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Stregata dal conte: Amore leggendario, #1
Stregata dal conte: Amore leggendario, #1
Stregata dal conte: Amore leggendario, #1
E-book154 pagine2 ore

Stregata dal conte: Amore leggendario, #1

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Info su questo ebook

Rose Woodcourt è una sarta con poche sostanze ma dotata di un'incredibile determinazione. È troppo orgogliosa per accettare l'aiuto di chicchessia, anche quando sono in gioco la sua casa e la sua stessa libertà, minacciati dal perverso Mr Wolfe. Meno che mai è disposta ad accettare la protezione che le offre Hunter Thorne, un gentiluomo dell'aristocrazia molto al di sopra della sua misera condizione. "I conti corteggiano le comuni signorine per una ragione", pensa Rose. E lei non ha alcuna voglia di diventare l'amante di un uomo altolocato, per quanto affascinante possa mostrarsi. Ma quando le minacce di Mr Wolfe passano dalle parole ai fatti, a Rose non resta altra scelta che rivolgersi, suo malgrado, proprio a Hunter.

 

Stregata dal Conte è il primo libro della serie Fabled Love – Amori da Favola in cui l'autrice rilegge gli archetipi delle classiche fiabe in versione romance.

LinguaItaliano
Data di uscita6 nov 2022
ISBN9798215916834
Stregata dal conte: Amore leggendario, #1
Autore

Amanda Mariel

USA Today Bestselling, Amazon All Star author Amanda Mariel dreams of days gone by when life moved at a slower pace. She enjoys taking pen to paper and exploring historical time periods through her imagination and the written word. When she is not writing she can be found reading, crocheting, traveling, practicing her photography skills, or spending time with her family.

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    Anteprima del libro

    Stregata dal conte - Amanda Mariel

    Uno

    Il cigolio delle ruote di una carrozza attirò l’attenzione di Rose mentre si trovava in giardino, inginocchiata tra le aiuole, intenta a controllare la fioritura dei primi boccioli di primavera. L’elegante baroccino di Lady Julia Thorne si fermò proprio davanti al cottage che la ragazza divideva con la vecchia nonna. Il cuore accelerò mentre si rimetteva in piedi, strofinandosi le mani sul grembiule e lasciandoci sopra ampie tracce di fango e di sporcizia.

    Un gentiluomo alto, dai capelli corvini e gli occhi del colore del cielo di mezza estate, scese per primo e tenne aperta la porta della vettura. Rose si sorprese a guardare le sue mascelle volitive mentre aiutava la sua cliente, Lady Julia, a discendere dalla carrozza.

    Non riusciva a staccare gli occhi dal gentiluomo, il più bello e affascinante che avesse mai visto in vita sua. E quando anche lui guardò verso di lei, Rose si sentì arrossire, soprattutto per essere stata sorpresa a mangiarselo con gli occhi così sfacciatamente.

    Appressandosi, Lady Julia le sorrise: «Miss Woodcourt, sono venuta a scegliere il tessuto per i miei nuovi abiti. Siete riuscita a procurarvi i campioni che vi ho richiesto?»

    «Ho parlato con il mio fornitore a Cheapside proprio ieri», replicò Rose con gentilezza. Era sempre felice di vedere Lady Julia, che ormai considerava più che una semplice cliente.

    «Prego, entrate», si diresse verso l’ingresso della casa, e aprì il vecchio portone segnato dalle intemperie di tutte le stagioni che aveva conosciuto.

    Lady Julia la superò con un frusciare d’organza verde, mentre il suo accompagnatore si fermò sotto le vecchie travi di legno del portico. «Se per voi è lo stesso, preferirei aspettare qui, miss», affermò con un sorriso mozzafiato che rivelava i suoi bianchissimi denti.

    Rose lo fissò, sbalordita da quei suoi modi cortesi. Ma il risultato di quello sbalordimento fu che si lasciò scivolare la porta dalle mani facendola richiudere violentemente. Il rumore le fece fare un balzo all’indietro, mentre lo spavento mandò in frantumi i suoi nervi.

    Lui riaprì la porta e la mantenne aperta. I suoi occhi azzurri, intanto, scintillavano: «Lasciate fare a me, miss».

    Rose avvampò, a stento riuscì a fare un passo in avanti. Era completamente arrossita. Inspirò a fondo, assaporando anche il suo odore di trifoglio e salvia.

    «Come vi chiamate, miss?»

    «Rose Woodcourt», abbassò gli occhi verso la mano che le stava porgendo e notò un anello con sigillo che luccicava al dito, sicché si affrettò ad aggiungere: «Milord».

    Ovvio che era un lord. E lei aveva il cervello di una gallina se reagiva in modo tanto sciocco alla sua sola vista. Le fosse almeno servito a ricordare qual era il suo posto in società… I veri lord non se ne andavano in giro a corteggiare delle comuni signorine. Al massimo ci si trastullavano finché non si annoiavano e poi le mettevano da parte quando perdevano interesse. Rose doveva ricordare la povera Annie. Una canaglia di conte l’aveva messa incinta e poi buttata via come un oggetto vecchio e inutile. E Annie era morta di parto, terrorizzata e abbandonata da tutti. Rose aveva cercato di fare il possibile per lei, ma senza riuscirci.

    «Lieto di fare la vostra conoscenza, Miss Woodcourt», le sorrise. «Io sono Hunter Thorne, Conte di Aubry».

    Rose si produsse in un lieve inchino, mantenendo tuttavia lo sguardo fisso su di lui. Per quanto si sforzasse, non riusciva a smettere di guardarlo.

    Quando gli prese la mano, si accorse di essere un fascio di nervi, perciò si liberò dalla stretta il più in fretta possibile: «Vogliate scusarmi, Lord Aubry, ma Lady Julia mi attende».

    Entrando nella sua stanza da lavoro, Rose trovò Lady Julia accomodata su una vecchia sedia dallo schienale alto e sbiadito. La casa era impregnata dall’odore del pane appena sfornato e Lady Julia reggeva una tazza di tè, segno che sua nonna si era occupata di mettere l’ospite a suo agio prima di tornare alle sue faccende in cucina.

    «Vi prego di perdonare il disordine. Credo di aver perso la nozione del tempo».

    «Non c’è niente di cui dobbiate scusarvi. Iniziamo?», sorrise Lady Julia.

    Rose corse verso gli scaffali dove teneva gli involti dei tessuti: «Certamente. Ecco i campioni che vi pregherei di considerare», sistemò la pila sul suo tavolo da cucito. «Il fornitore mi ha assicurato che si tratta delle più belle e originali stoffe attualmente in commercio. Alcune vengono direttamente dall’Oriente».

    Rose vide Lady Julia sollevare un lembo di organza blu. Proprio la stessa sfumatura degli occhi di Lord Aubry. In effetti, i due avevano lo stesso colore degli occhi e dei capelli, oltre allo stesso sorriso. Erano parenti? Rose sentì la speranza palpitarle nel cuore, ma subito mise da parte quelle fantasie. Doveva bandire dalla sua mente ogni idea balzana prima di fare la fine della povera Annie.

    «Davvero una bella sfumatura di colore, milady», si limitò a dire.

    La voce di sua nonna risuonò dall’ingresso: «Vi ho detto di non disturbare Rose, Mr Wolfe. Non potete entrare!»

    Santo cielo! Quel reprobo, Dewitt Wolfe, la minacciava ancora. L’avrebbe mai lasciata in pace?

    «Vi prego, Lady Julia, scusatemi per un momento». Col cuore in picchiata, Rose si diresse verso la porta. Perché quel bruto non voleva lasciarla stare? Aveva rotto la loro promessa di fidanzamento e reso chiara la sua posizione al riguardo. Eppure lui rifiutava di accettare il suo volere.

    Mr Wolfe si era fermato a metà strada, fronteggiato dalla nonna corsa in soccorso della nipote.

    «Ah, eccoti qui mia cara», disse lui con una smorfia ambigua. «Sono venuto per…»

    Frustrata oltre ogni dire, Rose dimenticò di avere ospiti. Non gli permise nemmeno di terminare la frase e alzò la voce più di quanto sarebbe stato appropriato in presenza dei Conti di Aubry.

    «So bene perché siete qui. Ma ve ne dovete andare. Vi ho già dato la mia risposta», mentre lo guardava nei suoi irritanti occhi castani, sentì la nausea chiuderle lo stomaco: «Non ho nessuna intenzione di sposarvi, Mr Wolfe».

    Esibendo un sorriso calloso, Wolfe le si fece incontro, i capelli scomposti che spuntavano disordinatamente da sotto il cappello. «E invece mi sposerete eccome». Infilò una mano in tasca e tirò fuori una carta tutta spiegazzata: «Speravo non mi forzaste fino a questo punto», le porse la carta pergamenata guardandola fisso negli occhi. «È una rata dell’ipoteca di questa vostra umile dimora che vostro padre non ha pagato. Se continuate a rifiutarvi di sposarmi, ho il potere di vendere questa casa come e a chi voglio».

    Rose afferrò il documento, lo aprì in fretta e guardò quello che c’era scritto. Lo stomaco sobbalzò, e un nodo le si formò in gola. Accartocciò la pergamena nelle mani prima di guardarlo infuriata: «Non potete. Non è che un trucco. Papà ha pagato tutte le rate dell’ipoteca anni fa».

    «Invece posso e lo farò».

    Qualcosa di sinistrò baluginò nei suoi occhi. Il suo sguardo era duro come pietra e la paralizzò.

    «Non permettere a questo bruto di forzarti la mano, Rose», disse sua nonna, tamponandosi gli occhi. «Andrà tutto bene. E pure se dovessimo perdere il cottage, troveremo un modo per andare avanti», aggiunse scuotendo la testa, lasciando che alcune ciocche ingrigite dei suoi capelli ramati le ricadessero davanti agli occhi.

    Oh, quanto avrebbe desiderato che sua nonna avesse ragione. Purtroppo il cottage rappresentava tutto ciò che aveva, tutto ciò che le era rimasto della sua infanzia e dei suoi genitori, dopo che questi erano morti per un incidente in carrozza. Come poteva ora Mr Wolfe dichiarare di avere le prove di un debito che era stato ripagato anni prima? Respirò a fondo e si raddrizzò nelle spalle:

    «È un falso e lo dimostrerò. La mia risposta non cambia: non voglio sposarvi. E ora, vi prego, lasciateci in pace».

    Quando fece per voltarsi, lui l’afferrò per un braccio costringendola a girarsi per guardarlo in faccia: «Questo documento è legale», sogghignò. «Il vostro caro padre non ha mai estinto il suo debito. E stando così le cose, sono io il proprietario del cottage», le si fece sempre più vicino: «Un giorno mi ringrazierete per avervi salvata dalla prigione dei debitori».

    Rose si liberò con uno strattone e fece un passo indietro. Scrutando in quel suo torbido sguardo, chiamò a raccolta tutto il suo coraggio: «Mr Wolfe, voglio essere chiara: non vi sposerò mai», disse sollevando il mento in segno di sfida. «E ora lasciate questa casa all’istante», Rose si mantenne eretta e combatté le lacrime che minacciavano di sgorgarle dagli occhi: non avrebbe permesso a quell’uomo di vedere quanto fosse scossa.

    «Lo farò non appena accetterete di diventare mia moglie».

    Fu allora che Lord Aubry fece un passo in avanti: «Sono certo di aver sentito dire a Miss Woodcourt che dovete andar via, signore».

    La sua voce calda e avvolgente la avviluppò come uno scialle in una notte di tempesta. Il suo corpo non poté evitare di fremere e lei dovette ingoiare il nodo che aveva in gola. Non poteva piangere di fronte a quei due. Sarebbe morta di imbarazzo se lo avesse fatto.

    Senza togliersi quel ghigno dalla faccia, Wolfe replicò: «Chi siete voi per darmi ordini?»

    «Il Conte di Aubry».

    L’uomo fece un lieve inchino: «Perdonatemi, milord. Temo siate finito in mezzo a una faccenda privata e che gli animi si siano un po’ scaldati». Wolfe si raddrizzò prima di gettare un’occhiata a Rose da sopra la spalla, le labbra strette in una linea dura e sottile.

    Rose guardò Lord Aubry che restava al suo posto con un sorriso inamovibile, poi tornò a guardare Mr Wolfe. Il freddo della paura le scorreva nelle vene. Wolfe non avrebbe preso bene l’intromissione di Lord Aubry.

    Il conte fece un altro passo innanzi, piazzandosi proprio di fronte a Wolfe, le spalle dritte e un cipiglio che non prometteva nulla di buono: «Andatevene. Adesso!»

    Rose osservò i due uomini fronteggiarsi con le gote in fiamme. Per quanto apprezzasse l’aiuto del conte, avrebbe preferito mantenere il controllo della faccenda e, soprattutto, proteggere la sua privacy.

    «Certo, milord. Me ne vado subito», Wolfe girò attorno a Lord Aubry e si diresse verso l’ingresso, ma non senza prima aver lanciato a Rose un’occhiata carica di rabbia. Un attimo dopo, si udì la porta sbattere così violentemente da

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