La cella della conoscenza di sé negli scritti di Santa Caterina da Siena
Di Marco Sorgia
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La cella della conoscenza di sé negli scritti di Santa Caterina da Siena - Marco Sorgia
INTRODUZIONE
Negli scritti di Santa Caterina, è frequente incontrare un’espressione che possiamo definire come caratteristica cateriniana: «cognoscimento di sé e di Dio in sé», «conoscimento di sé» o «conoscenza di sé».
La duplice conoscenza di sé e di Dio in sé va sempre tenuto insieme per non cadere nella disperazione del proprio nulla, né nella presunzione. Nonostante la consapevolezza del proprio nulla, l’accento è posto sulla conoscenza di Dio, la grande luce che illumina la storia della salvezza dell’uomo.
Ho scelto di far parlare ampiamente Santa Caterina attraverso i suoi scritti, per poi spiegarne il senso della sua dottrina. Seguendo il suo insegnamento su Creazione, Incarnazione, Redenzione e Mistero della Chiesa, percorreremo i passaggi che conferiscono unità al suo insegnamento dogmatico.
Santa Caterina ci esorta a non uscire mai dalla cella interiore della vera conoscenza, dove risiede la vera preghiera che è fonte di conversione e perseveranza, le uniche vie che portano a salvezza.
Nella Legenda maior del beato Raimondo da Capua, primo biografo della santa, si narra che, quando Caterina aveva poco più di dodici anni, età in cui, secondo l’usanza del tempo, la famiglia iniziava a cercare un buon partito per un adeguato matrimonio, la giovane fece capire chiaramente che non intendeva assecondare la volontà dei genitori. La risposta della famiglia fu dura: decisero che Caterina non avrebbe più avuto una stanza dove poter restare sola, e che sarebbe stata costantemente impegnata nelle faccende domestiche, privandola così di tempo e luogo per pregare e unirsi al Suo Sposo¹.
Nonostante le privazioni, Caterina non si perse d’animo. Come riporta il beato Raimondo da Capua, «per nulla scossa da tutte queste contraddizioni, per ispirazione dello Spirito Santo fabbricò nell’anima sua una cella segreta, dalla quale si impose di non uscire mai per qualunque cosa al mondo»². Questa «cella segreta» era interiore, e nonostante gli impegni familiari, Caterina decise di non abbandonarla mai.
Qui dobbiamo, ancora una volta, fermarci, per capire meglio il significato di «cella segreta». Da parte di Caterina, non si tratta, semplicemente, di un luogo, pur creato dalla sua mente, dove poteva isolarsi dal mondo, dove poteva ripiegarsi su sé stessa e vivere in una sua dimensione tutta mentale. Come vedremo in maniera sempre più approfondita, questa «cella segreta», era in realtà la «cella del conoscimento di sé»; anche qui è importante fermarsi per non giungere all’errore di considerare la «cella del conoscimento di sé», semplicemente come un luogo di introspezione, in cui si giungeva alla conoscenza di sé mediante un approfondito autoesame della propria personalità. Questo, sicuramente, è in parte corretto e possibile, perché questa cella permette di esercitare un onesto giudizio su sé stessi, favorendo il riconoscimento di tutti gli elementi che potrebbero impedire questo cammino di conoscenza, ma anche di quegli elementi, che, al contrario, potrebbero favorirlo.
Ma nei testi cateriniani alla «conoscenza di sé» è sempre associata al «conoscimento di Dio», poiché è una conoscenza che si realizza in una relazione personale con Dio, coinvolgendo così discorso sulla salvezza dell’anima.
Da una lettera di Caterina a fra Tommaso della Fonte, suo primo confessore, apprendiamo che questa cella
contiene sia la nostra miseria che la vera conoscenza della volontà di Dio, portandoci ad un’intima comprensione del nostro essere e dell’amore di Dio per noi; nel testo afferma che «questa cella è come un pozzo, che contiene l’acqua e la terra. […] la terra è la nostra miseria: conosciamo, infatti, che noi per noi stessi non siamo, e che riceviamo da Dio il nostro essere. Inestimabile e infuocata carità. Ci è data l’acqua viva, cioè la vera conoscenza della dolce e vera volontà di Dio, il quale non vuole altro che la nostra santificazione. Entriamo, dunque, nelle profondità di questo pozzo: standoci dentro, necessariamente avverrà che conosciamo noi stessi e l’amore di Dio per noi. Conoscendo noi stessi come coloro che per sé non sono, diveniamo piccoli e umili, ed entriamo così nel cuore di Gesù, ardente, consumato d’amore e squarciato dalla ferita, come una finestra senza imposte che non si chiude mai. E guardandoci dentro, con l’occhio della volontà libera che Dio ci dona, vediamo e conosciamo che egli altro non vuole che la nostra santificazione»³.
Queste parole di Caterina ci invitano a riflettere attentamente sul significato della sua dottrina, poiché offrono una prospettiva ampia e vera sulla relazione con Dio e la nostra salvezza.
Da questo primo testo di Caterina, possiamo comprendere che con il termine cateriniano «conoscimento» ci parla certamente di conoscenza; ma è una conoscenza che non si esaurisce nel semplice vedere, apprendere, raccogliere informazioni, ma piuttosto corrisponde a «fare esperienza». Da questa esperienza si giunge ad un giudizio che si accetta perché lo si ritiene valido. Questo ulteriore passo nella comprensione del pensiero di Caterina, deriva dall’assumere l’intera espressione che Caterina usa frequentemente: «conoscimento di sé in Dio e di Dio in sé», «conoscimento di Dio in noi e di noi in Dio», che ci conduce ad un’esperienza di conversione e di amore verso Dio e il prossimo.
Caterina si pone di fronte a Dio con la verità delle parole divine, che ci sono riferite da fra Raimondo da Capua, «Raccontava dunque la santa vergine ai suoi confessori, tra i quali, senza merito, sono stato anch’io, che all’inizio delle visioni di Dio, cioè quando il Signore Gesù Cristo cominciò ad apparirle, una volta, mentre pregava, le comparve davanti e le disse: Sai, figliola, chi sei tu e chi sono io? Se saprai queste due cose, sarai beata. Tu sei quella che non è; io, invece, Colui che sono. Se avrai nell’anima tua tale cognizione, il nemico non potrà ingannarti e sfuggirai da tutte le sue insidie; non acconsentirai mai ad alcuna cosa contraria ai miei comandamenti, e acquisterai senza difficoltà ogni cosa, ogni verità e ogni lume
»⁴. Caterina affermava che la chiave della beatitudine consiste nella conoscenza di sé e di Dio. Questo atteggiamento è ciò che ci guiderà nell’approfondimento dei suoi scritti, con rispetto e desiderio di apprendere da lei come da una guida spirituale, ed è proprio questo lo spirito che bisogna avere nell’accostarci ai suoi scritti,