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I nostri figli non conosceranno la miseria
I nostri figli non conosceranno la miseria
I nostri figli non conosceranno la miseria
E-book466 pagine6 ore

I nostri figli non conosceranno la miseria

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Info su questo ebook

Dal 6 maggio al 31 ottobre 1961 si svolgono a Torino le celebrazioni di Italia 61. La monorotaia, l’ovovia, il Circarama e il pullman a due piani simboleggiano l’inizio di un periodo di serenità e benessere per tutti. Ma la morte di Susi sembra poco chiara al suo collega Matteo che si mette a indagare. I due giovani disegnatori lavorano per una delle più importanti agenzie pubblicitarie della città. Alcuni indizi fanno pensare che Susi avesse scoperto un giro di pornografia minorile che coinvolge la Torino bene. Matteo è diviso tra il senso di colpa verso Susi a cui, da viva, non aveva dato credito, e l’amore di sua moglie Silvana che sta per avere un figlio. Ma qualcun altro si sta dando da fare per fini più o meno leciti. Anzitutto i poliziotti Aurelio Ippoliti e Massimo Lagrasta, poi l’ex ladro in ansia per la figlia innamorata, e il variegato e colorito mondo della pubblicità, dalla segretaria al cinico direttore allo scorbutico fotografo alle modelle. E infine c’è Luisa Mesiani, donna dai molti segreti e abilità, di cui non è facile capire da che parte stia e cosa davvero pensi.
LinguaItaliano
Data di uscita10 ago 2014
ISBN9788890991929
I nostri figli non conosceranno la miseria

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    Anteprima del libro

    I nostri figli non conosceranno la miseria - Riccardo Borgogno

    Riccardo Borgogno

    I nostri figli non conosceranno la miseria

    Ciao a tutti! Sono nato nel 1954 a Torino dove vivo e lavoro. Ho scritto sceneggiature per fumetti, racconti e romanzi. Scrivo sulla rivista Fumo di china. Ho lavorato a lungo nel settore socio-educativo. Conduco il programma di scrittura creativa Era una notte buia e tempestosa su Radio Black Out di Torino.

    La vicenda narrata nel romanzo è frutto della mia fantasia. Ogni riferimento a persone esistenti o a fatti realmente accaduti è puramente casuale. A eccezione dei riferimenti alle celebrazioni e agli ospiti di Italia 61 che invece sono tutti rigorosamente veri.

    Riccardo Borgogno 

    I nostri figli non conosceranno la miseria.

    © 2014, Riccardo Borgogno, Torino.

    Tutti i diritti riservati.

    ISBN

    9788890991929

    Prima edizione:

    giugno 2014.

    Adattamento digitale: Giulio Steve

    UUID: 9788890991929

    This ebook was created with BackTypo (http://backtypo.com)

    by Simplicissimus Book Farm

    Credits

    Un ringraziamento a Benedetto Bruno della GTT (Gruppo trasporti torinese) che ha fornito la mappa dei trasporti urbani di Torino del 1961, permettendo ai personaggi di spostarsi nella città in festa.

    Grazie in anticipo a chi mi farà sapere cosa pensa del mio romanzo:

    e-mail: info@riccardoborgogno.it

    sito: www.riccardoborgogno.it

    Personaggi

    Susanna Galliano detta Susi: disegnatrice dell’agenzia Metafora, vuole imparare anche a fotografare, si guarda intorno e trova la morte;

    Luisa Mesiani: donna dai molti segreti e abilità, non è facile capire da che parte stia e cosa davvero pensi;

    Manuela Ginotti: amica e socia di Luisa Mesiani nel negozio di fiori e profumi Rosaspina;

    Matteo Agosti: disegnatore neoassunto dall’agenzia Metafora;

    Silvana: moglie di Matteo Agosti;

    Virginio Camagni: direttore dell’agenzia Metafora:

    Margherita Gramelli: vicedirettrice dell’agenzia Metafora;

    Simone Bazzano: fotografo dell’agenzia Metafora;

    Claudia: amica di Simone Bazzano;

    Carola Giordano: segretaria dell’agenzia Metafora;

    Elena, Gabriella, Anita e Laura: modelle dell’agenzia Metafora;

    Lucia Arrigo: truccatrice dell’agenzia Metafora;

    Giacomo Fallara detto Gimmi: art director dell’agenzia Metafora;

    Ernesto Rizzo: tuttofare e magazziniere dell’agenzia Metafora;

    Massimo Lagrasta: maresciallo di pubblica sicurezza;

    Clara Fabbri: madre di Massimo Lagrasta;

    Oriana Lorenti: una brava ragazza che Massimo Lagrasta assume per badare a sua

    madre;

    Aldo Pasquero: brigadiere di pubblica sicurezza e braccio destro di Massimo Lagrasta;

    Aurelio Ippoliti: commissario di pubblica sicurezza;

    Flavia: moglie di Aurelio Ippoliti;

    Michele Molinari: dirigente del Ministero degli Interni;

    Mario Cardone: un vecchio poliziotto che vuole mettersi in vista;

    Cinzia Martini: vice ispettrice di pubblica sicurezza e prima donna poliziotto a Torino;

    Gabriele Lojolo: docente di storia dell’arte, collabora con l’Accademia delle Belle Arti e 

    con il Museo Egizio;

    Achille Ferrari: un sindaco che non ama le formalità;

    Emilio Fornero: vecchio ladro e scassinatore, si è ritirato e ha aperto un mobilificio, è in ansia per sua figlia Annabella;

    Gioacchino Palazzi: direttore di night club, nonché informatore della polizia;

    Marione, Gino e Ugo: tre balordi disponibili per lavori sporchi ben pagati;

    Clemente Deodato: un passato di adescatore di bambini e un presente nell’Istituto dei Poveri Vecchi;

    Luigi Andreone: piccoli traffici, nel tempo libero guarda la televisione;

    Ivanò Rorà: giocatore professionista di biliardo;

    Bruno Baldrighi: falsario e truffatore, nonché appassionato di auto;

    Edoardo Sangermano: responsabile delle pubbliche relazioni di Italia 61.

    Illustri ospiti di Italia 61

    Il presidente Giovanni Gronchi, sua moglie donna Carla, la regina Elisabetta d’Inghilterra, suo marito il duca Filippo d’Edimburgo, Umberto Agnelli, Vittorio Valletta, Ave Nichi, Enza Sampò, il mago Silvan, Walt Disney e tanti altri.

    Prologo

    I piccoli visi si affacciarono dalla porta socchiusa. Le tre bambine si guardarono intorno curiose e paurose. La più grandicella dimostrava dodici anni, e aveva i capelli biondi raccolti in due graziosi e vezzosi codini, le più piccole tra i quattro e i sei. I colori rosa e azzurro dominavano la stanza. Di molti colori vivaci e allegri erano anche i peluche sparsi su cubi e cuscini e sul tappeto folto e morbido, un orso, un coniglio e uno scimmiotto che parevano attendere le nuove arrivate. Le tre bambine sembravano indecise se entrare oppure no quando risuonò la canzoncina:

    Carissimo Pinocchio, 

    amico dei giorni più lieti,

    di tutti i miei segreti

    che confidavo a te.

    Le piccole bocche si dischiusero al sorriso, come di chi riconosce una cosa nota e gradita, e le bambine si decisero a fare il passo. Ora erano nella stanza colorata di rosa e azzurro. La donna ritenne fosse giunto il momento adatto ed esclamò: Avanti, signorine! Cos’è questa indecisione? Siete arrivate fin qui e volete fermarvi ora? Cosa dobbiamo pensare di voi? Ormai dovreste avere capito che nessuno vuole farvi del male.

    La donna aveva i capelli grigi e portava un abito in shetland color cacao e un paio di occhiali con la montatura di tartaruga. Al collo portava un filo di perline colorate. La voce era dolce e invitante.

    Al centro della stanza c’era un tavolo coperto da un telo. La signora con gli occhiali e il sorriso faceva grandi gesti alle bambine che ora erano vicine al tavolo. La canzoncina continuava.

    Dove sei? Ti vorrei veder, 

    del tuo mondo vorrei saper:

    forse Babbo Geppetto è con te...

    Dov'è il Gatto che t'ingannò,

    il buon Grillo che ti parlò,

    e la Fata Turchina dov'è?

    La signora era in mezzo alle bambine e le accarezzava sui capelli e sulle guance. Tutte e tre indossavano una camicetta e un gonna al ginocchio, delle calze bianche e delle scarpette nere. I loro sguardi ora meno impauriti, quasi divertiti, andavano dalla signora al telo che copriva il tavolo. Ora la signora aveva in mano un foglietto di carta.

    Dunque dunque… piccolo controllo per vedere se abbiamo fatto le cose bene… Chi di voi è Irene? La più grande sobbalzò e alzò la mano. La signora fece un segno con una matita sul foglio, poi chiamò Silvietta e Geraldina, e anche le altre due bambine alzarono le piccole mani. Soddisfatta, la signora mise via il foglietto e, dopo un ultimo sorriso, tirò via il telo e scoprì un vassoio pieno di bignè, cannoli e bomboloni. Allora fece un passo indietro mentre dalle bambine si levò un coro di risolini, le mani si tesero ad afferrare i dolciumi, e poco dopo i piccoli visi erano imbrattati di cioccolata e crema pasticcera. Irene, la più svelta, stava per prenderne un secondo, quando i dolci superstiti scomparvero sotto il telo riabbassato. Irene, Silvietta e Geraldina guardarono la signora che si stava aggiustando gli occhiali con la montatura di tartaruga e non aveva smesso di sorridere.

    Eh già, signorine, purtroppo per avere il piacere bisogna prima fare il dovere. Un’oretta, non di più, e poi tutti queste cose buone saranno vostre. Ma ora dovete lavorare come lavoro io. Tutti dobbiamo lavorare. Sono sicura che siete intelligenti e avete capito. Chi vuole essere la prima?

    Carissimo Pinocchio,

    amico dei giorni più lieti,

    con tutti i miei segreti,

    resti ancor nel mio cuor come allor.

    Parte prima - Siamo come una famiglia

    1

    Erano le 8 di mattina, tutto andava bene e Flora era scontenta. Guardò Eugenio in canottiera davanti allo specchio nel bagno piastrellato, concentrato nella rasatura con la nuova lama Gillette blu extra. I capelli un po’ diradati non gli avevano tolto la sua aria giovanile e ottimista, caso mai gli avevano conferito un’apparenza più matura. Quando l’ultimo residuo di schiuma Palmolive sparì dal mento, Flora lo aiutò a indossare la candida camicia di lino Bassetti e, standogli dietro, gliela abbottonò. Per alcuni minuti i volti dei due giovani coniugi che sorridevano furono inquadrati nello specchio.

    La fresca aria primaverile entrava dalla porta-finestra socchiusa che dava sul terrazzino. Sul tavolo era pronta la colazione al latte, caffè, fette biscottate e marmellata. Flora riempì la tazza di Eugenio, poi sedette davanti a lui. La pesante e grossa radio a valvole posata sulla credenza della cucina interruppe la programmazione musicale e annunciò il notiziario. Erano cominciati i dibattiti preparatori del 34° congresso del PSI, le diverse tendenze e correnti si stavano aggregando intorno a Pietro Nenni e Riccardo Lombardi, l’attrice francese Michèle Morgan presto sarebbe stata a Roma per girare Rencontre del regista Philippe Agostini con Gabriele Ferzetti, il Vaticano aveva inviato a San Giovanni Rotondo monsignor Carlo Maccari come speciale ispettore apostolico, ormai era certo che entro la fine dell’anno la televisione avrebbe avuto il secondo canale, ma i suoi caratteri erano ancora avvolti nel mistero assoluto.

    Ma su tutte le notizie prevalevano quelle concernenti Italia 61. Le celebrazioni torinesi si sarebbero svolte dal 6 maggio al 31 ottobre. Il 27 marzo sarebbe stato il centenario della proclamazione da parte del parlamento nazionale riunito per la prima volta a Torino della costituzione del Regno d’Italia con Roma capitale, anche se sarebbero passati ancora nove anni prima della breccia di Porta Pia, praticamente la fine del Risorgimento e la realizzazione dell’ideale per cui tanti patrioti erano stati impiccati o fucilati. Il sindaco Peyron invitava i torinesi a esporre bandiere tricolori da tutte le finestre e i balconi, smentendo la loro fama di freddezza e chiusura. Eugenio guardò sua moglie e, senza smettere di masticare la fetta biscottata spalmata di marmellata, tentò di sorriderle. La camicia candida era impeccabile, e così la piega dei pantaloni di vigogna.

    Cosa c’è, amore? chiese l’uomo, pulendosi le labbra con la salvietta. Te l’ho già detto che ieri il vecchio mi ha promesso un extra? Cinquantamila lire tonde tonde. Non sei contenta del tuo maritino?

    Sarei ancora più contenta se per guadagnare più soldi non corressi il rischio di…

    L’uomo digrignò i denti.

    Flora, non ricominciare, ti ho già detto che…

    A cosa ci servono i tuoi extra se…

    Flora!

    Uffa, va bene. Ho detto ai miei che domenica passiamo da loro, a Cantoira, nella fattoria.

    Il sorriso tornò sulle labbra di Eugenio che prese in mano un’altra fetta biscottata. Purché non piova come domenica scorsa…

    La televisione dice che fa bello.

    Quelli non ci azzeccano mai. Ma comunque d’accordo, e poi il posto mi piace.

    I genitori di Flora, colonnello lui e insegnante lei, entrambi in pensione, all’inizio erano stati diffidenti verso il futuro genero che, a dire loro, non aveva l’aria molto sveglia. Non abbastanza da cogliere le opportunità che il mondo offriva e da permettere alla loro bambina di vivere come si conveniva. Ma poi, ai suoi primi successi, avevano cambiato opinione su di lui e glielo avevano fatto capire proprio con quegli inviti domenicali.

    Lo sai che la mamma ci tiene. È da tanto che…

    Ti ho già detto di sì.

    Eugenio masticò, poi sorrise, allungò una mano e afferrò quella di sua moglie. Lei gli posò le mani sulle spalle e prese massaggiarle, mentre lui immergeva la fetta biscottata nel latte. Eugenio lavorava duro e sodo, Flora lo sapeva. Non era lui a preoccuparlo, ma la valigetta nera che in quel momento era posata sul pavimento accanto alla porta, che conteneva circa quindici milioni di lire in pietre preziose.

    Flora prese la cravatta viola che ogni mattina sceglieva personalmente nella raccolta di suo marito e controllò che non ci fosse la minima piega o macchia. La tazza era vuota. Eugenio si alzò e si avvicinò a sua moglie che gli allacciò la cravatta e strinse il nodo al punto giusto, mentre lui la baciava sulle labbra. Poi lei gli allacciò al polso il Bulova, gli infilò la giacca e si accertò che cadesse perfettamente. Nel frattempo le loro labbra non si erano staccate.

    La voce della radio era passata alle notizie dall’estero. Marilyn Monroe era stata ricoverata d’urgenza nel reparto neurologico della clinica Payne Whiteney, si parlava di depressione a causa dell’insuccesso del suo ultimo film Misfits. A Billancourt Brigitte Bardot e Roger Vadim stavano girando La bride sur le cou, sempre in Francia a Ivry il comitato centrale del PCF aveva condannato per deviazionismo Laurent, Casanova e Servin. In Israele erano in corso i preparativi del processo ad Adolf Eichmann, l’avvocato tedesco Robert Servetius aveva accettato la difesa.

    "Dove andiamo stasera? Avevo pensato al cinema. Al Nuovo Romano danno La notte, Antonioni a me mi fa dormire ma a te è sempre piaciuto…"

    Flora rispose che ci avrebbero pensato e aggiunse che, se fosse tornato prima, l’avrebbe trovata da Marianna, la portinaia che alle 11 avrebbe finito i suoi lavori. Eugenio disse una battuta sulle ore che le donne passano a chiacchierare, e scoppiò a ridere per la propria battuta. Mise in tasca la chiave della Fiat 1100 che era posata sulla mensola, afferrò la valigetta nera e uscì. Flora chiuse la porta dietro le spalle di suo marito.

    Flora si preoccupava troppo per nulla. Questo pensava Eugenio, mentre guidava tranquillo per via Duchessa Jolanda in direzione di corso Inghilterra. Lui faceva il rappresentante di gioielli e pietre preziose, e allora? Lei credeva che corresse tutti i giorni i rischi di un mercenario. E avrebbe voluto che si portasse dietro una pistola. Figurarsi. A una pistola aveva pensato anche lui, ma il solo pensiero lo aveva messo in ansia. Per certe cose bisogna essere portati, non c’è poligono di tiro che tenga.

    La sua maggiore misura di sicurezza era la discrezione. Nessuno sapeva quali gioielli portava e quando, tranne il vecchio naturalmente, ma certo lui non aveva interesse a rapinarlo. In quel momento Eugenio era indistinguibile dalle migliaia di impiegati che si stavano recando al lavoro nell’ex capitale del Regno d’Italia e attuale capitale della Fiat, né lui si sentiva o voleva essere diverso. Giallo Club la sera e il Toro la domenica, la sua idea di paradiso era molto semplice, potevano togliergli tutto meno il tenente Sheridan e il capitano Bearzot. Se solo il 1° febbraio la benzina non fosse passata a 96 lire al litro, essendo l’automobile il suo principale strumento di lavoro.

    Ma Eugenio capiva l’ansia di una moglie, e presto avrebbe cambiato lavoro. Se la più grande catena di gioiellerie di Torino fosse diventata cliente della Tagliano & Polidoro lui sarebbe passato al lavoro di scrivania, sarebbe diventato il braccio destro del vecchio e avrebbe mandato in giro i più giovani. Non male per un diplomato in geometria.

    Si fermò davanti all’edicola all’inizio di via Garibaldi, scese lasciando la chiave nel cruscotto e si avvicinò all’edicola. Aspettò pazientemente che l’uomo basso e grasso finisse di pagare la sua rivista, e intanto guardò la prima pagina della Gazzetta del Popolo.

    Buon giorno, dottore. esclamò l’edicolante, con il suo accento piemontese stretto. Cosa dice, la facciamo la nostra bella figura in serie A?

    Vorrei vedere, Bearzot, Vieri e Ferrini sono in piena forma, e poi c’è l’argentino, con tutti i soldi che c’è costato!

    Così avrà finito di ridere mio cognato, che è un gobbo!

    Facile parlare per loro, Umberto Agnelli è presidente sia della Juve che della FGIC, praticamente giocano sempre in casa.

    Eugenio mise in mano all’edicolante le 40 lire per il giornale, poi si sentì venire meno. Aveva lasciato la valigetta con il campionario nell’auto aperta. Mormorò tra i denti un insulto al proprio indirizzo. Fai tanti progetti e poi va tutto all’aria per colpa tua. Corse alla 1100 senza salutare. La valigetta era al suo posto. Per maggiore sicurezza, fece scattare la serratura e guardò. Anche le pietre erano al loro posto. Richiuse la valigetta, vi posò sopra la Gazzetta del Popolo, sedette al posto di guida e rimise in moto.

    Ecco, se avesse avuto una pistola non sarebbe servito assolutamente a niente. E poi probabilmente avrebbe dimenticato anche la pistola nell’auto aperta. Basta, era andata bene, meglio non pensarci più.

    Svoltò in via delle Orfane, dove poteva passare un solo veicolo per volta, ingombra di bancarelle, con gente in piedi o seduta davanti o dentro i portoni dei vecchi edifici. Era la vecchia Torino destinata a sparire per lasciare il posto alle costruzioni di vetro e acciaio del centenario, era solo questione di tempo. Si parlava molto della monorotaia, della metropolitana e degli autobus a due piani che avrebbero dimezzato i tempi di percorrenza. Chi lavorava non aveva tempo da perdere. Per svoltare dovette rallentare e la donna grassa e imbellettata si piazzò davanti alla Fiat 1100.

    Ehi, bello, dove corri? Non vuoi un po’ di svago?

    Eugenio frenò e impiegò alcuni secondi a capire che la prostituta si stava rivolgendo a lui, e lei dovette fugare gli ultimi dubbi bussando al vetro.

    Dice… dice a me?

    Ora la donna grassa e imbellettata era accanto al suo finestrino, e gli stava dedicando uno smagliante sorriso.

    Certo che dico a te, bello. Hai l’aria stanca. Un po’ di svago ti ci vuole. Ti faccio anche lo sconto.

    No, scusi, io non… non posso… niente di personale…

    Andiamo, facciamo in fretta, arrivi puntuale in ufficio e il tuo capo non ti dice niente. O sei tu il capo? Sì, devi essere tu, si vede da come sei messo bene.

    Balbettando un’altra serie di scuse, Eugenio ingranò la prima e ripartì. Quel vicolo era una scorciatoia che aveva scoperto quasi per caso, e sarebbe sbucato in piazza Castello dove avrebbe parcheggiato e avrebbe fatto a piedi l’ultimo tratto. Piazza Castello era piena di vigili e poliziotti, meglio del caveau di una banca. Vide la piazza davanti a sé, e fece per accelerare.

    Fu in quel momento che udì il rumore dietro di sé. Mentre si chiedeva cosa fosse stato, avvenne il contatto del freddo metallo con la sua tempia destra.

    Signor Quagliati, stia tranquillo e non le succederà nulla. Il sussurro gli arrivava all’orecchio. Voglio solo le sue pietre, lei mi capisce, non ce l’ho con lei.

    Più che le parole lo colpì il tono calmo della voce. Sbirciò nello specchietto retrovisore e si trovò a fissare un paio di occhi verdi. Era l’unica cosa che si vedeva del volto coperto da un passamontagna nero. Anche quegli occhi sembravano assolutamente tranquilli, come se gli avessero chiesto che ora era. Il rapinatore doveva essere salito nell’auto quando questa, a passo d’uomo, stava svoltando nella strettissima via.

    Ha capito, signor Quagliati? chiese ancora la voce. Basta che faccia un cenno con la testa. Lei non corre alcun pericolo, se fa esattamente quello che dico. Allora?

    Al tempo stesso la mano guantata si protese in avanti e gli portò la pistola davanti agli occhi in modo che potesse vederla bene, non solo sentirne il contatto sulla pelle. I guanti erano di pelle gialla. Eugenio mosse la testa su e giù.

    Bravissimo. Lo sapevo che su di lei potevo contare. Ora giri alla prima a destra.

    Eugenio obbedì. Mentre stava ancora eseguendo la manovra, la mano guantata libera dalla pistola si allungò da dietro di lui e afferrò la valigetta, che subito sparì. La Fiat 1100 si trovò davanti a un muro e a un cassonetto dell’immondizia. Era una via senza uscita. Riuscì a trovare il fiato per parlare.

    È chiusa… e ora? Cosa faccio?

    Silenzio. Guardò di nuovo nello specchietto retrovisore e non vide più nulla. Ripeté la domanda una seconda volta, più forte, poi si voltò. Nella 1100 non c’era più nessuno oltre a lui, ma una delle portiere posteriori era aperta. Non c’erano più né il rapinatore né la valigetta. Il principale rappresentante della Tagliano & Polidoro vomitò la colazione di latte, fette biscottate e marmellata.

    ***

    Luisa Mesiani si sfilò il passamontagna e liberò la Gilera Giubileo dal cavalletto in un solo movimento. Sapeva che avrebbe svoltato l’angolo prima che il rappresentante si girasse e potesse vederla in faccia. Non avrebbe nemmeno sospettato che a fregarlo fosse stata una donna. La valigetta, il passamontagna e la pistola Browning Baby erano spariti nello zaino che ora portava sulla schiena. I gestori delle bancarelle videro passare davanti a loro, alla guida della moto, una donna con i lunghi capelli castani trattenuti da una fascia verde e viola, con un paio di occhialoni scuri, uno zaino sulla schiena e l’espressione vagamente soddisfatta. Aveva adocchiato la moto una settimana prima, l’aveva rubata la notte precedente e l’aveva subito parcheggiata in quel vicolo cieco, girata verso l’uscita in modo da poterla utilizzare subito per fuggire, mentre all’auto del pollo sarebbe stato impossibile manovrare facilmente.

    ***

    Era un’altra Luisa quella che scese dal maggiolone ed entrò nell’austero portone di corso Matteotti. Aveva abbandonato la Gilera Giubileo, ora lo zaino con il passamontagna, la pistola e la valigetta si trovavano nel portabagagli del maggiolone. L’avrebbe volentieri guidata ancora un po’, i modelli Gilera erano i suoi preferiti, ma non ce n’erano molti in circolazione ed erano facilmente riconoscibili. Correre rischi superflui era contrario ai suoi principi, tanto più che non si sottraeva mai a quelli indispensabili. Le pietre preziose la stessa notte sarebbero state in mano al ricettatore con cui la donna aveva già l’appuntamento, che avrebbe pagato il pattuito alla consegna.

    Luisa ora indossava un leggero e comodo impermeabile chiuso da una cintura, portava al collo un morbido foulard, a tracolla una borsetta e ai piedi un paio di comode scarpe basse. Un nastro e un fiocco abbellivano il cappellino. Chi l’avesse guardata da vicino sarebbe stato colpito dai suoi grandi occhi verdi, che sembravano intenti a esaminare e valutare ogni elemento dell’ambiente che la circondava. Ricambiò il saluto del portiere, entrò nell’ascensore, chiuse la porta a griglia, e il cassone partì ronzando.

    La giovane segretaria, con un cravattino sulla camicetta, tenne aperto la porta mentre Luisa le passava davanti.

    Buongiorno, signora Mesiani. Se vuole accomodarsi, il dottor Piscopo la sta aspettando.

    Il professionista con molte rughe e pochi capelli era seduto sulla sedia con schienale alto e braccioli, e non tentò di alzarsi come se sapesse che con quella cliente non era necessario. Lorenzo Piscopo era uno dei più vecchi commercialisti di Torino. Ex partigiano, era stato catturato e torturato dalla Guardia Nazionale Repubblicana. Di poche parole, il 25 aprile 1945 aveva riaperto lo studio che aveva chiuso l’8 settembre 1943 ed era tornato ai titoli di stato, ai libri contabili e alle dichiarazioni dell’IGE. Era stato uno dei pochi che non aveva usato le sue benemerenze resistenziali per afferrare un posto prestigioso e lucrativo nella Repubblica nata dalla Resistenza. Non aveva mai svolto attività politica vera a propria, si sapeva che era stato vicino a Giustizia e Libertà e aveva votato per il Partito d’Azione fino al suo scioglimento. Senza sorridere indicò il giovanotto in completo grigio che si era alzato.

    Lucio Varga, il mio giovane socio…

    L’uomo anziano e la giovane donna sedettero accanto alla scrivania carica di faldoni e cartelline, poi Lorenzo Piscopo si mise un paio di occhiali e ne aprì una.

    Questi sono i suoi investimenti, diversificati come aveva chiesto. spiegò l’anziano commercialista porgendo un foglio alla cliente che aveva tolto la borsetta dalla spalla. Lei lo prese in mano e cominciò a esaminarlo.

    Mi scusi… non le ho chiesto… se gradisce…

    Luisa scosse la testa senza sollevare gli occhi dal foglio.

    La nostra migliore cliente non prende mai niente. disse Piscopo al suo socio, che si voltò e sedette a un’altra scrivania dall’altro lato della stanza.  

    Mi sembra che i titoli di stato vadano sempre bene.

    Presto andranno ancora meglio. disse Piscopo. Il capitalismo italiano si è sviluppato solo grazie alla protezione dello stato. L’azienda più grossa e fiorente è la Fiat, ma solo perché sono contingentate le auto straniere.

    Non sarà sempre così. obiettò Luisa.

    Sarà così per molto tempo ancora.

    Si parla di nazionalizzare l’energia elettrica, com’è avvenuto per le ferrovie.

    Sarà probabilmente il primo provvedimento di un governo di centro sinistra, ma devono prima crearsi certe condizioni.

    Parlarono per un’ora circa, interrotti solo dalla segretaria che chiedeva se poteva andare. Prima di chiudere la porta la giovane donna accese la luce. Luisa cominciò a scrivere alcuni appunti con una penna stilografica che il commercialista le aveva porto.

    Come vede ho eseguito fedelmente le sue istruzioni.

    Vedo, e sono pienamente soddisfatta.

    Se vuole portarlo via e controllare con calma…

    Ho visto quanto basta e non ho bisogno di controllare altro. I miei soldi sono in buone mani.

    Quando la porta si richiuse Lucio Varga, che non aveva perso una parola, sorrise e scosse la testa.

    Se ne intende la signora. Sembra che sia andata all’università.

    L’anziano commercialista sorrise a sua volta. No, è autodidatta. E un po’ di cose gliele ho spiegate io. È una che impara in fretta.

    Ho capito. È una delle ricche signore che hanno la villa in collina, con il domestico, il barboncino e molto tempo libero. Hanno bisogno di quelli come noi per amministrare i loro soldi, possibilmente all’insaputa dei mariti.

    Amico mio. disse Lorenzo Piscopo togliendosi gli occhiali e massaggiandosi il naso. Se tu sapessi quello che ha passato quella donna, capiresti la tua fortuna di avere sempre avuto una scodella di minestra, un letto e un tetto.

    Ma io…

    No… sospirò il vecchio appoggiandosi con le mani ai braccioli e sollevandosi dalla sedia. Non ho intenzione di raccontare. È stata una giornata faticosa e sono stanco. Ti dico solo una cosa…

    Poco dopo i due uomini, il vecchio e il giovane, erano in piedi accanto alla porta.

    Se avevi in mente qualcosa di meno che onesto verso di lei, rinuncia.

    Ma io…

    Rinuncia, ho detto.

    2

    Il partito liberale aveva accolto l’invito del sindaco Peyron e iniziato la distribuzione gratuita di cinquemila bandiere tricolori da esporre il 27 marzo. La Democrazia Cristiana ne avrebbe offerte altrettante. Per i ritardatari, il prezzo di una bandiera piccola era di cinquecento lire, quello di una bandiera media oscillava tra le millecinquecento e le tremila lire. Allo stadio Filadelfia il Toro aveva eliminato il Milan dal Torneo di Coppa Italia, Ferrario aveva segnato il gol decisivo al novantesimo quando ormai sembravano inevitabili i supplementari. I tifosi della gloriosa squadra granata erano in delirio. Era vero che nel Milan mancavano Liedholm e Rivera.

    Il maresciallo Massimo Lagrasta e il brigadiere Aldo Pasquero erano nella Giulietta di servizio di colore verde, con il fungo lampeggiante sul tetto, e stavano percorrendo corso Giulio Cesare in direzione nord. I due uomini erano in borghese e facevano parte della squadra mobile della questura di Torino, addetti soprattutto ai compiti più sgradevoli o scabrosi, quelli che i colleghi più esperti o più pigri evitavano. In quel momento il compito di guidare era toccato a Pasquero, che però non rinunciava a esprimere alcuni dubbi sui tempi nuovi.

    Maresciallo, cosa dice del nuovo corso per donne poliziotto?

    Brigadiere, cosa vuole che ne dica? Prima o poi doveva succedere.

    Al palazzo dell’Eur a Roma era stato inaugurato il primo corso per vice- ispettrici, grado equivalente a quello di vice-commissario, cui avrebbero partecipato 76 allieve che erano state selezionate in tutta Italia l’anno precedente. Il sottosegretario Oscar Luigi Scalfaro, nel suo discorso inaugurale, aveva auspicato che l’elemento femminile avrebbe apportato una componente di umanità nel freddo e arido mondo dell’amministrazione della giustizia, che era poi la vocazione della donna nella storia.

    Secondo me le donne sono negate per certi mestieri.

    Lo pensavo anch’io, ma siamo all’inizio di una nuova era, si guardi intorno, oggi le donne guidano l’auto e fumano, tanto vale che ci facciamo l’abitudine.

    Vuole dire che anche noi qui a Torino avremo presto delle colleghe in divisa nei commissariati e forse addirittura nelle auto?

    Calma, Pasquero. Le cose non vanno così in fretta. Tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare.

    Pasquero superò la parrocchia di Santa Madonna della Pace, rallentò, mise la freccia e parcheggiò accanto al giardino pubblico nel largo Giulio Cesare. Da un lato si vedeva il cinema Sociale dove davano Facciamo l’amore con Marilyn Monroe e Yves Montand, dall’altro un’edicola e una pompa di benzina. Alcuni dei pensionati seduti sulle panchine del giardino si voltarono.

    L’aspetto qui, maresciallo?

    Il maresciallo Massimo Lagrasta si riscosse e lo guardò come se stesse riflettendo. Il pessimo assortimento della giacca e dei pantaloni indicava da quanto poco tempo avesse abbandonato l’uniforme verde delle Guardie di Pubblica Sicurezza. Si sarebbe detto che quella mattina avesse indossato a caso i primi capi di vestiario gli erano capitati in mano. La massa disordinata di capelli precocemente grigi non aiutava. Il completo grigio del suo aiutante, con tanto di baffetti neri e scarpe di vernice, era invece l’inconfondibile uniforme borghese del perfetto questurino.

    Massimo Lagrasta aveva cominciato a ventidue anni davanti alle fabbriche in sciopero, guardando negli occhi uomini esasperati ed esausti che reggevano cartelli con le parole SALARIO, ORARIO, CASA, PREZZI. Ma ormai questo era il passato, ora non c’erano più né scioperi né cortei, basta cartelli e striscioni. Il motivo? Ora c’era il boom. Gli operai allora erano esasperati perché, appena arrivati dal sud, avevano dovuto dormire sui divani in casa di parenti o nelle camere a ore o sulle panchine di Porta Nuova, guadagnavano quattro soldi sulle impalcature edili o nelle boite nei cortili che dalla strada nemmeno si vedevano. Ora invece avevano tutti il posto fisso alla Fiat e si potevano comprare a rate l’auto e il frigorifero. E si erano calmati. Non c’erano più poveri né ci sarebbero più stati.

    Qualche disordine di piazza c’era stato ancora l’anno scorso, ma era stata colpa di Tambroni che aveva tirato troppo la corda autorizzando il congresso dei fascisti a Genova. Con certe cose non si scherzava, Tambroni non aveva capito i tempi nuovi, ma era stato un incidente di percorso e non si sarebbe ripetuto. Ora Lagrasta poteva finalmente fare solo il poliziotto che era poi quello che voleva. Ora i nemici erano solo il magnaccia, il teppista e il rapinatore. Ma forse c’era in giro qualcosa di molto peggio.

    Direi di no, brigadiere. Sa bene che preferisco che siamo presenti tutti e due in situazioni simili, in modo da essere sicuri che non ci sfugga il minimo indizio. È una questione molto delicata e non possiamo permetterci errori, ogni minuto può essere prezioso.

    Pasquero annuì. Cinque giorni prima Irene Bagallo di dodici anni era uscita dalla scuola media Benedetto Croce ma non era mai arrivata a casa. Dopo avere telefonato alla scuola e al pronto soccorso dell’Ospedale Martini i genitori Andrea Bagallo, titolare di un piccolo negozio di articoli per animali, e Anna Santarosa, casalinga, avevano presentato denuncia. La foto della ragazzina era stata subito diramata alle pattuglie. Lagrasta in persona si era recato alla Benedetto Croce a interrogare il preside e gli insegnanti e aveva proceduto al fermo del bidello Natalino Buratti, che già in passato era stato segnalato per avere rivolto attenzioni inappropriate alle allieve. E poi il bidello aveva davvero un’aria losca e viscida. Ma dopo averlo torchiato per un giorno e una notte nei locali della questura centrale da lui non era venuto fuori niente e, nonostante l’aria losca e viscida, avevano dovuto rilasciarlo. I colleghi tra sabato e domenica avevano fermato a Porta Nuova un ragazzo di dieci anni e una ragazza di quattordici che erano fuggiti da casa, ma di Irene nessuna traccia. lI telefono della famiglia Bagallo era stato messo sotto controllo, ma non era arrivata nessuna rischiesta di riscatto. Ma la condizione economica dei genitori rendeva improbabile il sequestro a scopo di riscatto, e poi a Torino certe cose non si erano mai fatte.

    Cosa gli diciamo, maresciallo? Loro sperano che noi…

    Lagrasta fece una smorfia. Gli diciamo la verità. Devono prepararsi al peggio, ce lo dicono le statistiche. I ragazzi che fuggono da casa vengono sempre rintracciati entro quarantotto ore. Quando non avviene significa che c’è di di mezzo qualche adulto, non sempre con intenzioni benevole.

    I due poliziotti entrarono nell’androne del vecchio caseggiato di via Feletto, mostrarono i tesserini alla portinaia e salirono le scale.

    Ah… siete voi. disse la donna che apparve dietro la porta socchiusa.

    Ci scusi… disse Lagrasta entrando. Il mio aiutante lo conosce già…

    Anna Santarosa in Bagallo guidò i due agenti nel salotto che denotava un continuo sforzo di pulizia. Dalla porta-finestra del balcone s’intravedevano alcuni vasi di fiori. La donna chiuse la porta-finestra, anche se non era una giornata fredda, come se avesse bisogno di fare qualcosa. Andrea Bagallo li stava aspettando, e poco dopo erano tutti seduti sul divano e due poltrone. Lagrasta capì subito che qualcosa era cambiato, ma non volle forzarli. Marito e moglie si guardarono.

    Sentite… cominciò Anna Santarosa. Mi rendo conto che vi siete dati molto da fare….

    Allora?

    Irene è tornata.

    La donna era arrossita e l’uomo intervenne in suo aiuto.

    Vi stavamo per avvertire quando siete arrivati… ci dispiace per tutto il tempo che…

    Figuratevi. disse Lagrasta . Abbiamo solo fatto il nostro dovere. Se tutte le scomparse di ragazzi finissero in questo modo nessuno sarebbe più contento di noi. Mica devono finire sempre male, vero, brigadiere?

    Verissimo, maresciallo.

    Lagrasta tirò fuori un bloc-notes e una penna biro. Però non possiamo aprire un’inchiesta e poi chiuderla come se non fosse successo niente. Dobbiamo scrivere qualcosa. La carta è la nostra persecuzione. Molti credono che noi poliziotti lavoriamo solo con le manette e i manganelli, ma invece dobbiamo usare anche la carta. Non ha idea di quanta carta dobbiamo consumare. Spero che possiate aiutarci.

    Ci mancherebbe altro. esclamò Andrea Bagallo. Con tutto quello che avete fatto per noi.

    A che ora è tornata Irene?

    Saranno state le sei… cominciò l’uomo. ieri alle sei, o erano le sette, Anna?

    Le sette e mezzo. precisò sua moglie. È l’ora in cui ci mettiamo a tavola. Solo che non ci mettiamo più a tavola, era troppa l’ansia… ma lei ha telefonato, e poi noi siamo andati a prenderla… era in un bar… il barista l’ha aiutata a telefonare.

    Lagrasta chiese l’indirizzo del bar e il nome del proprietario, che annotò.

    E… le condizioni di salute?

    Buone, ci è sembrato, ma… Anna, l’hai accompagnata tu dal dottor Bertone, cosa ti ha detto? Si tratta del medico che la segue da quando è nata.

    Certo, certo. E il dottor Bertone come l’ha trovata?

    L’ha trovata bene, direi, tutto sommato. Le ha fatto la visita completa, e ha ordinato un esame del sangue.

    Lagrasta chiuse il bloc-notes e alzò gli occhi.

    Allontanamento volontario, quindi?

    Come? Cosa intende dire?

    Fuga da casa, intendo dire. Questo possiamo scrivere?

    Esatto. Fuga da casa. Una di quelle che fanno ogni tanto i ragazzi.

    Poco dopo erano tutti sulla porta, Anna Santarosa stava per aprire quando Lagrasta chiese: Vi rubiamo ancora qualche minuto, poi vi lasciamo in pace. Possiamo porre qualche domanda a Irene? Come vi ho detto, giusto per scrivere…

    Qualche… qualche domanda?

    Be'… poiché siamo qui, abbiamo fatto trenta, facciamo trentuno.

    Sta dormendo. Era molto in ansia, il senso di colpa, capisce la paura che ci ha provocato, per non dire il lavoro che ha dato a voi, non smetteva di piangere e allora le abbiamo dato un cucchiaio di sciroppo di bromuro che ci ha consigliato il medico… non mi sembra una cosa buona svegliarla adesso… voi capite…

    Lagrasta sorrise comprensivo. Se capiamo? Certo che capiamo. Ripensandoci, non credo che Irene possa dirci molto di più di quanto ci avete detto voi. Vuole dire che ci accontenteremo di vederla.

    Anna Santarosa socchiuse la porta della cameretta. Lagrasta confrontò mentalmente la foto della ragazza scomparsa con il volto della ragazza dormiente sotto le coperte tirate fino al mento. Più che una ragazza era una bambina, l’espressione tranquilla e i capelli in disordine. Accanto a lei appoggiato

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