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Stregata dal chirurgo brasiliano: Harmony Bianca
Stregata dal chirurgo brasiliano: Harmony Bianca
Stregata dal chirurgo brasiliano: Harmony Bianca
E-book166 pagine2 ore

Stregata dal chirurgo brasiliano: Harmony Bianca

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Info su questo ebook

Quando Lucas Carvalho arriva in ospedale con una ferita da arma da fuoco, l'infermiera Sophia Limmeira lo riconosce immediatamente. Adesso Lucas è un affascinante chirurgo plastico ma nei suoi occhi lei rivede la sofferenza e la voglia di emergere di quel ragazzino che aveva conosciuto in orfanatrofio, ormai tanto tempo fa. Ora Sophia è determinata a tenere le distanze perché un uomo come Lucas rappresenterebbe un pericolo per qualsiasi donna. Ma saprà resistere ai suoi spudorati tentativi di seduzione?
LinguaItaliano
Data di uscita10 ago 2020
ISBN9788830518650
Stregata dal chirurgo brasiliano: Harmony Bianca

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    Anteprima del libro

    Stregata dal chirurgo brasiliano - Tina Beckett

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    The Dangers of Dating Dr Carvalho

    Harlequin Mills & Boon Medical Romance

    © 2014 Tina Beckett

    Traduzione di Silvia Calandra

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2015 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-3051-865-0

    1

    Lucas Carvalho era un uomo fortunato.

    Se non altro, era quanto gli dicevano i medici. Solo che anche a lui sarebbe piaciuto sapere perché.

    Non aveva perso del tutto la memoria. Qualcosa ricordava. Il suo nome. Che era un chirurgo plastico, che veniva dalla California. Che era in Brasile per un convegno.

    Ma aveva dei buchi che non riusciva a colmare. Come se tanti importanti tasselli fossero stati spazzati via con un colpo di spugna. E si era ritrovato in ospedale con un braccio appeso al collo e una ferita nel fianco senza la più pallida idea di come ci fosse finito.

    E suo fratello, la persona che aveva visto accanto al letto quando si era svegliato dopo l’intervento tre giorni prima, e che non vedeva da quasi trent’anni, era partito il giorno prima per gli Stati Uniti.

    Per una donna.

    Lucas strinse le labbra. L’ultima volta che era corso dietro a una donna era stato... Il suo cervello analizzò numerosi file e li scartò tutti.

    Non era mai successo. E non sarebbe mai successo.

    La graziosa infermiera che era passata a controllarlo un paio di volte gli aveva assicurato che era stato proprio lui a convincere suo fratello a raggiungere quella donna.

    Cercò di mettersi a sedere e una fitta di dolore gli attraversò la spalla. Il tutore che gli avevano messo per immobilizzare il braccio non gl’impediva di sentire tirare i punti della ferita ogni volta che accennava un movimento.

    Delle ferite. Perché erano due.

    La polizia gli aveva detto che gli avevano sparato. Due volte. In una favela non lontano dall’ospedale. E, come i medici, anche le forze di polizia gli avevano fatto notare che era stato fortunato a uscirne vivo.

    Lui, però, non era poi così entusiasta. Il dolore, che fino a un paio di giorni prima veniva attutito dalle pesanti dosi di farmaci che gli somministravano, adesso era lancinante.

    Osservò la flebo alla sua sinistra e notò le ruote alla base dell’asta. L’avevano fatto camminare subito dopo l’intervento. Ricordava l’infermiera dallo sguardo affabile che lo osservava mentre muoveva i primi passi imprecando per il dolore. Non doveva essere la sua infermiera perché non lo aveva aiutato minimamente, ma si era fatto l’idea che mentre era lì avrebbe voluto dirgli qualcosa.

    Ma non l’aveva fatto.

    Spostandosi sul lato fianco dalla parte della flebo, appoggiò le gambe giù dal letto, puntò le mani sul materasso e cercò di alzarsi per andare in bagno.

    Da solo.

    Sperava di farcela.

    Ma non appena appoggiò i piedi per terra si sentì aggredire da una sensazione di nausea e il mondo cominciò a girargli intorno, costringendolo ad aggrapparsi all’asta della flebo.

    Erano passati tre giorni.

    Avrebbe dovuto potersi muovere meglio. Il senso di vertigine passò in fretta, ma rimase fermo ancora un paio di minuti. Poi, sempre aggrappato all’asta, si diresse verso il bagno.

    Per riuscire a espletare la sua funzione dovette prodigarsi in un vero esercizio di coordinazione, ma alla fine riuscì perfino a lavarsi la mano non ferita.

    Ecco. Si sentiva già più indipendente.

    A giudicare dal volto pallido che lo fissava nello specchio, poteva anche sentirsi indipendente, ma gli avrebbe fatto bene un’iniezione di un farmaco miracoloso. Si passò le mani tra i capelli e li scostò dalla fronte. Non aiutò granché.

    Adesso che era in piedi, non sarebbe tornato a letto a fissare il soffitto bianco per ore e ore. Ne aveva abbastanza. Se camminare fosse servito a farlo uscire al più presto da quel luogo, lui avrebbe camminato. Perfino corso. Da solo.

    Ignorò il campanello che penzolava al fianco della testiera del letto e si avviò alla porta. Gli sembrava di muoversi in una piscina di gelatina. Non voleva chiamare l’infermiera che si sarebbe subito agitata inutilmente, come era solito fare suo fratello quando erano bambini e lui aveva bisogno di qualcosa. Fino a quando lui e Marcos erano stati separati e costretti a vivere in due diversi continenti.

    Fece una smorfia al pensiero dell’accoglienza che gli aveva riservato il suo paese d’origine. Forse sarebbe dovuto restare negli Stati Uniti.

    Inspirando profondamente e sperando di non doversi pentire di ciò che stava per fare, aprì la porta e uscì in corridoio.

    Quando la porta, chiudendosi alle sue spalle, lo colpì direttamente sul fondo schiena, rischiando di farlo finire per terra con la flebo, lui trattenne a stento una sequela di imprecazioni in inglese che avrebbero potuto metterlo nei guai, anche lì in Brasile.

    Sospirò rassegnato e fissò il corridoio in cerca di risposte. O di qualcosa di forte da bere. La prima cosa che arrivava sarebbe andata bene.

    Nossa Senhora do ceu!

    Per poco gli occhi di Sophia Limeira non uscirono dalle orbite. Come caposala, avrebbe dovuto avere un comportamento più dignitoso ma, Deus, non poteva fare finta di non stupirsi nel vedere tutte quelle teste femminili, di pazienti e visitatrici, voltarsi in perfetta sincronia al passaggio di Lucas Carvalho lungo il corridoio.

    Le sue gambe lunghe si spostavano con il movimento flessuoso di chi sa di non passare inosservato. Anche con il braccio sinistro attaccato a una flebo, se avesse schioccato le dita a una qualsiasi delle donne presenti, lei gli sarebbe corsa incontro. Perfino l’anziana ottantasettenne Marta Silva, parcheggiata in una sedia a rotelle, pareva pronta ad alzarsi e prostrarsi ai suoi piedi.

    Per fortuna Sophia, invece, era ben ancorata alla sedia dietro il bancone delle infermiere, ma notò che Lucas non faceva il minimo tentativo di tenersi chiuso dietro il camice dell’ospedale.

    Per questo forse tutte lo guardavano.

    D’altra parte il poveretto aveva entrambe le mani occupate e poi, comunque, non le dispiaceva affatto che si stesse dirigendo proprio verso di lei.

    Era ridicola. Era un’infermiera, per l’amor di Dio e ne aveva visti a bizzeffe di sederi maschili.

    Ma nessuno come quello di Lucas.

    Si toccò la parte destra sopra il labbro superiore con il dito indice, improvvisamente preoccupata del proprio aspetto, anche se sapeva che non era il caso. La cicatrice era appena visibile. Bastava un velo di correttore e spariva quasi tutto.

    Quasi.

    Ma Lucas era un chirurgo plastico. Anche sotto il trucco avrebbe scorto la cicatrice. Un ricordo d’infanzia.

    Probabilmente a Lucas non capitava spesso di occuparsi di casi come il suo. Arrivava dalla California. La terra dei seni sodi e prosperosi. Delle abbronzature incantevoli.

    Deglutì quando lo vide che la fissava e strizzava gli occhi, come se cercasse di capire chi era.

    Non si ricordava di lei. Anche quando era entrata in camera sua il primo giorno e si era presentata, lui non aveva mostrato di riconoscerla. E neanche quando era stata al suo fianco mentre muoveva i primi passi.

    Un giorno Marcos le aveva detto che era impossibile dimenticarla.

    Evidentemente si sbagliava! Lucas l’aveva dimenticata.

    Non che le importasse. Erano secoli che non lo vedeva. Da quando erano bambini.

    Lui era terribilmente triste il giorno in cui erano arrivati all’orfanatrofio. Dopo un mese, però, lei, Lucas e Marcos erano già inseparabili... il dinamico trio, così li avevano soprannominati i dipendenti della struttura.

    Solo che Lucas aveva avuto la fortuna di essere adottato e lei e Marcos erano rimasti soli.

    Deus! Stava andando verso di lei. Il corpo ossuto del ragazzino che ricordava si era trasformato in un fisico muscoloso e aitante. Virile. Pericoloso.

    Sapeva che avrebbe dovuto alzarsi e rimproverarlo per essersi messo in piedi e aver lasciato la stanza senza assistenza, ma era come se non riuscisse ad avere la meglio sul proprio corpo. Si guardò intorno velocemente e non vide altre infermiere in giro. C’era solo lei. E Lucas le teneva incollato addosso il suo sguardo di lince.

    Sentendosi in dovere di parlare per prima, inarcò il sopracciglio e si rivolse a lui. «Lo sa che sta offrendo al pubblico dietro di lei lo spettacolo del suo deretano, vero?»

    Lui aggrottò la fronte per un istante e poi accennò un sorriso. «Stia tranquilla. Poi dovrò girarmi per tornare nella mia stanza.»

    Già.

    Cercando di restare impassibile e indifferente, anche se avrebbe tanto voluto non dover distogliere lo sguardo da lui, scrollò le spalle. «Stia tranquillo lei» ripeté, indispettita. «Io sono immune.»

    «Capisco. Un triste effetto collaterale della professione d’infermiera.»

    «Si potrebbe dire dei chirurghi plastici» commentò, contenta di essere riuscita a essere altrettanto garbata e sofisticata.

    «Già, ma io non potrei mai diventare immune alle meraviglie del corpo femminile.»

    Non era vero. Si era illusa. Poteva fingere, ma non sarebbe mai stata sofisticata quanto lui. Dentro di lei c’erano ancora tracce della piccola e timida orfanella che era stata. E che aveva preso Marcos per mano il giorno del suo arrivo, mentre al suo grazioso fratellino aveva lanciato solo timide occhiate di soppiatto. Lui allora l’aveva incantata e, a quanto pareva, continuava a farlo ancora adesso.

    Alto almeno un metro e novanta, con i mossi capelli scuri che gli ricadevano sulla fronte, e gli occhi ancora più scuri, era di una bellezza incantevole. La persona giusta per svolgere la sua professione, anche se Sophia era sicura che non si fosse concesso alcun ritocco. Intorno agli occhi, infatti, s’irraggiavano alcune piccole rughe e anche la guancia sinistra era percorsa da una sorta di parentesi per il sorriso sbilenco che aveva già da bambino.

    Le rare volte in cui sorrideva.

    Anche da piccoli i due fratelli le erano sempre sembrati molto seri e adulti. E non era un caso, visto che venivano da una delle più povere favelas della zona.

    E anche se Lucas parlava un portoghese perfetto, l’accento americano era inequivocabile e ogni volta che apriva la bocca le inviava un brivido nella schiena.

    Quando si rese conto di non avere risposto al suo commento, si alzò in piedi sperando che, sentendosi più alta, si sarebbe sentita anche più forte.

    Si sbagliava. Perché con gli occhi gli arrivava solo al collo dove il battito cardiaco faceva muovere un tatuaggio.

    Doveva rispedirlo in camera sua. «Adesso che si è divertito, vuole che l’aiuti a tornare nella sua stanza?»

    Anche se sembrava molto disinvolto, lei non poteva dimenticare che meno di una settimana prima era stato sottoposto a un grave intervento al fegato. E quando sollevò lo sguardo, gli scorse un rivelatore velo di sudore sopra il labbro superiore, ma tenne gli occhi fissi su di lui con una fermezza che la stupì.

    Lui scrollò il capo e abbassò lo sguardo sul suo viso, lentamente, e un istante dopo aggrottò la fronte. Lei si sforzò di restare immobile quando lui si avvicinò e allungò la mano e con il pollice le sfiorò la pelle sotto la narice destra. Lei sentì il battito del cuore accelerare, le farfalline agitarsi nello stomaco per quel contatto inatteso. La sua audacia avrebbe dovuto indispettirla, e anche la velocità con cui aveva notato ciò che si sforzava di nascondere, ma il calore della sua pelle aveva rimosso ogni cosa... a parte la sensazione stupenda del suo tocco.

    Lei deglutì e rispose alla sua implicita domanda. «Sono nata col labbro leporino. Avevo un anno

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