Scandalo in paradiso: Harmony Collezione
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Xavier de la Vega ha lavorato duramente per lasciarsi alle spalle le sofferenze del passato. Conquistare la bellissima Jordan, legata indissolubilmente a una famiglia che lui vorrebbe dimenticare, è però un rischio calcolato. Convinto che la passione tra loro si estinguerà presto, Xavier dà inizio a un gioco audace e pericoloso, in cui c'è posto per un solo vincitore: lui. Ma capirà presto di essersi sbagliato. Infatti, quando la loro relazione viene alla luce, Xavier non vede altra soluzione se non quella di legarla a sé in modo definitivo. E firmare così la propria sconfitta.
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Anteprima del libro
Scandalo in paradiso - Angela Bissell
successivo.
1
«Deve andarsene ora, senyoreta.»
Jordan Walsh inclinò la testa all'indietro per guardare in faccia l'addetto alla sicurezza che torreggiava su di lei.
«No» rispose, senza muoversi dalla sedia che aveva occupato per le ultime due ore.
Le sopracciglia dell'uomo si sollevarono. «Deve andare. L'edificio sta per chiudere.»
L'edificio in questione era la Vega Tower, un gigantesco monolite di vetro e acciaio che sorgeva nel cuore del quartiere commerciale di Barcellona e faceva apparire minuscolo tutto ciò che lo circondava.
Era costato una fortuna, e per completare la costruzione erano serviti due anni e i suoi quarantaquattro piani ospitavano una delle multinazionali più grandi e importanti d'Europa.
Jordan aveva acquisito tutte quelle informazioni grazie al libro: Vega Corporation, sessant'anni di successo, posato sul tavolino accanto a lei che, per ingannare l'attesa aveva letto da cima a fondo. Due volte.
«Non me ne andrò prima di aver preso un appuntamento con il signor de la Vega» disse.
Non era una novità per l'agente di sicurezza. Aveva fatto la stessa richiesta al suo arrivo, e ancora un'ora prima, quando era diventato evidente che la sua telefonata all'assistente del capo non aveva prodotto alcun risultato.
«Non è disponibile.»
«È per questo che voglio fissare un appuntamento» spiegò lei esasperata. «Per poterlo incontrare quando sarà disponibile.»
«Non è possibile» ribadì l'uomo, stringendole una mano enorme intorno al braccio e costringendola così ad alzarsi dalla sedia.
Jordan sobbalzò. «Aspetti un po'! Non vorrà davvero trascinarmi fuori dall'edificio?»
«Mi dispiace, senyoreta» le rispose con uno sguardo condiscendente.
Si irrigidì, nel vedere quello sguardo. Non le fu difficile indovinare i suoi pensieri.
Ma lei non era un'amante dimenticata, né una pretendente rifiutata dalla quale proteggerlo a tutti i costi.
«Per favore» insistette, odiando la nota di disperazione chiaramente percepibile nella sua voce. «Può chiamare il suo ufficio un'ultima volta?»
Qualcuno doveva essere ancora lassù. Certo, erano quasi le sette di sera, ma l'orario di lavoro in Spagna era diverso da quello cui era abituata. E aveva letto un articolo online proprio il giorno prima, in cui l'amministratore delegato dichiarava di lavorare spesso fino a tardi e di pretendere che il suo staff facesse lo stesso.
Ma la guardia scosse la testa.
«Chiami domani» le suggerì.
Jordan sentì crescere la frustrazione. Aveva già telefonato il giorno prima, e quello prima ancora. Ogni volta, un'assistente arrogante si era rifiutata di farla parlare con il suo capo.
Ecco perché quel pomeriggio aveva attraversato la città nel caldo soffocante di metà agosto e si era presentata di persona.
Piantò i piedi a terra con tutte le sue forze, ma questo non fermò l'uomo, che si incamminò verso le grandi porte di vetro, costringendola a barcollare accanto a lui.
Ancora qualche passo e sarebbe stata in strada, di nuovo al punto di partenza. Con una stretta al cuore lei pensò alla busta che era nella sua borsa. Aveva attraversato il mondo per consegnare quella lettera e ora... Fu schiacciata da un pesante senso di fallimento.
Irrigidì ogni muscolo del suo corpo in un ultimo, disperato tentativo di protesta. «Sono la sorellastra del signor de la Vega!» gridò.
La guardia si fermò di colpo, sorpresa, e allentò la presa tanto da permetterle di divincolarsi. Intorno a loro l'atrio sembrò fermarsi, gli addetti alla sicurezza dietro il bancone e i pochi impiegati ancora presenti immobilizzati in un silenzio attonito.
Facendo del suo meglio per ignorare tutti quegli sguardi curiosi su di sé, fissò la guardia negli occhi, poi aggiunse sottovoce: «Sono sicura che né lei né la sua assistente abbiate voglia di doverlo informare di avermi allontanata».
L'uomo si massaggiò la nuca, la faccia contratta in una smorfia d'indecisione. Infine borbottò: «Aspetti qui, per favore».
Tornò al bancone, fece una telefonata e pochi minuti dopo una donna alta ed elegante emerse da un ascensore. Lanciò un'occhiata alla guardia, che le indicò Jordan con un cenno del capo.
«Signorina Walsh» esordì in tono freddo, scrutandola altezzosa. «Il signor de la Vega è molto impegnato, ma è disposto a concederle dieci minuti del suo tempo.»
Jordan riconobbe subito la voce dell'assistente che aveva rifiutato più volte di fissarle un appuntamento.
Si sforzò di sorridere e resistette a stento alla tentazione di chiedere se il signor de la Vega fosse sicuro di poterle dedicare ben dieci minuti. Si limitò a un cortese: «Grazie», ma la donna aveva già girato sugli alti tacchi a spillo e si era avviata verso l'ascensore, lasciandosi la povera Jordan alle spalle.
La guardia tenne aperte le porte dell'ascensore e salì dietro a loro, mentre sfrecciavano verso i piani alti. Il cuore di Jordan batteva all'impazzata e le si inumidirono le mani. Dopo tutto quel tempo trascorso a pensare cosa avrebbe detto quando... o meglio, se fosse arrivato quel momento, ora non si aspettava di sentirsi tanto nervosa.
Ma non era una cosa da poco, quella che stava per fare. Non aveva idea di come Xavier de la Vega l'avrebbe ricevuta. Di come avrebbe reagito. Lei stessa non sapeva come avrebbe reagito, trovandosi nella sua posizione.
Rivolse un'occhiata critica al suo riflesso nelle lucide porte dell'ascensore. In una blusa bianca senza maniche, un paio di pantaloncini e scarpe comode, il suo aspetto era anonimo e insignificante, in confronto a quello della donna accanto a lei. La sua unica caratteristica degna di nota, la fluente chioma ramata, era raccolta in un'alta coda di cavallo senza fronzoli e la crema idratante che aveva messo quella mattina era la cosa più vicina al trucco che la sua pelle avesse visto da settimane.
Le porte dell'ascensore si aprirono e lei seguì l'altra donna attraverso un lungo corridoio. Raggiunsero un grande ufficio d'angolo e ogni pensiero riguardo al proprio aspetto svanì, mentre la sua mente si concentrava sull'uomo seduto dietro la massiccia scrivania di quercia.
Jordan aveva visto alcune sue foto online. Non molte, a dire la verità. A differenza del fratello minore, di cui si potevano trovare centinaia di foto su Internet, Xavier de la Vega sembrava voler mantenere una certa privacy. E, si rese conto con un fremito, quelle poche immagini non l'avevano in alcun modo preparata a un incontro ravvicinato con quell'uomo bello in modo devastante.
E... i suoi occhi.
Grigi, proprio come quelli di Camila.
Deglutì a vuoto e sbatté le palpebre più volte, nel tentativo di contenere le emozioni.
Quando si alzò, lei rimase colpita dalla sua altezza. Più di un metro e ottanta, il che la sorprese. La sua matrigna era esile e minuta. Al momento di compiere sedici anni, Jordan riusciva già a posare il mento sopra la sua testa, quando si abbracciavano.
Si mosse da dietro la scrivania e lei notò che tutto in lui, dal corto taglio dei capelli neri all'abito grigio su misura, fino alle costose scarpe di pelle, aveva un aspetto immacolato.
C'era un che di autorevole in lui e qualcos'altro che non avrebbe saputo descrivere con sicurezza.
Arroganza? Impazienza?
Spostò lo sguardo dalla sua mascella fino alla fronte alta, intelligente e alle sopracciglia nere come l'inchiostro.
Sì, concluse con un certo disagio. Quell'uomo non sembrava disposto a tollerare debolezze o accettare compromessi.
All'improvviso si rese conto del silenzio che avvolgeva la stanza. Del fatto che lui stava ricambiando il suo sguardo con occhi duri.
Non sorrise. Non si avvicinò né le offrì la mano in segno di saluto. La sua attenzione si spostò sulla segretaria. «Gracias, Lucia» disse con voce profonda, ricca e innegabilmente maschile. «Puoi andare.»
Disse qualcosa in spagnolo alla guardia e lei fece del suo meglio per nascondere il tremore che l'aveva colta. Amava le lingue romanze, e a dispetto dell'atteggiamento ostile c'era qualcosa di sensuale nel modo in cui Xavier de la Vega parlava la sua lingua madre.
La guardia rispose, ma qualunque cosa avesse detto ottenne una sola parola brusca, sbrigativa da parte del suo capo, e raggiunse rapidamente Lucia fuori della stanza.
Quegli occhi grigi, un po' più scuri di quelli di Camila, tornarono su di lei. «Il mio staff è preoccupato per la mia sicurezza.»
Non era così che aveva immaginato l'inizio della conversazione. Sbatté le palpebre, confusa. «Perché?»
«Credono che lei possa rappresentare una minaccia» spiegò, osservandola con attenzione. «È così, signorina Walsh?»
Spalancò gli occhi. «Una minaccia fisica, intende?» Era una cosa tanto assurda che le sfuggì una risatina. «Non credo proprio.»
«Sono d'accordo.» Il suo tono e il modo in cui la stava esaminando con lo sguardo sottintendevano che pure lui considerava l'idea ridicola. «È una giornalista?» chiese d'un tratto.
«No» rispose lei, cercando d'ignorare la vampata di calore che l'aveva percorsa insieme allo sguardo di lui. «Cosa glielo fa pensare?»
«I giornalisti hanno la tendenza a diventare creativi, nei loro tentativi di raggiungere chiunque stiano inseguendo.»
Lei si accigliò. «Temo di non seguirla.»
«Ha affermato di essere la mia sorellastra.»
«Ah...» Sentì le proprie guance tingersi di rosa. «Posso spiegare...»
«Davvero, signorina Walsh?» chiese in tono duro. «Perché l'ultima volta che ho visto i miei genitori erano ancora felicemente sposati tra loro. A quanto ne so, nessuno dei due nasconde altri coniugi o figli.»
Il suo rossore si intensificò. Si era aspettata che questa parte fosse difficile. Era il motivo per cui aveva pensato tanto accuratamente a cosa dire nel caso ne avesse avuto la possibilità, e a come dirlo.
Ma ora che era lì, di fronte a quell'uomo imponente e duro, non riusciva a ricordare nemmeno una delle frasi che aveva elaborato con grande fatica prima di partire.
Deglutì. «Mmh... Forse potremmo sederci?» suggerì.
Per un lungo momento lui non si mosse, rimase semplicemente a fissarla, gli occhi ridotti a due fessure argentate, quasi stesse pensando se farla cacciare o permetterle di rimanere. Finalmente indicò una sedia davanti alla sua scrivania.
Il sollievo le aprì un sorriso sul volto. «Grazie» mormorò, notando che aveva aspettato che lei si fosse seduta, prima di accomodarsi a sua volta.
Un semplice atto di cortesia che la riscaldò, almeno finché non riaprì bocca.
«Cominci a parlare, signorina Walsh. Non ho tutta la sera.»
Il sorriso svanì dal suo viso. Santo cielo, era così brusco con tutti?
Raddrizzò la schiena e disse: «Jordan».
«Come?»
«Il mio nome è Jordan.»
Tamburellò a lungo sul ripiano della scrivania, poi improvvisamente si fermò, stringendo la mano a pugno. «Il suo accento... è australiano?»
«Sì. Vengo da Melbourne.» A quel punto prese un respiro profondo, poi aprì la borsa ed estrasse un'agenda rilegata in pelle rossa. La busta sigillata e le due foto che vi aveva nascosto erano ancora lì, sane e salve. «Fino a poco tempo fa vivevo lì con la mia matrigna.» Prese una delle foto e la allungò attraverso la scrivania. «Camila Walsh.»
Lui diede una rapida occhiata alla foto. Jordan si chiese perché la cosa la ferisse tanto. Era normale che non riconoscesse Camila.
Eppure, i suoi occhi...
Come poteva non notare che erano gli stessi occhi?
«Il suo nome da ragazza era Sanchez» continuò. «Veniva da un piccolo villaggio nel nord della Spagna.»
«Veniva?» mormorò lui.
Jordan esitò. «È morta sei settimane fa.»
In qualche modo riuscì a pronunciare quelle parole con voce quasi ferma. Abbassò il braccio e fissò la foto.
«Mi dispiace per la sua perdita.»
Lei alzò lo sguardo. Il cordoglio nella sua voce profonda sembrava sincero. «Grazie.»
I loro sguardi si intrecciarono e l'intensità di quegli occhi acuti e intelligenti le tolse il respiro.
Si agitò sulla sedia, turbata. Era così bello. Così affascinante. Non riusciva a togliergli gli occhi di dosso. E quella sua assoluta immobilità... Le ricordava in modo sconcertante i grandi felini predatori dei documentari che suo padre amava