Racconti di Viaggi e di Paura
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Storie, luoghi e personaggi reali calati in paure immaginarie o forse, a loro volta, reali.
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Racconti di Viaggi e di Paura - Marcello Pollono
Marcello Pollono
Racconti di viaggi e di paura
RACCONTI DI VIAGGI E DI PAURA
Il bambino vecchio di Uchizar
Il gatto di legno
Centauro
Il macedone
Muro
Il macellaio di Ain Draham
Shukran
Caffé nero
Nemrut Dagi
Il quarto silo
Il bambino vecchio di Uchizar
Era proprio lui.
Li guardava fissi, da sopra le loro teste, dall’angolo della stanza.
Il bambino vecchio di Uchizar.
L’avevano visto lì ad Uchizar, nel mezzo della Turchia, alcuni mesi prima durante il loro viaggio estivo in moto. E da quel momento non li aveva più abbandonati.
Non fisicamente, avevano infatti passato ad Uchizar solo un paio di giorni; quanto mentalmente. Era infatti diventato oggetto preferito delle loro battute, dei loro scherzi.
In effetti lui si prestava alquanto, con quel suo viso da vecchio incastonato, non si sa come, né per quale scherzo della natura, nel corpo di un bambino di otto anni o poco più.
Sul viso, un’espressione mesta e rassegnata; lo sguardo perso nel vuoto.
Mai un sorriso, mai un gioco, sempre da solo o in mezzo a gente anziana, proprio come lui.
Ne avevano creato subito un personaggio surreale, come erano soliti individuarne uno in ogni loro viaggio, che non li avrebbe abbandonati mai nei loro racconti e nei loro ricordi.
Se lo erano immaginato creatura della notte, figlio delle tenebre, ora appollaiato a testa in giù a dormire su un albero, ora disteso in una cripta o ancora a girovagare al buio in una delle tante tombe rupestri o città sotterranee che avevano visitato.
Sempre comunque al centro delle loro fantasie, sempre motivo di grandi risate.
E ora lui era lì, in carne ed ossa.
Librava leggero a mezz’aria; la sua ombra si allungava a dismisura sul pavimento della sala.
Loro lo fissavano impietriti dal terrore.
Fissavano il viso deforme da vecchio, il corpo esile e fluttuante da bambino.
Sul viso un ghigno malefico.
Nella mano, stretta a pugno, un lungo coltello.
Era arrivato anche per lui, finalmente, il tempo dei giochi.
Il gatto di legno
Gli piacque subito, molto.
Era elegante, austero ma simpatico allo stesso tempo. Il corpo sottile, armonioso e simmetrico, le zampe e la coda, attaccate ai fianchi, appena accennate. La testa tonda, una palla sormontata dalle orecchie a triangolo. Il muso paffuto. Gli occhi, due sottili linee verticali nere, si staccavano sul biondo colore del legno.
Era una statua semplice, bella, che nulla aveva a che vedere con quelle dozzinali delle bancarelle etniche.
L’uomo la guardò a lungo, ne studiò ogni tratto, sotto ogni angolazione. Voleva essere sicuro della scelta, sicuro che le sarebbe piaciuta.
Il rischio che sembrasse un auto-regalo era alto. Succedeva ogni volta che le regalava un oggetto non strettamente personale.
Lei lì per lì faceva trasparire una velata delusione; cercava quindi di rassicurarlo sul fatto che le fosse piaciuto, salvo finire poi, a distanza di settimane, per rinfacciargli puntualmente di aver comprato un oggetto per se stesso più che per soddisfare i gusti di lei.
Decise di correre il rischio: era pur sempre un gran bel oggetto e, soprattutto, un regalo che in quanto