L'ospite di Dracula e altri racconti
Di Bram Stoker
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Info su questo ebook
Bram Stoker
nacque a Dublino nel 1847 e vi morì nel 1912. Oltre a Dracula, universalmente considerato il suo capolavoro, scrisse numerosi altri racconti e romanzi, tra cui vanno almeno ricordati Il mistero del mare (1902), La dama del sudario (1906) e La tana del Verme Bianco (1911).
Bram Stoker
Bram (Abraham) Stoker was an Irish novelist, born November 8, 1847 in Dublin, Ireland. 'Dracula' was to become his best-known work, based on European folklore and stories of vampires. Although most famous for writing 'Dracula', Stoker wrote eighteen books before he died in 1912 at the age of sixty-four.
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Anteprima del libro
L'ospite di Dracula e altri racconti - Bram Stoker
625
+Titoli originali: Dracula’s Guest, The Squaw,
The Burial of Rats, The Judge’s House
Traduzioni di Riccardo Reim
© 1993, 2024 Newton Compton editori s.r.l.
Prima edizione ebook: aprile 2024
ISBN 978-88-227-8751-4
www.newtoncompton.com
Edizione elettronica realizzata da Punto a Capo, Roma)
Bram Stoker
L’ospite di Dracula
La squaw, Il funerale dei topi,
La Casa del Giudice
A cura di Riccardo Reim
Edizioni integrali
OMINO-1.tifNewton Compton editori
Introduzione
Nota biografica
L’ospite di Dracula
La squaw
Il funerale dei topi
La casa del giudice
Introduzione
Bram Stoker affermò che l’idea definitiva di Dracula gli venne da un incubo causato da una scorpacciata di gamberi in insalata in compagnia dello studioso ungherese Arminius Vambery, docente di Lingue Orientali all’università di Budapest: addormentatosi, sognò un vampiro che sorgeva dalla tomba per recarsi a compiere i suoi orribili misfatti. Ma come osserva giustamente Leonard Wolf, «il sogno di un inglese non basta a costruire un capolavoro della narrativa»¹, e infatti Stoker, proprio sotto la guida di Vambery, si era documentato con scrupolosa pignoleria su tutto quanto poteva servirgli per «costruire» (il termine è quanto mai pertinente: non bisogna dimenticare che si era laureato in matematica al Trinity College di Dublino) il suo romanzo, trascorrendo giorni e giorni a consultare i libri e le mappe del British Museum: le autentiche tradizioni del folklore sui vampiri, un personaggio dalla fama sinistra realmente vissuto circa quattro secoli prima – Vlad Dracul detto anche Vlad Tepes l’impalatore² – e infine «uno dei luoghi più selvaggi e sconosciuti d’Europa»³ dove potere, in modo attendibile, ambientare il tutto: la Transilvania, «la terra oltre la foresta», nido di ogni superstizione, «racchiusa nel ferro di cavallo dei Carpazi, quasi fosse il centro d’un vortice dell’immaginazione»⁴.
Dracula è l’ultimo grande romanzo gotico, un genere le cui fondamenta erano state gettate nella letteratura inglese da autori come Horace Walpole (The Castle of Otranto)⁵, Ann Radcliffie (The Mysteries of Udolpho, The Italian)⁶, Matthew G. Lewis (The Monk)⁷, Charles Robert Maturin (Melmoth the Wanderer)⁸; anche il filone vampiresco vantava precedenti abbastanza cospicui: The Vampire di John William Polidori⁹, Varney the Vampire di Thomas Peckett Prest¹⁰ e soprattutto Carmilla dell’irlandese Joseph Sheridan Le Fanu, una delle più belle storie di vampiri che siano mai state immaginate, pubblicata nel 1872 nella raccolta di racconti neri In a Glass Darkly. Stoker la lesse e ne rimase letteralmente folgorato, tanto che decise di scrivere le proprie opere ispirandosi a quelle di Le Fanu. Nacque in questo modo Dracula’s Guest (ma Stoker non gli diede mai né questo né un altro titolo), che poi il suo autore, insoddisfatto, rinnegò seppellendolo in un cassetto perché lo riteneva, a dire il vero non a torto, troppo pedissequo all’originale. Rinunciò così a usare quelle pagine come primo capitolo del romanzo che aveva in mente e cambiò metodo, optando per l’espediente più nuovo e scattante del diario a molte voci – dove ognuno racconta la propria storia o quella di un altro – in «un fitto gioco di rimandi, di specchi destinati a non lasciare, almeno nelle intenzioni, nessun angolo buio»¹¹ – inframmezzandolo, per di più, con lettere, biglietti, ritagli di giornali, in un montaggio spesso molto felice e riuscito al quale il libro deve senz’altro gran parte della sua fortuna.
«Mio caro, è splendido, molto al di sopra di quanto hai scritto fino a oggi. Sono sicura che ti situerà parecchio in alto tra gli scrittori della nostra epoca. Nessun libro dopo il Frankenstein di Mrs. Shelley, nessun altro libro si avvicina al tuo per originalità, o per la capacità di suscitare terrore»¹². Queste parole venivano scritte nel 1897 dall’anziana signora Charlotte Stoker a suo figlio Bram in occasione della pubblicazione di Dracula, e bisogna dire che poche volte un legittimo orgoglio di madre si è rivelato più esatto e lungimirante: Dracula era davvero un capolavoro, «un capolavoro del genere se non un capolavoro letterario»¹³, ma comunque un capolavoro, il cui successo era destinato a durare e a crescere nel tempo, al punto da bruciare – si è tentati di dire «vampirizzare» – il suo autore, divenendo una sorta di prodotto a sé stante. Certo, Stoker non aveva mai scritto e non scrisse mai più nulla di nemmeno paragonabile a Dracula: oggi romanzi come The Jewel of the Seven Stars, The Lady of the Shroud o The Lair of the White Worm¹⁴ sono letti soltanto dai più accaniti cultori del fantastico; anche i suoi racconti, definiti da un esperto come Stephen King «assolutamente magnifici»¹⁵, sono difficilmente reperibili perfino in lingua inglese e quasi del tutto ignorati.
Eppure proprio nei racconti (pubblicati postumi a cura della vedova nel 1914)¹⁶ Stoker si conferma ancora una volta un abilissimo manipolatore di trame e un grande creatore di macabre atmosfere: si veda, per esempio, The Squaw, con la sua tetra descrizione della stanza delle torture nella Torre di Norimberga e quel demoniaco gatto nero assetato di vendetta e di sangue, o The Burial of the Rats, dal ritmo incalzante e allucinato, di taglio quasi cinematografico, curiosamente memore, si direbbe, di certe atmosfere di Hugo e Sue, o The Judge’s House, raffinato puzzle dell’incubo, un pezzo che Stevenson o Walter Scott non avrebbero certo rinnegato… E si veda, vera perla per amatori, Dracula’s Guest, quello scampolo di cui l’autore non seppe mai cosa fare, dove la figura del pallido Conte incombe come un fantasma tra lupi dagli occhi fiammeggianti e sepolcri scoperchiati: completamente autonomo e delizioso a leggersi col «senno del poi», citatissimo ma praticamente sconosciuto, Dracula’s Guest ha da sempre avuto il buffo e ingrato destino delle edizioni fuori commercio o numerate, o delle antologie riservate agli appassionati del genere: per dirne una, nel 1925, in occasione della duecentocinquantesima replica della versione teatrale di Dracula al Prince of Wales Theatre of England, gli spettatori si videro consegnare a mo’ di cadeau una strana busta sigillata «da non aprire prima della fine del terzo atto»: dentro c’era una copia di quel primo, pressoché inedito capitolo, preceduta dal volo di un pipistrellino a molla di carta nera.
Riccardo Reim
11 Leonard Wolf è uno dei maggiori studiosi del mito di Dracula come personaggio storico e letterario, al quale ha dedicato il bellissimo A Dream of Dracula, oltre al saggio commento The Annotated Dracula (trad. it. Bram Stoker, Dracula, edizione annotata da Leonard Wolf, Longanesi & C, Milano 1976).
22 Il nome deriva da «Dracul», usato dai contemporanei per designare il padre di Dracula, Vlad II, della principesca famiglia dei Basarab. Sull’origine di questo soprannome esistono due versioni: la prima associa «Dracul» con il diavolo («drac» in romeno significa «diavolo» e il suffisso «ul» è l’articolo determinativo che viene aggiunto in fine di parola); la seconda sostiene invece che l’epiteto deriverebbe dalla parola «drago», in quanto l’imperatore Sigismondo di Lussemburgo insignì Vlad II dell’ordine del Drago durante una cerimonia che ebbe luogo a Norimberga nel 1431. Tra gli obblighi imposti da quest’ordine figurava anche quello di portare sempre su di sé l’insegna del Drago. Essendo il drago simbolo di Satana, il popolo romeno avrebbe dunque chiamato Vlad II «Dracul». Il figlio di Dracul, Vlad III, avrebbe semplicemente ereditato il soprannome del padre. «Dracula» appartiene alla categoria dei nomi romeni terminanti in «ulea»: «Dracula», o più correttamente «Draculea», significa «figlio del diavolo». Vlad III o Vlad Tepes detto l’Impalatore («tepes» in romeno significa «palo») fu un sovrano, sembra, abile e illuminato, ma anche un uomo dalla fama sinistra, crudele e senza scrupoli. Fu voivoda della Valacchia, che governò brevemente nel 1448, poi dal 1456 al 1462 e infine per due mesi nel 1476. L’impalamento era il suo metodo preferito per procurare la morte. In una stampa dell’epoca (metà del sec. xv) lo si vede assiso a banchetto in mezzo a una cerchia di impalati. Sulla figura storica di Vlad III e sul suo tempo si veda l’ottimo saggio di Radu Florescu e Raymond T. Mc Nally Dracula: a Biography of Vlad the Impaler 1431-1476, New York 1973 (trad. it. Dracula: Biografia del principe rumeno Vlad l’Impalatore, 1431 / 1476, Cappelli, Bologna 1976).
33 Bram Stoker, Dracula, cap. I.
44 Vedi nota 3.
55 Il romanzo venne pubblicato il 24 dicembre 1764 (ma il frontespizio reca la data 1765).
66 I due romanzi vennero pubblicati, rispettivamente, nel 1764 e nel 1797.
77 Il romanzo venne pubblicato nel 1796.
88 Il romanzo venne pubblicato nel 1820.