gioia, non si possono vivere i sogni di un altro, possedere, raggiungere, tutto è immerso nella nebbia dell’incoerenza, solo il nostro buonsenso, come un faro, ci condurrà verso le spiagge della saggezza.

    Il signor Vithal ebbe un sussulto come se quelle parole apparentemente senza alcun senso avessero avuto l’effetto di un pugno allo stomaco, corse verso la macchina e si rifugiò al suo interno, per sfuggire a quell’uomo e spronò l’autista a partire, la potente autovettura sgommò sull’asfalto liscio e si allontanò. Una volta a casa si impose di non pensare più all’accaduto, e si infilò sotto la doccia. Dopo si sdraiò sul letto e finendo di bere il suo whisky pensò che un bel sonno avrebbe rimesso tutto a posto.

    Quella notte non riuscì invece a chiudere occhio, in lui si scatenarono lotte titaniche tra demoni mostruosi che lo proiettavano in incubi di un passato che credeva ormai morto e sepolto, il sudore che fluiva copioso da ogni angolo del suo corpo sembrava un mare tempestoso contro il quale lottava per non esserne travolto, tutte le armi in suo possesso erano inutili sapeva di dover soccombere e alla fine si arrese a se stesso, quel vagabondo con quelle poche parole era riuscito in un attimo a distruggere tutte le sue difese mettendolo di fronte alla nuda realtà.

    Si alzò barcollando dal letto e raggiunse il bagno, accese la luce, si avvicinò allo specchio e quello che vide lo sconvolse, mi sento così giù da non riuscire più a vedermi, neanche un puntino lontano, sembro un albero avvizzito con i rami spogli, le foglie che avevano adornato di bello la mia esistenza ormai giacciono morte ai miei piedi, devo ritrovare quell’uomo, devo rificcargli in gola tutte le sue cazzate, devo capire perché mi ha detto quelle cose, come si permette di sconvolgermi così l’esistenza, che cavolo mi succede possibile che la vista di un balordo qualunque mi faccia questo effetto e poi quelle parole, chiaramente quelle di un ubriaco, cosa vuoi che ne sappia lui del buonsenso e della saggezza, chissà da chi le avrà sentite, di sicuro da qualche altro sognatore che crede nei veri valori della vita, tutte stupidaggini da slogan comunisti, i veri valori sono racchiusi nella potenza del danaro, solo un uomo ricco può permettersi il lusso di credere nella saggezza e nel buonsenso, ai poveri non è concesso nulla tranne la realtà della sofferenza e dell’impotenza. Sembrò riprendere un po’ padronanza di se stesso, cosa crede di essere solo un mucchio di carne sporca mal organizzata che sputa sentenze su persone che nella vita hanno realizzato qualche cosa e non come lui che vive come un parassita contentandosi di avanzi, io invece me la sono sudata, ho sputato sangue per ottenere quello che ho e non lo dividerò con nessuno, dove era lui quando lottavo anche per un semplice sorriso, quando i miei diritti erano calpestati da chiunque, no non tornerò quello di prima con una slot machine al posto del culo dove tutti potevano fare la loro giocata e chi vinceva si portava a casa il mio orgoglio come jackpot.

    La rabbia montava come onde in un mare in burrasca, sudava freddo e i peli sulle braccia erano così irti da sembrare chiodi. Come un ossesso cercò di sfogarsi su qualsiasi cosa gli capitava a tiro, prese a calci un divano scagliò un lume contro una parete e si procurò un graffio rotolandosi a terra come in una lotta contro un nemico invisibile, ansimava ma non riusciva a placarsi. Come guidato da una forza interiore raggiunse il suo studio, continuava ad imprecare scagliando contro Andreas tutte le sue maledizioni, giurando a se stesso che se l’avesse avuto tra le mani l’avrebbe ammazzato, alla fine si accasciò sulla poltrona e rimase immobile a fissare i cassetti della scrivania, nel suo sguardo c’era la stessa follia mistica di un fanatico che osservi una reliquia del suo Dio. Le mani si mossero senza che il suo cervello avesse elaborato il movimento, ne aprì uno con lentezza quasi a inscenare un rituale, come se in quel momento stesse per profanare una tomba sacra e fissò immobile il contenuto. Il suo sguardo fu catturato da un quaderno consunto e logoro, lì dentro c’era custodito il suo più acerrimo nemico, il suo passato. Un passato che aveva cercato con tutto se stesso di seppellire e dimenticare ma che adesso ritornava prepotentemente in vita chiedendo vendetta e così come un condannato a morte manda giù l’ultimo ansito di paura e pone la testa nel cappio, così girò la copertina. Era la sua raccolta di poesie, scritte con il sangue e la rabbia dei suoi vent’anni colpiti al cuore da chi gli aveva donato tutto se stesso. Frasi gridate contro chi si era cibato, come uno sporco avvoltoio, dei resti della sua ingenua visione di un mondo fatto di giustizia e rispetto, ma c’erano anche grida silenziose di aiuto rivolte a orecchi resi sordi dall’ipocrisia.

    Scorse le prime righe e un mare di lacrime gli inondò il volto St’uocchie creature songo munete rint e mane e na vita carogna, l’ammore è na carta, na vota vence e na vota perde. O core mio nun vence mai e rifonde lacrime e sofferenza.

    Richiuse lentamente il prezioso quaderno e si alzò. Si rivestì e andò in garage, mise in moto la macchina e si avviò lentamente in cerca del suo amico. Come è strana la vita pensò pochi attimi fa lo avrei ammazzato e adesso scappo da lui come un innamorato verso il primo appuntamento con l’amata. Il pontile era ormai un luogo vuoto e buio, con la chiusura dei locali, data l’ora tarda, la vita era scomparsa lasciando il posto all’irrealtà, il buio faceva da colonna sonora ad uno scenario fiabesco. Le barche, sagome paffute e dondolanti che si lasciavano accarezzare dalle acque, sembravano strani ippopotami, intenti a crogiolarsi nella frescura delle acque, un gabbiano che ancora sorvolava la banchina in cerca di cibo, sembrava un avvoltoio che scruti in cerca di carogne, le luci della costa come miriadi di lucciole contribuivano a regalare misticità, come è strano e bizzarro tutto questo pensò per un attimo Anthoine, fino a poche ore fa mi sentivo padrone del mondo, capace di distruggerlo o modificarlo solo se mi andava, adesso mi ritrovo a fissare a bocca aperta, come un bimbo al luna park, atterrito davanti a tanta bellezza. Eppure sono sempre io, gli stessi occhi, le stesse mani, cosa è cambiato? Come è stupido l’uomo costruisce castelli con la propria presunzione e si rifugia in un angolo al primo soffio di vento. Si riscosse e continuò a cercare, cavolo eppure deve essere ancora qui, dove poteva mai andare uno come lui, già che stupido, dove potrebbe andare uno come lui, uno come lui è padrone del mondo, la sua dimora è dovunque perché in nessun dove c’è la sua dimora, la nostra stupidità ci porta ad avanzar pretese su di un piccolo spazio, quando potremo possedere il mondo intero, noi che ci definiamo forti, non siamo altro che stupide creature impaurite bisognose di costruirci quattro mura dove rintanarci per sfuggire alle insidie della vita, la vastità del mondo ci fa paura e così lo recintiamo convinti di averlo ridotto, la natura con le sue bellezze ci spaventa e così prosciughiamo fiumi e demoliamo montagne per poi ricostruirle artificialmente, con l’unico scopo di creare frane e catastrofi, sterminiamo gli animali e le piante per poi riempirci gli appartamenti con costosissime piante artificiali e cimiteri faunistici fatti di crani cornuti e tappeti pelosi, quanta stupidità a buon mercato. Sono i tipi come lui che hanno ragione di vivere, il loro coraggio è solo frutto del gran rispetto che hanno per ciò che li circonda e noi invece di imparare a vivere da loro li allontaniamo come se fossero appestati, si sono proprio uno stupido. Ad un tratto il suo sguardo fu attratto da un movimento, non molto lontano da lui quello che credeva fosse un mucchio di rifiuti si animò e da sotto venne fuori un piccolo cagnolino, era tutto sporco e arruffato, teneva tra i denti una busta e la stava contendendo con qualcuno.

    Anthoine si avvicinò e ad un tratto quel qualcuno si alzò buttando per aria il ricovero di fortuna che si era organizzato e lo riconobbe, era Andreas. Restò impietrito ad osservare la scena, ingoiò per mandar giù un groppo in gola che quasi lo strozzava, le mani gli sudarono all’improvviso e le gambe gli sembravano piloni di cemento ai quali qualche cosa lo aveva ancorato. Continuava a guardare quei dei due che come in un parco giochi immaginario giocavano immersi tra i rifiuti, niente gli procurava fastidio neanche la puzza erano un tutt’uno fatto di amicizia e complicità, guardarli procurava un senso di profonda inutilità, quanti soldi e energie spendiamo per trascorre qualche attimo di relax, a quanti compromessi sottostiamo e quante arroganze commettiamo solo per parcheggiare l’auto o per una poltrona in prima fila, ed invece guarda lì, quanta felicità solo a volerla e senza prevaricazioni o rinunce, pura vita allo stato brado, la vera essenza della realtà. Ad un tratto Andreas smise di giocare con il cagnolino e fissò la figura che li osservava, il suo volto per quanto possibile, la barba e i folti capelli nascondevano completamente i suoi lineamenti, sembrò trasformarsi, una smorfia di tremendo turbamento lo attraversò e inveì contro Anhoine.

    Ehi tu, cosa vuoi? Gli gridò contro cerando di afferrare il cagnolino, come per difenderlo. Cosa sei venuto a fare qui. Da come sei vestito sembri uno di quegli stupidi ricconi che prima si riempiono di champagne e poi vengono a rilassare la loro prostata per le strade di notte, ruttando come maiali per poi rivederli la mattina dopo tutti lindi e profumati che storcono il naso per un po’ di vento. Lasciami in pace lo spettacolo è finito, sono a disposizione per farmi offendere tutto il giorno ma la notte si chiude e pretendo la mia privacy, così dite voi se non sbaglio.

    Anthoine sarebbe voluto sparire, aveva ragione lui perchè sono venuto sin qui, cosa credevo di fare, con quale arroganza vengo a turbare quest’uomo che chiede solo di essere lasciato in pace, mi starebbe bene se mi prendesse a calci. Osservò l’uomo per un ultimo istante e si voltò, riuscì solo, con la voce strozzata a balbettare uno Scusami non volevo importunarti ero solo venuto per parlare un po’ con te. Mi chiedi scusa, pazzesco, sei da manicomio amico, stai attento l’educazione mina i tipi come te, finiresti col diventare umano, e poi vorresti parlare con me? E di cosa, cosa può aver da dire un signore come te ad un pezzente come me. Nella sua voce c’era astio e ironia, disse quel signore facendo sembrare la parola una bestemmia e sputando in terra dimostrò tutta la sua contrarietà a quell’incontro. Se sei ubriaco amico vai a smaltire altrove, lasciami in pace siamo carte di mazzi diversi, non può esserci nulla tra noi se non calci e sputi. Il vagabondo tirò a sé il cagnolino e fece cenno di rimettersi a dormire. Ci siamo incontrati fuori del ristorante ieri sera, ti ricordi? Mi feci coraggio e mi avvicinai, avevo bisogno di lui, ma non di lui fisicamente, sapevo che solo con le sue parole, solo la sua umiliante sincerità mi avrebbero dato la possibilità di denudarmi completamente l’anima vedendo chiaramente in me stesso. Molto tempo fa fu uno come lui, a cui dannazione devo tutto e del quale mi ero completamente dimenticato fino a poche ore fa, a farmi rendere conto di quante possibilità dispone un uomo se la sua mente è serena se nel suo animo non c’è menzogna, se riesce ad essere completamente sincero con se stesso. Ad un uomo così niente può far paura, e tutto diventa più raggiungibile persino la felicità. Mentire a se stessi è questo il vero segreto della sconfitta come persona e come essere umano, sembra difficile a credersi ma è molto più facile essere sinceri con gli altri che con se stessi, diamo più valore al giudizio degli altri che a quello della nostra coscienza, ci crediamo in grado di poter gestire quella voce di dentro, il nostro io, fargli dire quello che più ci aggrada, ma sbagliamo inesorabilmente. Il tuo migliore amico, tua moglie, persino i propri figli, potranno condividere con te tutto ma non potranno mai essere dentro di te, seguirti dovunque, non si può sfuggire in nessuno modo al giudizio della propria coscienza, e quando credi, illudendoti, di averla uccisa annegandola nel mare della stupidità, eccola riaffiorare e colpirti inesorabilmente come il più infallibile dei killer, lasciandoti raccattare i pezzi di un’esistenza goffa e squallida. Ricordarmi di te che cosa buffa, chi credi di essere, davvero credi di poter creare in me dell’interesse perché io debba ricordarmi della tua sporca faccia. Vi vedo a migliaia girarmi intorno guardandomi come un fenomeno da baraccone, sputarmi addosso e poi ridere con le facce da maiali rosse che sembrano scoppiare. Ma anche se volessi non riuscirei a distinguervi l’uno dall’altro, siete fabbricati in serie, tutti uguali prodotto della vostra stessa stupidità e la vostra folle paura della realtà vi induce a ghettizzarvi nel vostro mondo dorato, no non mi ricordo di te e mi dispiace per te perché forse in te è vissuto un giorno un uomo, ritrovalo riportalo da te, non è di me che hai bisogno ma di quello che ti sei lasciato dietro, quello che credendo fosse un peso che non ti lasciasse volare l’hai abbandonato in qualche vicolo della tua esistenza, ma non perdere le speranze se veramente lo vorrai lo ritroverai, va adesso lasciami in pace e ritorna da dove sei venuto, ripercorri i tuoi passi e ritroverai la strada.

    Andrehas tacque, si girò e si ricoprì con le sue coperte di cartone, tutt’intorno fu silenzio, un silenzio irreale, il cagnolino mi venne vicino annusando l’aria, fiutò le mie scarpe ci girò intorno e alzando la zampetta vi urinò sopra, lo guardai senza muovermi e vidi anche lui scomparire accanto al suo padrone, sorrisi e pensai adesso è tutto a posto mi ha anche benedetto. Ritornai alla macchina e in quel preciso istante seppi cosa fare, devo ritornare, devo ritrovare me stesso, laddove tutto ebbe inizio, nella mia città, la mia Napoli. Stranamente quella decisione con tutta la sua drammaticità sembro sollevarlo e sorridente si preparò ad affrontare la nuova sfida. La lussuosa Mercedes avanzava lenta, il nuovo giorno esplodeva nei magnifici colori del mattino ammantando di misticità lo stupendo scenario di una Montecarlo sonnacchiosa. Le costose imbarcazioni, si dondolavano pigramente nel porto ostentando tutta la ricchezza dei loro padroni. Dal finestrino posteriore dell’auto Anthoine Vithal, semi nascosto dalla sfumatura del cristallo blindato, lanciò un’occhiata alla piazza del Casinò, gli operosi giardinieri erano intenti alla cura delle aiuole, quante volte era già passato di lì non degnando di uno sguardo quei piccoli esseri, così li definiva lui, ma adesso li vedeva sotto un’ottica diversa, quella fitta nebbia che fin lì gli aveva impedito di vedere ora si diradava dandogli la possibilità di capire quanta umana soddisfazione c’era nei piccoli gesti di quegli uomini, i loro volti assorti ma felici gli chiarivano senza ombra di dubbio che senza di loro il mondo stesso non potrebbe esistere, altro che il potere dei potenti, e la gente comune che rende il vero significato alla parola vivere. L’auto frenò quasi impercettibilmente all’ingresso di un lussuoso condominio.

    L’autista in perfetta livrea si apprestò, con estenuante flemma ad aprire la portiera per far scendere il passeggero mantenendo una rigidità quasi comica, sembrava un manichino da esposizione, Anthoine scendendo dall’auto ringraziò il suo autista, che per poco non finiva lungo disteso per l’emozione, ma cosa gli succede prima mi chiede gentilmente di accompagnarlo in ufficio e poi mi ringrazia per avergli aperto la portiera, strano forte, fino a ieri se solo avessi starnutito senza permesso mi avrebbe cacciato a pedate, chi li capisce sti ricchi, di sicuro ieri avrà alzato il gomito, poi ritornò in macchina borbottando. Nell’androne del palazzo il portiere, una persona di mezza età, tracagnotto ma dall’aria molto professionale, con un perentorio cenno ordinò al ragazzo di aprire le pesanti porte a vetro e chiamare l’ascensore. Anthoine si avvio nell’atrio e rivolse un sorriso al ragazzo dell’ascensore che sembrò sgonfiarsi tanto era impettito e balbettando per l’incredulo gesto rivolse il suo buongiorno. Le costose scarpe italiane galleggiavano sulla moquette appena pulita, la soffice stoffa dell’impeccabile abito sembrava fluttuare nell’aria e gli eleganti occhiali cerchiati d’oro si armonizzavano perfettamente con lo splendido volto di Anthonie, fino al giorno prima c’era quel qualcosa in lui proprio delle persone scostanti che sconsigliava chiunque di violare il suo silenzio fatta eccezione per un Buongiorno Signor Vithal, ma in lui adesso c’era qualche cosa di diverso, era più umano, più raggiungibile. L’ascensore si fermò all’ultimo piano aprendo le porte su di un magnifico panorama da dove, attraverso delle immense vetrate si godeva la vista dell’intero principato.

    I pavimenti erano coperti da costosi tappeti di rara fattura e dovunque suppellettili e quadri di valore. Sul piano c’erano solo due porte, ne varcò una uscendo dall’ascensore e scomparve dietro di essa. Posò la borsa su di una poltrona e sedette dietro l’enorme scrivania. L’ufficio era arredato con gusto ma non c’era quel senso di partecipazione tra lui e tutto il resto, niente gli apparteneva veramente a parte la firma su fatture d’acquisto, acquisti che erano stati commissionati con distaccato interesse a qualche architetto zelante e ora archiviate con cura da segretarie sconosciute o quasi, tutto ciò fino ad allora gli era stato indifferente ma adesso lo riempì di disagio come se si trovasse per la prima volta lì e questo gli procurò un senso fastidioso di nausea. In quel momento la porta in un lato dell’ufficio si aprì e la signorina Piercie si diresse verso la scrivania. I capelli di un biondo naturale erano raccolti con severità sul piccolo capo, il tailleur, di un grigio noioso, nascondeva perfettamente il corpo della giovane donna, gli occhiali di osso davano al suo sguardo un aspetto severo ma allo stesso tempo stupido anche se la luce negli occhi faceva intuire che la stupidità era solo un’illusione. Avanzò e rigida come una guardia svizzera si fermò da un lato della scrivania poggiando i giornali ordinatamente.

    Buongiorno Signor Vithal, le faccio portare la colazione? Lui continuava a fissarla e come se la vedesse per la prima volta parlò senza quasi accorgersene buongiorno Camilla volevo scusarmi per ieri, sono stato proprio un cretino, la ragazza ebbe un sussulto ma seppe trattenersi non riusciva a capire quelle parole. Erano ormai otto anni che lavorava per lui, mai un’assenza, mai una dimenticanza, sempre pronta a soddisfare tutti i suoi ordini, sempre al suo fianco, non aveva mai chiesto niente e lui l’aveva sempre ripagata con distacco e una freddezza tale da gelare anche il più crudo dei cuori, la trattava bene economicamente con lui aveva fatto il cosiddetto salto di qualità, ma mai nessuna libertà o confidenza, niente. In un attimo ripensò al loro primo incontro, quelle parole tanto attese quanto inaspettate l’aveva proprio spiazzata. Era stata una ragazza giovane e bella, aveva un ragazzo degli amici e una vita normale, ma quando ebbe davanti a sé quegli occhi, quando udì quella voce, fu come catturata da una forza sovrumana, una forza che, vincendo la sua razionalità che cercava di difenderla implorandole di scappar via, gli impose di donare a quell’essere cinico e stupendamente enigmatico tutta la sua esistenza. L’amava con tutta se stessa di un amore carico di angoscia e dolore, un sentimento del quale non riusciva, come una droga, a farne a meno. Non sapeva nulla di lui, tranne che era tra gli uomini più potenti del mondo, ma quello era il presente, il passato invece era avvolto nel mistero più totale. Mai una telefonata, un gesto che non fosse legato all’attuale, sempre sotto controllo, come un attore che reciti una parte scritta apposta per lui. Tranne quella notte, quando fu svegliata dal telefono, alzò il ricevitore ed una voce, che subito riconobbe, gli ordinò di raggiungerlo in ufficio. Vi si recò senza porsi domande e lo trovò riverso sul divano tutto ricoperto di sangue. Lo implorò di accompagnarlo in ospedale ma lui grugnendo dal dolore gli ordinò di tacere e lei gli ubbidì. Lo portò a casa sua sistemandolo nel suo letto e restò lì. Nelle notti di delirio cercò di dare un senso a quelle parole, parole sussurrate sotto la pressione del dolore, ma non avevano senso per lei, tranne una, un nome di donna Maria Quanta rabbia, la gelosa ossessività che ogni donna prova nel sentire dall’uomo che ama pronunciare il nome di un’altra l’aveva indotta a dare tutta se stessa per conquistarlo, era lei a meritarselo e non quella, lei aveva rinunciato a tutto per lui, e all’inizio sembrò riuscirci. Seppe condurlo a lei con passione ma senza strafare, lo avvolse nella sua dolcezza e si abbandonò a lui offrendogli la sua femminilità, ma fece un errore scambiando la debolezza di un uomo ferito con un sentimento che non avrebbe mai trovato posto in quel cuore reso duro come pietra da chissà quale passato, sbagliò nel confidargli i propri sentimenti, i propri sogni e le proprie debolezze, e sbagliò ancora fino al punto di credere che anche lui l’amasse, ma i suoi sogni sono stati infranti nel peggiore dei modi.

    La sera prima erano nel loro letto nudi e ancora caldi di sesso, non era mai stata così felice, due giorni prima era stata a ritirare le analisi e aveva avuto la splendida notizia, aspettava un figlio da lui, era qualcosa troppo più grande di lei, aveva bisogno di condividerlo con qualcuno e quel qualcuno era lui, il suo amore, ma si sentiva nervosa e aveva paura di rovinare tutto, ma poi si fece forza e lo baciò teneramente fissandolo negli occhi Oh amore mio aspetto un figlio lo disse con un filo di voce, sussurrando come se quelle parole fossero l’essenza della vita stessa, ma la reazione di lui fu tremenda, più forte di una pugnalata, più tragica della morte, lo vide mutare espressione, la dolcezza lasciò il posto alla rabbia, si alzò dal letto raccolse le sue cose e se ne andò, senza una spiegazione. Aveva pianto di disperazione tutta la notte, ma poi aveva deciso che era colpa sua, aveva creduto che il suo sogno potesse avverarsi e lui l’aveva rimessa con i piedi per terra. Era uscita di mattina presto, e come tutte le mattine si era recata al lavoro, nessuno l’avrebbe più toccata, nessuno si sarebbe più accomodato nel suo cuore. Le parole dell’uomo la risvegliarono come da un trance, casa c’è Camilla non stai bene, andiamo a fare colazione al club ti prego devo parlarti, ma signore non è mai succ… ti prego non chiamarmi signore, lo so sono stato un farabutto ma non disprezzarmi, capirai che non lo merito, d’accordo rispose ma dovette girarsi per evitare che lui vedesse le lacrime che le riempivano gli occhi. Arrivati al club ordinarono un caffè e Anthoine parlò con molta calma e le disse parto per un lungo viaggio non so quando ritornerò, lei ebbe un fremito di paura, non ti rivedrò più? la voce era rotta dall’angoscia, lui la guardò intensamente e poi prendendole il viso tra le mani le disse con voce calma e profonda stai tranquilla Camilla abbi fiducia in me e al mio ritorno capirai, ho capito che anch’io ti amo, ma purtroppo dentro di me c’è qualcosa che non mi permette di essere felice, devo svelare dei dubbi che mi porto dentro da troppo tempo e poi tornerò da te.

    Camilla si impietrì, tutto scomparve, il club, i rumori, la gente, niente aveva più senso, quelle mani racchiudevano tutto il suo mondo, il vero significato della sua vita e quell’uomo fin lì sconosciuto con poche parole l’aveva fatta sua totalmente anch’io ti amo aveva perso ogni speranza e adesso invece, si l’avrebbe aspettato qualunque ragione nascondesse il suo viaggio, sarebbe stata sua o di nessun altro, ingoio le lacrime che si affollavano nei suoi occhi e alzando lo sguardo gli riuscì di dire solo Io sarò qui e ti aspetterò per sempre, conta su di me.

    L’aereo procedeva senza sussulti e tra i passeggeri regnava la calma più totale a parte un gruppo di ragazzi che non riuscivano a placare la loro irruenza, ridevano di tutto e canzonavano chiunque si parasse davanti ai loro sguardi, ma nessuno si lamentava anzi sembrava che tutti gradissero quel sorso di realtà riuscendo così ad allentare la tensione del volo. La voce dall’interfono, calma e pacata del pilota annunciava che erano iniziate la procedura di atterraggio per l’aeroporto di Parigi, anche i ragazzi si placarono e come

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