Accesso negato
Di Luca Pinotti
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Tre gruppi di esperti, dall'Italia, dall'Irlanda e dagli Stati uniti, seguono, a ritroso, le tracce dei blocchi nel tentativo di individuarne la causa. Ad aiutarli ci sono anche i militari del Cyber Command. La caccia è estremamente difficile, irta di ostacoli e di sorprese, e li porterà in giro per il mondo.
"Accesso Negato" è un cyber-thriller, scritto con ritmo incalzante, che racconta come la rete che unisce tutto il globo, sia fragile e ipotizza che possa essere alla mercé di chiunque abbia i mezzi e la volontà per abbatterla.
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Anteprima del libro
Accesso negato - Luca Pinotti
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Sommario
Accesso Negato
Sommario
Introduzione
Personaggi principali
Sobborghi di Milano, Italia
7:45 CET (6:45 UTC)
Contea di Wexford, Irlanda
7:07 UTC
TeleGlobe
8:05 CET (7:05 UTC)
Bethel, Connecticut
2:05 EST (7:05 UTC)
TeleGlobe, Sala riunioni
8:43 CET (7:43 UTC)
EirGlobe
8:12 UTC
TCI, New York
3:45 EST (8:45 UTC)
TeleGlobe
9:23 CET (8:23 UTC)
EirGlobe
9:04 UTC
Washington D.C.
6:14 EST (11:03 UTC)
Base aerera di Aviano, Italia
12:45 CET (11:45 UTC)
Washington D.C.
8:06 (13:06 UTC)
Cielo di Bassora, Iraq
18:52 EAT (14:52 UTC)
Base Aerea di Travis, California
9:32 PST (17:32 UTC)
Kuwait City
21:08 EAT (17:08 UTC)
San Francisco, California
11:40 PST (19:40 UTC)
Kuwait City
23:16 EAT (19:16 UTC)
Oceano Pacifico
40°22'59.79N 131°19'51.62
O
13:32 Zulu (23:32 UTC)
Seoul, Base K-16
20:07 KST (11:07 UTC)
Seoul, Base K-16
5:46 KST (20:46 UTC)
Mar Giallo
36°42'51.82N 124°28'41.16
E
9:45 KST (0:45 UTC)
Seoul, Base K-16
21:30 KST (12:30 UTC)
Seoul, Corea del Sud
Tre giorni dopo
Introduzione
Ho iniziato a scrivere questo libro alla fine del 1998 quando era ormai evidente che le telecomunicazioni stavano guadagnando un ruolo sempre più importante nel mondo occidentale. Il successo di Internet prima e delle connessioni in mobilità
poi ha ulteriormente accentuato la dipendenza di cittadini, aziende ed enti pubblici dalla disponibilità di connessioni stabili e veloci.
Oggi tutto ruota, in un modo o nell’altro, attorno al complesso sistema delle comunicazioni; i telefoni cellulari operano in digitale e sfruttano connessioni veloci terrestri, lo stesso fanno i bancomat, i sistemi di pagamento elettronico, la programmazione dei treni, la documentazione per l’invio di merci e anche la registrazione di dati sanitari.
Di questa strettissima dipendenza della vita quotidiana dai sistemi di comunicazione ci rendiamo conto ogni qual volta i computer di un nostro fornitore di servizi rimangono bloccati. In quei casi non siamo più in grado di inviare un pacco, di prenotare un biglietto aereo, di prendere un treno in orario, di essere accettati per una visita medica o, persino, di acquistare il biglietto di un cinema.
Il problema maggiore di Internet è che è nata, ufficialmente, nella prima metà degli anni ottanta con la tecnologia allora disponibile che era sostanzialmente quella del decennio precedente. È vero che, in quarant’anni, la tecnologia si è evoluta in modo imprevedibile e impressionante, ma le regole sulle quali si basano le comunicazioni rimangono quelle di quasi mezzo secolo fa. A questo si deve aggiungere che, un po’ per motivi di costi, un po’ per garantire compatibilità fra sistemi e, purtroppo, per miopia di alcune aziende, gli apparati che regolano il flusso di dati attraverso la rete
derivano, anch’essi, da progetti ancora più vecchi.
Alla luce di questi fatti incontrovertibili, è, purtroppo, ipotizzabile che il sistema di telecomunicazioni possa collassare. L’incremento di infiltrazioni di persone non autorizzate – siano esse malintenzionati e furfanti o siano attivisti politici – in sistemi di tutti i generi, dimostra che la fragilità della rete è in aumento.
Io ho cercato di immaginare il peggio.
Note sulla lettura
In questo libro ho dovuto, necessariamente, utilizzare alcuni termini tecnici anche se, spesso, sono stati sostituiti da forme più descrittive e comprensibili anche ai non addetti ai lavori. Purtroppo, trattando di telecomunicazioni, non sempre questo è stato possibile o ha raggiunto la semplicità sperata.
Sono sicuro che, per gli addetti ai lavori, alcune descrizioni risulteranno come eccessive banalizzazioni e, per i profani, ancora difficili da comprendere. Spero che tutti capiranno che non è possibile essere contemporaneamente didascalici e rigorosi.
Personaggi principali
Sara Morandi – TeleGlobe
Mark Straub – TeleGlobe
Eli Weisberg– TeleGlobe
Francis Sanger – EirGlobe
Martin Fawke – EirGlobe
Howles McCormack – EirGlobe
Christopher Chris
Willis – TCI
Morgan Page Danell – Dipartimento della Difesa (DoD), ex colonnello
Edward Kilgore – Colonnello base K-16, Seoul
Thomas G. Gormly – Comandante DEVGRU – Forze speciali
Edgar Edgerton – Comandante degli U.S. Rangers
Oscar Quirós – Tenente DSRV USS Lassen (DDG-820)
Robert Perkins – Capitano USS Lassen (DDG-820)
Sobborghi di Milano, Italia
7:45 CET (6:45 UTC)
Vedendolo da lontano, mentre ci si accostava in macchina nella grigia nebbia mattutina di novembre, lo si sarebbe preso per uno dei tanti piccoli e grandi centri di ricerca elettronica o per una media azienda di computer di una qualsiasi parte degli Stati Uniti. Ma, voltando la testa da un lato o dall’altro, s’intravedevano bassi capannoni d’industrie meccaniche, modeste villette e condomini malandati fra platani e querce avvizziti dal freddo e dallo smog. Il palazzo della TeleGlobe, invece, spuntava, illuminato da grandi lampioni gialli, come un fantastico gioco di cubi di cemento e di cristallo.
Passato il controllo della guardia al recinto, la piccola Fiesta verde s’infilò nel primo posto libero nella corsia riservata ai dipendenti. Alle otto di mattina era difficile che in Italia si trovasse già qualcuno al lavoro, fatta eccezione per il personale di vigilanza ed alcuni operatori di turno agli apparati di trasmissione e al centro di calcolo. Ah, anche di mattina qui bisognava ricordarsi di spegnere le luci dell’auto tenute accese per via della nebbia.
L’azienda vantava uno dei più piccoli e sofisticati complessi tecnologici d’Europa, insieme alla rivale EirGlobe di Kilmore Quay, in Irlanda. L’ingresso all’edificio era costituito da sei cilindri di cristallo allineati e aperti da un lato per un quarto della loro circonferenza in modo da farvi passare chi volesse accedere all’interno dell’edificio. Una volta dentro il cilindro, questo si richiudeva ruotando sul suo asse e portando l’apertura in corrispondenza della parete metallica nella quale era incassata la macchina della verità
. Veramente non era una macchina della verità, di quelle che si vedono nei film polizieschi, ma questo nomignolo le era stato dato dal personale e, dopotutto, ben si adattava alla funzione dell’apparecchio.
Per prima cosa Sara estrasse il tesserino dalla borsetta e lo passò lentamente davanti al piccolo pannello bianco al centro dell’incavo. Da un altoparlante, posto sopra la sua testa, una voce ruppe il silenzio ovattato dalla nebbia lombarda:
«Sara Morandi, numero di matricola e procedura di riconoscimento, prego». Sara scandì come ogni giorno con la consueta cantilena e con la medesima monotona e fredda voce di sempre che per lei era divenuta il secondo rito mattutino dopo il caffè:
«Sara Morandi, 121459, settore A4, telecomunicazioni, ingresso».
Con la sua intonazione metallica il sistema di controllo rispose gentilmente con irritante impersonalità: «Buongiorno Sara Morandi, ingresso lavorativo alle 7 e 48, ora dell’Europa occidentale. Destinazione settore A4. Prego: indossi il cartellino di riconoscimento. Grazie».
Il cilindro di cristallo ruotò di un altro quarto di giro portando l’apertura verso l’androne del palazzo. Dal grande logo aziendale, composto a mosaico sul pavimento al centro dell’ingresso, si diramavano linee colorate numerate e Sara seguì, come d’abitudine, quella verde, segnalata come A4. Coprì il percorso come un automa, già pensando all’attività accuratamente programmata nei giorni e nei mesi precedenti. Angolo dopo angolo, corridoio dopo corridoio seguiva, più che la continua linea verde A4, il filo dei suoi pensieri e l’immagine subconscia delle porte, degli estintori, dei vasi di fiori e delle targhe a fianco degli ingressi ai laboratori. Se avessero spostato la porta dell’ufficio o se avessero cambiato posizione a un vaso di piante, probabilmente sarebbe andata a sbattere.
Non sapeva esattamente quanto durasse quel percorso. Forse tre minuti, forse cinque. Quando fu davanti alla porta contrassegnata con la sigla A4 – Controllo traffico
estrasse nuovamente il cartellino dalla custodia di plastica trasparente, che aveva agganciato al colletto della felpa blu, e lo passò davanti al piccolo pannello d’acciaio posto a lato della maniglia. Una luce verde si accese, si udì uno scatto metallico provenire dalla serratura e la scritta luminosa Ingresso 12141059, 7:52 – Abilitato
mentre la porta si apriva scorrendo lateralmente con un sibilo lieve svelando un ambiente avvolto nella semioscurità.
Sara s’immerse in quella penombra punteggiata di minuscole luci verdi, gialle e rosse, disposte a caso quasi ovunque. In alcuni punti della stanza occhieggiavano lievi bagliori bluastri e tremuli intervallati da lampi di luce un poco più intensa. Appena la porta si chiuse alle sue spalle le luci al neon appese al soffitto della stanza si accesero quasi in sequenza, con un breve tremolio e un lieve schiocco. Il chiarore delle lampade arancioni rivelò a Sara l’ambiente al quale era abituata da tre anni e che conosceva forse meglio della sua stessa casa. Lì, in effetti, trascorreva più di nove ore al giorno, pranzando o cenando alla scrivania o al banco di controllo LSLTraC, sforando regolarmente gli orari di lavoro previsti dal contratto e dalle norme sindacali italiane.
La sua scrivania era la più personalizzata del laboratorio, insieme a quella di Mark e di Paola. Ma Mark era troppo tedesco
e tradiva, anche nelle suppellettili, la nostalgia per la sua lontana Augsburg, con il suo orsacchiotto dal cappellino di feltro, il boccale in ceramica colorata che faceva da portapenne, il fermacarte di pietra che – a quanto diceva – proveniva dalla strada nella quale era vissuto da ragazzino.
La scrivania di Sara era caoticamente vivace: vasetti di piantine grasse, piccoli soprammobili argentati, un pupazzetto di peluche a forma di satellite sorridente e cartoline, calendari colorati, lattine di bibite come portaoggetti, riviste di viaggi e decine d’altre cianfrusaglie che lasciavano ben poco spazio alle carte e ai manuali. Ma, in fondo, lei a quella scrivania si limitava a mangiare, a fare qualche telefonata o a ricaricare il telefono trasferendo i brani musicali dal suo piccolo computer portatile. Tutto il suo lavoro, la sua vita, il 40 per cento della sua esistenza, la godeva
fino in fondo seduta davanti alla console del’LSLTraC.
Il suo gioiello si chiamava, per esteso, Land-Submarine-Land Traffic Control ed era un insieme di monitor e di tastiere attraverso le quali controllava il traffico terra-mare-terra di una grossa percentuale delle comunicazioni fra l’Europa e l’America centrale e settentrionale da un lato e verso il Medio e Estremo Oriente dall’altro. I committenti e i clienti della TeleGlobe erano proprietari del 90 per cento delle telecomunicazioni che si svolgevano fra quella parte dell’Europa che andava dalla Danimarca all’Italia a ovest e, a est, sino a metà circa della Siberia. Il resto del vecchio continente, dal Portogallo alla Svezia, era controllato dall’irlandese EirGlobe; solo una piccola parte di operatori minori si servivano di centri di controllo free lance in Svizzera e in Lussemburgo.
La prima cosa da fare la mattina, dopo aver considerato l’umidità della terra delle sue pianticelle, era verificare sul monitor di controllo lo stato dei satelliti geostazionari, la media e le punte di traffico della notte sui lunghi cavi a fibre ottiche che attraversavano mezzo mondo. Nulla più che una rapida occhiata; dalle tre di notte alle sei di mattina, il traffico era scarsissimo e solo dopo le sette si poteva notare un aumento delle comunicazioni provenienti dal centro-est russo, ma era poca cosa. Il bello iniziava fra le otto e le nove, ora dell’Europa centrale, quando le maggiori aziende del vecchio continente incominciavano a ricevere e a trasmettere pesantemente i dati da e per gli Stati Uniti e il Canada. Il traffico Estremo Oriente-America era suddiviso fra i cavi europei e quelli nell’Oceano Pacifico, ma solo il 10-15 per cento di questo passava sotto il controllo europeo.
Quella mattina, come quasi sempre, era tutto normale: il flusso era moderatamente basso con picchi ben inferiori alla tolleranza e con un carico totale del sistema globale di comunicazione sotto il 20 per cento. Fortunatamente le complicazioni erano molto rare e, per lo più, si trattava di piccoli problemi con gli apparati terminali dei cavi sottomarini o di eccessi di errori di trasmissione di qualche grosso gruppo industriale la cui rete a terra generava un numero eccessivo di segnali talmente danneggiati da non potere essere filtrati dai computer di controllo di trasmissione. Questo carico d’errori si ripercuoteva su tutto il sistema che arrivava a occupare la quasi totalità del suo tempo e della sua potenza di elaborazione per la correzione o per il reinvio dei dati incorretti.
Era stata una notte come un’altra. Una bella linea verde appena ondulata, una tranquilla colonna di rassicuranti numeri di colore azzurro sul secondo schermo e uno stramaledetto picco rosso alle 4:38 segnalato come collisione dati
e probabile errore nella condivisione dei tempi d’accesso
. Era solo una piccola puntina rossa sullo schermo degli allarmi di errori di trasmissione, ma era la prima volta in tre anni che una segnalazione simile compariva sui monitor della TeleGlobe.
Contea di Wexford, Irlanda
7:07 UTC
«’Giorno Alfred!».
«Buongiorno dottor Sanger! Già al lavoro a quest’ora?» urlò l’uomo in divisa dalla piccola guardiola in cemento che divideva il reticolato dalla cancellata.
«Un maledetto cavo che fa i capricci. Mai che si guastino a metà mattina!», rispose l’uomo in bicicletta sollevando la tesa del berretto.
«Avrebbe dovuto fare il poliziotto come suo padre! Almeno avrebbe fatto un tranquillo orario d’ufficio», ridacchiò il guardiano chiudendosi il giaccone impermeabile con lo stemma EirGlobe ben visibile sul petto.
«Già, così sarei finito con i reumatismi, i piedi piatti e la puzza di pesce sui vestiti», rispose Sanger scuotendo la testa e cominciando a pedalare verso il cancello ormai aperto. Fra lindi praticelli verdi accuratamente rasati il vialetto asfaltato puntava diritto verso il fabbricato in mattoni rossi sul quale svettava la scritta EirGlobe
e, più in basso, Anche alle 7:08 seguiamo il vostro lavoro
. Ai piedi della scritta l’ingresso in legno, ottone e vetro, ricordava un edificio pubblico della metà del ’900. Ma dietro quelle porte da ufficio postale di periferia c’era un sistema di sicurezza da tre milioni di Euro posto a protezione di apparecchiature che controllavano un quarto del flusso di informazioni del mondo occidentale.
La procedura d’accesso della EirGlobe prevedeva la chiusura in un breve tunnel semitrasparente nel quale una serie di detector controllava che chi entrava non avesse con sé armi, combustibili, esplosivi o altri materiali la cui introduzione nel complesso era proibita. Al termine della breve scansione un pennello laser scandiva in pochi attimi il volto della persona, quindi un rilevatore di impronte digitali faceva aprire la fine dello stretto corridoio che portava allo spartano salone d’ingresso.
Qui, nel bel mezzo della parete, di fronte all’entrata, il busto in bronzo di Charles Desmond Carlisle, padre del fondatore della EirGlobe, scrutava severamente i visitatori. Francis aveva sempre ritenuto quella scultura un orribile esempio di pessimo gusto vittoriano, ma, fortunatamente per il suo senso estetico, la vedeva, e distrattamente, solo una volta al giorno di mattina presto e con il pensiero già rivolto alla giornata di intenso lavoro che aveva davanti. Desmond Carlisle era stato, a dire degli eredi, un pioniere della telefonia irlandese e suo figlio, scomparso dieci anni prima, con un colpo di genio aveva intuito subito l’importanza delle comunicazioni satellitari, prima, e delle fibre ottiche, poi.
Francis prese a destra dell’androne e salì le scale in pietra che portavano all’unico piano superiore. In realtà era un mezzo piano costituito solamente dal centro di controllo trasmissioni posto appena sotto il traliccio che sorreggeva le sedici piccole parabole di ricezione e le grosse antenne per i collegamenti terrestri. Sotto i suoi piedi, venti centimetri sotto le scale, correvano i cavi che collegavano il centro di controllo con le quaranta parabole, da otto e dodici metri di diametro, che connettevano i satelliti fra loro e con i terminali in fibra ottica provenienti dal continente e da oltreoceano.
Migliaia di miliardi di dati passavano ogni decimo di secondo dentro quello spoglio edificio di mattoni rossi. Nessuno avrebbe mai immaginato che un terzo dell’economia dei paesi industrializzati dipendesse da quel fascio di cavi a fibre ottiche e dalle padelle
satellitari sparse per il terreno circostante lo stabile. Erano miliardi di dollari ogni ora, danaro proveniente da grandi movimenti bancari o da semplici acquisti con carta di credito, informazioni sui carichi delle superpetroliere e le telefonate di privati cittadini. Ogni volta che saliva quelle scale aveva la sensazione di calpestare una parte dell’umanità, di potere in qualche modo essere sulla cima del mondo e di sentire il vociare di milioni di persone sotto i piedi.
Le luci del laboratorio erano sempre accese, anche di notte. Non si notavano, perciò, gli schermi dei monitor che visualizzavano senza interruzione lo stato dei satelliti e degli apparati di controllo dei cavi sottomarini. Solo i molti monitor del controllo traffico, allineati lungo la parete davanti all’ingresso del laboratorio, erano ben visibili. Era una sequenza pressoché uniforme di grafici che