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La piccola bottega di Parigi
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E-book296 pagine3 ore

La piccola bottega di Parigi

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Info su questo ebook

Una delle autrici italiane più amate dalle lettrici

Dall’autrice del bestseller La collezionista di libri proibiti

Corinne Mistral è un giovane avvocato che non perde mai una causa. Vive a Roma e lavora presso il prestigioso studio legale della famiglia del fidanzato. Si sta dedicando anima e corpo a una causa molto importante quando la raggiunge la notizia della morte di sua nonna e dell’eredità che le ha lasciato: un atelier di alta moda a Parigi, nel bellissimo quartiere del Marais. Corinne parte immediatamente, decisa a sistemare il più presto possibile la faccenda e tornare poi al suo lavoro. Ma, una volta lì, resta affascinata dalla straordinaria storia di sua nonna, una donna che lei ha potuto conoscere pochissimo e che è stata persino allieva e amica della grande Coco Chanel. Il ritorno a Roma è rallentato ulteriormente dalla presenza dell’esecutore testamentario: qualcuno che Corinne conosce bene, troppo bene… Che non si tratti di un incontro casuale?

Un’eredità inaspettata
Un viaggio a Parigi
Un passato tutto da scoprire

Hanno scritto di lei:

«Cinzia Giorgio imbastisce sapientemente una storia tutta costruita sulla passione per la lettura dimostrandosi una scrittrice colta, che sa maneggiare molto bene la lingua e le parole.»
Leggendaria

«Cinzia Giorgio ha compiuto l’impresa: presentare nel panorama della contemporanea narrativa italiana un libro che costruisce un ponte tra romanzo storico, romanzo di formazione e romanzo d’amore.»
sulromanzo.it
Cinzia Giorgio
È dottore di ricerca in Culture e Letterature Comparate. Si è specializzata in Women’s Studies e in Storia Moderna, compiendo studi anche all’estero. Organizza salotti letterari, è direttore editoriale del periodico Pink Magazine Italia e insegna Storia delle Donne all’Uni.Spe.D. È autrice di saggi scientifici e romanzi. Con la Newton Compton ha pubblicato Storia erotica d’Italia, Storia pettegola d’Italia, È facile vivere bene a Roma se sai cosa fare e i romanzi La collezionista di libri proibiti, La piccola libreria di Venezia e La piccola bottega di Parigi.
LinguaItaliano
Data di uscita30 mag 2018
ISBN9788822722614
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    Anteprima del libro

    La piccola bottega di Parigi - Cinzia Giorgio

    Prologo

    Roma, 8 gennaio 2004

    Quanto l’amore possa far male Corinne Mistral lo aveva imparato a diciassette anni. Si era innamorata perdutamente di un compagno di classe e quando lui l’aveva lasciata il mondo le era crollato addosso.

    Era gennaio, erano da poco finite le vacanze di Natale e si andava di nuovo a scuola. Lui, Leonardo Ferrari, il più bel ragazzo che avesse mai conosciuto, era molto popolare tra gli studenti, anche perché non combinava altro che guai. Se scoppiava qualche rissa, eccolo lì a dare cazzotti. Se si doveva andare in discoteca, Leonardo pensava a organizzare la serata. Era nato leader, peccato che a volte esagerasse un po’. Sapeva di essere bello, con i suoi capelli biondi come il grano e gli occhi verdi pieni di vita. Fumava come un turco, ma era sempre profumato come se nemmeno il fumo osasse intaccare il suo fascino ribelle, alla James Dean. Le professoresse stravedevano per lui, per non parlare delle ragazze di tutto l’istituto. Corinne si era sempre chiesta come mai avesse scelto proprio lei: piccolina, mora, insignificante e secchiona. Eppure le aveva fatto una corte serrata, che era durata meno di una settimana. Nessuno poteva resistere a lungo a Leonardo.

    Per le vacanze, Leonardo era andato a Napoli dai suoi nonni ed era tornato il giorno prima a Roma. Appena lo aveva visto in classe, nonostante si fossero appartati in palestra, Corinne aveva capito immediatamente che qualcosa non andava. Durante la ricreazione, lo aveva preso in disparte e gli aveva chiesto spiegazioni. Lui aveva scrollato le spalle e le aveva detto: «Mi voglio rimettere con la mia ex di Napoli. Lei non vuole, ma la riconquisterò».

    Corinne aveva trattenuto il respiro – non sapeva nemmeno dell’esistenza di una ragazza napoletana – e gli aveva risposto, trattenendo le lacrime: «Non mi avevi mai parlato di questa tua ex».

    «Sai», aveva detto lui, dopo averci pensato un po’ su, «mi aveva fatto soffrire e non mi piaceva parlarne. Ma voglio rimettermi insieme a lei… e poi mi sto per trasferire a Napoli».

    «Nemmeno di questo mi avevi mai parlato», la voce di Corinne era diventata un sussurro.

    «Papà è stato chiamato per fare il primario al policlinico, così ci trasferiamo tutti».

    «Sono… sono felice per te. Sono sicura che ti troverai bene a Napoli. Tutto andrà per il meglio, perché te lo meriti». Non lo pensava affatto ma era riuscita a dire solo quelle stupide parole di circostanza. Le aveva pronunciate a fatica. Le lacrime ormai scendevano senza che potesse far nulla per fermarle.

    Lui aveva sorriso, le aveva dato un bacio sulla guancia e mentre l’abbracciava le aveva sussurrato: «Mi hai capito alla perfezione senza che io ti dicessi nulla… sei la mia migliore amica».

    PARTE PRIMA

    Capitolo 1

    Roma, 22 dicembre 2017

    Lo champagne le aveva dato alla testa, tutto le girava intorno. Si era rifugiata nel suo ufficio per aspettare che le passasse. Si accasciò sulla sedia dietro alla scrivania. La sua scrivania. Ormai era un avvocato a tutti gli effetti. Accarezzò con la punta delle dita il pomello del primo cassetto. Sorrise involontariamente. Quanti sacrifici ci erano voluti per arrivare a quel traguardo. Ma ce l’aveva fatta. Avvocato Corinne Mistral. Sorrise soddisfatta. Sentì i colleghi e i praticanti brindare per l’ennesima volta. Lo studio era in festa sia per le imminenti vacanze di Natale sia per l’insperato trionfo in un processo lungo e complicato. Una violazione di brevetto che aveva trovato spazio anche sulla stampa nazionale. La solita storia del ricercatore geniale a cui una grande azienda soffia un’idea e se ne appropria indebitamente. Quando, due anni prima, il giovane studioso si era presentato allo studio Smeraldi, Bacci & Mistral, la causa era parsa fin dall’inizio complessa. Mettersi contro un colosso della chimica cosmetica poteva rivelarsi una débâcle senza precedenti per gli associati. Non era stato così. Avevano vinto la causa, i media erano impazziti e fino a qualche ora prima i giornalisti avevano preso d’assalto lo studio.

    «Amore, che ci fai qui tutta sola?», la voce di Massimo la distrasse dai suoi pensieri.

    «Temo di essere ubriaca», rispose Corinne, guardandolo. Era l’uomo più intelligente, ironico e straordinario che avesse mai conosciuto. Alla soglia dei quarant’anni, Massimo Smeraldi aveva una carriera di avvocato e professore universitario che la maggior parte dei professionisti non si azzarderebbe nemmeno a immaginare. Vinceva tutte le cause, anche le più improbabili. Riusciva a trovare il cavillo a cui nessuno aveva fatto caso, l’appiglio a cui potersi aggrappare per perorare la causa del cliente. Corinne si era innamorata prima di tutto delle sue capacità, di quell’intelligenza viva che lo rendeva affascinante anche nella quotidianità. Mentre davanti al giudice di turno era un leone, appena varcava la soglia del tribunale diventava un uomo mite e riservato. E poi era bello: di altezza media, capelli e barba scuri e occhi grigi. Avrebbe dovuto mettere su qualche chilo, forse, ma le andava bene così. Era stata Corinne a corteggiarlo e non se n’era mai pentita. Anche perché, se non avesse fatto lei la prima mossa, sarebbero passati anni. Gli sorrise e sentì il suo cuore accelerare i battiti.

    «Ubriaca? Ma smettila», la canzonò, avvicinandosi alla sua sedia. «Dài, andiamo. Ti porto a cena fuori».

    «Ho promesso a nonna…», tentò di protestare lei.

    «Tranquilla, ho chiamato io Elena, sa tutto», la interruppe, aiutandola a infilarsi il cappotto.

    «Voi due sempre a complottare alle mie spalle, eh?»

    «Sempre».

    Corinne afferrò la borsa e, dopo aver salutato i colleghi, seguì Massimo che le faceva strada lungo il corridoio. La palazzina di inizio Novecento in cui si trovava lo studio si trovava in viale Parioli, una delle zone più chic di Roma. Corinne era riuscita a entrare nelle grazie di Bacci, professore di Diritto penale, lo zio di Massimo, quando lo aveva stupito durante una lezione all’università facendo un’osservazione su una sentenza. «Ecco», aveva detto il professor Bacci, «intendo esattamente questo quando parlo di interiorizzare il codice penale, complimenti, signorina…?»

    «Mistral», si era affrettata a rispondere.

    «È prossima alla laurea? Ha già scelto la materia della tesi?», le aveva chiesto lui, finita la lezione.

    «No, professore».

    «Bene, la farà con me».

    E così era stato. Corinne si era laureata con il massimo dei voti e poi era entrata nello studio Bacci-Smeraldi come praticante. Dopo diversi anni, la gavetta e i sacrifici erano stati ripagati con la proposta di far parte dello studio come associata. Massimo era arrivato subito dopo la promozione. Aveva sentito parlare di lui, dal momento che il padre era socio del professor Bacci, e lo aveva incrociato qualche volta durante le feste. All’epoca lavorava in uno studio legale internazionale di Holborn, a Londra. Era poi tornato a Roma per prendere il posto del padre, che intanto era andato in pensione. Da quando era arrivato, lo studio ne aveva giovato molto. Massimo era brillante, con la mente aperta e sempre pronto alla sfida, atteggiamento tipico di chi ha fatto un lungo apprendistato all’estero e si è confrontato con culture diverse da quelle del proprio Paese di provenienza.

    «Dove mi porti di bello?», chiese Corinne, una volta entrata in macchina.

    Massimo sorrise ma non rispose. Si mise la cintura di sicurezza, mentre ingranava la marcia per partire. Corinne gli lanciò un’occhiata furtiva. I pantaloni del completo in tweed aderivano alle gambe tornite e la cintura di sicurezza premeva al torace la giacca sotto la quale si intravedeva la camicia bianca di cotone. Per fare retromarcia poggiò il braccio sulla spalliera del sedile del passeggero. L’odore del dopobarba arrivò alle narici di Corinne. Era il suo dopobarba di sempre, quello che avrebbe riconosciuto tra mille. Appariva così disinvolto e sicuro di sé, mentre lei si sentiva inquieta quella sera, era confusa come sotto l’effetto del jet lag.

    Massimo fece manovra per poi immettersi su viale Parioli, in direzione di piazza Ungheria. Corinne lo osservò con la coda dell’occhio. Per lei c’era sempre qualcosa di sensuale in un uomo intento alla guida. Forse lo sguardo attento e concentrato sulla strada, o magari la stretta delle mani sul volante. Non sapeva spiegarsene il perché. Lei che non aveva quasi mai visto suo padre in un’auto. I suoi genitori viaggiavano molto, non li vedeva praticamente mai, perciò Corinne aveva visto suo padre e sua madre in macchina così poche volte che si potevano contare sulle dita di una mano. Erano due musicisti. Sua madre era direttore d’orchestra e suo padre primo violino. Non avevano vissuto mai più di cinque anni nella stessa città. Quando Corinne era piccola, se la portavano in giro, ma quando aveva cominciato ad andare a scuola, a lei avevano pensato le nonne Anna ed Elena. Aveva alternato la sua permanenza nelle case dei nonni, fino a quando quello paterno era morto, e nonna Anna si era trasferita dalla sorella a Napoli. Così Corinne si era stabilita definitivamente a casa di Elena. Tra le due nonne non correva buon sangue. Elena era la nonna ricca e di origini nobili, Anna la sarta che aveva cercato di far fortuna a Parigi, aveva sposato un francese spiantato ed era tornata in Italia con un bambino – il padre di Corinne – e pochi soldi, serviti per comprare una modesta casa a Roma.

    «A che pensi?». La voce di Massimo la distrasse dai suoi pensieri.

    «Ai miei genitori».

    «E come mai? Non verranno nemmeno quest’anno a Natale?»

    «Figurati, a Vienna i musicisti vivono per le feste natalizie. Non potrebbero venire a Roma nemmeno se lo volessero».

    Massimo le mise una mano sul ginocchio, come per consolarla. Ma Corinne non ne aveva bisogno, conviveva con l’assenza dei genitori da così tanto tempo che ormai era la loro presenza ad apparirle come un’eccezione. Avevano passato il Natale insieme tre anni prima, ma a Capodanno i suoi erano volati a New York per un concerto.

    «Vorrei sentire nonna Anna… non la vedo da tanto», esclamò Corinne, quasi sorpresa da quel pensiero improvviso.

    «Possibile che lei e tuo padre non si siano ancora chiariti? Lo trovo assurdo».

    «Non dirlo a me. Ormai sono anni che non si parlano… non mi ero ancora laureata quando hanno litigato. Nonno era appena morto».

    «Che poi, quando ci sono queste liti in famiglia, spesso non si sa nemmeno come e perché siano cominciate», intervenne Massimo, dopo qualche istante di silenzio. «Si va avanti per inerzia, per tenere il punto».

    «È tutto così sciocco, concordo. Ma mio padre è cocciuto come un mulo e pure nonna Anna. Tale madre…».

    «Senti chi parla!», la canzonò. «Mi domando come mai tu sia invece così tenera e dolce…».

    «Non prendermi in giro!», rise Corinne. «Sono solo molto determinata».

    «Solo?». Massimo proruppe in una fragorosa risata. «Eccoci arrivati. Andiamo, Miss Tenerezza?».

    Parcheggiarono a poca distanza da piazza del Popolo e la percorsero a piedi per raggiungere il ristorante che Massimo aveva scelto per la cena. C’era ancora tanta gente per strada. Il clima mite di quei giorni prenatalizi aveva indotto i romani e i turisti a intrattenersi fino a tardi per le strade della capitale. L’atmosfera che si respirava era quella tipica del Natale. Le luci illuminavano i negozi che straripavano di gente fino all’orario della chiusura. A Corinne non piaceva il Natale. Le ricordava troppo spesso quanto aveva sofferto la solitudine, da bambina. Le nonne erano sempre state la sua ancora di salvezza, ma lei avrebbe tanto voluto festeggiare con i suoi genitori. E poi legava le festività al periodo sentimentale più triste della sua vita: quando era stata scaricata dal suo primo amore, Leonardo. Aveva sofferto tantissimo. Sua nonna Elena era stata l’unica che, anziché consolarla, l’aveva rimproverata. «Queste sono le conseguenze dell’educazione a dir poco discutibile che ti ha imposto quell’hippy di tuo padre! L’amore non è l’unica fonte di gioia nella vita, come te lo devo dire? Asciuga quelle lacrime e studia. Se non ti realizzi come donna, non sarai mai felice», le aveva urlato contro. Corinne ci era rimasta malissimo, ma forse era quello il discorso di cui aveva bisogno quando Leonardo Ferrari l’aveva lasciata.

    Leonardo o, come lo chiamavano tutti, Leo. Chissà che fine aveva fatto, pensò Corinne alzando gli occhi verso il portiere in livrea che stava aprendo loro la porta dell’hotel in cui si trovava il ristorante.

    «Hai prenotato qui?», chiese poi, rivolgendosi a Massimo.

    «Sì, certo».

    «Poi la matta sono io…».

    «Ho mai detto questo?», la canzonò lui, mentre seguivano un cameriere che li stava accompagnando al loro tavolo.

    Il locale era gremito, ma le luci soffuse e le note di un pianoforte che arrivavano in lontananza contribuivano a dare l’idea che ci si trovasse in un luogo intimo e appartato. Su tutti i tavoli c’erano delle candele accese e sembrava che seguissero le note del pianista con il loro ondeggiare fluido. Come per tacito accordo, tutti i presenti – tra i quali Corinne intravide anche alcuni personaggi dello spettacolo – parlavano a bassa voce, quasi in un sussurro.

    Arrivarono al tavolo a loro riservato. Corinne ringraziò con un cenno del capo il cameriere che le aveva spostato la sedia per farla accomodare. Si sedette e attese qualche istante prima di chiedere a Massimo: «Non ti sembra un po’ eccessivo portarmi all’Hotel de France per festeggiare la vittoria della causa? Senza parlare poi dell’eventuale ricorso in appello che la controparte…».

    «Corinne», la interruppe lui. «Sei troppo pragmatica. Così non ti godi niente».

    «Già», ammise lei, con un sospiro. «Sono fatta così. Che cosa ci vuoi fare?»

    «Io niente. Ora tu, per favore, rilassati e goditi la cena… ti avviso: sarà una lunga serata».

    Corinne sgranò gli occhi per la sorpresa ma non replicò. Il cameriere era arrivato con i menu, seguito dal sommelier. Sentì Massimo parlare con lui e con il cameriere. Concordarono la scelta del primo e del vino da abbinare. Come al solito Corinne se ne disinteressò. Non le piaceva scegliere cosa mangiare e si fidava di Massimo.

    Per un po’ parlarono del più e del meno, evitando accuratamente di soffermarsi su argomenti che riguardassero il lavoro. Massimo appariva tranquillo, anche se ogni tanto sembrava perdere il filo del discorso, come se avesse altri pensieri per la testa.

    «Allora, mi dici che cosa c’è sotto?», chiese infine Corinne, sistemandosi il tovagliolo sulle gambe. Erano appena arrivati i loro piatti e Massimo le aveva fatto assaggiare il vino bianco che aveva scelto per lei. Sapeva sempre cosa prendere, lui.

    «Lo saprai a tempo debito», tagliò corto.

    Corinne alzò gli occhi al cielo. Non le sfuggì il cenno che Massimo aveva fatto al cameriere che li stava servendo. Stava cominciando a innervosirsi. Se si trattava di una sorpresa, la tensione era arrivata già all’apice. Corinne detestava le sorprese, forse perché nella sua vita era riuscita a programmare anche gli imprevisti.

    Il pianista cominciò a suonare il Canone in re maggiore di Pachelbel. Corinne la riconobbe subito, era una delle sue sonate preferite. Chiuse gli occhi e sorrise, lasciandosi per un attimo cullare dalla musica. Al piano si era unito il violino. Era tutto così bello: era a cena con il suo fidanzato in uno dei ristoranti più chic di Roma, stava mangiando un risotto fantastico e la musica di sottofondo era a dir poco perfetta per l’occasione.

    «Corinne…», sentì in lontananza la voce di Massimo.

    Sospirò, riaprì gli occhi e incontrò lo sguardo di lui che le sorrideva. Ricambiò il sorriso, sentendosi confusa, benché non ne avesse motivo. Che cosa stava succedendo? Dopo qualche istante vide Massimo alzarsi, fare il giro del tavolo per raggiungere la sedia dov’era seduta. Le prese la mano e le baciò il palmo.

    «Cosa…?», tentò di chiedere lei, accorgendosi in quel momento che le luci del ristorante si erano abbassate ancora di più. Non capiva.

    Massimo si mise in ginocchio e tirò fuori una scatolina blu. A Corinne mancò per un attimo il respiro. Si guardò intorno. Tutti li stavano osservando. Sentì di avere le guance in fiamme per l’imbarazzo e l’emozione.

    Oddio, non sta succedendo… non sta succedendo… Ti prego, no, no…, pensò. Le sembrava di vivere in una scena di un film d’amore, quelli che lei odiava. Uno di quei film che mandavano a ripetizione durante le vacanze per indurre a comprare regali costosi. Per lo meno questo era ciò che pensava lei, perché se l’avesse detto in giro le avrebbero dato della cinica senza cuore. Tornò a guardare Massimo. Quant’era bello… sembrava così felice…

    Lui si schiarì la voce ed esclamò: «Corinne Mistral, mi vuoi sposare?».

    Capitolo 2

    Quando Corinne rientrò a casa era da poco passata la mezzanotte. L’appartamento di nonna Elena si trovava nel quartiere romano dell’Eur, e ogni giorno Corinne doveva attraversare tutta la città per arrivare la mattina in tribunale a piazzale Clodio e il pomeriggio allo studio in viale Parioli. Non le pesava affatto. Le piaceva l’Eur, con le sue case ordinate, i grandi viali, gli edifici squadrati e il laghetto artificiale dove lei e la nonna spesso andavano a mangiare il gelato la domenica, fin da quando lei era piccola. Il pensiero volò alla sua infanzia tutto sommato felice lì in quel quartiere, dove aveva studiato, dove aveva tutti i ricordi più belli con i suoi genitori. Chiuse la porta dietro di sé cercando di non far rumore per non svegliare la nonna, che dormiva nella camera degli ospiti. Da quando era morto il nonno, non era più riuscita a riposare nella sua camera, scrupolo che i suoi genitori invece non si ponevano affatto.

    L’appartamento era avvolto nel buio, solo la flebile luce dei lampioni in strada illuminava appena le sagome dei mobili antichi. Lo sguardo di Corinne si posò sulla lampada di Tiffany che si trovava su uno dei tavolini del salotto, all’ingresso dell’appartamento. Il buongusto e la raffinatezza di sua nonna erano palpabili: lo specchio settecentesco sul camino, i dipinti della scuola romana e soprattutto le piante. Sua nonna aveva una mania per fiori e piante. Il terrazzo era diventato con gli anni un vero e proprio vivaio e guai a chi glielo toccava. La donna delle pulizie sapeva che quel territorio era off-limits e non si azzardava a mettervi piede. C’erano piante e fiori di ogni tipo: tronchetti della felicità, felci, cactus, azalee, rose, ortensie e camelie. Un tripudio di colori e di profumi, a prova di allergia. Suo padre era costretto a prendere l’antistaminico ogni volta che veniva a Roma. Corinne sorrise.

    Nonna Elena era già a letto. Meglio così, pensò. Avvertiva l’esigenza di stare da sola. Si diresse verso la cucina e aprì il frigorifero. Intravide con la coda dell’occhio il vino bianco avanzato dalla cena e se ne versò un bicchiere. Prese alcuni pistacchi dalla dispensa e li sgranocchiò tra un sorso e l’altro. Adesso aveva fame. Dopo la proposta di matrimonio le si era chiuso lo stomaco e non aveva voluto più niente. Non era nemmeno riuscita a bere. Guardò il bicchiere vuoto che reggeva tra le mani e sospirò. Non era un’amante del vino ma ora le serviva, sperava che l’aiutasse a dormire. Dopo tutte le emozioni della giornata, non riusciva proprio a calmarsi.

    Posò il bicchiere nel lavello e si diresse verso la sua camera da letto.

    «Sono una stupida!», sussurrò quando le lacrime cominciarono a scenderle sulle guance. «Che cosa ho fatto? Stupida, stupida, stupida».

    «Che cosa succede, Corinne?». Nonna Elena si era affacciata alla soglia della camera. Indossava la vestaglia e aveva lo sguardo assonnato. «Ti ho sentito rientrare… Che cosa fai, piangi?».

    D’istinto Corinne si asciugò le lacrime con il dorso della mano e cercò di assumere un’espressione serena, ma a sua nonna non era sfuggito quello sguardo di disperazione.

    Andò a sedersi accanto a lei sul letto e le cinse le spalle con il braccio, attirandola a sé.

    «Cosa ti è successo? Lo sai che a me puoi dire tutto», le sussurrò dandole un bacio sulla fronte.

    «Niente, nonna. Sta’ tranquilla, fra poco passa tutto e mi metto a dormire».

    «Sicura?».

    Corinne si girò verso la nonna e i loro sguardi s’incrociarono per un istante.

    Elena si accigliò e strinse gli occhi in due fessure penetranti. «Non dirmi bugie: che cosa è successo?», le chiese infine.

    «Massimo mi ha chiesto di sposarlo!». Ecco, l’aveva detto. Aveva finalmente sputato il rospo. Che senso avrebbe avuto tenerglielo nascosto?

    Elena scosse la testa e le prese la mano stringendogliela forte tra le sue. «Lo so, me l’ha detto quando mi ha telefonato nel pomeriggio».

    «Immaginavo…».

    «E tu che cosa gli hai risposto?».

    Corinne distolse lo sguardo. «Gli ho detto sì».

    «Tesoro… ma questa è una bellissima notizia!», esclamò Elena, stringendola a sé.

    Corinne rimase inerme e subì quell’abbraccio senza reagire. Aveva anche smesso di piangere, adesso.

    Elena si staccò da lei e rimase a fissarla per qualche istante. «Non sei felice?», le chiese.

    «Non lo so», ammise Corinne, coprendosi il volto con le mani.

    «Tesoro mio, guarda che puoi sempre cambiare idea. Non hai firmato nessun contratto…».

    «Oh, nonna!», la interruppe Corinne, alzando la voce. «Quando prendo un impegno, io lo porto avanti fino in fondo. Non faccio promesse a caso».

    «Certo!».

    «Ecco, e allora sai che cosa vuol dire aver accettato la proposta di Massimo».

    «Vuol dire che tra qualche mese diventerai sua moglie».

    «Appunto».

    «Non capisco qual è il problema», disse Elena, scuotendo il capo, perplessa.

    «Il problema è che avrei dovuto dirgli di no», ammise Corinne, dopo qualche attimo di silenzio.

    «E perché? Non lo ami?»

    «Sì che lo amo».

    «Allora davvero non capisco dove sia il problema».

    «Sono io, nonna. Il problema sono io. Perché in tutta sincerità non mi sento all’altezza di Massimo».

    «Ma che dici? Sei impazzita? Sei figlia di…».

    «No, no, nonna», la interruppe Corinne, ricominciando a piangere. «Non pensare al lignaggio… che poi, sai

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