Un provocante tirocinio: Harmony Bianca
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I turni in Pronto Soccorso sono sempre più massacranti, la pressione, fisica ed emotiva, è sempre altissima, ma per fortuna la possibilità di flirtare col dottor Mason rende il mio lavoro sopportabile, anzi, decisamente... gratificante! Certo, una passeggiata sulla spiaggia al chiaro di luna non rientra proprio nelle mie mansioni professionali, e il bacio che ci siamo scambiati rende il nostro rapporto complicato ed estremamente eccitante. E io non ho alcuna intenzione di tirarmi indietro. Una cosa però la posso affermare con certezza: il tirocinio presso l'Eastern Beaches Hospital si sta rivelando più interessante del previsto.
Carol Marinelli
Nata e cresciuta in Inghilterra, ha conosciuto il marito durante una vacanza in Australia.
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Anteprima del libro
Un provocante tirocinio - Carol Marinelli
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
Cort Mason - Dr Delectable
Harlequin Mills & Boon Medical Romance
© 2011 Carol Marinelli
Traduzione di Rita Orrico
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2015 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-3051-864-3
Prologo
«È ora che tu ti rimetta in gioco, Cort.»
«Lascia stare, Elise.»
«Non lascio stare affatto» insistette lei.
«Beth è morta soltanto da un mese, ti pare appropriato che io mi rimetta in gioco?»
Quella logica avrebbe convinto chiunque, ma sua sorella non era una persona qualunque, era troppo pragmatica, gli era stata accanto nei momenti peggiori e non si sarebbe lasciata zittire. «Sei in lutto per Beth da anni» gli fece notare infatti. «Da molto prima che morisse.»
«Perciò adesso dovrei cominciare ad andare alle feste?»
«Non sei mai andato a una festa in vita tua» gli ricordò Elise con un sorrisetto. «Quindi no, non mi aspetto che tu cominci a farlo a trentadue anni. Ma nella vita c’è altro oltre al lavoro. Devi cominciare a uscire un po’, provare cose nuove...»
Cort sapeva che sua sorella aveva ragione; se al posto suo ci fosse stata Elise, lui avrebbe detto esattamente le stesse cose. È solo che non sapeva come cominciare. Cort era tornato a vivere a Sydney tre anni prima, senza dire nulla ai suoi colleghi della sua altra vita a Melbourne. Si era trasferito a Sydney proprio per evitare le domande e le banalità inutili.
Così aveva trascorso gli ultimi anni lavorando a Sydney e tornando a Melbourne nei giorni di riposo per starsene seduto in una casa di cura a guardare una donna un tempo elegante e educata sbrodolarsi con il cibo o strapparsi di dosso i vestiti in preda a qualche crisi. Era stato testimone degli innumerevoli attacchi che lentamente l’avevano privata della poca razionalità che le era rimasta e, proprio come aveva detto Elise, per lui quegli anni erano stati una specie di lutto.
«Di’ di sì» ribadì Elise prima di alzarsi e augurare al fratello la buonanotte.
«Sì a che cosa?»
«La prossima volta che qualcuno propone qualcosa, accetta.»
«Va bene» replicò lui, pensando che non aveva la benché minima intenzione di farlo.
«Fallo per Beth» insistette lei, dirigendosi alla porta. «Non le farebbe piacere sapere che entrambe le vostre vite sono state spezzate quella notte.»
Ancora una volta, lei aveva ragione.
Di nuovo solo, Cort attraversò l’appartamento per chiudere le portefinestre e non sentire più il suono delle onde dell’oceano. La stanza piombò nel silenzio, ma la sua testa era ancora affollata di rumori.
Beth se n’era andata.
1
«Hai tempo di assistermi in sala suture?» domandò Cort Mason, lo strutturato del pronto soccorso. «Ti avverto che potrebbe durare parecchio.»
Ruby saltò giù dallo sgabello sul quale si era appollaiata per sistemare gli scaffali e si voltò verso il medico. Era più che felice di dargli una mano. E non perché era uno schianto di uomo.
La caposala l’aveva assegnata all’area rossa, la sala cui accedono i pazienti in condizioni più critiche, per tutta la giornata, ma Ruby si disse che non poteva disobbedire a una richiesta del medico responsabile del pronto soccorso.
«Volentieri!» esclamò con un ampio sorriso, che però non fu ricambiato. Anzi, lui non attese nemmeno la sua risposta prima di dirigersi in sala suture, forse dando per scontato che un’allieva infermiera l’assecondasse senza protestare.
Per scrupolo informò Connor, l’infermiere capo, di dove stava andando.
«Va bene. Tanto non è che stessi facendo molto, qui» concesse lui. Poi aggrottò la fronte. «Ruby, perché hai una benda elastica sui capelli?»
«Per via di Sheila» spiegò lei, sollevando gli occhi al cielo. La caposala non soltanto l’aveva assegnata alla zona più cruenta del pronto soccorso, ma era anche infastidita dai capelli ramati di Ruby, che erano così folti da sfuggire a ogni tentativo di tenerli legati con elastici o fermagli. Così, quel pomeriggio Sheila le aveva dato una benda elastica e intimato di risolvere il problema.
«Ce l’ha proprio con te.»
«A quanto pare le ricordo sua figlia, anche se non so perché. Comunque, il dottor Mason si starà chiedendo dove sono finita. Mi ha detto che ci vorrà un po’.»
«Allora quando hai finito puoi andare a prenderti un caffè» replicò Connor. «Inoltre, qui ci diamo tutti del tu. Il suo nome è Cort.»
Ruby decise che avrebbe continuato a chiamarlo dottor Mason. Suo padre era primario di chirurgia in un altro ospedale e aveva sempre insistito sull’importanza dei titoli, perciò lei preferiva attenersi al consiglio del padre e non offendere nessuno.
Si guardò intorno e quando fu certa che Sheila non la stesse osservando, sgattaiolò verso la sala suture, più sollevata di quanto Connor potesse immaginare. La caposala era stata molto chiara riguardo al fatto che Ruby dovesse lavorare nell’area rossa, ma per fortuna quel giorno c’era un’insolita calma.
«Mettiti i guanti» la istruì Cort quando lei entrò in sala suture. «Ho solo bisogno di qualcuno che tenga fermo il braccio di Ted mentre metto i punti. Continua a dimenticarsi di stare fermo, vero, Ted?»
L’uomo anziano borbottò una protesta e Ruby percepì l’odore dell’alcol nella piccola stanza.
«Come si sente, Ted?» domandò lei guardando la ferita e rallegrandosi del fatto che fosse abbastanza profonda da richiedere parecchio tempo. Non era felice per il paziente, ovviamente, ma per se stessa. Se tutto andava bene, forse non sarebbe stato necessario tornare alle emergenze.
Odiava quel reparto. Non lo dava a vedere, era sempre allegra e sorridente con tutti, e aveva deciso di non parlare nemmeno con gli amici di quanto fosse dura per lei affrontare quell’ultima rotazione.
Aveva sempre saputo che non le sarebbe piaciuto, ma l’odio era così intenso che Ruby cominciava a dubitare di riuscire a completare quelle ultime due settimane di tirocinio. Non c’era una ragione tangibile per odiare il reparto emergenze, eppure ogni volta che le capitava di sentire la sirena di un’ambulanza o quando doveva mettere piede in reparto ogni mattina, doveva frenare l’impulso di girare sui tacchi e darsela a gambe.
C’erano state un paio di avvisaglie, come la volta in cui un paziente di chirurgia era collassato dopo un intervento ed era stato necessario rianimarlo d’urgenza. Quella volta Ruby ne era rimasta così sconvolta da mettere in dubbio la propria scelta di studiare per diventare infermiera, anche se, nell’insieme, il tirocinio le piaceva. Il suo sogno era quello di lavorare in psichiatria, ma per arrivarci era necessario avere una preparazione generale.
Cort Mason si levò la giacca e indossò un camice di plastica, si lavò e infine avvicinò uno sgabello al lettino del paziente.
«Si è addormentato» notò Ruby. Quasi a confermare quel fatto, Ted cominciò a russare rumorosamente. Persino lei dovette ammettere che la propria presenza lì a quel punto era inutile.
«Non voglio doverlo bloccare con la forza se dovesse risvegliarsi» osservò Cort con un mezzo sorriso. «Sarà noioso per te.»
«Oh, per niente. Sono felicissima di essere qui» si affrettò ad assicurare lei con un gran sorriso, tendendo l’orecchio ad alcuni rumori fuori dalla porta.
Lui la guardò per un momento ed esitò prima di sorridere a sua volta, con meno entusiasmo ma con una chiara traccia di divertimento. Poi abbassò lo sguardo sul braccio del paziente. Pulì la ferita e iniettò l’anestetico e solo allora offrì una risposta.
«Non capita spesso di sentirlo dire.»
«Come, prego?»
«Che qualcuno è felicissimo di essere qui.»
«Ah, ma io sono un tipo felice per natura» ribatté lei e lo vide fermarsi dopo il primo punto di sutura, come se stesse aspettando che lei facesse qualcosa.
«Non vuoi tagliare il filo?»
«Oh!» Con la mano libera, Ruby prese le forbici. «Mi sento una vera infermiera. Dove devo tagliare?»
«Un po’ più in basso» la istruì lui.
C’era un che di rassicurante nel fare qualcosa di utile, oltre a tenere la mano del paziente. E, contrariamente a quanto si diceva in giro, il dottor Mason era tutt’altro che scorbutico. Anzi, lei lo trovava molto simpatico.
Ruby aveva sentito fare il suo nome parecchie volte. Durante le sue prime quattro settimane in pronto soccorso, lui era in congedo da un anno e aveva fatto ritorno in ospedale soltanto da una settimana, ma non era per nulla come lei se lo era immaginato in base ai racconti dei colleghi.
Neanche un po’. Si era aspettata un uomo severo sulla cinquantina e invece lui era poco più che trentenne, moro e con splendidi occhi nocciola, un naso affilato e una bella bocca. Non era né arcigno, né scortese, solo... Era difficile inquadrarlo, ma lei decise di provare.
Prima di allora non aveva mai chiacchierato con lui e non l’aveva mai visto sorridere davvero. Era formale con i pazienti, distante con il personale e l’inefficienza sembrava irritarlo.
La definizione più adatta che le venne in mente fu ombroso. Tuttavia, non lo era affatto in quel momento.
Ruby osservò la sua camicia bianca e la cravatta lilla, che sembravano mal adattarsi al completo marrone, ma su di lui quella combinazione era stranamente attraente. Se qualcuno le avesse detto che era possibile per un uomo essere bello in abito marrone, non ci avrebbe creduto.
Invece, visto da vicino lui era davvero un bell’uomo. Emanava un sottile profumo di fresco che lei immaginò provenire dai capelli. Folti e lucidi, avevano un taglio curato ma vagamente asimmetrico che le piaceva molto.
«Taglia, per favore» le ricordò Cort e lei si riprese dal momento di distrazione. «Ho bisogno di altro filo da quattro.»
«Mi devo davvero guadagnare la paga, oggi» scherzò lei, scendendo dallo sgabello per cercare ciò che le aveva chiesto.
«Il cassetto in alto a sinistra.»
«Ce l’ho.» Dopo aver sistemato il filo sul vassoio della medicazione, a Ruby non restò molto altro da fare che guardarsi intorno nella stanza. Gli occhi le caddero sulla giacca di lui, appesa alla porta.
«Non è proprio marrone» commentò ad alta voce e subito arrossì, consapevole del fatto che si distraeva di continuo e le capitava di parlare sovrappensiero.
Lui sollevò lo sguardo e la guardò con espressione stupita.
«La sua giacca» spiegò con voce gracchiante per l’imbarazzo. «Non è propriamente marrone.»
Lui non disse nulla e tornò a occuparsi del paziente, ma per un momento le sue labbra s’incresparono, perché aveva avuto una discussione simile con la commessa del negozio.
Stanco di completi grigi e blu, e non essendo un esperto dello shopping, si era affidato al giudizio della commessa, ma quando questa si era presentata con quel completo, lui era indietreggiato dicendo che mai e poi mai avrebbe