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Piacenza, le sue frazioni ed altre storie
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E-book145 pagine2 ore

Piacenza, le sue frazioni ed altre storie

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Info su questo ebook

Questo libro che, a prima vista, potrebbe essere considerato un’opera di assemblaggio, raccolta di semplici note, è in realtà un’opera avveduta, c’è un filo conduttore, la consapevolezza dell’Autore che attraverso semplici appunti di diario divulga le proprie concezioni politiche ed estetiche: Comme les philosophes!
LinguaItaliano
Data di uscita25 feb 2019
ISBN9788827868065
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    Anteprima del libro

    Piacenza, le sue frazioni ed altre storie - Carmelo Sciascia

    genitori

    Tavole

    Copertina - La chiesa di Santa Maria Bambina a Bosco dei Santi (olio su tela di C. S. cm. 100x80) -per il poeta C. Arzani alias Notre Dame de Mortizza

    Tav. I – L’inceneritore in località Borgoforte a Piacenza

    (olio su tela di C. S. cm.100x80)

    Tav. II – tre ritratti di Alessandro Farnese

    (Mor, Coello, Anguissola)

    Tav. III – Pupi siciliani

    (olio su tela di C. S. cm. 100x80)

    Prefazione

    Come è noto agli studiosi, la Biblioteca Comunale Passerini Landi di Piacenza conserva tra le preziose opportunità di cultura lo Schedario Rapetti: migliaia di schede divise per personaggi e argomenti piacentini di rilievo, raccolti e catalogati dallo studioso prof. Attilio Rapetti dal 1894 (appena ventenne) e proseguite sino alla sua scomparsa avvenuta nel 1962. Penso che in un virtuale proseguimento di questo schedario frutto di scelte meditate e di ritagli di articoli pubblicati negli ultimi decenni, ampia memoria sarebbe riservata alle cronache, riflessioni, approfondimenti, recensioni di libri e di film, note su fatti culturali, sociali e politici pubblicati da Carmelo Sciascia, il Piacentino di Sicilia che sa raccontare e commentare, in modo erudito e puntiglioso, avvenimenti anche geograficamente lontani ma culturalmente annodati.

    Anche in questa sua nona raccolta di saggi e osservazioni su episodi di vita cittadina, siciliana e nazionale, Carmelo non compie una mera opera di raccolta-assemblaggio, ma offre principalmente un reportage sul nostro  territorio, parlando di economia, di cinema, del Sessantotto, anticipa il flop della candidatura di Piacenza a capitale della Cultura; ci conduce attraverso storia e attualità alla conoscenza delle frazioni di Piacenza, evidenzia le carenze dell’amministrazione civica riguardo al patrimonio culturale della città con precisi riferimenti alle vestigia dei Farnese ed altro ancora.

    Si tratta di articoli pubblicati indifferentemente su giornali cartacei e su giornali on line, a smentire la convinzione di chi sostiene che ci sia un abisso di stile tra lo scrivere per il web e lo scrivere per la carta stampata. La scrittura Web, si afferma, deve essere sintetica, rapida, chiara. Il web ama i periodi brevi, la punteggiatura ‘scattosa’. Mentre in un romanzo siamo abituati a comprendere il senso del racconto durante la lettura delle ultime pagine del racconto, come nel giallo a scoprire il nome del colpevole, sul web invece lo dobbiamo dire subito, magari già nel titolo stesso. E’ la tecnica della piramide rovesciata: la notizia più importante nel primo paragrafo dell’articolo e man mano che il testo scende gli approfondimenti. C’è sicuramente del vero in queste affermazioni, ma è altrettanto vero che l’abito non fa il monaco e, negli scritti di Sciascia, c’è l’abito e c’è il monaco.

    Le parole sono parole dopotutto; se un testo è scritto bene, il mezzo non fa la differenza. Gli elementi di base della buona scrittura sono gli stessi: una buona grammatica, un buon lessico e una buona idea aiutano il lettore ad arrivare comunque al termine del testo. La prosa di Carmelo comunica sempre un messaggio interessante. Per questo è seguita dai lettori tradizionali della carta stampata, così come dai lettori on line, anche dai meno propensi a leggere testi particolarmente lunghi. La sua firma indica un felice luogo al quale approdare per scoprire che intelligenza e buona educazione esistono nella carta stampata così come nello sconfinato universo della rete.

    Renato Passerini

    Quando Piacenza era più piccola di Mortizza:

    viaggio nelle frazioni

    In Italia regnava Vittorio Emanuele III, quando venne promulgato il Regio Decreto n.1729. Era precisamente l’otto luglio dell’ormai lontano 1923, il testo recava norme sull’Unione dei comuni di Piacenza, S. Lazzaro Alberoni, S. Antonio Trebbia e Mortizza. È una data storica importante per Piacenza perché improvvisamente accresce notevolmente, in maniera esponenziale, la superfice del suo territorio e la popolazione stanziale.

    Il decreto Napoleonico del 10 settembre 1812, delimitava il territorio del comune di Piacenza praticamente alla città dentro le mura farnesiane, il confine era delimitato dalla circonvallazione che girava a pochi metri di distanza dalle antiche mura.

    L’unione con i comuni limitrofi ha determinato in realtà la loro soppressione come Enti autonomi e la conseguente annessione, perché di questo si è trattato: un po’ come era avvenuto con gli altri Stati della Penisola, al momento dell’Unità d’Italia. La necessità di detta unione era stata motivata da una presunta parassitaria rendita. Si disse infatti che per collocazione topografica (vicinanza), gli abitanti dei Comuni limitrofi beneficiavano, da parassiti delle comodità e delle condizioni di vita, in cui la città si muove con i suoi servizi (sic R.D. n.1729/23).

    Una apparente contraddizione: nell’intestazione del decreto si parla di Unione dei comuni di Piacenza, S. Lazzaro Alberoni, S. Antonio Trebbia e Mortizza nel testo molto più bruscamente di assorbimento dei predetti Comuni, cosa che in effetti è puntualmente avvenuta.

    Un termine di paragone per tutti l’estensione territoriale di Mortizza che nei primi anni venti aveva una superfice territoriale maggiore del Capoluogo, essendo estesa dal Po al Nure, comprendeva le frazioni di Roncaglia, Bosco dei Santi, Gerbido e le Mose dove aveva sede il Palazzo del Comune.

    Abbiamo avuto sempre in Italia un andirivieni politico-amministrativo tra accentramento e decentramento, tra uno Stato forte e centralizzato ad uno Stato come organo di sintesi e coordinamento delle varie realtà locali.

    Quello che la mia generazione ricorda bene è tutto un dibattito che si è sviluppato, fine anni novanta, intorno ad uno Stato federale a Costituzione invariata che ha portato alla riforma del Titolo V della Costituzione.  La montagna aveva partorito un topolino ed anche brutto. Questa nuova Legge portava più confusione che certezza sulle competenze dei vari Enti ed ha generato un contenzioso infinito tra Stato e Regioni. La stessa riforma garantisce l’istituzione o la modifica di nuovi comuni. Per questo a noi interessa, perché una conseguente legge regionale ha permesso la nascita nella nostra provincia di un nuovo comune: Alta Val Tidone.

    Il dibattito sull’organizzazione territoriale ha continuato fino a tempi recentissimi, basti pensare alla ulteriore riforma costituzionale del Governo Renzi, la cosiddetta riforma Boschi che riguardava anche le Province, bocciata da un referendum popolare nel 2016.

    Da una parte si dice che bisogna accentrare per ridurre i costi ed avere servizi migliori, dall’altra che bisogna decentrare per aver più controllo sociale e una forma di democrazia diretta con una partecipazione popolare altrimenti impensabile.

    Piacenza potrebbe rappresentare una cartina di tornasole per le precedenti e le attuali modifiche territoriali.

    Per le attuali sospendiamo qualsiasi forma di giudizio sarà la storia a suggerircelo.

    Per le passate, qualcosa potrebbe essere detto.

    Il pretesto a formulare queste considerazioni, la lettura di un nuovo libro che ci parla delle nostre frazioni.

    Le nuove frazioni di Piacenza di Mauro Molinaroli. Ognuno si sa, legge di ogni libro innanzitutto le pagine che lo interessano maggiormente in rapporto alle proprie esperienze personali o in rapporto alle proprie presunte conoscenze. Le nostre frazioni sono luoghi carichi di storia e di eventi, molte sono coeve alla nascita della stessa Placentia nel 218 a.c.

    Ce lo dimostrano molti resti storici territoriali, come molti termini rimasti nella toponomastica locale.

    Sui resti stendiamo pietosamente un velo, basti pensare al nuovo palazzo residenziale che ha preso il posto della vecchia sede Enel dirimpetto al Palazzo Farnese, dove c’erano i resti del teatro romano, coperti con il benestare di tutti gli organismi competenti. Bastava fare come si è fatto con la sede della dogana a Le Mose, dove sono ben visibili i resti di una fornace romana sulla via Postumia (l’odierna SS10). Cenno storico rilevato nel libro; come altri meritevoli comunque di maggiore approfondimento. Frazione La Verza; un cenno alla toponomastica: nome derivato, ci dice l’Autore, dal latino medioevale aver+sa che sta a significare l’acqua che scorre, con riferimento al Rio comune che per secoli ha attraversato la frazione.

    Se parliamo di toponomastica e di presenza dei romani, ineludibile dovrebbe essere il riferimento alla loro lingua, alla loro storia. Ed allora come non dedurne la derivazione da La Terza, involgaritosi in La Verza?

    Il terzo miglio della strada romana che attraversava la Val trabbia. La distanza dalle mura romane (l’attuale via Sopramuro a Piacenza) e la frazione dista infatti 4 km e mezzo e se un miglio romano era derivato da milia passuum circa 1 Km e mezzo, ecco tornare i conti, la distanza verificata e verificabile: è esatta!

    Così dicasi per Quarto, Settima ed Ottavello, quest’ultimo abitato è addirittura citato nella Tavola alimentare Traiana come Octavum milium, ad otto miglia da Piacenza.

    Se è vero -e lo è- che diverse frazioni di Piacenza sono stati comuni autonomi, e se è vero -e lo è- che ogni comune di questa nostra terra ha una propria peculiarità, allora risulterà evidente come nel parlare di queste frazioni si dovrà fare riferimento, ogni volta, a duemila anni di storia. Se l’Italia è la terra dei campanili, Piacenza è la città delle Chiese, delle Caserme e dei Conventi. Molti di questi edifici sono sorti nelle frazioni. Borghi storici e nuove frazioni si alternano nel disegnare oggi un territorio disarmonico e variegato. Ma nel complesso armonico nella sua disorganicità. Anche perché mentre le altre città hanno delle periferie frutto di un’espansione edilizia a macchia d’olio, costituita tutta da nuovi insediamenti, più o meno popolari, più o meno residenziali, Piacenza ha una periferia costituita in gran parte da borghi antichi. Vecchi borghi dove si è continuato però a costruire: praticamente ad un nucleo storico, prevalentemente di origine medioevale, si sono alternate villette a schiera, abitazioni di edilizia popolare e residenziale.

    Le frazioni già periferie, sono diventate così delle periferie con l’aggiunta di altre periferie. Vediamone qualche esempio:

    Sant’Antonio è un borgo nato intorno ad una chiesa fondata nel 1172, la chiesa di Sant’Antonio a Trebbia sorta accanto ad un preesistente Ospedale. Possiamo affermare che è affine storicamente a San Lazzaro anche se opposta geograficamente. Sant’Antonio si sviluppa sulla via Romea, anche se poi diventerà anch’essa via Emilia. Da supporre comunque che già in epoca romana una statio militare vigilava sul ponte del Trebbia. La presenza di un Ospedale fece sì che vi soggiornasse anche San Rocco, oltre a diversi ordini religiosi. Il territorio, anche per la presenza del Ponte sul Trebbia (gemello del Ponte sul Taro) ha visto il passaggio di tutti gli eserciti, dai Romani ai Francesi, dagli Austriaci

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