Il segreto di villa adelaide
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Info su questo ebook
E certe strane, invisibile presenze sono solo frutto di suggestione?
Quattro storie misteriose legate ad altrettante dimore, case all’apparenza del tutto normali, anzi belle e attraenti, che nascondono un inquietante segreto. Quattro racconti che inducono il lettore a chiedersi se le vicende narrate siano realmente accadute o siano state create dalla fantasia dell’autrice.
Nel dubbio, il consiglio è quello di informarsi su chi l’abbia abitata prima di acquistare una casa…
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Anteprima del libro
Il segreto di villa adelaide - Silvana Sanna
SILENZIO
IL GIARDINO SEGRETO
La notizia che ero l'unica erede di un vecchio prozio, mi giunse del tutto inaspettata. Di questo lontano parente non sapevo praticamente nulla, lo avevo giusto sentito nominare qualche volta da mia nonna che era stata la sua unica sorella, la quale, avendo rotto i rapporti con lui da tempo immemorabile per delle ragioni che non mi erano mai state spiegate, non lo frequentava da prima che io nascessi e dunque non avevo avuto modo di conoscerlo.
Nonna era morta già da un pezzo e anche mia madre, che era sua figlia, rimasta vedova in giovane età, era perita in un incidente d'auto qualche anno prima. Così, come mi disse il notaio che mi aveva convocata, in mancanza di altri eredi e di un testamento che destinasse i suoi beni a persone estranee alla famiglia, il patrimonio dello zio Eraldo toccava interamente a me.
Il quale patrimonio consisteva in una casa dislocata alla periferia di un paese di campagna, una piccola somma in contanti depositata su un libretto postale, alcuni titoli azionari e una manciata di gioielli il cui valore era rappresentato solo dal peso dell'oro con cui erano fatti. Ma chissà perché, forse perché sono donna, il piccolo scrigno d'argento che li conteneva fu quello che mi fece più impressione. Più ancora del denaro, dei titoli e della casa, quegli oggetti d'oro, potendoli io toccare immediatamente con mano, mi fecero realizzare, quando il notaio me li consegnò, che mi era piovuta addosso una piccola fortuna. Erano oggetti comuni e di foggia sorpassata, assolutamente non di mio gusto, amavo, anche se non potevo permettermeli, i gioielli originali e di design, e dunque la mia contentezza non derivava dal pensiero che avrei potuto indossarli ma da quello che, vendendoli, avrei raggranellato un bel gruzzoletto. Non mi sfiorò nemmeno l'idea che la fortuna maggiore fosse costituita dalla casa, immaginavo si trattasse di un'abitazione rustica e magari malmessa, del resto il prozio Eraldo aveva fatto l'agricoltore anche se, come mi aveva detto il notaio, anni prima aveva venduto tutti i campi per poter smettere di occuparsi della proprietà e vivere di rendita.
Quando arrivai a casa di ritorno dal notaio era ancora presto per andare alla scuola materna a prendere Giulia, la mia bambina di cinque anni. Perciò, dopo aver telefonato a mio marito, che in quel periodo si trovava all'estero per una breve trasferta di lavoro, per metterlo succintamente al corrente della bella novità, appoggiai il cofanetto sul tavolo del soggiorno e mi concessi il gusto di tuffare le mani dentro quel piccolo tesoro per poi osservare i monili uno ad uno, vedendo confermata la mia prima impressione: non ce n'era uno che mi sarebbe piaciuto indossare ma il peso complessivo era discreto e dunque valevano, come oro vecchio, un bel po' di quattrini. Tenni da parte un anello che aveva una fattura piacevole poi mi accinsi a rimettere il resto dentro il suo contenitore ripromettendomi di andare quanto prima da un orafo per la vendita. Avevo quasi terminato quando il mio sguardo fu colpito da un monile che lì per lì non avevo notato: un ciondolo d'oro giallo, appeso a una sottile catenina, che rappresentava un gattino. Un gioiello infantile e di fattura neppure tanto accurata, che tuttavia mi parve grazioso e simpatico dato che il gattino aveva un musetto arguto che sembrava sorridere. Pensai che sarebbe piaciuto alla mia bambina che adorava i gatti e lo tolsi dal mucchietto degli altri gioielli mettendolo insieme all'anello che avevo tenuto per me. E quando, dopo essere andata prenderla a scuola, lo feci vede a Giulia, come avevo immaginato lei se ne innamorò all'istante.
- Un gattino! E' bellissimo – esclamò – mettimelo subito, mamma.
Ubbidii, sentendomi ancora una volta in colpa per il fatto che Giulia desiderava da tempo un gatto, ma io e Giorgio eravamo d'accordo che non fosse il caso di tenere una bestiola in appartamento. Senza contare che un gatto, tra vaccinazioni, sterilizzazione e cibo ci sarebbe venuto a costare non poco, due anni prima avevamo acquistato casa accendendo un mutuo ed eravamo sempre a corto di soldi anche perché con la nascita di Giulia io avevo deciso di lasciare il mio impiego per potermi dedicare tutta a lei.
Accantonai comunque i sensi di colpa nei riguardi della mia bambina e mi godetti il suo entusiasmo per quel gioiellino che aveva subito voluto indossare e che aveva preso a far saltellare sul suo petto caracollando intorno al tavolo della cucina.
- Di chi era prima? – mi chiese ad un tratto.
Giulia sapeva bene che eravamo costretti a stare molto attenti con le spese e dunque aveva giustamente immaginato che quel piccolo gioiello non fosse stato acquistato ma che fosse arrivato fino a lei in tutt'altro modo.
- Non lo so, tesoro – le risposi.
Lei se ne stette per qualche attimo in silenzio poi mi disse:
- Era di una bambina che le piacevano i gattini come a me. Così il suo papà le aveva regalato questa collanina. E lei era stata contenta da matti, proprio come sono contenta io!
Le sue parole mi intenerirono: Giulia aveva una fervida fantasia e sull'onda della contentezza che quel gioiellino le aveva procurato, ecco che ci aveva subito ricamato sopra inventandosi una storia.
La lasciai fare e mi misi ad apparecchiare dimenticando la nostra conversazione, senza sospettare che quel semplice monile avrebbe costituito un importante tassello in un inquietante mistero col quale sarei venuta a contatto di lì a non molto….
Come Giorgio rientrò dalla trasferta, ci recammo alla casa che avevo ereditato dallo zio Eraldo per un primo sopralluogo. Poi avremmo interpellato un'agenzia per metterla in vendita nella speranza di ricavarci una cifra che ci permettesse di diminuire almeno di un poco la rata del mutuo.
Il notaio mi aveva spiegato che la proprietà si trovava alla periferia di un paesino che distava solo una trentina di chilometri dalla nostra cittadina e dunque potemmo raggiungerla in breve tempo dopo aver percorso una strada che si snodava per buona parte tra vigne e campi coltivati. Un tragitto assai piacevole ma decisamente rurale e che mi rafforzò nella convinzione che la casa altro non fosse che una cascina rustica, magari anche malandata e cadente. Invece ci aspettava una bella sorpresa, e ce ne accorgemmo subito appena vi giungemmo davanti: attraverso un grosso cancello di ferro battuto si intravedeva una casa bellissima e molto particolare, una specie di cottage inglese proprio come ne avevo visto spesso nei film anglosassoni che tanto mi piacevano, circondata da un lussureggiante giardino.
- Caspita – disse mio marito – altro che una catapecchia malconcia come tu avevi immaginato!
Ero davvero sbalordita. Il notaio non aveva specificato, aveva solo accennato genericamente a una casa ad uso abitazione civile, che passava a me con tutto quello che conteneva, con terreno pertinente di tremila metri adibito a giardino e frutteto. E dato che il denaro che faceva parte dell'eredità era solo una piccola cifra io avevo immaginato che lo zio, in vita, non fosse certo stato ricco! Forse i titoli e lo scrigno pieno di gioielli avrebbero dovuto farmi riflettere… In qualunque modo stessero le cose, che lo zio Eraldo fosse stato o meno benestante aveva potuto permettersi di vivere in una casa davvero bella, per di più costruita con un gusto particolare cha denotava una certa ricercata originalità. Che a me parve strana in un semplice contadino. Di certo c'erano degli aspetti della sua vita che io non conoscevo, del resto di lui non sapevo proprio nulla…
Entrammo nel giardino, era piuttosto selvaggio segno che da lungo tempo non veniva curato, e poi, dopo aver percorso un lungo viale inghiaiato, giungemmo davanti alla casa. E io mi incantai ad osservarla: era davvero una costruzione originale, le finestre, ad un unico battente, non avevano persiane e i vetri a riquadri bianchi donavano alla facciata un aspetto inconfondibilmente inglese suggerendo un'idea di intimità familiare e di romanticismo che mi conquistò all'istante.
- Se le stanze sono belle come la facciata esterna, questa casa è un vero paradiso – dissi al colmo dell'eccitazione.
- E mi sa che vale molto di più di quello che avevamo immaginato –