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Rock Island
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E-book200 pagine2 ore

Rock Island

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Info su questo ebook

Un aereo precipita in un punto imprecisato della costa dell’Indonesia. Gli unici quattro sopravvissuti allo schianto si rifugiano su una piccola isola deserta, in attesa dell’arrivo delle squadre di ricerca. Nel frattempo, però, iniziano ad accadere dei fatti strani, che spingono i naufraghi a temere di non essere soli sull’isola. La situazione si complica quando decidono di ripararsi su una barca in avaria che si è arenata nei pressi della scogliera, ma una specie di tricheco gigante impedisce a chiunque di avvicinarsi.

LinguaItaliano
EditoreBadPress
Data di uscita20 mar 2024
ISBN9781667471600
Rock Island

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    Anteprima del libro

    Rock Island - Esteban Navarro Soriano

    A Ester

    A Raúl

    A te

    Capitolo 1

    Ricordo una voce di donna che mi chiedeva l’ora. Mi girai per risponderle e quella fu la prima volta in cui la vidi. Erano le dieci di sera del terzo venerdì di novembre, sei settimane dopo che avevo deciso di recarmi a Ho Chi Minh.

    «Sì, certo» balbettai, lievemente nervoso. «Mancano quattro minuti alle dieci» risposi, abbozzando un impercettibile sorriso.

    «Vai anche tu in Vietnam?» mi chiese lei.

    La ragazza mi rivolse uno sguardo in parte curioso, in parte cinico. Era come se fosse sorpresa di vedermi alla stazione, ma al contempo si prendesse gioco di me. Mi venne in mente che mia madre mi aveva fatto la stessa identica domanda, quando le avevo parlato del viaggio, qualche settimana prima.

    «Mamma, parto per un viaggio.»

    «Un viaggio? Dove, figliolo?»

    «In Vietnam.»

    «Vai anche tu in Vietnam?»

    Mia madre inseriva la parola anche in tutte le sue domande, come se conoscesse già qualcuno che aveva fatto la stessa cosa prima di me. Credo che non sopportasse l’idea che io fossi il primo a fare qualcosa; quindi, doveva per forza esserci stato qualcun altro.

    «Sì», risposi alla ragazza. «Vado in Vietnam.»

    Da quella stazione partivano treni che viaggiavano in due direzioni opposte: una portava alla frontiera francese, l’altra all’aeroporto. Dalla seconda opzione – l’aeroporto - si potevano raggiungere numerose città. Io andavo a Madrid, perché da lì quella sera c’era un volo diretto per Ho Chi Minh. Un volo di ventisette ore. Eppure, quella ragazza mi aveva chiesto se andassi in Vietnam. Come diavolo faceva a saperlo?

    «Che coincidenza» osservò, schioccando la lingua con garbo. «Ci sto andando anch’io.»

    Detto ciò, fece un sorriso che le illuminò il volto. A quel punto, notai quanto fosse bella. Mi stupii quando vidi che indossava i pantaloni corti, visto che alla stazione faceva un freddo tremendo. Però non m’importava, perché la ragazza aveva davvero delle belle gambe. Come non mi importava della sua giacca di jeans da mezza stagione – del tutto inadatta al mese di novembre - degli scarponcini Dr. Martens che le assottigliavano le gambe, o della camicetta talmente leggera che lasciava intravedere in trasparenza i capezzoli.

    «Come facevi a saperlo?» chiesi.

    «Che cosa?»

    «Che vado anch’io in Vietnam.»

    «Il biglietto» mi disse, indicando la mia mano. «L’ho capito da lì.» Sollevò il suo sopra la testa e se lo appoggiò in fronte, come se si trattasse di una visiera.

    A quel punto guardai le mie mani macchiate d’azzurro a causa del biglietto che avevo tra le dita. Lo stringevo tra pollice e indice, nel vano tentativo di controllare i nervi. Avevo le mani talmente sudate che i caratteri stampati in nero si erano bagnati e la scritta si era rovinata. Che stupido, mi dissi. Aveva capito che la mia destinazione era il Vietnam perché i biglietti azzurri come il mio si riferivano ai voli internazionali.

    «Il volo di mezzanotte e quarantacinque?» le chiesi.

    «Proprio quello» assentì.

    Il megafono avvertì che mancava poco alla partenza del treno che ci avrebbe condotti all’aeroporto di Barcellona. Alcuni viaggiatori si affrettarono ad afferrare le proprie valigie e a mettersi in coda davanti alla linea gialla che indicava il limite di sicurezza. Mi resi conto che, proprio come me, anche lei aveva solo il bagaglio a mano. Decisamente poca roba per un viaggio così lungo, mi dissi.

    «Tra poco più di due ore saremo a bordo dell’aereo» urlò affinché potessi sentirla sopra la confusione creata dai passeggeri che salivano sul treno.

    «Se tutto va bene, sì.»

    «Non mi hai detto come ti chiami» mi gridò prima di salire.

    «Javier. E tu?»

    «Sonia.»

    Detto ciò, la sua figura si perse dentro il vagone, come un fantasma che si dissolve alle prime luci dell’alba.

    Capitolo 2

    Arrivato in aeroporto, scorsi un taxi nero, con le portiere e il bagagliaio giallo, fermarsi davanti all’entrata principale. Il passeggero era un uomo di una certa età, attorno ai settantacinque anni. Era magro, vestito in modo elegante - con un completo fatto su misura - e portava con orgoglio una barba bianca rifinita alla perfezione. Portava con sé solamente una piccola valigia molto scura, con le fibbie argentate.

    Quando raggiunse il bancone dell’accettazione, si rivolse a una ragazza giovane con la carnagione rosata: «Ho una prenotazione per il volo di mezzanotte e quarantacinque.»

    A quel punto, capii che l’uomo avrebbe viaggiato fino a Madrid con lo stesso volo che avremmo preso Sonia e io.

    La ragazza digitò qualcosa sulla tastiera del computer, facendo sparire il salvaschermo.

    «Il suo nome?» chiese, con un ampio sorriso.

    «Blas. Ho fatto la prenotazione due giorni fa, attraverso un’agenzia.»

    La ragazza assentì.

    «Dovrà fare scalo a Madrid, da dove parte il volo per Ho Chi Minh. Nel fine settimana non ci sono voli diretti» spiegò dolcemente.

    «Lo so.»

    «Ha dei bagagli da imbarcare?»

    «No.»

    L’addetta continuò a digitare sulla tastiera. Dopo pochi secondi, prese un foglio dalla stampante, lo piegò e lo consegnò all’uomo.

    «Le auguro buon viaggio, signore.»

    L’uomo si sedette su una panchina quasi di fronte al bancone, molto vicino a quella su cui mi ero seduto io. A quell’ora, nel terminal non c’era molta gente. L’uomo scelse la panchina occupata solo da un’anziana donna sull’ottantina, che stringeva tra le gambe una valigia dall’aspetto antiquato. La donna aveva i capelli completamente bianchi ed era vestita di scuro. Ciò che attirava maggiormente l’attenzione era l’enorme croce di madreperla che le penzolava sul petto appesa a una spessa catenina d’argento.

    «Va anche lei in Vietnam?» gli chiese l’anziana donna.

    «Sì. A quest’ora c’è solo questo volo» rispose l’uomo con la barba, con tono piatto. 

    Poi si spostò leggermente, dando a intendere che non era interessato a proseguire nella conversazione.

    Guardai uno dei pannelli pubblicitari che avevamo di fronte e scorsi il nostro riflesso: un’anziana donna che sembrava vestita a lutto; un nonno – a giudicare dalle rughe sul viso – che però sembrava agile e in buona forma fisica; e infine un giovane – io – che non era ancora sicuro se andare a Ho Chi Minh fosse una buona idea o meno. Tuttavia, dopo un anno orribile, avevo deciso di investire la liquidazione versatami dall’azienda di confezionamento in un viaggio avventuroso. Ne avevo bisogno, dovevo evadere e dimenticare tutto, persino me stesso.

    Sonia era all’edicola e sfogliava delle riviste prendendole in mano per qualche istante prima di riporle nuovamente al loro posto. Era una ragazza molto attraente, e lo sapeva. Altrimenti, perché avrebbe indossato dei pantaloncini così corti in pieno inverno? mi chiesi.

    «L’aereo mi porterà fino a Madrid, poi mi sposterò su un altro volo» continuò l’anziana signora. Evidentemente, non aveva notato il gesto sgarbato dell’uomo che le si era seduto accanto.

    «Da qui, non ci sono voli diretti nel fine settimana» borbottò lui, seccato.

    «Sono un po’ nervosa. È la prima volta che prendo l’aereo. Ho paura.»

    «È comprensibile.»

    «Lei, invece, mi sembra molto tranquillo.»

    «Perché non è la prima volta.»

    «La prima volta era nervoso come lo sono io?»

    L’uomo non rispose. Capii che voleva che la donna si rendesse conto che non aveva alcuna voglia di parlare con lei. Inoltre, intuii che lei cercava qualsiasi pretesto pur di parlare. Probabilmente, né lui né io credevamo che una nonnina di ottant’anni non fosse mai salita su un aereo.

    «Vado a trovare mio figlio, che vive a Ho Chi Minh» riprese a parlare l’anziana signora. L’uomo estrasse un libro dalla valigia. «Così sicuramente le sembrerà che il tempo passi più in fretta» commentò la donna, sbirciando il libro.

    «Manca ancora un bel po’ prima del decollo.»

    «Cosa sta leggendo?»

    «Un giallo» rispose.

    «Mi sono sempre piaciuti i gialli» commentò lei, passandosi un dito sotto l’occhio. «Però purtroppo la mia vista è peggiorata moltissimo negli ultimi anni e non riesco più a leggere come prima.»

    «Non usa gli occhiali?»

    «Dovrei, solo che non riesco ancora ad abituarmici.»

    L’anziana fissò il suo interlocutore in modo sfacciato.

    «È un poliziotto, per caso?»

    L’uomo sorrise, mostrando dei denti talmente brillanti che dovevano essere finti per forza.

    «Perché me lo chiede?»

    «Non saprei. Però, visto che mi ha detto che legge i libri gialli, ho pensato che lo fosse.»

    «Beh, no, signora» rispose lui, irritato. «Leggere gialli non significa necessariamente far parte della polizia.»

    «Capisco.»

    Mi resi conto che l’uomo iniziava a guardarsi attorno, cercando un altro posto libero, per liberarsi da quell’assillante anziana signora, che ormai faticava a sopportare.

    «Bene, signora, la lascio tranquilla. Devo andare un momento ai servizi» disse infine, prendendo il libro e la valigia.

    Detto ciò, si alzò e si allontanò, lasciando l’anziana donna sola sulla panchina.

    Capitolo 3

    Mentre aspettavo in aeroporto, giocherellando col cellulare, pensai al comportamento di quell’uomo che aveva lasciato l’anziana signora a bocca aperta. Considerate le sue rughe, mi ero persuaso che avesse superato la settantina, però il suo aspetto era quello di una persona più giovane. Attraverso il pannello pubblicitario vidi di nuovo il mio riflesso, quello di un giovanotto che le donne trovavano poco attraente. Parzialmente calvo, con una stempiatura accentuata, una pancia di cui non ero mai riuscito a liberarmi e un viso dai tratti comuni. Quanto ad altezza e corporatura, superavo il metro e ottanta, avevo le braccia grosse e le spalle enormi. L’unico punto a mio favore era l’età: trent’anni. Peccato che la gioventù e la forza non rendano un uomo attraente.

    «Come te la passi?» mi chiede Sonia, spuntando alle mie spalle.

    «Sono qui, in attesa.»

    «Conosci qualcuno a Ho Chi Minh?»

    «No.»

    «Dove alloggerai, allora?»

    «Un amico mi ha detto che si può affittare un appartamento per quattro soldi.»

    «Sì, l’hanno detto anche a me, le altre volte in cui ci sono stata, ma ti assicuro che non è vero.»

    Sonia sembrava più giovane di me, forse di un paio d’anni, e mi sorprese che viaggiasse da sola.

    «Ti chiederai come mai viaggio da sola» riprese, come se mi avesse letto nel pensiero. «In realtà, avrei dovuto fare questo viaggio con un’amica. Solo che all’ultimo momento sua madre si è ammalata gravemente e lei ha deciso di restare a farle compagnia. Visto che io non potevo fare nulla per lei, ho deciso di partire ugualmente.»

    Non credo che Sonia superasse il metro e sessanta di altezza, ma era magra e la sua figura atletica. I suoi occhi erano talmente profondi che non riuscivo a guardarla in faccia mentre chiacchieravamo. Una delle sue caratteristiche salienti erano i capelli neri tagliati cortissimi, come quelli di un ragazzo durante il servizio militare. Facevo una gran fatica a non guardare il piercing dorato all’ombelico scoperto.

    «Sei già stato a Ho Chi Minh?» mi chiese di fronte al mio silenzio prolungato.

    «No, è la prima volta.»

    «C’è sempre una prima volta» decretò. «Io ci sono stata in varie occasioni. Ogni volta è migliore della precedente» aggiunse. «Ho degli ottimi ricordi di quel posto, ecco perché continuo a tornarci.»

    Detto ciò, incrociò le gambe, mostrando le bellissime caviglie. Quando sollevai il capo, cercando un punto impreciso su cui concentrarmi - che non fossero le sue gambe -, il mio sguardo incrociò quello dell’anziana signora, che non ci toglieva gli occhi di dosso.

    Capitolo 4

    Sonia mi invitò a prendere un caffè al bar dell’aeroporto. Attraverso la vetrata, riuscimmo a vedere i due anziani che conversavano animatamente.

    «Sono proprio una bella coppia» commentò Sonia.

    «Non sono una coppia» la contraddissi.

    «Come fai a saperlo?»

    «Ero seduto accanto a loro quando si sono conosciuti. Di fatto, lui non la sopporta e ha cambiato posto per non parlare con lei.»

    «Beh, adesso però stanno insieme» sorrise.

    Sonia si assentò un istante per andare in bagno e io rimasi incantato ad ascoltare i due vecchietti. Poco dopo, scoprii i loro nomi - Blas e Marta - perché proprio in quel momento si presentarono. Blas rimase imbambolato a guardare il fondoschiena di Sonia che attraversava la hall e Marta gli chiese con tono allegro: «Non sarà uno di quei vecchi sporcaccioni che corrono dietro alle ragazzine?»

    L’uomo si dimostrò profondamente infastidito, ma non offeso.

    «Scusi, stavo solo ammirando la bellezza di quella ragazza.»

    I due risero di gusto, ma a me sembrarono delle teste di rapa.

    Quando Sonia tornò dal bagno, mi chiese il numero del mio posto.

    «Perché?»

    «Per sapere

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