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L'eloquenza del silezio
L'eloquenza del silezio
L'eloquenza del silezio
E-book341 pagine4 ore

L'eloquenza del silezio

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Info su questo ebook

Tratto da una storia vera, L’eloquenza del silenzio è un romanzo storico multitemporale dalle fosche tinte noir.
I protagonisti sono due giovani dalle belle speranze: Gustavo e Rocco.
Stessa città di origine: Palmi.
Stessa meta: Como.
Due epoche diverse: passato e presente.
Gustavo, intrepido funzionario di PS, condannato dal Tribunale Militare Straordinario di Guerra alla pena di morte mediante fucilazione nella schiena.
Rocco, brillante studente in giurisprudenza, obbligato dagli eventi ad abbandonare gli studi e cercare lavoro.
I due percorreranno una strada in salita, guidati dalla sapiente arte di un regista occulto. Il fato li prenderà ben presto per mano e li accompagnerà nel difficile cammino della loro esistenza, che avrà un inesorabile epilogo ora drammatico ora pieno di speranza.
La storia si snoda in un andirivieni di personaggi e loschi figuri che danno loro la forza di lottare per gli ideali in cui credono e di non lasciarsi sopraffare dalle alterne vicende cui sono costretti a far fronte.
LinguaItaliano
Data di uscita17 apr 2015
ISBN9788868222901
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    Anteprima del libro

    L'eloquenza del silezio - Rocco Cosentino

    collana

    La Ginestra large

    diretta da Antonietta Cozza

    4

    ROCCO COSENTINO

    L’eloquenza

    del silenzio

    Proprietà letteraria riservata

    © by Pellegrini Editore – Cosenza – Italy

    Stampato in Italia nel mese di maggio 2015 per conto di Pellegrini Editore

    Via Camposano, 41 (ex via De Rada) – 87100 Cosenza

    Tel. (0984) 795065 – Fax (0984) 792672

    Sito internet: www.pellegrinieditore.com - www.pellegrinilibri.it

    E-mail: info@pellegrinieditore.it

    I diritti di traduzione, memorizzazione elettronica, riproduzione e adattamento totale o parziale, con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche) sono riservati per tutti i Paesi.

    A Maria, Carmine e Matteo

    PROLOGO

    Como, località Monumento ai Caduti,

    ore 6:00 del 23 maggio 1945

    Erano disposti su tre sedie, sul lungolago, di schiena, così com’era stato stabilito nella sentenza emessa in data 22 maggio dal Tribunale Militare Straordinario di Guerra. Al centro l’ex questore di Como della RSI, colonnello Lino Pallotta, ai suoi lati, rispettivamente a destra e a sinistra, due funzionari di PS, Gustavo Marletta e Giovanni Barbuto.

    Il cielo era plumbeo, minacciava pioggia. Ad un tratto qualche goccia iniziò a infastidire gli uomini del plotone di esecuzione, quasi che da lassù qualcuno avesse deciso di piangere lacrime amare per la somma ingiustizia che di lì a poco si sarebbe consumata.

    Il dispositivo non lasciava spazio a dubbi di sorta: i tre erano stati dichiarati responsabili di tutti i reati a loro ascritti e condannati alla pena di morte mediante fucilazione nella schiena. Quattro omicidi premeditati, peraltro aggravati dall’essere stati commessi al fine di favorire i disegni politici del nemico tedesco nel territorio italiano, nonché l’aver collaborato con il tedesco invasore, erano reati di una tale gravità che dovevano essere puniti con il massimo della pena.

    I nomi degli autori di tali nefandezze erano stati scritti, a chiare lettere, sulla sentenza. Perché avessero così sciaguratamente agito era stato spiegato nelle undici pagine di un documento che aveva tutto il sapore di un atto di morte, nascosto sotto le mentite spoglie di un provvedimento giudiziario.

    I crimini: tra i più barbari.

    Gli omicidi: tra i più feroci.

    Le sevizie e le torture: tra le più abominevoli.

    L’estensore della sentenza non aveva lesinato giudizi morali ed etici sui fatti di causa.

    Le vittime: magnifiche figure di italiani rei di aver profondamente amato la Patria, di non aver chinato il capo all’oppressore.

    Gli esecutori: bieche figure espresse da quel regime che, dopo aver usurpato il potere con la forza e contro la volontà del popolo, si era eretto a paladino di un ordine legittimamente costituito.

    La descrizione delle parti in causa era stata il fiore all’occhiello di una sentenza che aveva il sapore di un atto di vendetta per il sangue versato sulle sacre terre di Como piuttosto che di un momento di supremazia dello Stato di diritto su una barbarie senza fine allo stato puro.

    Che testualmente fosse stato scritto che la necessità di una giustizia rapida, pronta non ha consentito una istruttoria ampia ed estesa e che se ciò fosse stato possibile è fuor di dubbio che il numero delle nefandezze sarebbe risultato imponente, era la prova provata che quella condanna a morte era già da tempo scolpita nell’animo e nel cuore del popolo di Como, che conosceva bene l’efferatezza di quei crimini e mai li avrebbe dimenticati.

    La sentenza era passata in giudicato il giorno stesso della pronuncia.

    Questo era stato statuito il giorno prima, questo sarebbe stato portato a compimento da un momento all’altro.

    Quando le deflagrazioni delle armi in dotazione al plotone di esecuzione echeggiarono sul lungolago, tutti i cittadini tirarono un sospiro di sollievo: lo squadrone della morte, capeggiato dal dottor Marletta, vicecommissario aggiunto di PS e capo dell’ufficio politico della questura di Como, era stato giustiziato... in esecuzione di una sentenza di morte emessa in nome di Umberto di Savoia Principe di Piemonte, luogotenente generale del Regno.

    I

    Palmi, 16-17 agosto 2013

    Era quasi mezzanotte.

    La gente stava in religioso silenzio ad aspettare quello che da un momento all’altro sarebbe irrimediabilmente successo.

    La maggior parte delle persone, accorse per l’evento, era assiepata in piazza I Maggio con lo sguardo rivolto verso il cielo.

    Non appena un bagliore squarciò quella buia notte, tutti si prepararono allo spettacolo che li avrebbe intrattenuti, come ogni anno, per circa mezz’ora: i fuochi d’artificio. Giochi pirotecnici che avrebbero decretato la chiusura dei festeggiamenti in onore di San Rocco. Appuntamento irrinunciabile, non soltanto per i palmesi residenti e per i cosiddetti turisti di ritorno, ma anche per le migliaia di persone abitanti nei comuni limitrofi. Cittadini onesti e senza grilli per la testa, che vedevano nelle feste religiose e civili l’unica occasione di svago durante le cupe e calde serate estive, di solito occupate dai più fortunati con lunghe passeggiate sul lungomare della vicina Reggio Calabria.

    Rocco, invece, se ne stava da solo nella sua stanza che affacciava proprio sulla piazza principale del paese, con il capo chino su un libro, noncurante dei momenti di giubilo collettivo che i suoi compaesani stavano vivendo. Inutile dirlo, il suo nome era il segno concreto di devozione al santo da parte dei suoi genitori, per quella volta che, alla nascita, lo aveva strappato alla morte certa per una patologia congenita che aveva portato i medici a emettere l’infausto responso che non avrebbe mai spento la candelina del suo primo compleanno.

    A metà settembre avrebbe sostenuto l’esame di diritto processuale penale. Aveva iniziato a studiarlo a metà luglio, subito dopo quello di diritto del lavoro, e ci teneva tanto a superarlo; solo così avrebbe rispettato il programma di studi che, entro giugno dell’anno successivo, se non ci fossero stati intoppi di sorta, lo avrebbe portato a conseguire la laurea in giurisprudenza: primo passo verso una più ambita meta, al momento presente soltanto nei suoi sogni.

    A mezzanotte e tre quarti si affacciò alla finestra e, avuta contezza che ormai per le vie del paese c’erano soltanto i soliti fannulloni che l’indomani non avrebbero avuto niente di meglio da fare che svegliarsi non prima dell’ora di pranzo, decise che anche per quella giornata il suo debito con lo studio poteva dirsi estinto.

    Chiuse il libro, spense la lampada posta sulla scrivania e, al buio, guidato dalla sua ferrea memoria, raggiunse il letto. Spalancò quanto più possibile le persiane per godere di un po’ di refrigerio. Si sincerò che sul suo telefonino non fossero registrate chiamate perse, si abbandonò placidamente tra le braccia di Morfeo e iniziò un lungo sonno ristoratore e purificatore.

    Quello che non poteva prevedere però era che, la mattina seguente, il destino cinico e beffardo avrebbe bussato alla sua porta... per cambiare radicalmente il senso e il corso di tutta la sua vita.

    II

    Palmi, 17 agosto 2013

    Il telefonino adagiato sul comodino squillò a vuoto per non meno di sei volte. Alla settima Rocco fece in tempo a realizzare che non si trattava di un sogno. Si alzò di scatto e premette alquanto stizzito il pulsante verde. Peccato però che chi chiamava avesse riattaccato. Diede una stropicciatina agli occhi e vide che era Laura, la sua fidanzata storica dai tempi del liceo. Volse lo sguardo verso la sveglia e si accorse che erano già le 9:30. Il suo forte non era certo svegliarsi presto di mattina. Era un motore diesel, partenza lenta e ottimi rendimenti. Prima di richiamarla, decise che forse sarebbe stato meglio sciacquarsi il viso, prepararsi un buon caffè e riattivare i neuroni: affrontare l’amore della sua vita in uno stato intellettivo non al meglio sarebbe potuto costargli caro.

    Ripreso il pieno possesso delle sue facoltà mentali, temporaneamente annebbiate da qualche ora di sonno, decise di chiamarla.

    Rispose al primo squillo.

    «Non perdi mai l’abitudine di svegliarti tardi, vero?» osservò Laura con tono ironico.

    «Se lo sai, perché mi chiami all’alba?»

    «All’alba? Ma se ho già due ore di lavoro alle spalle... io!»

    «Scusa.»

    «Com’è che si dice?»

    Era un amore di ragazza, ma aveva delle fissazioni tutte sue particolari, vere e proprie manie ossessivo-compulsive.

    «Ok... allora... scusa, pietà, perdono e compassione per un povero bambino che non sa quello che fa...», Rocco ripeté a cantilena quella frase a mo’ di scherno per aver mancato di rispetto alla propria amata.

    «Va bene, considerati perdonato.»

    «Allora? Mi hai svegliato per puro gusto sadico?»

    «Certo che no. Ti chiamavo per dirti che stasera potremmo andare a cena fuori. La signora Lina chiuderà il negozio un po’ prima, si sposa il figlio di un suo cugino e mi ha concesso un’ora di anticipata libertà.»

    Laura lavorava come commessa in un negozio di abbigliamento per bambini situato in pieno centro a Palmi. La clientela era svariata e molto esigente. Uno dei pochi negozi che trattava esclusivamente il target 0-14 delle più grandi firme della moda, motivo per cui il sabato pomeriggio era di solito preso d’assalto da mamme con il pallino dell’eleganza. Dopo gli anni del liceo, aveva inizialmente intrapreso gli studi universitari in lettere moderne, che dovette però ben presto abbandonare a causa della prematura morte della madre. Il padre, quasi settantenne, era un ufficiale della Marina in pensione. Giovanni, il suo unico fratello, era autistico e bisognevole di assidue cure. In seguito alla scomparsa della madre, dovuta a un tragico incidente stradale mentre si recava a lavoro con alcune colleghe, di fatto era rimasta l’unica in grado di portare a casa uno stipendio fisso a fine mese e di dare una mano d’aiuto al genitore nelle cure dello sfortunato fratello.

    «E con Giovanni come faresti?»

    «Dimenticavo di dirti che stamattina è arrivata da Roma zia Lucia. Starà un paio di settimane a casa di sua cognata. Ha deciso di invitare mio padre e mio fratello a cena. A dire la verità, credo sia stata una sua idea per farmi respirare un po’ e darmi la possibilità di passare un paio d’ore in tua compagnia. Che ne dici? Ti garba il programma per stasera?»

    Rocco non credeva a quello che aveva appena sentito. Certo, era un po’ dispiaciuto perché questo inaspettato incontro serale avrebbe seriamente compromesso il suo programma di studi della giornata, tuttavia non esitò a manifestare tutta la sua gioia.

    «A che ora passo a prenderti?»

    «Prenota al solito posto per le nove e mezzo. Assicurati che ci riservino un tavolo in giardino, altrimenti con questo caldo... e passa a prendermi verso le nove. Io stacco alle otto, il tempo di dare una sistemata a mio fratello e di prepararmi... così anche tu avrai tutto il tempo per ripetere la tua materia. Ok?»

    «Ok. Ci vediamo stasera.»

    «Ti aspetto. Ciao, ciao.»

    «Ciao, ciao. A dopo.»

    Ancora con il sapore del caffè in bocca e con la vista annebbiata dal sonno, Rocco cercò di fare mente locale su quello che sarebbe stato il suo piano di studi dell’intera giornata. Non fece in tempo però a decidere come e quando avrebbe ripetuto il più ostico di tutti i capitoli del libro di diritto processuale penale che lo squillo del citofono echeggiò per tutta la casa. Diede una sbirciatina al monitor con le immagini riprese dalla telecamera posta all’ingresso della sua abitazione e stentò a riconoscere chi stava suonando. Non potendosi permettere altre perdite di tempo, decise di non aprire. Se non lo aveva riconosciuto, voleva dire che si trattava sicuramente di uno scocciatore.

    Trascorse l’intera mattinata sui libri.

    Si concesse solo un piccolo intervallo per bere un succo di frutta.

    In men che non si dica si erano fatte le 13:30. Si rese conto dell’orario perché in quel momento fecero rientro a casa dal lavoro i suoi genitori, puntuali come sempre. Li accolse comodamente sdraiato sul divano, alla ricerca di qualche emittente televisiva locale che lo aggiornasse sulle ultime notizie di cronaca nera. I numerosi arresti di quel periodo, eseguiti nei confronti di elementi di spicco della criminalità organizzata, lo avevano portato a una sorta di maniacale curiosità su nomi e facce di chi per tanti anni aveva seminato sangue e odio sulle strade della sua amata Palmi e di tutti i paesi della provincia.

    Era alle prese con uno zapping frenetico quando sua madre lo richiamò all’ordine: «Ho trovato quest’avviso delle Poste nella cassetta delle lettere. Credo sia per te.»

    «Per me? E chi mi scrive?»

    «A occhio, mi sembra l’avviso di giacenza di una raccomandata.»

    «Fammi vedere.»

    Rocco scrutò il foglietto alla ricerca di qualcosa che potesse ricondurlo al mittente. Riuscì soltanto a scorgere il numero della raccomandata e l’invito ad andare a ritirarla presso l’ufficio postale.

    «Tu e il tuo maledetto vizio di non aprire alle persone quando sei solo in casa! Vedrai che ti faranno perdere non meno di un’ora. L’altro giorno c’era una fila...»

    «Sono già vestito... faccio un salto. Oggi è sabato e troverò poca gente.»

    Intervenne suo padre: «Rassegnati fino a lunedì. Se il postino è passato stamattina, potrai ritirare la raccomandata non prima di dopodomani.»

    Si sa che la curiosità è donna, ma mai come quella volta Rocco era stato assalito dal tarlo del dubbio di aver commesso una grande sciocchezza a non rispondere al citofono. Raramente riceveva delle raccomandate. Poteva essere una comunicazione dell’università riguardo ad alcune variazioni al piano di studi che aveva fatto al solo e unico scopo di anticipare un paio di materie del quarto anno al terzo oppure una banale multa presa con la macchina, che di certo non avrebbe reso felice suo padre per l’inevitabile esborso di almeno cento euro.

    L’unica possibilità che gli rimaneva, per non passare il resto del fine settimana con il dubbio, era fare una ricerca sul sito delle Poste Italiane. Nonostante sua madre l’avesse più volte chiamato per accomodarsi a tavola, rimase incollato al monitor del computer della sua stanza. Si era collegato alla sezione riservata ai privati. Individuò il link che gli avrebbe consentito di fare una ricerca a ritroso e digitò il numero della raccomandata scritto sull’avviso di giacenza. Indicò l’arco temporale della ricerca e, dopo qualche secondo, il cervellone del sito vomitò la sua risposta chiara e inappellabile: l’atto era stato spedito quattro giorni prima da Como.

    III

    «Passami le patatine, per favore!»

    Rocco non diede segni di vita.

    «Hai sentito quello che ti ho detto?»

    «Oh, scusa. Non riesco proprio a smettere di pensare a quella maledetta raccomandata. Da Como. Chi ha mai visto Como? Sicuramente ci sarà stato un errore. Avranno sbagliato una lettera del cognome, o inserito una cifra dell’anno di nascita per un’altra... ed ecco che l’equivoco è risolto. Sicuramente sarà andata così.»

    «Poi dici che io sono paranoica. Non ci pensare più. Sarà una sciocchezza. Forse una comunicazione per l’abbonamento a quella rivista giuridica di cui tanto mi hai parlato... vedrai che sarà una cosa del genere.»

    «Hai ragione. Non ci penserò più.»

    «E allora?»

    «E allora che?»

    «Ti decidi a passarmi le patatine fritte? Ho una fame...»

    «Scusa, sto proprio rovinando la serata.»

    «Ma no! Che hai fatto oggi?»

    «E me lo chiedi? Quello che faccio da tre anni a questa parte: studio, studio e studio... E tu? Che mi racconti?»

    «Tutto vecchio. In negozio succede sempre la stessa cosa da tre anni a questa parte...»

    «E cioè?»

    «Lavoro, lavoro e lavoro...»

    Per fortuna, a spezzare la tensione pensò il cameriere, il quale, con fare molto professionale, servì due secondi a base di pesce accompagnati dalla simultanea spiegazione della composizione della pietanza.

    «Tu hai capito qualcosa di quello che ha detto?»

    «No, ma se il mio intuito non m’inganna è il fritto misto che abbiamo ordinato...»

    «Senti...»

    «Dimmi...»

    «Ti ricordi che giorno è stato ieri?»

    «Certo. Il 16 di agosto, giorno di San Rocco.»

    «E quindi?»

    «...»

    «E quindi era anche il tuo onomastico... che non abbiamo adeguatamente festeggiato per i nostri soliti impegni di di studio e di lavoro.»

    Rocco guardò Laura negli occhi. Immaginava il senso del suo discorso e, per non farla sentire in imbarazzo, decise di precederla: «Mia cara, se ti senti in colpa per non avermi fatto un regalo, non ti devi assolutamente preoccupare. Come vedi, anch’io festeggio il mio onomastico questa sera con un giorno di ritardo. E poi, queste sono cosucce da fidanzatini alle prime armi. Ormai tu e io siamo una coppia collaudata e ben altre sono le attenzioni che ci riserviamo. Mangia questo fritto misto e non pensarci più, perché se il cameriere si accorge che tentenniamo penserà che non abbiamo compreso bene la sua forbita esposizione e quanto prima verrà a ripeterci la solita cantilena.»

    Laura non sapeva come iniziare il discorso, non era la prima volta che ci provava e nelle precedenti occasioni si era fermata sul più bello. Non immaginando la reazione del suo amato, per non rischiare, aveva sempre desistito. Quello che stava per fare era un passo molto grande per la loro vita di coppia e, di certo, non voleva farlo più lungo della gamba.

    Tuttavia il tempo passava, la natura faceva il suo corso e, ben presto, sarebbe stato impossibile tenere ancora per sé quel segreto. Se Rocco l’avesse scoperto da solo o, ancora peggio, qualche vocina fosse giunta alle sue orecchie, allora sì che il loro rapporto avrebbe corso seri rischi.

    Per fortuna, comunque, quella sera aveva preparato tutto nei minimi particolari. Era riuscita a ottenere la collaborazione del titolare del ristorante e dei suoi dipendenti. Sapeva benissimo che Rocco era un abitudinario e di certo non avrebbe esitato un attimo ad accettare il consiglio di prenotare al solito posto. Consapevole di non poter rinviare, aveva creato l’occasione adatta per comunicare la grande notizia. Tutto era stato pianificato ad arte, sia il giorno di ferie mascherato dall’impegno della titolare del negozio sia il fantomatico invito a cena di suo padre e di suo fratello da parte della zia.

    E fu soltanto quando Rocco ebbe finito di consumare il suo fritto misto che Laura, con il cuore in mano, diede il via al grande spettacolo.

    Lo stesso cameriere di prima, ricevuto il segnale convenzionale, si catapultò al loro tavolo e portò via i piatti sporchi, lasciando la scena a un bambino e a una bambina, rispettivamente di otto e quattro anni.

    Il primo si fece avanti e consegnò a Rocco una piccola busta di carta patinata. Travolto dall’incredulità, e pensando fosse il regalo di Laura per il suo onomastico, l’aprì senza tentennamenti. Quando si trovò tra le mani un oggetto di seta con bordi di colore azzurro, ci mise un paio di minuti per realizzare di cosa potesse trattarsi. Fece solo in tempo a leggere quello che c’era ricamato: Io sarò la luce dei tuoi occhi tra otto anni....

    Si avvicinò quindi la bambina, perché così le era stato detto di fare e perché quel gioco era proprio tanto divertente per lei. Aiutata dal fratello maggiore, consegnò una seconda busta. Rocco, pur continuando a non capire, si prestò ancora alla messa in scena e l’aprì. Si trovò tra le mani un altro manufatto di seta, questa volta però i bordi erano di color rosa. Lesse a bassa voce: ... io sarò la luce dei tuoi occhi tra quattro anni....

    Rocco non fece in tempo a comprendere bene cosa stesse accadendo che Laura gli si avvicinò, lo abbracciò e, con un rapido movimento delle mani, estrasse da sotto la maglietta un terzo bavaglino di seta, questa volta con i bordi rossi.

    «Questo sarà il nostro futuro, amore» furono le parole che le uscirono di bocca in un misto di commozione e gioia.

    ... e io sarò la luce dei tuoi occhi tra pochi mesi! fu la frase che gli occhi di Rocco, sul punto di essere inondati da lacrime di gioia, riuscirono a leggere sull’ultimo bavaglino.

    IV

    Palmi, 19 agosto 2013

    Stordito ancora per la notizia ricevuta sabato sera, si era comunque presentato puntuale il lunedì mattina all’ufficio postale di Palmi all’orario di apertura. Gli impiegati però ancora non avevano aperto gli sportelli. Pensò bene di ritirare il numerino della fila e si allontanò per andare a prendere un caffè... quel numero 32, che gli era stato attribuito dal computer, non faceva presagire nulla di buono su quanto avrebbe dovuto aspettare.

    Accanto alla posta c’era il palazzo comunale e, di fronte, una bella piazzetta ornata di tanto verde. Lì era situato un chiosco fornito di tutto quello che sarebbe servito a un turista per alleviare un po’ di arsura in quella calda giornata di agosto; a Rocco però sarebbe stato sufficiente solo un buon caffè per riprendersi dalla levataccia. Dopo aver pagato la consumazione, decise di ritornare all’ufficio postale per accertarsi se i solerti dipendenti si erano degnati di aprire le danze.

    Le persone presenti erano aumentate a dismisura, perlopiù turisti, a giudicare dai volti poco noti. Alzò lo sguardo sul display posto sopra lo sportello dove avrebbe dovuto ritirare la raccomandata. Con grande stupore notò che era appena apparso il numero 28. Misteri della fede, pensò. Nemmeno il tempo di guardare l’ora sul telefonino, che vennero chiamati il 29, il 30, il 31 e...

    «Trentadue...» gracchiò lo sportellista, e in rapida successione «... trentatré».

    «Un attimo, un attimo... io ho il trentadue...»

    «E cosa aspettava a rispondere?»

    Rocco si trattenne dal dare una risposta poco cortese e si affrettò a dire: «Mi è stato consegnato sabato scorso questo avviso di giacenza di una raccomandata.»

    Il gentile impiegato lo avvicinò agli occhi, quasi che i suoi spessi occhiali fuori moda non fossero sufficienti a fargli leggere il contenuto. «Un attimo che controllo nel back office» sentenziò con chiara inflessione dialettale palmese.

    «Prego?» chiese stupito Rocco; un po’ d’inglese scolastico lo masticava ancora, ma a quell’ora del mattino stentava a carburare.

    «Ora vegnu!» esclamò questa volta in vernacolo allo stato puro.

    Dopo tre minuti d’attesa, lo sportellista poliglotta ritornò con una busta in mano. Predispose al computer una ricevuta, la stampò e la diede a Rocco: «Firma ‘cca!»

    «Please...» gli venne di getto, trattenendosi a stento dal ridergli in faccia.

    «Firmi qua, gentilmente.»

    Rocco firmò e, a scanso di equivoci, chiese se doveva pagare qualcosa. Ricevuta risposta negativa, salutò e uscì in tutta fretta. Nonostante la sua grande curiosità di sapere se quella raccomandata fosse foriera di scocciature o, peggio ancora, di cattive notizie, decise di non dare nemmeno una sbirciatina. Era fatto così: finché non era certo di avere tutto sotto controllo, non riusciva a pensare ad altro, ma poi, quando aveva la possibilità di togliersi ogni dubbio, se la prendeva comoda e posticipava senza motivo la fine dei suoi tormenti.

    Entrato in macchina, acceso il motore, azionata l’aria condizionata e abbassati i finestrini per far uscire l’aria calda che si era nel frattempo accumulata, scrutò la busta. Vide l’intestazione del mittente e una lampadina gli si accese in mente.

    Se n’era proprio dimenticato. Aveva presentato domanda per un colloquio di lavoro, circa sei mesi prima, presso un’importante azienda di Como operativa nel settore dell’abbigliamento e, fino a quel momento, nessuno si era fatto vivo.

    Finalmente lesse la lettera.

    Dopo una lunga premessa con la quale si elencavano gli importanti risultati raggiunti nel mercato mondiale, il direttore del settore di gestione delle risorse umane lo invitava a presentarsi in data 26 agosto, alle ore 10:30, presso la sede commerciale per sostenere un colloquio preliminare finalizzato a verificare, almeno così c’era scritto, l’effettiva convergenza di interessi tra l’esaminando e i target aziendali.

    Con l’aria condizionata a palla e lo stereo che mandava in sottofondo una canzone dei Beatles, Rocco stette un paio di minuti a riflettere.

    Quella domanda di assunzione l’aveva avanzata controvoglia, solo per fare contenti i suoi genitori che non vedevano buone prospettive di futura occupazione dalla laurea in giurisprudenza. Aveva cercato fino all’ultimo di spiegare che le sue reali aspirazioni erano altre,

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