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La città di pietra
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E-book383 pagine5 ore

La città di pietra

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Info su questo ebook

Una città perduta, un terribile segreto ed un misterioso procedimento sepolti da millenni riemergono dal fondale dell’Oceano. Poteri occulti si scatenano nuovamente per svelarli o per distruggerli per sempre. Erik e la sua squadra pensavano che la costruzione della più grande piattaforma petrolifera off-shore del mondo fosse stata una grande impresa, ma quello era solo l’inizio di un’avventura che li avrebbe portati a squarciare il velo che copre la vera storia dell’uomo sulla Terra e le sue origini.

LinguaItaliano
Data di uscita28 mar 2015
ISBN9781311958242
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    Anteprima del libro

    La città di pietra - Maurizio Castagno

    CAPITOLO I – PROLOGO

    Altopiano Etiope monastero copto -460 d.C.-

    Nella grande sala echeggiava un forte brusio. I novizi erano in fibrillazione, quel giorno avrebbero sentito per la prima volta la storia narrata nelle antiche scritture, una storia ormai perduta per tutti ma non per loro.

    Il vecchio monaco prese posto sullo scranno e, dopo aver ristabilito il silenzio con un gesto della mano, cominciò a leggere le antiche pergamene:

    Come durante tutti i turni che si erano susseguiti nel tempo si trova in uno stato tra il sonno e la veglia. Era una sentinella, un incarico di estrema importanza, sarebbe stato il primo a sapere se per loro ci sarebbe stata speranza o no, ma dopo tutto quel tempo trascorso senza l’arrivo di alcun messaggio cominciava a pensare che per il suo popolo non ci sarebbe stata salvezza. All’improvviso nella grande stanza giunse una figura alata, mezzo uomo e mezzo uccello....

    I giovani monaci ricominciarono a fare trambusto eccitati dal racconto, il vecchio monaco si interruppe e li fissò severo con i suoi luminosi occhi cerulei e questi subito si zittirono, quindi proseguì:

    Inizialmente la giovane sentinella non riusciva a capire se fosse di fronte ad un messaggero o ad un demone, non aveva mai visto un messaggero, ed ormai disperava di vederne uno. La creatura mezzo uomo e mezzo uccello gli porse il messaggio; la sentinella vide il sigillo e capì subito che era un messaggero e quello un messaggio inviato dagli esploratori. Ruppe il sigillo e cominciò subito a leggere il messaggio. Lette le prime righe sgranò gli occhi per la sorpresa e cominciarono a tremargli le mani dall’emozione, sussurrò quindi tenendo le labbra serrate <> poi aggiunse sempre parlando tra se, e fissando un punto lontano, <>.

    Prima di lasciarsi prendere dall’entusiasmo doveva però leggere tutto il messaggio. Conosceva le regole sacre, i comandamenti, doveva accertarsi che l’esplorazione e l’estrazione dell’elemento le rispettassero. Proseguì nella lettura del messaggio arrivando al punto chiave, quindi lesse ad alta voce per rendere la cosa ancora più vera <>.

    Letto quel passaggio il cuore gli si riempi di gioia. Avevano trovato l’elemento e niente impediva la sua estrazione, gli dei li avevano aiutati, il suo popolo era salvo.

    CAPITOLO II – IL RITROVAMENTO

    Golfo di Aden -oggi-

    L’alba era sicuramente il momento del giorno che preferiva, forse era collegato alla paura che aveva della vecchiaia e della morte e che lo aveva accompagnato per tutta la vita. L’alba, per lui, rappresentava la nascita di un nuovo giorno, il miracolo della vita che si ripeteva, un nuovo giorno che doveva essere vissuto appieno, divorato prima che la notte, la morte, lo fagocitasse, e quell’alba aveva per lui un significato ancora più grande.

    Guardava i mastodontici tralicci che sostenevano le strutture dell’enorme piattaforma petrolifera off-shore incendiati dalla luce del sole nascente. Oggi avrebbero scavato, dopo mesi di lavoro la più grande piattaforma petrolifera mai costruita avrebbe cominciato a divorare roccia alla ricerca del prezioso elemento: il petrolio. L’ondata emotiva dopo il disastro della piattaforma della BP che aveva quasi distrutto l’ecosistema della Louisiana, e minacciato quello dell’intero Golfo del Messico, si era spenta. La crisi economica che da anni attanagliava il mondo e la sete di energia dei paesi emergenti aveva convinto anche le Amministrazioni più ambientaliste a rivedere le rigide norme in tema di trivellazioni in alto mare, ed ora Erik Maverik era lì in piedi sulla sua mastodontica creatura pronto a cogliere i frutti della ritrovata corsa all’oro nero.

    A capo di un’enorme holding che controllava centinaia di società in tutto il modo nei più disparati settori, Erik è quello che negli anni ottanta sarebbe stato definito un self-made-man, e che nel suo caso era appropriato come in rarissimi altri casi. Senza mai chiedere un favore ad un politico e senza mai concederlo, figlio del proprietario di una piccola ferramenta della periferia di Filadelfia, fin da bambino aveva passato ore ed ore nel retrobottega del padre a costruire e smontare. Era ossessionato dalla creazione, In età adulta, durante una delle innumerevoli interviste, disse che gli uomini sono portati a costruire cose materiali più che le donne in quanto privati del potere di creare la vita e quindi tendono a sopperirvi costruendo ponti, grattacieli, navi, taluni di loro ossessionati dal realizzare imprese e bisognosi di lasciare il segno più di altri. Scapolo da sempre, senza figli, da quel retrobottega, durante il liceo ed anche dopo terminati gli studi di ingegneria meccanica, Erik non smise mai di costruire, creare ed inventare. A soli ventitré anni i brevetti da lui depositati presso l’Ufficio Brevetti di Filadelfia erano una cinquantina. La maggior parte di quei brevetti dovette svenderli per pagarsi gli studi assistendo, ogni volta con grande frustrazione, all’arricchimento di altri a sue spese e ripromettendosi che, una volta laureato, avrebbe aperto la sua società e si sarebbe ripreso la sua rivincita. E così fece. A sessantaquattro anni era uno degli uomini più ricchi d’America. La Maverik Hardware Corporation, dal nome della ferramenta del padre, era la società indipendente non quotata in borsa con la più alta capitalizzazione del mondo. Negli anni, anche quelli più duri, aveva sempre resistito alle lusinghe della borsa e dei fondi di investimento, ed oggi continuava a rappresentare un unicum nel panorama industriale mondiale. Lui ripeteva sempre a chi gli diceva che quotandosi in borsa avrebbe centuplicato il suo patrimonio, e non facendolo avrebbe rischiato la rovina, che le sue opere erano fatte di cemento e acciaio e che se le fondamenta le costruisci con dei pezzi di carta, crollano. Questo suo modo di vedere la finanza gli creò molti nemici e per anni, nonostante il suo successo e l’espansione delle sue industrie, fu sempre ritenuto il figlio di un ferramenta di vedute ristrette che sarebbe rimasto schiacciato dal peso dei suoi pesantissimi manufatti. Almeno così dicevano prima della crisi del 2008 dove la finanza dei pezzi di carta aveva dimostrato tutta la sua assurdità e follia gettando sul lastrico migliaia di imprenditori, creando masse di disoccupati ma facendo arricchire a dismisura i fondi di investimento che avevano causato il disastro. Oggi la Mavrik Hardware Corporation possedeva società che costruivano dighe, grattacieli, ponti, enormi macchine per costruzioni e piattaforme petrolifere. Nonostante i suoi sessantaquattro anni e gli enormi capitali accumulati, che gli avrebbero permesso di vivere nel lusso più sfrenato per il resto dei suoi giorni, sovrintendeva tutte le grandi opere realizzate dalla sue imprese. E così oggi era li, sul ponte dell’enorme piattaforma petrolifera della quale aveva sovrinteso all’avvitamento di ogni singolo bullone dirigendo personalmente l’equipe di progettisti e tecnici.

    Lui non aveva un’opinione favorevole o contraria nei confronti del petrolio, era un tecnico non uno scienziato e nemmeno un politico. Diceva sempre che fino a che qualcuno non avrebbero trovato un valido sistema alternativo per produrre energia, se una compagnia petrolifera gli commissionava una piattaforma petrolifera, lui l’avrebbe costruita.

    In quel caso l’impresa fu ciclopica, la DN Oil un consorzio di imprese cino-tedesche aveva rilevato l’esistenza di un enorme giacimento di petrolio 150 mt sotto il fondale che si trovava alla profondità di 1.500 metri nel Golfo di Aden, ma le esigenze di portata estrattiva erano enormi. Investire nel pieno della crisi economica ingenti capitali richiede un rapido rientro ed ai primi incontri con il management della DN Oil ci mancava poco che questi chiedessero ad Erik di progettare una piattaforma che fosse in grado di svuotare in un giorno tutta la vena petrolifera che aveva rilevato, stivandola, raffinandola e facendogliela ritrovare nel distributore di benzina il giorno dopo. Inoltre erano sì nuovamente concesse le trivellazioni off-shore, anche a grande profondità, ma le misure di sicurezza richieste dalle normative internazionali e dalle compagnie di assicurazione, erano tali da scoraggiare anche gli imprenditori più audaci.

    Per vincere l’ennesima sfida che gli avevano proposto aveva costituito una società ad hoc la Golden Sea LTD nella quale aveva fatto confluire le migliori menti delle sue imprese sparse per il mondo: Rush un texano grande come un armadio dalla barba folta, dal fare brusco ed eccessivamente dedito alla birra tanto che lo stesso Erik, quando lavoravano insieme a qualche progetto, andava spesso a recuperalo ubriaco marcio in qualche bettola o nella cella di qualche prigione perché coinvolto in qualche rissa da bar. Questo era Rush, ma se c’era un uomo in tutto il globo in grado di rendere materiale quello che progettava Erik, questo era lui. Hanna, indiano, matematico, la sua natura ignorava tutto ciò che l’India aveva prodotto di spirituale per millenni, se una cosa non poteva essere contata per lui non esisteva, viveva per i numeri e soltanto per i numeri, se eri un numero avevi la sua massima considerazione, ma se eri una divinità, un pensiero, un ideale o un essere umano, per lui non esistevi e non meritavi alcuna considerazione. Luca Manfredi, 37 anni, italiano ma da anni residente a Londra, avvocato esperto di diritto internazionale. Era l’avvocato di Erik che seguiva tutti suoi i grandi progetti e, quando non passava il tempo a fare uscire di galera Rush, curava tutti gli aspetti legali relativi alle grandi opere della Maverik Hardware Corporation. Nel caso della piattaforma nel golfo di Aden aveva curato tutta la parte legale relativa ai permessi per la piattaforma off-shore verificando che tutte le specifiche richieste fossero state applicate dai tecnici e districandosi nel complicato intreccio contrattuale tra il consorzio, la Golden Sea LTD, le banche e le compagnie di assicurazioni. Completava il gruppo Christine, inglese, la massima esperta di materiali che Erik avesse mai incontrato, 35 anni, atletica, lunghi capelli castani sempre raccolti in una pratica coda di cavallo ed intensi occhi verdi che si commuovevano solo alla vista di un nuovo polimero appena uscito dalle industrie della Maverik Hardware Corporation. Riguardo a lei Erik diceva che se gli uomini costruiscono perché privati del dono di creare la vita, Christine combinava materiali come un’ossessa perché privata del dono di partorire fibre di carbonio e leghe speciali. Diretti da loro uno stuolo di tecnici. Facevano poi da cornice rispetto al core business della Golden Sea LTD, svariate figure professionali: addetti stampa, architetti, arredatori, e tra tutti spiccava anche un hacker informatico, Misha, finlandese, pluripregiudicato per reati informatici a solo ventidue anni, che Erik aveva voluto nella Golden Sea LTD per monitorare i sistemi informatici condivisi con il consorzio, non fidandosi minimamente della curiosa coesistenza sotto lo stesso tetto di tedeschi e cinesi. Oltre alla squadra, che per un anno e mezzo aveva lavorato alla progettazione ed alla realizzazione della piattaforma, quel giorno, per il fatidico inizio delle trivellazioni, oltre ai fantastici quattro, come li aveva ribattezzati Erik: Rush, Anna, Luca e Christine, era presente anche Misha, un po’ come mascotte, un po’ per sovrintendere ai sistemi della piattaforma prima della definitiva consegna al consorzio che sarebbe avvenuta dopo la fase di collaudo. Chiudeva il gruppo il capo della sicurezza Martin Goldstone, inglese, ex incursore della marina di Sua Maestà. Martin era stato contractor per la CIA in Afghanistan, Iraq ed altri posti che non era dato sapere, come non era dato sapere a far cosa. Martin comandava una guardia armata che proteggeva la piattaforma da eventuali attacchi dei pirati. Di Martin Erik sapeva poco o niente ma nessuno sapeva gran che di lui. Quando si assumono personaggi del genere cercare di raccogliere informazioni è inutile e di norma se ne trovano è bene scartare il candidato. Da anni era a capo della sicurezza delle imprese di Erik nei luoghi più pericolosi, e si era sempre dimostrato efficiente e fidato, inoltre non parlava mai se non era strettamente necessario, qualità che Erik apprezzava molto e che trovava sempre più rara.

    Altopiano Etiope Monastero Copto 460 d.C.

    Era giunto il secondo giorno dedicato alla lettura delle antiche scritture per i novizi, che non stavano più nella pelle nell’attesa di sapere cosa accadde dopo che era giunto il messaggio che era stato trovato l’elemento per loro vitale.

    Il vecchio monaco seduto su una stuoia polverosa all’interno del monastero riprese a leggere ai novizi le antiche scritture:

    Il primo guardava fuori dalla grande finestra e diceva tra se. <> poi facendo un profondo respiro aggiunse <<è tutto perfetto, forse troppo perfetto>>.

    Il secondo, appena sopraggiunto nella stanza, come lo vide gli disse <>.

    Il primo rispose <> poi aggiunse parlando agli altri presenti nella stanza <>.

    Dopo alcune albe si ritrovarono nella stessa stanza. Su tre tavoli che erano stati posizionati al centro della stessa si trovavano distesi gli esemplari procurati come richiesto.

    Più li guardava più sentiva crescere in lui un senso di inquietudine, quindi parlando tra se disse <> poi aggiunse <>.

    Mentre il primo guardava assorto i tre esemplari distesi sul tavolo entrò il secondo che subito disse <> e poi aggiunse <>.

    L’altro lo guardò terrorizzato e riuscì solo a dire con un filo di voce <>

    <> rispose l’altro, che poi aggiunse <>.

    Golfo di Aden -oggi-

    Erik era assorto a contemplare il sole che saliva dal mare dietro le imponenti torri della piattaforma quando udì una voce alle sue spalle.

    <> disse Christine avvicinandosi a lui dopo aver terminato la sua ora di jogging intorno all’enorme ponte numero sei.

    <> rispose Erik senza voltarsi.

    <> aggiunse lei mentre si avvicinava mettendosi al suo fianco.

    Lui come se si rivolgesse ad un’immaginaria platea con lo sguardo perso nel vuoto disse con tono volutamente teatrale <>.

    Erik ancora non sapeva quanto quello sarebbe stato un nuovo giorno e l’inizio di una nuova era ma non tanto per la ricerca petrolifera quanto per l’intera umanità.

    Mentre scendevano con l’ascensore i dodici piani che separavano il ponte sei, il più alto del primo blocco della piattaforma, e gli alloggi dell’equipaggio, lo spettacolo offerto dalle pareti in vetro temperato era da togliere il fiato. Il sole che sorgeva dall’oceano sembrava faticare ad illuminare l’immensa struttura: sei corpi principali disposti a ferro di cavallo ognuno grande come un campo da football al cui vertice stava il blocco uno, dove si trovavano loro, costituito da sei ponti per un’altezza complessiva di quaranta metri che dominava gli altri cinque blocchi alto ciascuno venticinque metri. La piattaforma era un’entità completamente autonoma, la sua energia era ricavata da enormi pannelli solari di ultima generazione, turbine idroelettriche alimentate dal moto ondoso e diverse pale eoliche.

    Fissando una di queste Christine disse <<è curioso che il nostro gigante di acciaio e vetro, destinato a strappare dalle viscere del fondale marino la fonte di energia più inquinante al mondo, per farlo si alimenti con fonti di energia rinnovabili pulite e fornite a costo zero dalla natura>>.

    <>, replicò Erik. <>.

    <> E poi aggiunse <>

    <giusto io interpreto il senso di giusto come secondo il diritto e se le leggi lo consentono, se i governi espressione dei popoli che li eleggono lo autorizzano io lo faccio, lo faccio nel rispetto di quelle leggi e quindi è giusto, io non sono un legislatore, sono un costruttore, a ognuno il suo mestiere>> aggiunse uscendo dall’ascensore e dirigendosi verso l’area dove si trovava il suo alloggio.

    Questo è quello che aveva detto ma sapeva benissimo che le leggi e le autorizzazioni che avevano reso possibile gran parte delle opere che aveva realizzato per conto di potentissime multinazionali erano frutto di pressioni di lobby, finanziamenti di costose campagne elettorali e molto spesso di corruzione anche ai più alti livelli, ma per lui vincere le sfide più impossibili che gli proponevano i suoi committenti era come una droga, non lo faceva per il profitto, era più forte di lui. Più l’impresa sembrava impossibile più sentiva l’irrefrenabile bisogno di cimentarsi anche esponendo le sue imprese a rischi enormi, ed ogni volta, come quella volta, passata l’adrenalina per l’impresa realizzata, lui stesso guardava quasi con orrore alle sue opere come un novello dott. Frankenstein terrorizzato soprattutto dal pensiero di nelle mani di chi le consegnava. Negli ultimi venti anni le sue imprese avevano separato mari, deviato ed imprigionato enormi fiumi, creato laghi, unito terre. Una volta assalito dal senso di colpa dopo l’ultima opera faraonica, con il pretesto di rinegoziare i contratti con le compagnie di assicurazione, aveva commissionato una ricerca riservata che studiasse le conseguenze in termini di danni materiali e perdite umane qualora si fossero verificati gravi incidenti a tutte le opere realizzare dalle sue compagnie. Il risultato dello studio gli tolse il sonno per un mese e, ancora oggi, sono rare le notti in cui non si svegli urlando assalito dagli incubi in cui vede intere città spazzate via da dighe crollate, intere nazioni contaminare da centrali nucleari esplose, interi mari incendiati da tonnellate di greggio fuoriuscito dalle sue piattaforme.

    Erik entrò nella sua cabina che era stata la sua casa negli ultimi sei mesi. Benché il blocco che ospitava l’equipaggio era provvisto anche di vere e propri suite dove avrebbe alloggiato il comandante e gli ospiti illustri che avrebbero fatto visita alla piattaforma, dotate di confort da albergo a cinque stelle, la sua era una normalissima cabina dell’equipaggio non graduato, una di quelle dove avrebbero alloggiato i cinquecento operai addetti alla piattaforma: quattro metri per sei un letto, un televisore al plasma con lettore DVD e collegamento satellitare, una scrivania, un armadio, una cassettiera ed un bagno. Quando lavorava sentiva il bisogno di alloggiare dove avrebbero alloggiato i lavoratori, dove avrebbe alloggiato suo padre se avesse lavorato per quella compagnia petrolifera. Anche questo faceva parte della sua personalità, benché miliardario aveva sempre fatto una vita spartana ed a influenzarlo nel suo stile di vita era la sua seconda grande passione, la storia antica. Lui era convinto che la causa principale della fine dell’Impero Romano fosse stata l’avere ceduto al lusso ed alle comodità, e pensava che tale regola valesse anche per gli imperi di oggi, e pensava che se avesse ceduto alle lusinghe del lusso anche il suo impero sarebbe crollato. In conseguenza della sua passione per il mondo antico, l’unico lusso che si concedeva, erano reperti archeologici che strappava, spesso a prezzi esorbitanti, a combattutissime aste alle quali interveniva per telefono. Negli anni aveva messo insieme una delle collezioni private di reperti egizi, greci, romani e delle civiltà precolombiane, più ricca al mondo, tanto che non di rado molti musei, nell’allestire le loro mostre, gli chiedevano in prestito taluni dei pezzi più pregiati, prestiti che lui faceva di buon grado spesso accollandosi lui stesso le spese di trasporto ed assicurative sulle opere. La sua passione per il mondo antico era frutto della sua seconda ossessione, l’origine delle cose unita alla venerazione per quelle civiltà antiche che avevano eretto, con le scarse risorse tecnologiche a loro disposizione, opere così imponenti che le sue stesse imprese oggi avrebbero fatto non poca fatica a realizzare. La sua disponibilità nei confronti dei musei, degli enti di ricerca e delle università alle quali metteva a disposizione di buon grado i suoi reperti per i loro studi gli aveva consentito di stringere molte amicizie nel mondo accademico in tutti i continenti e, quando il lavoro glielo permetteva, partecipava di buon grado a talune delle conferenze tra le numerosissime alle quali veniva invitato.

    Gettò un occhio all’orologio, erano le sette, il cellulare satellitare suonò, era Linz la segretaria del suo ufficio di Londra <> Erik non perdeva occasione per pungolare gli inglesi sui temi su cui erano più sensibili tra i quali i suoi preferiti erano il clima, la regina, la famiglia reale con i loro gossip ed i cavalli.

    <>

    <>

    << no Mr Maverik ma almeno ad Ascot non si impantaneranno nella rituale raccolta delle deiezioni equine tra un tempo e l’altro della partita di polo>> rispose con tono volutamente accondiscendente Linz.

    Finito il loro consueto siparietto Linz lo aggiornò in merito all’agenda della giornata che lo aspettava sulla piattaforma.

    <>.

    Ne seguì un noioso elenco in merito al cerimoniale di accoglienza, chi avrebbe tenuto il proprio discorso ed altre varie amenità che Erik fece finta di ascoltare mentre pensava che la differenza di orario di arrivo delle due delegazioni rappresentanti le società costituenti il Consorzio era stato uno dei punti che i cinesi avevano insistito che fosse inserito nell’atto istitutivo del consorzio stesso, pretendendo di essere i primi a mettere piede sulla piattaforma, in qualità di soci che avrebbero sopportato il maggiore esborso finanziario, manco si trattasse dello sbarco sulla luna pensò tra se Erik.

    Altopiano Etiope Monastero Copto 460 d.C.

    I giovani dopo l’ultima parte del racconto che avevano sentito non stavano più nella pelle per la curiosità. Cosa avevano scoperto? Cosa gli avrebbe impedito di salvare il loro popolo?

    Data l’attesa che regnava per il vecchio monaco fu facile ottenere il silenzio, tutti si ammutolirono all’unisono quando solo lo videro entrare, quindi srotolò le antiche pergamene e riprese a leggere da dove si era interrotto la volta prima.

    Sentito quel responso il primo si prese la faccia tra le mani e disse tra se <<è la fine>>

    L’altro aggiunse <>

    <> Chiese l’altro sconsolato

    <> aggiunge il secondo lasciando la frase sospesa.

    <>

    <>

    <> disse il primo

    L’altro proseguì <>

    <> chiese l’altro sempre più sorpreso.

    <> poi proseguì <<è una razza affine alla nostra ma molto più antica e .... superiore>>

    <> disse l’altro incredulo

    <> rispose l’altro

    <> Lo incalzò il Primo.

    <> rispose l’altro

    A questo punto i giovani monaci a sentire parlare di maledizione emisero un verso di sorpresa. Il vecchio monaco si interruppe per un attimo aspettando che ritornasse il silenzio e poi riprese:

    il Primo chiese <>

    <> rispose l’altro

    <> Lo incalzò il primo.

    <>

    <> obiettò il primo

    <> rispose l’altro

    Il primo chiese allora <>

    L’altro con sguardo terrorizzato rispose <>

    <> poi aggiunse <>

    <> rispose il secondo

    A questo punto il vecchio monaco si fermò. I giovani monaci cominciarono a protestare, dicendo <>

    <> rispose il vecchio monaco

    <> risposero i monaci più grandi che avevano già sentito più volte quella storia.

    Ma il monaco si era già alzato portando con se le antiche pergamene.

    Golfo di Aden -oggi-

    Come da contratto i primi ad arrivare,

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