Come gettare un sasso in uno stagno
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C'è sempre qualcosa che la precede e qualcuno che la seguirà, oltre l'ultima parola.
E, quando non puoi partire davvero, quando mancano le mappe, ecco la fantasia. Il senso finale di mille altre storie, vere o presunte, vissute o solo raccontate e riviste poi con la fantasia.
E ogni storia non è mai solo di chi la scrive. È come un sasso gettato nell'acqua.
Non sai dove arriveranno i cerchi e da qualche parte laggiù, incontreranno qualcuno. E forse i cerchi non termineranno la loro corsa, continuando a cercare quel qualcuno col quale scambiare emozioni.
Per questo poi tutti ci sentiamo toccati da quei cerchi, perché in fondo siamo parte di qualcuno che in realtà abbiamo solo sfiorato.
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Anteprima del libro
Come gettare un sasso in uno stagno - Marco Salomone
AUTOSTOP
Pioveva.
Ma non pioveva soltanto, no. Era una pioggia dura, di quelle che vengono giù dal cielo come un muro. Di quelle che pensi: Ecco, Noè deve avere buscato per forza un acquazzone così, altrimenti il diluvio non si spiega
.
Erano bastati due tuoni e una manciata di lampi per rovesciare sulla strada cinque minuti di alluvione, giusto quello che bastava per far sì che le cunette ai lati della provinciale, sporche e bisognose di manutenzione, cominciassero a restituire l’acqua alla carreggiata, piuttosto che farla defluire lontano da essa.
Noi viaggiavamo su quel manto bagnato, sicuri, con i fari dritti e tesi verso l’oscurità e le gomme larghe piantate per terra a mordere l’asfalto.
Stavamo bene insieme, anzi, direi che eravamo proprio una bella coppia. Lui così sicuro, bello, virile. Io sempre al centro dell’attenzione, la sua e quella degli altri. Non si poteva dire che passavo inosservata, ma la mia soddisfazione era stare con lui. Mi riempiva di coccole, aveva cura di me, quasi mi idolatrava.
Credo che chiunque altro si sarebbe comportato con me allo stesso modo, ma ormai io e lui avevamo un feeling perfetto: ci fidavamo ciecamente l’uno dell’altra.
Sì, eravamo proprio una bella coppia, una coppia perfetta.
Il diluvio, dopo quei fatidici cinque minuti, si era tramutato in una pioggia tenue, primaverile, per poi rallentare ancora, fino a sembrare tante piccole e infinite gocce di rugiada tenute in sospensione nell’aria dai vapori che esalavano dalla terra, dall’asfalto stesso sorpreso dal quel temporale estivo.
La provinciale ora si allargava, dato che stavamo uscendo dalla zona alberata. Le nuvole cariche di pioggia si stavano allontanando verso le colline a sud, coprendo la luna piena che, nonostante tutto, riusciva a forare i cumuli ora più leggeri con la sua bianca potenza.
Eravamo su un tratto dritto della strada, campi di girasole addormentati a destra e a sinistra. I fari illuminarono una figura che camminava a lato della strada nella nostra stessa direzione, tenendo il pollice sinistro alzato. Appena superammo la figura, lui si fermò. Io mi impaurii.
Ero convinta che non avrebbe mai accettato di dare un passaggio ad un estraneo, specie quando stava con me. E in quelle condizioni, poi! Di notte, con la pioggia, su una strada buia, io e lui da soli… No, non lo ritenevo possibile.
Invece lui si fermò. L’autostoppista corse verso di noi, facendo rimbalzare sulle sue spalle un piccolo zaino verde e si abbassò verso il finestrino.
Grazie. Oramai credevo che non passasse più nessuno
.
Lui tirò giù il vetro del finestrino.
Dove va?
Devo ritornare a Vicenza, ma con questo tempo mi basta arrivare a un albergo qualsiasi
.
Salga, l’accompagno. Se non ricordo male, c’è un motel tra una trentina di chilometri
.
L’autostoppista ringraziò ancora e si accomodò. A suo modo, anche se era stravolto dalla strada e dalla pioggia, era bello. I capelli, corti e ricci, erano di un biondo reso scuro dall’acqua e ricordavano quelli che si usavano per raffigurare i putti, gli angioletti. La bocca era poco più che un’apertura, con labbra piccole e sottili, ma aveva dei denti curati e bianchissimi. Solo gli occhi avevano un qualcosa di strano: di colore verde, di quel verde che ha a volte il mare, ma con una luce particolare… Non cattiva, no. Ma sorniona, furba, pronta a cogliere l’attimo giusto per il proprio utile, e questo mi metteva a disagio, mi spaventava. Non mi erano mai piaciute le persone con uno sguardo del genere e mi preoccupavo anche per il mio amore, che sapevo essere un ingenuo.
Continuammo il viaggio. L’autostoppista, che disse di chiamarsi Priamo, mi coprì di complimenti. Avevo fatto un’altra vittima. Lui, seduto al posto di guida, le braccia tese al volante, gli occhi attenti rivolti verso la strada, si crogiolava nella beatitudine che gli dava sapere di avere qualcosa che pochi altri avrebbero potuto possedere.
La pioggia, ormai, aveva smesso del tutto. Rimaneva l’odore forte di terra bagnata e un leggero velo d’acqua sull’asfalto che, a tratti, si ispessiva frenando ora una ruota, ora l’altra.
Priamo armeggiò con lo zaino, rovistò all’interno e ne estrasse una pistola, lucida nella luce della luna ora totalmente scoperta dalle nuvole. La puntò verso il mio amore.
Ma cosa fa? È impazzito?
Priamo gli appoggiò la canna alla tempia.
Fatti un favore, evita di farmi sporcare la tappezzeria. Accosta
.
Ma come…
Accosta!
La voce di Priamo si era indurita, la canna della pistola ora premeva più forte.
Lui obbedì, era stravolto dalla paura e dalla sorpresa. Io ero impietrita, non potevo fare niente.
Accostammo al bordo della strada. Non passava nessuno. Lui scese con riluttanza e Priamo gli diede una spinta, appoggiandogli la mano con la pistola sulla schiena e facendolo rotolare in una pozzanghera. Passò al posto di guida e ripartì, lasciandolo solo, sporco e disperato in mezzo alla campagna, di notte.
Io non sapevo che fare, come comportarmi. Pensavo: "E ora, che ne sarà di me? Cosa mi farà Priamo?".
Ma Priamo sapeva quello che faceva: fu delicato e deciso allo stesso tempo, diverso da come mi trattava l’altro, e seppi in un istante che il nostro sarebbe stato un rapporto sanguigno, sfrenato, fatale. Molto diverso da quello che avevo avuto in precedenza.
La storia con Priamo è durata poco, giusto il tempo di una rapina. Ha detto che se non fosse stato per me, non sarebbero mai riusciti a fuggire, lui e i suoi complici. Ha detto che gli dispiaceva tantissimo, che ci rimetteva un pezzetto di cuore, ma che ero diventata a rischio, che una come me sarebbe stata sempre riconoscibile, che adesso avevano più di una ragione per cercarci e che preferiva andare in giro con una Fiat Tempra, che passava senz’altro più inosservata rispetto a una Bentley del 1965. Fu l’ultima cosa che mi disse, senza neanche dirmi addio o ciao, dopo avermi smontato le targhe e la B
sul cofano e prima di togliermi il freno a mano per poi spingermi in fondo ad un lago melmoso e isolato, non ricordo più nemmeno dove.
IL PATRIOTA
Non c’è miglior nascondiglio che la folla.
trovatelo, dovunque sia!
Sono tre giorni che mi cercano, ma sono troppo stupidi per trovarmi. Il sole sta tramontando, la folla diminuisce, si sentono delle voci. No, non sono voci... Ordini, sono ordini. Devo muovermi, allontanarmi, fuggire.
Perché? Perché fuggire? Sempre in fuga, non