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Sherlock Holmes. Uno studio in rosso
Sherlock Holmes. Uno studio in rosso
Sherlock Holmes. Uno studio in rosso
E-book162 pagine2 ore

Sherlock Holmes. Uno studio in rosso

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Edizione integrale
Traduzione di Nicoletta Rosati Bizzotto

Uno studio in rosso è il romanzo che segna l’esordio di Sherlock Holmes, l’investigatore più amato e imitato di tutti i tempi. Attraverso il racconto del dottor Watson, suo inseparabile socio e amico, vede la luce l’infallibile detective, con la sua intelligenza fulminea e gli straordinari metodi di indagine. Un uomo capace di scovare una verità dove gli altri vedono una bugia, una soluzione lampante in un mistero che per tutti è tremendamente ingarbugliato. La scienza della deduzione e il rigore di una razionalità inflessibile hanno fatto della creatura di Doyle il paradigma dell’investigatore letterario, un mito che sembra destinato a non tramontare mai: lo testimoniano le recenti trasposizioni cinematografiche per la regia di Guy Ritchie (con Robert Downey Jr. nei panni del protagonista) e le fortunate serie TV ispirate al suo personaggio.
Arthur Conan Doyle
nacque a Edimburgo nel 1859. Benché il suo nome rimanga indissolubilmente legato a quello di Sherlock Holmes, lo scrittore ebbe anche altri interessi, tra cui la storia, il giornalismo e soprattutto lo spiritismo. Nel 1903 venne insignito del titolo di baronetto. Morì nel 1930. Di Conan Doyle la Newton Compton ha pubblicato Le avventure di Sherlock Holmes, Il ritorno di Sherlock Holmes, Sherlock Holmes e il mastino dei Baskerville, Sherlock Holmes. Uno studio in rosso - Il segno dei Quattro, L’ultimo saluto di Sherlock Holmes, Sherlock Holmes. La Valle della Paura e la raccolta Tutto Sherlock Holmes.
LinguaItaliano
Data di uscita11 lug 2016
ISBN9788854196803
Autore

Arthur Conan Doyle

Sir Arthur Conan Doyle (1859–1930) was a Scottish writer and physician, most famous for his stories about the detective Sherlock Holmes and long-suffering sidekick Dr Watson. Conan Doyle was a prolific writer whose other works include fantasy and science fiction stories, plays, romances, poetry, non-fiction and historical novels.

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    Anteprima del libro

    Sherlock Holmes. Uno studio in rosso - Arthur Conan Doyle

    Parte prima. Ristampa dalle memorie del dottor John H. Watson, gia appartenente al corpo medico militare

    Capitolo primo. Il mio amico Sherlock Holmes

    Nell'anno 1878, conseguita la laurea in medicina alla London University, mi recai a Netley per seguire il corso di specializzazione come chirurgo militare. Completati i miei studi, fui regolarmente distaccato presso il Quinto Corpo Fucilieri del Northumberland in qualità di assistente chirurgo. All'epoca, il reggimento era di stanza in India e, prima che io potessi raggiungerlo, era scoppiato il secondo conflitto afghano. Sbarcando a Bombay, venni a sapere che il mio reparto aveva già attraversato i passi ed era ormai all'interno del territorio nemico. Molti altri ufficiali si trovavano, comunque, nella mia stessa situazione. Seguimmo quindi il reparto e riuscii a raggiungere sano e salvo Candahar, dove mi ricongiunsi al mio reggimento assumendo subito le mie nuove funzioni.

    A molti la campagna afghana portò onori e promozioni; ma a me non portò che sfortune e calamità. Venni trasferito dalla mia brigata e assegnato a quella dei Berkshire, con i quali presi parte alla disastrosa battaglia di Mainwand; fui ferito alla spalla da un proiettile Jezail che mi fracassò l'osso procurandomi una lesione superficiale all'arteria succlavia. Sarei caduto nelle mani dei sanguinari Ghazi se non fosse stato per la devozione e il coraggio del mio attendente Murray il quale mi caricò in groppa a un cavallo da soma e riuscì a portarmi in salvo fino nelle retrovie inglesi.

    Spossato dal dolore e indebolito dagli stenti così a lungo sopportati, venni trasportato con un lungo convoglio di feriti alla base ospedaliera di Peshawar. Mi ero ripreso, ed ero già in condizioni di aggirarmi per le corsie e perfino di prendere un po' di sole nella veranda, quando fui colpito da quella febbre enterica che è la maledizione dei nostri possedimenti indiani. Per mesi, rimasi in condizioni disperate e quando finalmente fui dichiarato fuori pericolo ed entrai in convalescenza, ero talmente debole ed emaciato che una commissione medica decise per il mio immediato rientro in Inghilterra. Mi imbarcarono quindi su una nave per trasporto truppe, l'Orontes, e un mese dopo sbarcai sul molo di Portsmouth con la salute irrimediabilmente rovinata ma col permesso, graziosamente concessomi dal governo, di impiegare i successivi nove mesi a cercare di rimetterla in sesto.

    Non avevo nessun parente in Inghilterra ed ero quindi libero come l'aria - o, meglio, libero quanto può esserlo un uomo con una rendita di undici scellini e mezzo al giorno. Date le circostanze, ovviamente fui attratto da Londra, quel grande pozzo nero dal quale tutti i perdigiorno e gli sfaccendati dell'Impero vengono irresistibilmente inghiottiti. E a Londra rimasi per qualche tempo, in una pensione dello Strand, conducendo un'esistenza scomoda e vuota, spendendo più liberalmente di quanto avrei dovuto il poco denaro che avevo a disposizione. Lo stato delle mie finanze si fece, alla fine, così allarmante da non lasciarmi che due alternative: o abbandonare la metropoli e confinarmi in qualche paesino di campagna, o cambiare radicalmente il mio tenore di vita. Optai per questa seconda soluzione e cominciai a entrare nell'ordine di idee di abbandonare l'albergo e stabilirmi in un alloggio meno pretenzioso e meno dispendioso.

    Il giorno stesso in cui ero giunto a questa conclusione, me ne stavo al Criterion Bar quando mi sentii battere su una spalla e, voltandomi, riconobbi il giovane Stamford che era stato mio assistente quando ero medico a Bart. Vedere una faccia amica nella nostra giungla londinese è davvero una piacevole sorpresa per chi è solo. A dir la verità, in passato non c'era mai stata fra noi un'amicizia molto stretta ma in quel momento lo salutai con entusiasmo ed egli, a sua volta, sembrò felicissimo di vedermi. Nell'impeto della mia gioia, lo invitai a pranzo all'Holborn e ci arrivammo insieme in una vettura di piazza.

    «Cosa le è successo, Watson?», mi domandò francamente sorpreso, mentre la carrozza percorreva rumorosamente le strade affollate di Londra. «E magro come un chiodo e nero come un tizzone.»

    Gli feci un resoconto delle mie vicissitudini che durò per tutto il tempo del tragitto.

    «Poveraccio!», disse in tono di commiserazione dopo avere ascoltato le mie peripezie. «E adesso, cosa conta di fare?»

    «Cercarmi un alloggio», risposi. «Cercar di risolvere il problema se è possibile trovare una casa confortevole a un prezzo ragionevole.»

    «E strano», osservò il mio compagno. «E la seconda persona, oggi, che ha usato questa espressione.»

    «E la prima chi era?», domandai.

    «Un tale che lavora al laboratorio di chimica dell'ospedale. Stamattina si lamentava appunto di non riuscire a trovare qualcuno con cui dividere il costo di un alloggio che aveva visto ma che, per lui solo, era troppo caro.»

    «Per Giove!», esclamai. «Se ha veramente intenzione di dividere alloggio e spese, sono proprio quello che fa per lui. Preferirei avere un compagno anziché vivere solo.»

    Il giovane Stamford mi lanciò un'occhiata un po' strana al disopra del suo bicchiere di vino. «Non conosce ancora Sherlock Holmes», disse; «forse non gradirà molto averlo sempre presente come compagno.»

    «Perché, cos'ha che non va?»

    «Non ho detto che in lui ci sia qualcosa che non va. Ha delle idee un po' strambe - è un entusiasta di determinate branche della scienza. Per quanto ne so io, è un buon diavolo.»

    «Studente di medicina, immagino?», dissi.

    «No... Non ho idea di quale facoltà voglia seguire. Credo che abbia buone cognizioni di anatomia, ed è un chimico di prim'ordine; ma, a quanto mi risulta, non ha mai seguito sistematicamente dei corsi di medicina. I suoi studi sono privi di qualsiasi metodo e piuttosto eccentrici, ma ha accumulato una massa enorme di cognizioni insolite che lascerebbero a bocca aperta i suoi professori.»

    «Non gli ha mai chiesto quale ramo intende scegliere?», domandai.

    «No; non è un uomo facile al dialogo, anche se può essere molto comunicativo quando ne ha voglia.»

    «Mi piacerebbe conoscerlo», dissi. «Se devo avere un coinquilino, preferirei una persona tranquilla e amante dei libri. Non sono ancora abbastanza in forze per sopportare rumori e agitazione. Ne ho avuto abbastanza di entrambi in Afghanistan da durarmi per tutto il resto della vita. Come potrei fare per conoscere questo suo amico?»

    «Sarà senza dubbio in laboratorio», rispose il mio compagno. «A volte ne sta alla larga per settimane, altre volte ci rimane a lavorare dalla mattina alla sera. Se vuole, possiamo andarci insieme dopo mangiato.»

    «Certamente», risposi, e la conversazione si spostò su altri argomenti.

    Mentre ci dirigevamo all'ospedale dopo aver lasciato l'Holborn, Stamford mi diede qualche altra informazione sul signore che mi proponevo di prendere come coinquilino.

    «Non se la prenda con me se non ci andrà d'accordo», disse; «di lui, so unicamente quello che ho appreso incontrandolo ogni tanto in laboratorio. È lei che ha proposto questo accomodamento, quindi non me ne ritenga responsabile.»

    «Se non andremo d'accordo sarà facile separarci», risposi. «La mia impressione, Stamford», aggiunsi guardandolo dritto in faccia, «è che lei abbia qualche motivo per lavarsi le mani di tutta la faccenda. Questo tizio ha davvero un tale caratteraccio, o cosa? Me lo dica francamente.»

    «Difficile esprimere l'inesprimibile», rispose scoppiando a ridere. «Holmes è un po' troppo scientifico per i miei gusti - lo definirei quasi un animale a sangue freddo. Posso immaginarmelo mentre dà a un amico un pizzico dell'ultimo alcaloide vegetale scoperto, non per cattiveria, badi bene, ma per avere un'idea precisa degli effetti. Però, devo dire onestamente che non ci penserebbe due volte a ingerirlo lui stesso. Sembra nutrire un'insaziabile passione per le cognizioni esatte e definite.»

    «Giustissimo.»

    «Già, ma è una cosa che si può spingere all'eccesso. Quando si arriva a percuotere con un bastone i cadaveri in sala anatomica, la faccenda diventa certo un po' strana!»

    «Percuotere i cadaveri!»

    «Sì, per verificare il tipo di lividure che si possono produrre dopo la morte. L'ho visto farlo io stesso, con i miei occhi.»

    «Pure, dice che non è uno studente di medicina?»

    «No. Dio solo sa cosa studia. Ma siamo arrivati, giudicherà lei stesso.» Mentre parlava, ci eravamo inoltrati in uno stretto viottolo, ed eravamo entrati per una porticina che dava in un'ala del grande ospedale. Il luogo mi era familiare e non ebbi bisogno di guida mentre salivamo su per la squallida scala di pietra, avviandoci poi lungo il corridoio con le sue pareti imbiancate a calce e le porte grigiastre. All'estremità del corridoio, si dipartiva un passaggio, col basso soffitto a vòlta, che portava al laboratorio di chimica.

    Il locale era uno stanzone sottotetto, dove si allineavano una miriade di flaconi. Qui e là, dei larghi tavoli bassi sui quali erano accatastati storte, provette e piccoli becchi Bunsen con la loro tremula fiammella azzurrognola. Nella stanza c'era un unico studente, chino su un tavolo lontano, assorto nel suo lavoro. Al suono dei nostri passi si guardò intorno e saltò in piedi con un grido di gioia. «L'ho trovato! L'ho trovato!», urlò al mio amico, precipitandosi verso di noi con una provetta in mano. «Ho trovato un reagente che precipita esclusivamente con l'emoglobina.» Se avesse scoperto una miniera d'oro non avrebbe potuto apparire più felice e radioso.

    «Il dottor Watson, il signor Sherlock Holmes», ci presentò Stamford.

    «Molto lieto», disse cordialmente, stringendomi la mano con una forza di cui non gli avrei dato credito. «Vedo che è stato in Afghanistan.»

    «Come diamine fa a saperlo?», gli chiesi sbalordito.

    «Non importa», rispose ridacchiando fra sé e sé. «Il problema adesso è l'emoglobina. Comprenderà senza dubbio l'importanza della mia scoperta?»

    «Da un punto di vista scientifico è sicuramente importante», risposi, «ma, in pratica...»

    «Ma, signor mio, è la più pratica delle scoperte in campo medico-legale da anni a questa parte. Non capisce che ci fornisce un test infallibile per le macchie di sangue? Venga, venga qui!» Nel suo entusiasmo mi afferrò per la manica trascinandomi al tavolo dove stava lavorando quando eravamo entrati. «Prendiamo del sangue fresco», disse infilandosi un lungo spillone nel dito e aspirando qualche goccia di sangue con una pipetta. «Ora, aggiungo questo poco sangue a un litro d'acqua. Come vede, il liquido che ne risulta conserva l'aspetto di acqua pura. La percentuale del sangue non è certo maggiore di uno a un milione. Eppure, sono sicurissimo che otterremo la reazione caratteristica.» Mentre parlava, aveva gettato nel recipiente pochi cristalli bianchi, aggiungendo poi qualche goccia di un liquido trasparente. In un attimo, il contenuto del recipiente assunse un color mogano opaco e un sedimento brunastro precipitò sul fondo del boccale di vetro.

    «Bene! Bene!», esclamò battendo le mani con l'aria estasiata di un bambino davanti a un nuovo giocattolo. «Che ne pensa?»

    «Sembra un esperimento molto sofisticato», osservai.

    «Stupendo! Stupendo! Il vecchio test del guaiaco era molto rudimentale e approssimativo. Come lo è l'esame microscopico che, del resto, è totalmente inutile se le macchie di sangue risalgono a qualche ora prima. Se questo esperimento fosse stato inventato prima, centinaia di persone che oggi se ne vanno tranquillamente in giro sulla faccia della terra avrebbero già da un pezzo pagato per i loro crimini.»

    «Davvero!», mormorai.

    «I casi criminali sono sempre imperniati sullo stesso punto. Un uomo è sospettato di un delitto mesi dopo che esso è stato commesso. Si esaminano la sua biancheria, i suoi vestiti, e si scopre che presentano delle macchie brunastre. Sono macchie di sangue, di fango, di ruggine, di frutta o di che cosa? È un problema che ha messo a dura prova molti esperti, e sa perché? Perché non esisteva un test affidabile. Ora, abbiamo il test di Sherlock Holmes e non ci saranno più difficoltà.»

    Mentre parlava gli brillavano gli occhi e, ponendosi la mano al petto, s'inchinò come di fronte a una fantomatica platea.

    «C'è da congratularsi con lei», dissi, non poco sorpreso dal suo entusiasmo.

    «Ci fu il caso Von Bischoff a Francoforte l'anno scorso. Se questo test fosse esistito allora, lo avrebbero certamente impiccato. E poi ci fu Mason di Bradford, e il famigerato Muller, e Lefevre di Montpellier, e Samson di New Orleans. Potrei citare una dozzina di casi in cui questo test sarebbe stato decisivo.»

    «Mi sembra un registro ambulante del crimine», esclamò

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