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La luce di Sirio e altre storie di tarocchi
La luce di Sirio e altre storie di tarocchi
La luce di Sirio e altre storie di tarocchi
E-book569 pagine8 ore

La luce di Sirio e altre storie di tarocchi

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Info su questo ebook

22 racconti che trasportano nel mondo strano e magico raffigurato sui Tarocchi.

Un mondo che va dalla preistoria a un futuro prossimo e fantascientifico, dalle Mille e una notte ad antichissime città che risorgono dal mare.

Dove treni stregati si portano via per sempre le belle ragazze e dove può capitare a un manager di incontrare il fantasma di una giovane donna in un bed & breakfast e di vivere uno straordinario viaggio nel tempo e nello spazio, così come può accadere a un giovane operaio della periferia industriale di Milano di imbattersi nel diavolo in persona.

Un mondo alla rovescia dove barboni, prostitute, tossici e gattare vanno in Paradiso mentre cardinali, ministri e potenti finiscono all’Inferno, e in cui i sogni sono più autentici della vita quotidiana e, forse, non sono altro che viaggi in una realtà separata.
LinguaItaliano
Data di uscita19 mar 2015
ISBN9788891176653
La luce di Sirio e altre storie di tarocchi

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    La luce di Sirio e altre storie di tarocchi - Marilyn Kunrow

    IL TRENO STREGATO

    Mad si fermò con il sidecar nel parcheggio per le moto davanti alla stazione centrale.

    Occupava due spazi e a rigore non era una due ruote perché di ruote ne aveva tre,  tuttavia lui sapeva che era considerato un bike e quindi poteva lasciarlo lì.

    Si tolse il casco.

    Aveva i il volto segnato da diverse cicatrici e un pizzetto corto sul mento. I capelli erano rossicci e brizzolati da molti fili bianchi, o meglio erano bianchi inframmezzati da alcuni fili rossi, ma li portava lunghi e selvaggi come 40 anni prima.

    L’unica concessione all’età era che ora li raccoglieva in una coda bassa che gli arrivava a metà schiena.

    Alyson, la sua cagnetta meticcia, saltò fuori dal sidecar e gli si mise alle calcagna senza bisogno di alcun guinzaglio, tuttavia Mad si chinò su di lei e le legò intorno al collo un collarino pieno di borchie e teschi a cui era attaccato un guinzaglio.

    Sapeva infatti che la Pol Fer (la polizia giudiziaria con sede in Centrale) non scherzava e gli avrebbero fatto un bel mazzo se avesse lasciato Alyson senza guinzaglio.

    L’aveva trovata in una discarica, magra da far paura e con brutte cicatrici sul dorso che lasciavano supporre che la povera bestia fosse scampata per un pelo da un incendio o, peggio ancora, da un sadico criminale intenzionato a bruciarla viva.

    Mad era un duro, come si dice, e ne aveva passate di tutti i colori nella sua vita.

    Era stato due volte nella guerriglia e molte volte in carcere e, quando era negli States, era entrato a fare parte dei temuti Hell’s Angels, tuttavia non concepiva la violenza e la crudeltà sugli animali: era una cosa che gli faceva vedere rosso, letteralmente.

    Se fosse stato testimone di un‘infamia del genere, non avrebbe esitato a tirare fuori il ferro e a fare passare un brutto quarto d’ora al criminale.

    Naturalmente aveva adottato Alyson (questo nome era quello di una ragazza che lui aveva molto amato anni prima e che era morta, vittima delle violenze del suo pappone), l’aveva curata e nutrita e ora la cagnetta stava bene e lo seguiva ovunque.

    Si può dire che la bestiola fosse l’unico membro della sua famiglia.

    Mad aveva numerosi piercing e tatuaggi e indossava un chiodo di pelle nera da motociclista, coperto di scritte e di teschi.

    Le sue mani (gli mancavano due falangi dell’anulare della mano sinistra) erano sporche e con le unghie listate a lutto ed erano piene di anelli di acciaio con teschi e svastiche e altri simboli di morte.

    Era anche alto e robusto e tutto il suo aspetto che incuteva un certo timore e non invitava a prendersi troppe confidenze, teneva gli importuni lontano.

    Infatti i marocchini che stazionavano sul piazzale non lo molestarono e lui poté scaricare senza fastidi il sidecar di quello che gli occorreva per la notte.

    Ma, prima di avviarsi, trasse da un sacchetto giallo dell’Esselunga la ciotola di Alyson e vi versò dell’acqua da una bottiglia.

    La cagnetta bevve avidamente e poi gli si mise al piede e lui si avviò all’interno della stazione.

    Trovò un angolo riparato sulla scalinata dalla parte del Gallia e si preparò il giaciglio (il suo fido sacco a pelo, che l’aveva salvato dall’assideramento su nel Maine, ai confini con il Canada), diede da mangiare e ancora da bere ad Alyson e poi le fece fare i suoi bisogni (ovviamente senza allontanarsi troppo per non perdere di vista la sua roba) che raccolse educatamente nell’apposito sacchetto che gettò in un bidoncino della spazzatura.

    Che diamine, sarò un barbone, rise dentro di sé, ma sono una persona civile.

    In realtà, anche se dormiva in Stazione Centrale, Mad non era un barbone.

    Più che altro era un vagabondo, un hobo, come dicono negli States.

    Ogni tanto aveva dei business (spacciava roba o si dava a furtarelli o prendeva parte a dei pestaggi a pagamento, e altre cosette del genere) e non gli mancava il grano: avrebbe potuto benissimo prendersi una stanza in una pensioncina, e ogni tanto lo faceva (soprattutto quando aveva voglia di un bel bagno o d’inverno quando faceva troppo freddo), ma in generale preferiva tenersi i soldi in tasca e dormire libero come l’aria, senza avere pareti intorno e menate di documenti da presentare.

    Mad era a posto: aveva già mangiato (un calzone in una pizzeria cinese in Buenos Aires) così si sistemò nel sacco a pelo, con Alyson a fianco, e prese dalla sua sacca le cartine, il tabacco, l’accendino e un po’ di fumo avvolto nella stagnola e si accinse a rollarsi la sua canna della sera.

    Passarono un paio di carabinieri di ronda, giovanissimi (avranno avuto 45 anni in due, a dire tanto!) che gli gettarono un’occhiata ma lo lasciarono in pace.

    Sai cosa gliene fregava a loro di un vecchio biker che si fa una canna e non dà noia a nessuno!

    Soprattutto alla fine del turno con la voglia di tornare a casa dalla mamma a mangiare o forse dalla ragazza a scopare.

    Mad in realtà si chiamava Matteo, ma quando era negli States con gli Hell’s Angels i suoi amici biker gli avevano dato questo soprannome perché dicevano che era pazzo, completamente pazzo (The Mad one, cioè il matto, e poi semplicemente Mad) e il soprannome gli era rimasto appiccicato anche quando era ritornato in Europa.

    E in effetti,guardandosi indietro, non si era certo fatto mancare niente in materia di follie e di tutto quanto può riempire una vita pericolosa.

    Pestaggi, rapporti a rischio con sieropositive e puttane di tutti i colori, formati ed età, guerriglia, rapine, guida in stato di ubriachezza, droga in tutte le forme (soprattutto fumo e LSD, ma anche un po’ di speed e di cocaina e talvolta anche l’eroina, ma solo sniffata e così ne era uscito abbastanza intero).

    Mad era originario del Piemonte, veniva dall’Astigiano, terra di grandi vini e tartufi, ma era arrivato giovanissimo a Milano, dove, dopo il classico viaggio a Istanbul e in India, era entrato in un gruppo di estrema sinistra (erano gli anni ’70), poi deluso dalla mancanza di coerenza e palle si era trasferito a Genova dove era entrato in un gruppo di estrema destra.

    Nuova delusione.

    Allora aveva capito che la politica non faceva per lui ed era partito per gli Stati Uniti per attraversare il continente, coast to coast, in moto (era ancora recente il film Easy Rider).

    E lì negli States gli era successo di tutto e di più.

    Una volta che, nel Montana, era finito in carcere per guida in stato di ubriachezza, aveva fatto amicizia con il suo compagno di cella, che era un Hell’s Angel e così, quando i due erano stati rilasciati si era unito al gruppo del suo nuovo amico.

    Beninteso aveva dovuto superare le prove di ammissione piuttosto pesanti (praticamente un rito di iniziazione!) necessarie per essere accettati nel mitico gruppo di biker.

    Ma Mad era un duro che non si faceva spaventare da niente e da nessuno (né da feroci biker, né da criminali e nemmeno dalla legge, dai poliziotti e dai federali) e le aveva superate senza problemi.

    Era rimasto negli States con gli Hell’s Angels per una dozzina d’anni, poi in seguito a una rapina in Texas, in cui c’era scappato il morto (e pure uno sbirro!) aveva dovuto rifugiarsi in Messico, dove era entrato nell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale del Chiapas.

    Finché aveva cominciato a fare troppo caldo anche lì. E rischiava pure l’estradizione negli States per l’omicidio dello sbirro!

    Non era stato lui a farlo fuori, era stato Big Pete, ma faglielo capire alla polizia e ai federali!

    Lui, straniero e senza carta verde,  con i precedenti che aveva, sarebbe finito dentro e avrebbero buttato la chiave. O forse addirittura l’avrebbero messo sulla sedia elettrica, in Texas vigeva ancora la pena di morte. Così aveva preferito rientrare precipitosamente in Europa.

    Ma non era ritornato in Italia, era andato invece dapprima a Berlino (c’era ancora il muro!) dove aveva trovato una folta rappresentanza degli Hell’s Angels europei (a cui ovviamente si era unito) e poi ad Amsterdam, un vero paradiso per i tipi come lui, e lì era rimasto.

    Aveva trovato una ragazza, una bella ragazza alta e bionda, che abitava da sola in una casa galleggiante su un canale ed era andato a vivere con lei.

    Lavorava in un hashish caffè e non gli mancava niente: guadagnava bene, aveva tutto il fumo che potesse desiderare e tutte le notti faceva l’amore con Hilda nel suo letto caldo.

    Poi lei era rimasta incinta e lui l’avrebbe anche sposata, ma la ragazza non se l’era sentita di legarsi a un matto come lui e aveva preferito abortire.

    E questo l’aveva così ferito che aveva determinato la fine della loro storia.

    Si erano separati da amici, intendiamoci, ma lui aveva preferito partire ancora, incontro a una nuova avventura.

    Si era imbarcato su una nave cargo che faceva il giro del mondo, sulla quale era rimasto un intero anno.

    Poi la nave era arrivata in India a Mumbay e Mad aveva deciso di fermarsi. Le vibrazioni gli piacevano e si era sentito subito a suo agio.

    Era entrato quasi subito nel gruppo che faceva capo al mitico bar Leopold e così, nell’ordine, si era trovato coinvolto in operazioni di guerriglia in Afghanistan, aveva recitato come comparsa in alcuni film di Bollywood e in ultimo era finito nel traffico di roba con la Tailandia, come spallone.

    Purtroppo era stato beccato (fortunatamente in India e non in Tailandia) ed era stato solo per l’interessamento di un boss mafioso locale che gli doveva un grosso favore (aveva salvato la vita di suo figlio) se era sfuggito all’ergastolo ed era potuto rientrare fortunosamente in Italia.

    Ora si trovava in Italia da circa una decina d’anni.

    Appena rientrato in patria era andato in Piemonte dai suoi genitori.

    Aveva trovato che suo padre era morto nel frattempo e che sua madre era diventata una donna vecchia e stanca (Perché sei ritornato? gli aveva chiesto, come se la cosa per lei non avesse alcuna importanza).

    Aveva resistito quindici giorni e poi la terra aveva ricominciato a scottargli sotto i piedi e se ne era andato, con la promessa di tornare per Natale e Pasqua.

    Da allora girava per il Belpaese con il sidecar dove lo portava il vento, seguendo a volte il suo istinto, a volte un nuovo business, a volte la voglia di una donna e a volte semplicemente il desiderio di cambiare scenario.

    Per la verità, di sidecar ne aveva acquistati diversi, li comprava per quattro soldi, vecchi e praticamente da rottamare, ma per lui le moto non avevano segreti e così li rimetteva a posto, ne modificava l’assetto, ne truccava il motore e quant’altro, trasformandoli in solidi e potenti mezzi di trasporto con cui riusciva a fare un bel po’ di strada e poi a rivendere vantaggiosamente.

    Ehi Mad! si sentì chiamare.

    Lui sussultò, la canna era finita e si stava per addormentare. Si guardò intorno e vide un vecchietto che, a pochi passi da lui,  gli faceva cenno.

    Ci mise un po’ a metterlo a fuoco, con gli anni la sua vista era molto peggiorata. Soprattutto al risveglio e, ancora di più, dopo avere fumato, faceva fatica a mettere a fuoco gli oggetti.

    Ma poi lo riconobbe: era Radi, un suo amico oltre che storico barbone della Stazione centrale.

    Hi Radi! disse allegramente alzando la mano destra (quella con tutte le falangi al loro posto) come per battere un cinque.

    Dai vieni qui a sederti con me e raccontami un po’ come ti va.

    Il vecchio barbone si avvicinò.

    In realtà non era molto più vecchio in senso anagrafico di Mad (che ormai aveva passato la sessantina) ma era tutto l’assetto della persona che era diverso.

    Radi, al contrario di Mad, aveva pochi capelli sottili, uniformemente grigi e un corpo esile e minuto, vestiva abiti dalla pulizia non ineccepibile e un po’ consunti, ma che in origine erano stati borghesi.

    Così mentre l’aspetto di Radi poteva essere definito come quello di un vecchio (barbone), l’aspetto di Mad era qualificabile piuttosto come quello di un ex-giovane (biker e teppista).

    Alyson iniziò subito a ringhiare, ma poi lo riconobbe, o forse intuì che era innocuo e si chetò rimettendosi a dormire.

    Mad tirò fuori ancora tutto l’occorrente e si mise a rollare un’altra canna.

    L’accese e la offrì all’amico Dai Radi fatti un tirino

    No,  grazie, lo sai che a me quella roba non piace … io preferisco il vecchio buon vino e prese dalla sua sacca un cartone di vino dozzinale, che subito offrì a Mad  Ne vuoi un po’?

    Si, grazie … certo che lo prendo volentieri accettò subito l’uomo, poi commentò Tu andresti bene dalle mie parti, lì di vino ce n’è davvero tanto e buono …

    Se è per quello anche dalle mie replicò Radi che veniva dall’Oltrepo’.

    Per un po’ i due uomini bevvero e fumarono (Mad la sua canna e Radi una sigaretta senza filtro fatta con le cartine e il tabacco) in silenzio.

    Poi Radi cominciò a parlare. Qui sta cambiando tutto … la nostra vita diventa sempre più difficile. Ora mi dovrebbero assegnare una casa, sai il Comune di Milano … e l’associazione di Don Mazzi che ha fatto da garante … ma sono tante spese … io ho solo la mia pensione, la minima, che non è un granché e poi non so nemmeno se davvero ho voglia di chiudermi fra quattro pareti

    Già annuì Mad ti capisco … anche a me non va di rinchiudermi in una stanza

    D’altra parte non si può nemmeno restare per sempre qui continuò Radi con i lavori sul piazzale hanno ristretto lo spazio di manovra per tutti … e poi ci sono i marocchini che sono violenti e le ronde dei carabinieri e della pol fer che non ti lasciano in pace … La stazione centrale di Milano è uno strano mondo sai?

    Sì,  lo so annuì ancora Mad. Poi aggiunse Io poi fin da piccolo, non so perché, ma ho sempre avuto paura dei treni … o forse lo so,  un tipo del mio paese era finito sotto il treno attraversando un passaggio a livello quando le sbarre erano giù e aveva perso una gamba … e io allora, che ero un bambino, avevo visto il treno come un grande mostro sferragliante che divorava pezzi di esseri umani … non so … ma mi è rimasta la paura dei treni … Sai posso guidare per cinquecento miglia con la mia moto o una macchina o un camion, ma non mi vedrai mai salire su un treno

    Hai ragione commentò Radi I treni sono pericolosi … E non solo se ci finisci sotto … Ti possono anche portare via per sempre … Sai, ci sono treni che portano scritta sui vagoni i una destinazione vicina e rassicurante e invece poi imboccano binari strani e oscuri che ti portano molto più in là di dove vorresti andare … a volte così in là che non è più possibile il ritorno

    Ma va Radi! Ma cosa mi dici? Che razza di storia mi racconti? Cos’è, una bufala o una leggenda metropolitana?

    Non è una bufala e nemmeno una leggenda metropolitana, anzi è una storia vera e tutti noi in stazione la conosciamo, credo anche i poliziotti della Pol Fer, anche se a nessuno piace parlarne … hai mai sentito parlare del Treno delle ragazze?

    No, ma che cazzo di pacco mi stai raccontando?

    Non è un pacco, te l’ho detto, è una storia vera … E’ già accaduta molte volte in passato, accade tuttora ogni tanto e accadrà sicuramente anche in futuro … la vuoi sentire?

    E dai! Raccontamela allora. Mad si mise comodo, si rollò un’altra canna e Radi iniziò a raccontare…

    Il treno delle ragazze

    Le due ragazze presero la scala mobile che portava ai treni.

    Erano entrambe sui 25 (per l’esattezza Monica aveva 26 anni ed Elisabetta 24) entrambe di statura media, entrambe avevano un bel viso e un corpo attraente (Monica era di ossatura molto minuta e aveva dei bei seni sodi e colmi, mentre Elisabetta aveva una struttura ossea più pesante e un bellissimo fondoschiena) ed entrambe erano bionde (Monica era bionda naturale e portava i capelli alla spalla ed Elisabetta invece era una finta bionda, il suo colore naturale era castano scuro, e li portava lunghi fino alle reni).

    Monica era di origine austriaca, ma parlava bene l’italiano mentre Elisabetta proveniva da un’altra regione. Monica aveva gli occhi fra il verde e l’azzurro ed Elisabetta fra il verde e il nocciola.

    Erano due gran belle ragazze e attiravano molti sguardi e commenti maschili.

    Dovevano andare a Piacenza per un casting in una televisione locale.

    Entrambe infatti vivacchiavano un po’ facendo le modelle, un po’ le escort se capitava una buona occasione, un po’ con vari lavoretti (rispettivamente interprete e insegnante di danza l’una e impiegata interinale e call center l’altra) che riuscivano di tanto in tanto a racimolare.

    Ma certamente il salto di qualità l’avrebbero fatto se fossero riuscite a entrare in qualche modo nel mondo dello spettacolo.

    E chissà, forse questa audizione per una televisione di Piacenza poteva diventare il trampolino di lancio per arrivare a Mediaset e poi magari fino ad Arcore, terra di sogno di ogni aspirante velina, letterina e quant’altro …

    Elisabetta non aveva né patente, né macchina, Monica invece era fornita sia dell’una che dell’altra, ma non le piaceva guidare, inoltre era inverno ed era prevista nebbia da quelle parti e così le due ragazze avevano deciso di andare a Piacenza con il treno (Cosa vuoi che sia, sono venti-trenta minuti di treno e arriviamo belle fresche e riposate).

    Si fermarono all’edicola per comprare delle riviste (Cosmopolitan per Monica e Amica per Elisabetta), poi vidimarono i biglietti (sola andata, non sapevano quanto sarebbe durata l’audizione e a che ora avrebbero fatto ritorno e poi poteva sempre accadere che qualcun altro di ritorno a Milano desse loro un passaggio) e si diressero al treno, già fermo in banchina con le porte aperte.

    Non avevano fatto la prenotazione e qualunque posto era buono, così scelsero un vagone che portava la scritta Piacenza e scartarono quelli che recavano Modena o Bologna.

    Cerchiamo uno scompartimento vuoto propose Monica così possiamo parlare senza fare sentire i nostri interessi agli altri e ci possiamo sistemare il trucco prima di scendere.

    In realtà non fecero alcuna fatica a trovare uno scompartimento vuoto: erano le uniche viaggiatrici del vagone.

    Probabilmente saliranno tutti dopo Piacenza commentò Elisabetta Beh, chi se ne frega, noi scendiamo lì replicò Monica.

    Monica si mise gli auricolari dell’IPod mentre Elisabetta sfogliava un po’ annoiata Amica.

    Che roba però osservò stizzita come si fa a fare pagare una borsa della spesa in plastica 1200 euro? e mostrò all’amica una pagina di pubblicità di una notissima griffe che proponeva una shopper in ecopelle giallo sole, con inserti in vinile viola fluo a contrasto per la modica somma di 1236 euro.

    Hanno la faccia come il didietro commentò Monica E pensano che tutti abbiano i milioni di euro che gli escono dalle orecchie … Si dovrebbero vergognare anche quelli della redazione di Amica a ospitare una pubblicità del genere

    Cosa vuoi che gliene freghi … la griffe paga e loro si beccano i soldi della pubblicità e stanno in piedi …. Ognuno tira acqua al suo mulino … io vorrei solo che arrivasse un po’di acqua anche al nostro mulino

    Già annuì Monica Speriamo che questa di oggi sia la volta buona che si muove qualcosa.

    Poi si rimise gli auricolari e chiuse gli occhi.

    Poco dopo, udirono il rumore soffiante della chiusura centralizzata delle porte e poi, con uno scossone, il treno si mise in moto.

    Monica controllò l’ora sul suo cellulare e vide che il treno era partito con tre minuti di ritardo.

    Poco male: avrebbe recuperato sicuramente durante il viaggio.

    Cullata dal movimento del treno e dai tonfi regolari delle ruote sugli scambi, Monica ben presto si appisolò, tanto c’era l’amica che l’avrebbe svegliata prima di arrivare a Piacenza.

    Elisabetta per un po’ aveva continuato a sfogliare Amica, poi si era stancata (forse c’erano troppe pubblicità di griffe milionarie …) e si era messa a guardare fuori dal finestrino.

    Le case di Milano e poi della periferia sud erano sfilate sempre più indistinte fino a che nemmeno i pali erano stati più visibili.

    Si era alzata infatti una nebbia fitta e bianca che occultava completamente il mondo circostante.

    Dai finestrini del treno si vedeva solo uno spesso muro di nebbia bianca. E nient’altro.

    Dopo 25 minuti Elisabetta pensò che ormai mancasse poco e svegliò l’amica, che subito controllò l’ora e disse Manca poco … tra poco dovremmo essere a Piacenza

    Già, ma l’altoparlante non ha ancora annunciato la prossima fermata e il treno non ha ridotto la velocità.  Il treno infatti continuava a filare come un missile dentro il muro di nebbia, che non si era sollevata nemmeno di un filo.

    Boh, forse con questa nebbia fanno andare il treno più piano per evitare incidenti osservò dubbiosa Monica.

    Già, peccato però che stia tirando come una scheggia replicò Elisabetta.

    Ma sai con questa nebbia non ci sono punti di riferimento ed è difficile calcolare la velocità… obiettò Monica, sempre più pensierosa Certo che nebbia però … meno male che non siamo andate con la macchina

    Meno male? Speriamo di arrivare in tempo piuttosto! Questo cavolo di treno non è ancora arrivato e siamo in viaggio da più di 40 minuti ormai, se non arriviamo a Piacenza entro poco finiremo per essere in ritardo!

    Se ci fanno perdere il casting per i loro ritardi gli faccio causa dichiarò decisa Monica poi guardò l’amica che fissava sconsolata il finestrino vuoto e bianco di nebbia e propose Provo a chiamare le ferrovie per avere informazioni sul ritardo.

    Ma dopo vari e inutili tentativi si rassegnò: non c’era campo!

    Proviamo con il mio … è di un altro gestore, magari prende meglio suggerì Elisabetta, ma anche lei si dovette scontrare con un’assoluta mancanza di campo.

    Bene! Sai cosa faccio adesso? Chiamo il 113! O i pompieri, il 115! Sono numeri di emergenza e dovrebbero essere sempre raggiungibili anche se non c’è campo! esclamò Monica.

    Ma, contro ogni verosimiglianza, anche i numeri di emergenza erano irraggiungibili.

    Le due ragazze ebbero la sensazione che cominciasse a calare il buio (era inverno e la notte veniva presto). Elisabetta cominciò ad entrare in panico E adesso che facciamo?.

    Ma Monica si sforzò di mantenere la calma Beh, tanto per cominciare vediamo di trovare qualcun altro su questo treno … altri viaggiatori che potrebbero essere più informati o meglio ancora il capotreno, no?. Così le due ragazze lasciarono i loro trolley con dentro i loro beauty e i vestiti e i body che avrebbero dovuto indossare per il casting, sulle reticelle dello scompartimento,  presero solo le borsette e si diressero verso la testa del treno (Di solito i controllori e il capotreno si siedono nel primo scompartimento di testa aveva detto Monica).

    Percorsero 5 vagoni senza vedere un’anima via.

    Il treno sembrava completamente vuoto!

    Quando giunsero allo scompartimento di testa realizzarono che era effettivamente quello occupato dal personale viaggiante (c’erano borse e berretti da ferrovieri sparsi sui sedili),  peccato però che non ci fosse assolutamente nessuno!

    Ma roba da matti! Ma dove saranno finiti tutti? esplose Elisabetta ormai prossima alle lacrime

    Forse sono in gabinetto o nel vagone ristorante cercò di tranquillizzarla l’amica

    Ma tutti?

    Intanto fuori dai finestrini il muro bianco di nebbia si era trasformato in un muro nero: era calata la notte.

    Beh, qualcuno starà pur guidando ‘sto maledetto treno,no? azzardò speranzosa Monica Proviamo ad andare nella locomotiva … e subito qui dietro: questo è il primo vagone.

    Aprirono la porta di comunicazione e una ventata gelida le investì, ancora più siderale dopo la permanenza nei vagoni surriscaldati: sembrava di tuffarsi nelle acque ghiacciate di un torrente di montagne e le due ragazze ebbero la sensazione che la nebbia gelata penetrasse fin dentro le loro ossa, come se fosse animata di vita propria e volesse afferrare i loro corpi morbidi e caldi con le sue dita gelide.

    Monica non poté fare a meno di pensare alla lirica di Goethe Erlkoenig, ma naturalmente si guardò bene dal fare partecipe l’amica dei suoi tetri pensieri.

    Tentarono di aprire la porta di comunicazione con la locomotiva, ma era chiusa.

    Cominciarono allora a bussare sempre più violentemente e a gridare Aprite per favore! Aiuto! Qualcuno ci aiuti! Ci sentite? e intanto l’aria gelida aveva incominciato a intorpidire loro le dita delle mani e dei piedi.

    Alla fine le due ragazze sballottate dagli scossoni del treno sul freddo passaggio che metteva in comunicazione con la locomotiva, e ormai quasi completamente assiderate, dichiararono forfait e ritornarono nello scompartimento di testa.

    Evidentemente concluse Monica massaggiandosi le dita rosse per il freddo O non ci hanno sentite o non ci hanno volute sentire

    Io ho i piedi che non li sento più … ma si dovrà ben fermare questo maledetto treno, no? Dovrà bene fare rifornimento prima o poi!

    Ne dubito finché va sui binari … è un’elettromotrice … prende l’energia dai fili di alta tensione sopra la linea ferroviaria

    E ora che si fa? … Io provo a tirare l’allarme suggerì Elisabetta e si aggrappò con tutte le forze all’allarme, ma il freno di emergenza non si attivò e nei minuti che seguirono nessun controllore o capotreno fece la sua comparsa.

    Le due ragazze a questo punto crollarono e Elisabetta scoppiò in lacrime. Mi è venuta pure fame disse fra le lacrime.

    Proviamo a tornare indietro, quando oggi siamo salite su questo … mostro, mi è sembrato di vedere che in coda c’era una carrozza ristorante … forse troveremo qualcosa da mangiare o altri viaggiatori o i camerieri del ristorante provò a suggerire Monica, che, da brava sagittario, manteneva sempre una fiammella di ottimismo e speranza anche nelle situazioni più tragiche.

    Rifecero nell’altro senso la strada percorsa e ritornarono nel loro scompartimento.

    Qui si accorsero che sulle reticelle, oltre ai loro trolley c’erano anche delle coperte che non avevano notato prima.

    Beh, almeno stanotte potremo farci una specie di letto e dormire al caldo poi Monica, a cui scappava la pipì già da un bel pezzo, andò nella toilette in testa al vagone e trovò con piacere che era pulita e fornita di sapone, salviette di carta e carta igienica in abbondanza.

    Almeno potremo lavarci e andare in bagno per tutto il tempo in cui durerà questo incubo, pensò, ma si guardò bene ancora una volta dal fare partecipe l’amica dei suoi pensieri: la sua espressione tetra e disperata indicava chiaramente che Elisabetta non era assolutamente dell’umore adatto ad accogliere qualsivoglia consolazione.

    Percorsero ancora il treno, ma questa volta in direzione della coda fino a che arrivarono al vagone ristorante.

    Lì ebbero due gradite sorprese: la prima che c’era cibo in abbondanza e di facile accesso e la seconda che c’erano altri viaggiatori sul treno.

    Anzi, altre viaggiatrici, perché le sette persone sedute ai tavoli del vagone ristorante, con la stessa aria smarrita presente sui loro volti, erano tutte femmine e tutte su per giù della loro età.

    La più giovane aveva forse 18 anni e la più vecchia superava di poco la trentina.

    Fu una grande consolazione per entrambi i gruppi scoprire che non erano sole a bordo di quel mostro su ruote, che un tempo avrebbero chiamato treno.

    Le altre sette ragazze non costituivano un unico gruppo, eccetto due ragazze di Piacenza, Martina e Irene, che tornavano a casa dopo un’audizione fatta negli studi di Mediaset a Cologno (che coincidenza, pensò colpita Elisabetta).

    Le altre cinque viaggiavano da sole e, tutte,  quando avevano visto che il treno non si fermava né a Piacenza, né a Parma, né a Modena (le loro rispettive destinazioni) avevano provato a chiedere soccorso per telefono prima ai loro amici e poi al 113, ma avevano trovato la stessa assoluta mancanza di campo delle nostre amiche.

    Alcune avevano provato come Elisabetta a tirare il freno, ma con lo stesso risultato e cioè zero assoluto: nessuno si era fatto vedere e il treno non aveva nemmeno rallentato.

    Poi, visto che erano ormai le 20 e che c’era abbondanza di cibo (Ci sono centinaia di piatti pronti, solo da mettere nel microonde, e il microonde funziona aveva detto una ragazza) decisero di cenare.

    Tanto cosa avevano da perdere? Se dovevano sprofondare in un incubo tanto valeva farlo a pancia piena.

    Si sistemarono tutte e nove in due tavoli vicini in modo da potere conversare tutte insieme.

    In quella situazione così assurda, il fatto di potere comunicare con altre persone le aiutava a mantenere un legame con la realtà, che sembrava sfuggire loro di mano sempre di più.

    Durante la cena si scambiarono informazioni e venne fuori che tutte le nove ragazze provenivano o erano dirette a un’audizione.

    O comunque a qualcosa di simile. Silvia, la ragazza diretta a Modena, in effetti aveva detto che stava andando a un appuntamento con un suo amico che abitava in quella città, ma dal modo con cui lo disse, dallo sguardo obliquo che fece e dal suo aspetto, sexy ed elegante, le due amiche compresero subito che in realtà questo amico era una marchetta.

    Intendiamoci, niente di male, era capitato anche a loro, e non poche volte, di arrotondare in tal modo le loro entrate sempre troppo scarse, ma restava il fatto che anche Silvia (la più grande, l’unica che avesse già compiuto i 30 anni) in qualche modo andava a un’audizione ed era in viaggio per lavoro.

    La più giovane, Nina, una ragazza slovena di 18 anni, stava andando a Parma, perché doveva fare una settimana di prova come ballerina di Lap Dance in un night di quella città.

    E delle altre tre, una andava a Piacenza e le altre due a Parma e sempre per qualcosa di simile a un’audizione o un casting o una proposta di lavoro del genere.

    Ma vi rendete conto ragazze esclamò Elisabetta durante la cena Che tutte noi stavamo o andando o tornando da qualcosa di simile a un’audizione o un casting? Non vi dice niente?

    E siamo tutte donne e tutte giovani aggiunse una delle ragazze

    Non ci sarà sotto qualcosa tipo Candid Camera? provò a suggerire un’altra.

    Se c’è sotto qualcosa del genere, quando si fanno vivi, giuro che li uccido! minacciò infuriata Silvia Per colpa del loro stupido scherzo, ho perso 3000 euro! E chissà se potrò mai recuperarli, visto che non ho potuto nemmeno avvertire … Voglio dire si corresse arrossendo che il mio amico mi aveva promesso di prestarmi questi soldi per una necessità ed ora non vorrà più farlo perché gli ho tirato il bidone senza avvertirlo …

    Però! non poté fare a meno di commentare fra l’ammirato e l’invidioso Elisabetta Hai proprio dei begli amici … l’avessi io un amico così … Se usciremo mai da questo incubo ti prego vivamente di presentarmelo Se usciremo … l’hai detto commentò leggermente beffarda l’altra.

    Beh, domani, con la luce del giorno, se questo maledetto treno rallenta potremmo tentare di saltare giù propose Martina

    Ma è troppo pericoloso obiettò Monica Potremmo finire sotto le ruote se non prendiamo bene lo slancio e con i tacchi che portiamo poi … disse guardando sconsolata le proprie estremità e quelle delle amiche

    E poi non si può tagliò la testa al toro Nina Ho già provato oggi io ad aprire gli sportelli, ma sono bloccati e, a quanto pare, almeno quelli che ho tentato di aprire oggi nel mio vagone, anche i finestrini

    E poi aggiunse Irene questo maledetto treno sembra aumentare di velocità di ora in ora.

    Decisero di andare a dormire (tanto cosa avrebbero potuto fare ancora quella notte?), ma per sicurezza si trasferirono tutte e nove nello stesso vagone (ovviamente ne scelsero uno di prima classe).

    Monica ed Elisabetta condividevano lo stesso scompartimento, così come Irene e Martina.

    Tutte le altre che avevano scelto i cinque scompartimenti compresi fra quelli occupati dalle amiche in coppia, si erano sistemate da sole in ciascun scompartimento.

    Le coperte non mancavano e nemmeno l’acqua da bere (avevano trovato centinaia di bottiglie di acqua minerale, sia gasata che naturale nel vagone ristorante).

    Che dire ancora di questo viaggio da incubo?

    Quanto durò?

    Giorni? O settimane?

    A un certo punto le ragazze persero la cognizione del tempo.

    I cellulari infatti avevano finito per scaricarsi e sebbene quasi tutte le ragazze avessero con sé il carica batteria, questo era inutilizzabile, perché sul treno non c’erano prese elettriche adatte.

    Il treno stregato continuava la sua corsa folle nella campagna gelata senza mai diminuire la sua velocità, anzi semmai sembrava aumentarla sempre di più.

    Ma se stesse correndo in una campagna gelata come supponevano, o magari in una città fittamente popolata, o lungo il mare, le ragazze non avrebbero mai potuto dirlo, perché la spessa cortina di nebbia bianca che offuscava i finestrini non si sollevò mai, nemmeno per un minuto, si limitava a cedere il posto al nero assoluto e impenetrabile durante le ore notturne.

    Le ragazze alla fine si rassegnarono al loro destino: erano al caldo, avevano da mangiare e bere a sufficienza, avevano a disposizione bagni puliti ed attrezzati (nelle toilette di prima classe avevano trovato persino degli assorbenti, che si rivelarono molto utili perché a due ragazze vennero pure le mestruazioni). Decisero di limitarsi a sopravvivere in attesa di nuovi eventi.

    E finalmente dopo molti giorni (o settimane?) il treno iniziò a rallentare e contemporaneamente la nebbia cominciò ad assottigliarsi e a lasciare vedere il paesaggio.

    Ma la gioia entusiasta delle ragazze lasciò subito i il posto a una sonora delusione quando si accorsero che la landa desertica simile a una tundra, che le circondava, non aveva niente a che vedere con il dolce paesaggio collinoso del piacentino e nemmeno con la periferia industriale di Milano.

    Non si vedeva anima viva, né uomini né animali, tranne alcuni grandi uccelli che volavano in cerchio sopra il treno stregato e la tundra desolata.

    Alla fine il treno si fermò.

    Era arrivato in una piccola stazione.

    Gli edifici avevano un’aria esotica e le scritte avevano caratteri sconosciuti (solo i simboli del gabinetto,  l’omino e la donnina con la gonna, erano i soliti).

    Le ragazze abbassarono i vetri dei finestrini (ora funzionavano!) e subito entrò un’aria tiepida profumata di fiori, e non faceva assolutamente freddo (ma non eravamo in inverno? Ma quanto abbiamo viaggiato?). Monica teneva lo sguardo fisso su un lato della locomotiva e incaricò Elisabetta di tenere d’occhio l’altro lato, voleva vedere in faccia l’infame conducente (anzi gli infami conducenti! Dovevano essere almeno due ed essersi dato il cambio! Uno solo, a meno che fosse Satana il persona, non avrebbe mai potuto guidare il treno a quella velocità senza mai fermarsi per un periodo così lungo!).

    Ma nessuno ne scese.

    Nel frattempo con un rumore soffiante (lo stesso udito nella stazione centrale di Milano, ere fa) tutte le porte del treno di aprirono e le ragazze sciamarono sulla banchina trascinandosi i loro trolley e curiose di sapere dove cavolo fossero finite.

    Ma Monica ed Elisabetta non si unirono alle altre: si diressero invece verso la locomotiva da cui non era sceso nessuno, quindi l’infame (o, più probabilmente, gli infami) era ancora su.

    Lo sportello era chiuso, ma quando provarono a girare la maniglia videro che si apriva senza difficoltà. Salirono con impeto già pronte a fare una scena, ad avere chiarimenti, a minacciare rappresaglie legali e quant’altro, ma ciò che videro fece loro drizzare i capelli in testa dall’orrore: la cabina di guida era completamente vuota!

    E non ne era sceso nessuno!

    E non era nemmeno pensabile che il conducente (o i conducenti) fosse sceso passando da un altro vagone perché nemmeno per un istante le ragazze avevano abbandonato con lo sguardo i fianchi del treno.

    E dunque?

    Chi le aveva condotte lì?

    Un demone?

    Forse il treno era telecomandato?

    Ma da chi? E perché?

    Nel frattempo si erano avvicinati alcuni abitanti del posto (almeno c’erano altri esseri umani!), avevano tratti somatici tipicamente mongoli e sembravano essere dediti alla pastorizia.

    Parlavano solo la loro lingua e non capivano una parola di inglese.

    Nina, che parlava un po’ di russo, provò a rivolgersi loro usando questa lingua, ma senza alcun risultato. Una delle ragazze cercò di farsi capire a gesti, ma loro si limitavano a sorridere e a scuotere il capo (cosa intendono quando scuotono il capo, sì o no?) e a gesti indicò il treno, facendo il gesto di uno che cammina, come dire quando riparte? ma loro sempre sorridendo (e cosa c’era di così divertente?) e sempre a gesti le fecero capire che il treno non sarebbe ripartito mai più.

    E in effetti, come avrebbe potuto?

    Guardando dietro la coda del treno, Monica ed Elisabetta si accorsero inorridite che le rotaie finivano poche centinaia di metri più in là.

    Come erano arrivate fin lì, allora?

    Presto fecero un’altra brutta scoperta: il paese era sprovvisto di energia elettrica (non si vedevano né lampioni né fili dell’alta tensione) e probabilmente pure di telegrafo.

    L’unica speranza era che nel paese qualcuno disponesse di una radio (e diamine, in un posto così isolato e fuori dal mondo avranno bene la possibilità di chiedere soccorso per un’emergenza sanitaria o di altro tipo, no?).

    In assenza di ciò sarebbero state tagliate fuori dal mondo e impossibilitate a comunicare.

    Come avrebbero potuto tornare a casa?

    Elisabetta si accasciò al suolo Che sarà ora di noi? chiese a se stessa più che all’amica

    Credo … credo che siamo andate così lontano che non sarà più possibile il ritorno a casa esalò con voce rotta Monica, poi si inginocchiò per terra accanto all’amica e cominciò a piangere.

    E mentre le lacrime continuavano a scorrere sul suo viso provò a sorridere Beh, potremmo sempre tentare di farcela a piedi, in fondo Marco Polo da Venezia è arrivato più lontano di qui… forse in dieci vite ce la facciamo.

    Che storia balorda commentò Mad frugandosi con l’unghia del mignolo sinistro dentro il naso.

    La canna era finita da un pezzo, ma la storia del vecchio aveva catturato la sua attenzione impedendogli di scivolare nel sonno.

    Poi aggiunse Certo che mi danno del matto a me, ma nemmeno tu scherzi … questa è una storia senza capo, né coda … se ci credi, sei proprio fuori di melone … e se non ci credi nemmeno tu, come puoi pensare che ci creda io?

    Eppure è una storia vera! insistette puntigliosamente il vecchio, che nel frattempo si era preparato un giaciglio con il suo sacco a pelo accanto all’amico.

    Di solito, conscio della sua fragilità davanti a un’eventuale aggressione di marocchini o giovani tossici decisi a tutto, preferiva dormire in luoghi illuminati e sul passaggio della ronda di polizia, ma la luce gli disturbava il sonno che veniva interrotto molte volte.

    Stanotte invece, forte della protezione offerta dai muscoli, dalla grinta e dal coltello del suo amico, aveva l’opportunità di fare un sonno lungo e tranquillo.

    Chiedilo a chi vuoi qui in stazione … Tutti hanno sentito del treno delle ragazze, anche se nessuno ha piacere a parlarne

    E se ‘sto cazzo di treno è finito in Mongolia e senza rotaie per tornare, come fate tutti voi a saperlo?  Beh, sai, le cose si finisce sempre per saperle … spiegò Radi

    E i tabulati dei treni in partenza e arrivo? Possibile che nessuno si sia mai accorto che mancava un treno?

    Ma tu allora non mi ascolti … il treno diretto a Piacenza, il vero treno, non si era mai mosso da qui e nei tabulati la corsa risultava cancellata.

    Mad si osservò pensosamente l’unghia sporca del medio destro e borbottò Certo che se prima non mi andava di prendere il treno, adesso, dopo questa storia, nemmeno se mi puntano un fucile alla schiena ci salgo

    Tranquillo, il treno stregato si porta via solo le ragazze giovani e belle … tu sei fuori pericolo

    Ma non si è mai portato via un uomo?

    Qualche volta … ma solo ragazzi molto giovani e belli … te l’ho detto: tu non corri nessun pericolo

    Povere fighe si impietosì il ruvido Mad Perché proprio loro? … Gira, gira, in tutte le storie, chi va a finire male sono sempre le fighe forse il pensiero gli andò alla sua ragazza tanto amata e persa in un modo tanto stupido e brutale, perché cominciò a carezzare distrattamente sulla testa la cagnetta che ne portava il nome. Alyson, felice delle sue carezze, si acciambellò ancora meglio nell’incavo del suo braccio e Mad si distese per dormire.

    Aveva proprio ragione Shakespeare concluse stando sdraiato Ci sono più cose fra cielo e terra di quanto uno si possa immaginare … E dopo tutto quello che ho visto in vita mia ormai non mi stupisco più di niente … e qualcosa di vero ci deve essere, perché adesso che ci penso mi viene in mente che avevo sentito qualcosa del genere anche in India e negli Stati Uniti … Boh, magari è solo una leggenda metropolitana, che ha già fattoil giro del mondo molte volte

    Ti ho detto che non è una leggenda metropolitana ribadì Radi.

    Poi i due uomini si addormentarono, mentre fuori dalla stazione la grande città rombava e correva in mille direzioni differenti e sicuramente da qualche parte accadeva un delitto, qualcuno forse compiva una buona azione, qualcuno faceva l’amore, qualcuno soffriva e qualcuno compiva un atto eroico.

    Milano non dorme mai.

    COME FU CHE CAGLIOSTRO FUGGI’ DA SAN LEO

    Mi trovavo in quella città per prendere parte a un importante meeting.

    Poi, finiti i lavori, dovetti sorbirmi la noiosissima e immancabile cena in un ristorante mediocre: un tristissimo posticino per impiegati e rappresentanti, dove il menù non era certamente da

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