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Rosso & Nero
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E-book170 pagine2 ore

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Info su questo ebook

in frequenza di Contatto...Il chirurgo John Chaesy Melvis, quando si avvicinò all'uomo ferito nel pronto soccorso dell'ospedale Saratoga di Baltimora, fu così sconvolto da abbandonare l'ospedale.
Cosa gli aveva comunicato l'uomo? Di quale terribile verità era venuto a conoscenza?
Esiste una frequenza di contatto che ti permette di operare a distanza?
In l'ascensore. Boston...Quando George Fratta, italo americano e imprenditore di successo, entrò nell'ascensore, mai avrebbe immaginato che il suo viaggio sarebbe stato così lungo. Si ritroverà in una casa che non è la sua. Troverà Angel. Un angelo o un demonio? George entrerà in una spirale di terrore e mistero che attraverserà il tempo alla ricerca di una soluzione a tutto quello che gli sta capitando.

LinguaItaliano
Data di uscita27 set 2014
ISBN9781310100390
Rosso & Nero
Autore

Raffaele Crispino

Raffaele Crispino was born in Frattaminore , lives in Formia ( a beautiful seaside town surrounded by mountains ) . He began writing a twenty years ago. He began with a story : The unemployed doc . For this story has won the 1st prize of the Italian Literary Club for fiction . His books range from humor to yellow up to thrillers and horror . Amateur painter , paints , mostly nudes and flowers. He loves to fish though never fails to fill the network. He worked for the railway company Trenitalia. Now retired just in time. The sun is there, the sea also and now there is also the health. Viva la vida.He published :1 " The unemployed doc ( or the art of doing nothing )A semi-serious discourse on unemployment..2 " A pizza with the Queen " ( A chat with Anita Resort Garibaldi in Caprera . A hot chocolate with Cavour to Piazza Castello in Turin . Humorous )3 " The elevator . Boston- ( a thriller you do not expect . After reading this book you will have a fear of taking any lift. )4 “Before the day starts”Crispino Raffaele è nato a Frattaminore,vive a Formia (una bella città di mare circondata dalle montagne). Ha cominciato a scrivere un venti anni fa. Iniziò con un racconto: Il disoccupato doc. Per questo racconto ha vinto il 1° premio del Club Letterario Italiano per la narrativa. I suoi libri spaziano dal umorismo al giallo fino ai thriller e horror . Pittore per passione, dipinge, per lo più nudi e fiori. Ama pescare anche se non riesce mai a riempire la rete. Ha lavorato per la compagnia ferroviaria Trenitalia. Ora è andato in pensione appena in tempo. Il sole c’è, il mare pure e per adesso c’è anche la salute. Viva la vida.Ha pubblicato :1 " Il disoccupato doc (ovvero l'arte di non fare niente)Un discorso semiserio sulla disoccupazione..2 “ Una pizza con la regina” (Quattro chiacchiere con Garibaldi nel Resort Anita a Caprera. Una cioccolata calda con Cavour a piazza Castello a Torino. Umoristico)3 " L’ascensore. Boston-( un thriller che non ti aspetti. Dopo aver letto questo libro avrete paura di prendere un qualsiasi ascensore.)4 Prima che comici il giornoCrispino Raffaele è nato a Frattaminore,vive a Frattamaggiore in provincia di Napoli . Vive a Formia. Quindi è italiano. In inglese per attraversare l’oceano. Dipinge, per lo più nudi e fiori. Ama pescare anche se non riesce mai a riempire la rete. Sfortunato? Ha lavorato per la compagnia ferroviaria Trenitalia. Ora è andato in pensione appena in tempo. Il sole c’è, il mare pure e per adesso c’è anche la salute. Viva la vida.Ha pubblicato :1 " Il disoccupato doc (ovvero l'arte di non fare niente)"Un discorso semiserio sulla disoccupazione.Per questo racconto ha vintoIl 1° premio del Club Letterario Italiano per la narrativa.2 “ Un anno,un giorno”( romanzo che analizza gli aspetti contraddittori dell’ambiente cinematografico della Roma degli anni 90.)3 “ Le interviste alla storia” (Quattro chiacchiere con Garibaldi nel Resort Anita a Caprera. Una cioccolata calda con Cavour a piazza Castello a Torino. Umoristico)4 - L’ascensore. Boston- ( un thriller che non ti aspetti. Dopo aver letto questo libro avrete paura di prendere un qualsiasi ascensore.) In attesa di traduzione in inglese5 - Prima che comici il giorno- (Quando l’assassino bussa alla tua porta)6 -Artemio il monaco- thriller una vicenda oscura7 - L'oro di Cleopatra- Un giallo? Un thriller o piuttosto una grande storia d'amore8 - Frequenza di contatto- Thriller

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    Rosso & Nero - Raffaele Crispino

    Frequenza di Contatto

    di

    Raffaele Crispino

    PUBLISHED BY:

    Raffaele Crispino on Smashwords

    Frequenza di Contatto

    Copyright © 2013 by Raffaele Crispino

    *****

    This book is a work of fiction and any resemblance to persons, living or dead, or places, events or locales is purely coincidental. The characters are productions of the author’s imagination and used fictitiously

    *****

    Capitolo 1

    Il cielo era nuvoloso, anche se a sprazzi il sole riusciva a spuntarla sulle nubi nere e cupe. Melvis era stanco. Per fortuna il suo turno nel reparto di terapia intensiva era quasi al termine.

    Prima di andar via volle rivedere i suoi malati. Quelli sospesi tra la vita e la morte e quelli che non sarebbero arrivati alla fine del giorno.

    Si tolse il camice verde. Rimase un po’ in uno stato di nonsense poi con passo deciso si avviò verso il suo studio.

    Stava giusto mettendo le sue cose in ordine quando irruppe l’infermiere Capaldo.

    Cosa c’è?, chiese.

    Capaldo aveva il fiatone. Non riusciva a parlare, poi...

    Professore! C’è un'emergenza! Il dottor Boschi da solo non ce la fa, riferì il paffuto infermiere italoamericano.

    Melvis non si scompose; del resto era il suo mestiere intervenire nei casi più disperati, anche se avrebbe preferito essere già fuori dall’ospedale.

    Dovremmo prendere l’ascensore che porta al corridoio dove c’era il laboratorio scientifico, …forse faremo prima , consigliò Melvis.

    "Professore! Quella zona è off Nessuno ci va e poi l’ascensore chissà se funziona ", si domandò l’infermiere.

    Sciocchezze! L’ascensore è efficiente , lo incoraggiò Melvis mentre gli dava una pacca sulla spalla.

    L’ospedale Saratoga è uno dei migliori centri d’ustione d’America; lì sono all’avanguardia in questo tipo di patologia. In più in quest’ospedale si praticano molti interventi per trapianto d’organi; purtroppo quando fu costruito, ci furono delle incomprensioni di progetto e il locale, destinato a pronto soccorso, fu costruito distaccato dal corpo principale dell’ospedale e questo costituiva un grosso handicap.

    La palazzina del pronto soccorso era a forma di pentagono.

    Se avesse scelto un’altra strada, Melvis avrebbe dovuto percorrere quasi trecentocinquanta metri; così circa duecento metri.

    L’ascensore era ancora efficiente, anche se un cartello ben visibile indicava pericolo. L’infermiere aspettò che Melvis entrasse, prima di schiacciare, il pulsante corrispondente al numero uno rosso: temeva di rimanere intrappolato in quella scatola metallica.

    La zona sotterranea dell’ospedale è situata a circa cinque metri dal livello della strada, e buona parte di questa superficie è adibita a obitorio.

    Dovremmo illuminare questa zona , osservò Melvis quando le porte dell’ascensore si aprirono.

    Il lungo corridoio era poco illuminato.

    L’avevo avvisato ma…, borbottò l’infermiere.

    Capaldo sentì sotto la suola del piede destro qualcosa di molle. Pensava di aver calpestato uno scarafaggio, invece aveva messo il piede su un piccolo topo.

    Non mostrò alcun disgusto per questo episodio; senza pensarci su, con semplicità lo calciò lontano da lui: ce ne doveva essere un buon numero in quell’edificio.

    Melvis sembrò non curarsi della cosa e continuò a camminare sicuro di sé lungo il corridoio, pieno di polvere e completamente immerso da ogni tipo di rifiuto, illuminato a intermittenza da piccole lampade di scarsa luminosità.

    Arrivarono al punto dove, da una parte si va verso i due locali, adibiti a laboratori scientifici, per tutti abbandonati e non funzionanti da tempo. In realtà, pochi sapevano che questi locali erano perfettamente funzionanti e destinati a esperimenti d’ogni genere su corpi di persone, ignote e senza famiglia, per lo più barboni, tanto che in quei locali c’era un numero indefinito di cadaveri, e dall’altra parte verso i locali del pronto soccorso.

    Naturalmente, oltrepassato i locali del laboratorio scientifico, il corridoio arrivava anche al pronto soccorso ma la strada era molto più lunga.

    Melvis scelse la strada più breve.

    Appare chiaro che l’ascensore utilizzato non era usato perché nessuno aveva interesse ad attraversare quella zona dell’ospedale abbandonata; c’erano invece altri ascensori che arrivavano fino ai sotterranei, dove c’erano i servizi.

    Quando Capaldo aprì con forza la porta, arrugginita dal tempo e impastata di sangue coagulato e di piccoli lembi di pelle e tessuto umano, fu colpito dal calore e dalla luce.

    Prima di presentarsi, Melvis tirò dal taschino il fazzoletto e se lo passò sulle scarpe di pelle, coperte dalla polvere.

    Incidente! E’ stato un incidente? Questo sta conciato davvero male , informò Boschi, risollevato nel morale, appena John si avvicinò.

    Melvis osservò con il suo sguardo clinico e di grande scienziato l’uomo disteso sul lettino del pronto soccorso e si rese conto che la situazione era grave e disperata.

    Il professore incrociò lo sguardo pietoso e umile dell’uomo.

    Sorrise come per rassicurarlo. L’uomo cercava di dirgli qualcosa. Melvis si avvicinò per sentire meglio; poco dopo si allontanò.

    "Presto! Non perdiamo altro tempo. Trasportiamolo nella camera operatoria Fire life; penso che abbia anche delle lesioni agli organi interni ", ordinò Melvis.

    Non credo che ci sia tempo di arrivare fin lì, rispose Boschi, sconsolato.

    Sì, forse ha ragione. Va bene. O.K. va bene. Vuol dire che lo opereremo qui, anche se dovremmo fare a meno di parte dei macchinari del life

    Sì, va bene

    Quale camera è libera?

    La tre. La camera operatoria numero tre è libera, riferì, prontamente, Capaldo.

    O.K. Va bene. Opereremo alla tre, confermò Melvis.

    Il professore sentì il fuoco scorrere nelle sue vene per il piacere sottile che aveva di dover vincere un’altra battaglia.

    Una sfida contro la morte che già aleggiava nell’aria e che a momenti si sarebbe posata sul corpo di quell’uomo.

    Guanti!, ordinò Melvis, dopo essersi lavato per bene le mani.

    La giovane infermiera si avvicinò. Infilò i guanti; poi prese dall’armadietto il camice sterilizzato e aspettò che il professore lo indossasse.

    Dopo, l’infermiere andò via: sapeva che il professore doveva essere lasciato solo in quel momento per il rito bene augurante che faceva prima di ogni intervento chirurgico di una certa importanza.

    Ora era solo. Stava davanti allo specchio. Guardò per bene il suo volto e incominciò a concentrarsi: guardare un punto fisso del proprio cervello.

    Melvis! Melvis!, gridò varie volte. Devi riuscirci. A te non è permesso alcun errore

    Alzò le mani al cielo e le tenne ferme per un po’ di tempo davanti ai suoi occhi.

    E mentre diceva queste parole la sua faccia si faceva di fuoco, come se tutto il sangue del corpo affluisse in un solo istante verso la sua faccia.

    Gli occhi avevano un non so che di sinistro.

    All’improvviso il suo volto si rabbuiò.

    Il colore di fuoco e sangue scomparve dal suo viso, lasciando il posto a una patina bianca e olivastra.

    Era triste e… disperato.

    Cosa diavolo gli stava accadendo?

    Oh, Dio! Oh, Dio mio! Perché? Perché …mi tremano le mani? In queste condizioni non potrò mai eseguire l’intervento, gridò.

    Era dunque finita la missione del professor Melvis?

    Forse era stanco per aver lavorato molto quel giorno; del resto aveva eseguito molti interventi chirurgici: di sicuro dieci o forse aveva altri pensieri per la testa.

    Non era successo nulla di grave; le sue mani erano ancora efficienti. Non era il caso di drammatizzare, doveva solo rimandare la sua partita con la morte.

    Con un gesto di stizza si tolse i guanti chirurgici e li gettò con rabbia nel cestino della spazzatura.

    Sconfitto, entrò nella sala operatoria con ancora la mascherina sulla bocca.

    Boschi, quando lo vide senza i guanti, tremò al sol pensiero di doversela cavare da solo.

    Avvisa Bluwhite. E’ meglio che l’intervento lo esegua lui. Sono stanco. E poi ho altro per la testa, disse Melvis, che non perse neanche in quest'occasione il suo aspetto sicuro e rassicurante.

    Bene, professore. Avviserò Bluwhite. L’ho visto poco fa. Non dovrebbe essere lontano. Non si preoccupi. Vedrà che riusciremo a salvarlo, lo assicurò Boschi, che era un suo allievo molto ben voluto e che era anche un caro amico di sua moglie Caroline.

    Melvis non rispose. Rimase per po’ fermo; poi si avviò con passo stanco verso l’uscita.

    Salutami Caroline. E’ da tanto tempo che non la vedo, disse Boschi.

    Caroline! Sì, Caroline! Oh, certo, borbottò Melvis.

    Gli sembrò strano che Boschi pensasse a Caroline in quella situazione.

    Non lasciò l’ospedale. Si avviò nel suo studio: era stanco e distrutto da quella verità così crudele e drammatica.

    Era solo. Si tolse il camice verde con tale rabbia che quasi lo strappò; poi si mise a sedere.

    Pensò.

    Ripensò.

    Guardò mille e mille volte le mani. Prese una sigaretta dal pacchetto e se la infilò tra le labbra; non sapeva se faceva bene a fumare in quel momento. Avrebbe avuto piuttosto bisogno di un calmante.

    Per un chirurgo le mani sono importanti, essenziali, insostituibili, e lui aveva solo quarantatré anni. Era diventato uno scienziato del bisturi, un esperto di rimozioni d’ogni sostanza inquinante dal corpo umano.

    Aveva le spalle larghe ed era abbastanza alto. Aveva un fisico non prestante, ma asciutto e i capelli neri lunghi abbastanza, buttati all’indietro, a spazzola. Un viso interessante con gli zigomi sporgenti e il naso un po’ aquilino.

    S’era sposato avanti nell’età, a quasi quarantuno anni con la bella e affascinante Caroline, ricca ereditiera. Non poteva sposarsi prima perché doveva pensare alla carriera.

    Ora però aveva tutto: fama, ricchezza, amore, e una moglie bella e innamorata che gli stava regalando un figlio.

    Non è niente. E’ solo un po’ di stanchezza. Sì. E’ così, ripeté varie volte. Ho lavorato troppo.

    Sangue, bisturi, garza, siringa, ossigeno …

    Dieci interventi sono troppi anche per te, John. La devi smettere di fare il super uomo, si rimproverò.

    "Dovrei prendermi una vacanza. Stare lontano dal Saratoga. E’ la stanchezza, per questo mi tremano le mani. Passerà, ma certo che passerà. Basta solo che vada un po’ via dall’ospedale. Sarà difficile lasciare il Saratoga. E’ come lasciare…un amore", pensò mentre teneva gli occhi puntati sulle sue mani.

    Anche quando accese la sigaretta, si mise a osservare con la coda degli occhi il lento movimento della fiamma dell’accendino che si avvicinava alla punta estrema della sigaretta.

    Ora stava bene, si sentiva più tranquillo. La mano era ferma e non tremava.

    Cercò di dimenticare quello sguardo implorante d’aiuto di quel poveretto sul lettino del pronto soccorso. Si alzò. Aprì l’armadietto e prese la giacca di pelle di daino.

    Poi chiamò sua moglie.

    Sono io. Sono John, disse con voce ferma.

    Ah, ciao! Tutto bene?, rispose Caroline, tranquilla.

    Uh, …sì. Certo, tutto bene. Oh, usciamo stasera?

    Jò, …Jò! Ma che vai a pensare. Dove vuoi che vada con questo pancione, lo rimproverò Caroline, ridacchiando un po’.

    E che ne so io! Pensavo che ti avrebbe fatto piacere fare un giro in macchina, girare per la città a fare compere o ad andare a casa di qualche amica tua.

    Oh, sì! Questa potrebbe essere una buona idea. Potremmo andare da mia cugina Patty. A che ora torni a casa?

    Uhm! Questo proprio non riesco a dirtelo…Ci potrebbe essere qualche emergenza da un momento all’altro e …addio. Comunque fra un’ora al massimo sarò da te

    Telefoni dall’ospedale?

    Sì. Non preoccuparti. Sono già pronto, la tranquillizzò John.

    Oh, allora! Non mi faccio tante illusioni. Ci crederò solo se ti avrò davanti. Lo so. Non ho sposato un impiegato delle tasse ma un medico. Ciao, amore. Ti aspetto, lo salutò Caroline con quella sua voce dolce e fine.

    Quando Melvis alzò le mani dalla cornetta vide che questa era tutta sporca di sangue.

    Inorridì.

    Si guardò con apprensione le mani e si tranquillizzò solo quando s’accorse che il sangue era uscito da una piccola ferita superficiale: nulla di grave. Non riusciva a spiegarsi come s’era procurato quel piccolo taglio; andò nel bagno e si lavò la ferita. La disinfettò.

    Quando vide che il sangue s’era del tutto coagulato, si rincuorò.

    Era passato già abbastanza tempo e rischiava di arrivare tardi a casa; così, senza perdere altro tempo, si aggiustò la cravatta e si avviò verso l’uscita dell’ospedale.

    Il professore scivolò silenziosamente tra il trambusto d’autoambulanze che arrivavano con prolungati suoni di sirene, tra infermieri che si affannavano a correre da un reparto all’altro, tra il pianto, disperato e spesso silenzioso, di persone che aspettavano notizie sulle condizioni dei propri cari.

    Era la prima volta che provava di quest’emozioni. Lui non era stato mai toccato da questi sentimenti, tanto era impegnato

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