Sotto il cielo di Roma (eLit): eLit
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Melanie Milburne
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Anteprima del libro
Sotto il cielo di Roma (eLit) - Melanie Milburne
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
The Italian’s Mistress
Harlequin Mills & Boon Modern Romance
© 2004 Ris Wilkinson
Traduzione di Gloria Fraternale
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
© 2006 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-5897-269-4
1
Anna guardò inorridita lo specialista che aveva visitato suo figlio. «Vuole dire che... morirà?»
L’espressione del medico era seria. «Senza l’assicurazione privata suo figlio dovrà aspettare un anno, se non oltre, per essere operato con l’assistenza sanitaria pubblica.»
«Ma io non posso permettermi un’assicurazione privata.» Lo stomaco di Anna si contrasse per la preoccupazione. «Riesco a malapena a mantenerlo.»
«Mi rendo conto delle difficoltà che hanno le madri sole come lei, ma l’assistenza pubblica è già intasata e sull’orlo del collasso. Le condizioni di suo figlio non sono gravi a breve termine... ma bisogna intervenire sulla malformazione cardiaca prima che il danno diventi permanente» la avvisò il cardiologo, dando poi una scorsa ai fogli che aveva sulla scrivania. «Se riesce a trovare i fondi necessari, suo figlio potrebbe essere operato entro un mese al Centro di Chirurgia Cardiaca di Melbourne.»
Anna ebbe un tuffo al cuore. Riusciva a stento a permettersi il biglietto del tram, figuriamoci un’operazione in uno degli ospedali più prestigiosi della nazione.«Quanto... verrebbe a costare?»
Il medico fece un paio di calcoli fra sé, poi le comunicò una cifra che la fece quasi cadere dalla sedia.
«Così tanto?» sospirò allarmata.
«Temo di sì. Sammy resterà in ospedale per almeno dieci giorni e questo fa lievitare i costi. Se poi insorgessero delle complicazioni...»
«Che genere di complicazioni?»
«Signora Stockton, in ogni operazione chirurgica si corrono dei rischi. Un delicato intervento al cuore di un piccolo di tre anni è carico di difficoltà: c’è il rischio di infezioni, per non parlare poi di una possibile reazione all’anestesia.» Il medico chiuse la cartella e le rivolse quello che secondo lui doveva essere un sorriso incoraggiante. «Le suggerisco di tornare a casa e telefonare ad amici e parenti per cercare qualcuno che la sovvenzioni. È la scelta migliore per una pronta guarigione di suo figlio.»
Anna sospirò di nuovo mentre si alzava dalla sedia. A parte sua sorella, di parenti ne aveva ben pochi. E gli amici?
Quando era tornata dall’Italia, quattro anni prima, l’ultima cosa che aveva avuto per la testa era di trovarsi degli amici che la confortassero. Il suo unico pensiero era stato scappare il più lontano possibile dalla famiglia Rossi.
Non passava giorno in cui non pensasse al suo ex fidanzato Massimo e a suo fratello Carlo...
No!
Anna scacciò dalla mente quei terribili ricordi... la consapevolezza di ciò che aveva fatto... quelle terribili accuse che ancora riecheggiavano nella sua mente...
Le strade della città brulicavano di persone che cercavano di farsi strada dentro e fuori dei negozi o degli uffici, tormentati dall’insolito caldo di novembre.
Anna sentì il bisogno di una bevanda fresca. Mancava ancora un’ora alla partenza del tram che l’avrebbe riportata a casa da suo figlio Sammy e da sua sorella Jenny, così si infilò in un bar.
C’era solo un tavolo libero in fondo al locale. Era in un angolo buio e Anna non si accorse della figura al tavolo accanto finché non fu troppo tardi.
Il suo sguardo intenso era fisso su di lei.
Non poteva più scappare.
L’uomo si alzò in piedi con la grazia languida che Anna ormai riconosceva come una caratteristica di tutti gli uomini Rossi.
«Ciao, Anna.»
La sua voce di velluto le trasmise un brivido lungo la schiena, riportandole alla mente un tempo nella sua vita in cui era stata felice, ma la felicità era stata presto spazzata via, con risultati devastanti.
«Massimo...» Che sofferenza, anche solo pronunciare il suo nome!
«Posso farti compagnia?» Massimo si sedette ancora prima che lei potesse opporsi, sempre ammesso che fosse riuscita a proferire parola.
«Quanto tempo è passato? Tre, quattro anni?»
Il suo commento distaccato la confuse. Lei ricordava il numero esatto dei giorni, se non addirittura i minuti, rammentava alla lettera le ultime parole di rabbia che lui le aveva rivolto.
Sollevò il capo e lo guardò dritto negli occhi. «Non so. È passato così tanto tempo.»
«Già. Tu come stai? Sembri... tormentata.»
Anna abbassò lo sguardo. «Sto benissimo, grazie.»
All’arrivo della cameriera Massimo ordinò un caffè per sé e una spremuta d’arancia per lei.
Quando la ragazza se ne fu andata, Anna gli si rivolse con cipiglio. «Forse volevo qualcosa di diverso. Avresti potuto almeno chiedermelo.»
«Volevi qualcosa di diverso?» le domandò lui con indifferenza.
«No, ma non è questo il punto.»
«E qual è il punto?»
Qual era? Non valeva davvero la pena di discutere con lui. Massimo avrebbe sempre vinto, indipendentemente dalle tattiche che lei avrebbe usato.
«Cosa ti porta a Melbourne?» gli domandò, fingendo una noncuranza che non provava.
«Affari. La mia società si è lanciata sul mercato qui e a Sydney. Ho pensato di venire a controllare i nostri profitti.»
Quando la cameriera portò le loro ordinazioni, Anna lo studiò senza farsi notare. Era ancora bellissimo, come lo erano tutti i Rossi, anche i più insignificanti come suo fratello Carlo. Ma se Carlo era basso e con la tendenza a ingrassare, Massimo era alto, con un fisico asciutto che manteneva tale frequentando regolarmente la palestra. Aveva capelli e occhi scuri, il viso costantemente adombrato e la bocca sempre in atteggiamento fermo e determinato. Era una bocca che poteva addolcirsi, cosa che sapeva per esperienza, ma che poteva anche divorare qualcuno, e anche questo, purtroppo, Anna lo sapeva per esperienza diretta.
«Quanto tempo pensi di fermarti?» gli chiese, non tanto per curiosità, quanto per interrompere il pesante silenzio che era piombato fra di loro.
«Tre mesi. Forse qualcosa di più.»
Anna sorseggiò la sua spremuta, infastidita dall’evidente tremore della propria mano quando posò il bicchiere sul tavolo.
«Come sta tuo figlio?»
Come faceva a sapere di Sammy?
«Sta...» Anna esitò per un istante. «Non sta molto bene al momento.»
«Mi dispiace.»
«Davvero?» replicò Anna con espressione cinica.
«È un bambino. Nessun bimbo merita di stare male. Che cos’ha?»
Anna fu tentata di raccontargli l’intera storia, ma si morse il labbro inferiore per trattenersi. Prese il bicchiere e bevve un sorso generoso di spremuta, per evitare di rispondergli.
«Quanti anni ha?» le domandò Massimo.
«Tre.»
«Vede mai suo padre?»
Anna strinse la mano intorno al bicchiere. «No.»
«Dov’è adesso?» insistette Massimo, curioso.
«Sammy è... con mia sorella.»
«Intendevo suo padre.»
«Non ne ho idea.»
«Lo hai mai informato dell’esistenza del bambino?»
«No. Ma se mai ritenessi che debba saperlo, glielo direi.» Non l’avrebbe fatto mai e poi mai. Suo fratello Carlo era l’ultima persona che avrebbe informato dell’esistenza di Sammy, anche se la sua vita o quella di suo figlio fosse dipesa da quello.
«Tua sorella Jenny come sta?»
Anna fu davvero lieta del cambio di argomento. «Jenny sta molto bene. Ha finito il primo anno di università con ottimi risultati.»
«Un vero traguardo» commentò Massimo.
Avanti, continua. Di’ quale traguardo sia per una ragazza che non riesce nemmeno a sentire il suono del proprio nome. Ma quelle parole amareggiate non trovarono sfogo. Ostentando indifferenza, lo guardò dritto negli occhi. «Come sta tua madre?»
«Bene. Si gode i suoi nipoti.»
Lo stomaco di Anna si strinse in una morsa. «Tu hai dei figli?»
Massimo scosse il capo. «Non io, mia sorella Giulia. Ne ha tre.»
Anna ricordò Giulia con tenerezza. Sua sorella si era affezionata a lei e Jenny, facendole sempre sentire bene accette.
«Pensavo fossi sposato anche tu.»
«Non credo più nel matrimonio.»
Anna non poteva biasimarlo. Aveva tutti i diritti di essere cinico dopo quello che lei gli aveva fatto.
«Io devo andare.» Posò il bicchiere vuoto e fece per alzarsi.
«No» la bloccò Massimo, prendendola per la mano.
Anna avvertì un formicolio lungo tutto il braccio e il cuore le batté forte quando le dita di Massimo si strinsero intorno alle sue.
«Voglio parlare con te ancora un po’.»
«Devo tornare da Sammy. Devo prendere un tram e non posso...»
«Ti accompagno io.»
«No» rifiutò lei, cercando di liberare la mano. «Vivo troppo lontano e...»
«Dove vivi?»
Anna avrebbe voluto dirgli una città a centinaia di chilometri da lì, ma la sua mente era completamente annebbiata.
«Dove vivi, Anna?»
«A Santa Kilda» mormorò, abbassando lo sguardo.
«Non mi pare così lontano» commentò lui secco.
«Lo è se ci vai a piedi.»
«Non hai i soldi per un’auto o per i trasporti pubblici?» si stupì lui.
Anna sollevò il capo. «Ho abbastanza.»
«Lavori?»
«Solo un uomo senza figli può fare una domanda simile.»
«Lavori fuori casa?» precisò lui, ignorando il suo sarcasmo.
«Ho due lavori.»
«Mmh, una donna in carriera!» commentò Massimo, lasciandole libera la mano.
Non aveva mai pensato che fare le pulizie in un albergo e servire ai tavoli in un bar si potesse definire fare carriera, ma in fondo non si era mai nemmeno immaginata di ritrovarsi madre a venticinque anni.
«Mi piace essere indipendente.»
«Non ricordo fosse importante per te in passato.»
Perché rivangava il passato?
«Devo proprio andare...»
«Vorrei parlare ancora un po’ con te. Ricordare i vecchi tempi.»
«Io non ho nulla da dire.»
Massimo si appoggiò allo schienale della sedia e la osservò per un lungo istante.
Anna resistette all’istinto di oscillare sotto il suo sguardo, ma era uno sforzo non indifferente, che la lasciò confusa e annebbiata, come se fosse stata nel bel mezzo di un incubo. Si aspettava di risvegliarsi da un momento all’altro, ritrovandosi seduta da sola e non davanti ai tratti aristocratici del suo ex fidanzato.
«Non hai niente da dirmi dopo quasi quattro anni?»
«Niente che mi venga in mente.»
Nonostante il suo sguardo impenetrabile, Anna avvertì chiaramente la sua rabbia. Sembrava quasi riempire lo spazio fra di loro e avvolgersi intorno a lei togliendole il respiro...
«Scusami, devo proprio andare.» Anna si alzò in piedi in tutta fretta, lieta che questa volta lui non l’avesse bloccata.
Anche Massimo si alzò, dominandola con la sua imponenza. «Ci vediamo» la salutò, poi si diresse verso l’uscita senza voltarsi indietro.
Sammy la accolse con il solito entusiasmo non appena entrò in casa.
«Ciao, tesoro. Sei stato bravo con la zia Jenny?»
«Sono tato bavissimo. Ti ho fatto un disegno, vuoi vedello?»
Sammy le mostrò un foglio e Anna si chinò a guardarlo. Aveva disegnato quattro figure e Anna ne riconobbe immediatamente tre: erano lei, Jenny e Sammy. «È molto bello, ma chi è questa?» gli chiese indicando la figura più alta.
«È il mio papà. Ne voio uno come quello di Davey. Posso avello?»
Anna fu lieta che suo figlio fosse troppo piccolo per notare il suo disagio. Sì, tesoro, avrebbe voluto rispondergli. Il papà di Davey è un otorino dal carattere mite, non un sordido opportunista che mi ha portato a letto con l’inganno...
«Ci penserò» gli rispose, trattenendo il disgusto. «Ora, perché non andiamo a vedere cosa sta facendo la zia Jenny?» chiese al piccolo per distrarlo.
Sua sorella era in cucina, alle prese con una ricetta nuova.
Anna le diede un buffetto sulle spalle e Jenny si girò con un sorriso.
«Com’è andato l’appuntamento?» le domandò