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L’abito fa il monaco: Consigli pratici da utilizzare in politica che nessuno vi darà mai
L’abito fa il monaco: Consigli pratici da utilizzare in politica che nessuno vi darà mai
L’abito fa il monaco: Consigli pratici da utilizzare in politica che nessuno vi darà mai
E-book173 pagine2 ore

L’abito fa il monaco: Consigli pratici da utilizzare in politica che nessuno vi darà mai

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Info su questo ebook

Che potere hanno le immagini sulla nostra percezione? Giuseppe Dia esplora il ruolo centrale nella politica di fotografia, cinema, televisione e social network, evidenziando come i media digitali abbiano amplificato il loro impatto con due azioni: la velocità con cui le immagini circolano globalmente e la democratizzazione della politica visiva. Attraverso esempi storici e contemporanei, dimostra come le immagini abbiano il potere di plasmare l'opinione pubblica, influenzare decisioni politiche e scatenare movimenti sociali.

Passando per l'attacco alle Torri Gemelle dell'11 settembre 2001, per la Primavera Araba del 2011 e altri casi chiave, l’autore evidenzia il modo in cui le immagini di questi eventi abbiano modellato, strategicamente, dibattiti pubblici, risposte politiche e il corso della storia.

Persino nelle elezioni di Barack Obama del 2008, per fare un esempio,  il “banale” logo e relativo messaggio sono diventati potenti strumenti di persuasione politica.

Il concetto ben espresso in questo libro è che la comunicazione visiva plasma la nostra percezione del mondo e di essa oggi se ne fa una vera e propria strategia politica e non solo.
LinguaItaliano
EditoreBookness
Data di uscita5 apr 2024
ISBN9791254894668
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    L’abito fa il monaco - Giuseppe Dia

    Il potere della comunicazione politica. Come l'utilizzo strategico della comunicazione visiva può influenzare l'opinione pubblica

    Viviamo nell’epoca visuale.

    Le immagini modellano gli avvenimenti e plasmano la nostra percezione di essi. Fotografie, cinema, televisione e social network giocano un ruolo sempre più centrale nel modo in cui vediamo e affrontiamo una vasta gamma di fenomeni, tra i quali guerre, disastri umanitari, movimenti di protesta, crisi finanziarie e, naturalmente, anche campagne elettorali.

    I media digitali hanno amplificato il proprio impatto, influenzando diversi ambiti del panorama politico. Sono diventati strumenti di reclutamento per gruppi terroristici e canali di promozione delle cause di giustizia sociale. Se vogliamo avere un’idea immediata di quanto queste affermazioni siano vere, possiamo tornare con la mente al drammatico evento dell’11 settembre 2001, l’attacco alle Torri Gemelle, che ha segnato l’immaginario di tutti noi a tal punto che anche chi nel 2001 non era ancora nato ne ha un ricordo vivido come se fosse stato presente.

    Vi faccio questo esempio tra i tanti che avrei potuto scegliere perché tra le molteplici ragioni di sgomento che hanno scosso l’opinione pubblica americana e in generale dell’Occidente c’è stata la presa di coscienza che l’attacco era stato progettato per avere un fortissimo impatto visivo. Le immagini sono circolate istantaneamente in tutto il mondo, dando al pubblico un'idea di quanto scioccante e terribile fosse la situazione. La dimensione visuale dell’attentato ha ampliato la sua portata, amplificando istantaneamente l’impatto emotivo di quelle ore drammatiche, anche grazie a una fortissima e pianificata dimensione simbolica. Non c'è modo di comprendere l'origine, la natura e le conseguenze dell’11 settembre senza comprendere il ruolo che le immagini diffuse in pochi minuti in tutto il mondo hanno avuto. Molte di queste immagini dal fortissimo valore emotivo non solo hanno plasmato i successivi dibattiti pubblici e le risposte politiche in tutto il mondo, inclusa la guerra al terrorismo, ma rimangono radicate nella nostra coscienza collettiva nonostante il passare del tempo.

    Il potere dell’immagine non è una novità, né ha mai sostituito quello delle parole come principale mezzo di comunicazione. Immagini e quelli che possiamo definire artefatti visivi esistono però dall'inizio dei tempi, perché il visivo è sempre stato parte della vita collettiva e sociale. Gli esempi vanno dalle pitture rupestri preistoriche che documentano le pratiche di caccia, alle opere d'arte rinascimentali, dall’Arco di Trionfo di Costantino, al palco della Leopolda di Renzi. Ma ci sono due modi in cui la politica delle immagini è cambiata radicalmente.

    Il primo è la velocità con cui le immagini circolano e la portata che hanno. Non molti anni fa, durante la guerra del Vietnam, per fare un esempio, ci sarebbero voluti giorni se non settimane prima che una fotografia scattata nella zona di guerra raggiungesse la prima pagina, diciamo, del New York Times. Nel mondo digitale di oggi, una fotografia o un video possono raggiungere il pubblico di tutto il mondo nel giro di pochi minuti da quando sono stati realizzati. I media ora possono rendere globale un evento locale quasi istantaneamente, che si tratti di un attacco terroristico, di una marcia di protesta, di un comizio elettorale o di qualsiasi altro fenomeno politico.

    Il secondo è ciò che si potrebbe chiamare la democratizzazione della politica visiva. In passato pochissimi attori, essenzialmente governi e reti di media globali, avevano accesso alle immagini e il potere di distribuirle a un pubblico globale. Oggi tutti possono scattare una fotografia con uno smartphone, caricarla sui social media e farla circolare immediatamente con una potenziale portata mondiale. Qualsiasi individuo o piccolo gruppo, indipendentemente dalla sua ubicazione geografica e intento politico, può potenzialmente produrre e far circolare immagini che diventano virali producendo effetti concreti con cui la politica deve fare i conti continuamente.

    Questo è stato per esempio il caso di Tarek.

    Il 29 marzo 1984, nel cuore della Tunisia, da una famiglia estremamente povera nasce Tarek el-Tayeb Mohamed Bouazizi. La sua città natale, Sidi Bouzid, è famosa per la corruzione e la disoccupazione dilagante, che colpisce circa il 30% della popolazione. Queste condizioni avverse plasmano la vita di Bouazizi, che impara a lottare per sopravvivere economicamente fin da bambino. Quando aveva solo 3 anni, infatti, suo padre, un muratore che lavorava in Libia, muore, lasciandolo come unico sostegno finanziario per sua madre e le sue sorelle. Fin da piccolo, Tarek inizia a lavorare come venditore ambulante di frutta. Dopo aver abbandonato la scuola senza ottenere un diploma, cerca invano un lavoro alternativo. La sua attività di ambulante non gli consente di mantenere la famiglia. Inoltre, deve affrontare il costante sopruso da parte degli agenti di polizia e degli ispettori di mercato, che spesso chiedono tangenti. Il 17 dicembre 2010, gli ispettori del mercato confiscano le sue merci e le sue bilance, sostenendo che mancasse l'autorizzazione necessaria per vendere. Tarek viene pubblicamente umiliato, subendo persino una sberla da parte di un'ufficiale donna. Arrabbiato e deluso, si reca all'ufficio del governatore locale per esporre il proprio caso, ma gli viene negato un incontro. Nel pomeriggio dello stesso giorno, decide allora di compiere un gesto di protesta estremo davanti all'ufficio del governatore, dandosi fuoco. Il gesto gli causa gravi ferite. In poco tempo, l'atto di Tarek diventa il simbolo della lotta che i tunisini di Sidi Bouzid affrontano quotidianamente contro la disoccupazione e la corruzione delle élite politiche e della polizia.

    Il giorno successivo alla sua immolazione, circa un centinaio di persone si radunano davanti al municipio per protestare contro il maltrattamento subito da Tarek e gli abusi delle forze dell'ordine. Inizialmente, la manifestazione avrebbe potuto esaurirsi, ma il cugino di Tarek ha la prontezza di filmare l'accaduto e diffondere il video su Internet, che diventa virale e spinge sempre più persone ad unirsi alla protesta e a diffondere la sua storia. È l’inizio della Primavera Araba, un insieme di proteste che partito da Sidi Bouzid, in poco tempo ha determinato il crollo di numerosi rais. Da Ben Ali in Tunisia a Mubarack in Egitto, passando poi per Saleh nello Yemen e Gheddafi in Libia. Inoltre la primavera araba ha determinato l’innesco della guerra civile in Siria. Quanto accaduto nei Paesi arabi nel 2011 rappresenta uno degli elementi più importanti della storia dell’inizio di questo secolo. Se il cugino di Tarek non avesse avuto la prontezza di filmare il suo gesto, tutti gli eventi successivi non sarebbero mai accaduti. Forse ne sarebbero accaduti altri, ma certamente non quelli. La comunicazione visiva ha fatto la storia.

    Le immagini social, fotografie e video, sono il mezzo con cui gli elementi della comunicazione visiva superano i confini temporali e geografici e raggiungono potenzialmente migliaia di persone.

    Ma cosa si intende per comunicazione visiva? Me ne occupo da oltre vent’anni, prima come fotografo e pubblicitario, poi come esperto di comunicazione e marketing politico ed elettorale. Dopo tanta esperienza sul campo, la definizione che preferisco è questa: la comunicazione visiva di un evento si riferisce all'uso strategico di elementi visivi, come immagini, grafiche, video e altri strumenti, per trasmettere messaggi chiave e informazioni cruciali. La comunicazione visiva sfrutta il potere delle immagini per trasmettere messaggi chiave, creare un'identità visiva distintiva e suscitare emozioni e reazioni nel pubblico. Attraverso una combinazione efficace di colore, composizione, testo e altri elementi visivi, la comunicazione visiva può contribuire a creare un'immagine coerente e persuasiva dell'evento, influenzando l'opinione e l'interesse delle persone e incitandole a partecipare attivamente.

    Le immagini funzionano su livelli sovrapposti: oltre i confini nazionali e tra il mondo fisico e quello psicologico. Si presentano in varietà complesse e ampie: come fotografie o film, come fumetti o videogiochi, ma anche allestimenti di palcoscenici e quinte teatrali davanti alle quali tenere discorsi. Non importa quanto siano diverse e complesse le immagini e gli artefatti visivi, hanno tutti una cosa in comune: funzionano in modo diverso dalle parole. Questa è la loro stessa natura: sono non verbali e intrisi di emozioni.

    Pensare che tutti questi elementi siano neutri e privi di valore è uno degli errori più comuni che ho riscontrato nei candidati politici delle decine di campagne che ho seguito durante la mia carriera professionale. Ed è anche la ragione per la quale ho deciso di scrivere questo libro.

    Gli elementi visuali della comunicazione, non solo le fotografie, modellano la percezione che un individuo ha di quell’evento, ma determinano anche forme più ampie e collettive di coscienza.

    La comunicazione è sempre politicamente parziale perché esprime una prospettiva particolare, riflette determinate scelte estetiche, rappresenta il mondo da una particolare angolazione e inevitabilmente esclude tanto quanto include. Per questo è una forza a sé e spesso modella la politica oltre che descriverla. Per queste ragioni è importantissimo averne consapevolezza e prenderne il controllo, facendo attenzione anche ai minimi dettagli. Nulla deve essere lasciato al caso, ma ancora oggi troppo spesso vedo candidati politici anche di livello nazionale che non attribuiscono il giusto valore e trascurano questi aspetti, finendo per essere incompresi o fraintesi dal loro pubblico e dai loro elettori che, invece, sono sempre più attenti ed educati a leggere anche visivamente i messaggi politici.

    Se pensate che stia esagerando nell’attribuire così tanta importanza a questi aspetti della comunicazione, vi invito a riflettere su un esempio di cui tutti abbiamo esperienza.

    Pensate a una cartina geografica, un mappamondo, di quelle che tutti conosciamo. Quelle che alle scuole elementari venivano appesa alle pareti delle aule. Queste rappresentazioni politiche del globo sono fondate su quella che si chiama Proiezione Mercatore, che ci accompagna nella storia da XIV secolo. Una delle critiche più comuni alla proiezione Mercatore è che esagera le dimensioni dei Paesi più vicini ai poli (Stati Uniti, Russia, Europa), mentre diminuisce troppo marcatamente le dimensioni di quelli vicino all’equatore (il continente Africano ma anche il Sud America). In questa prospettiva, la Groenlandia sembra avere circa le stesse

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