Storie moderne di streghe, fate e folletti
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Tre storie per gli adulti che non abbiano dimenticato la fantasia, ma che piaceranno anche ai ragazzi e ai bambini che sono ancora capaci di interpretare con occhi privi di condizionamenti e di scetticismo una realtà magica e fiabesca.
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Anteprima del libro
Storie moderne di streghe, fate e folletti - Silvana Sanna
STREGHE
I DONI DELLE PICCOLE FATE DELLE ROCCE
Credo che ciascuno di noi abbia un luogo che ama in modo speciale. Io non faccio eccezione e il mio luogo del cuore è la Sardegna. Ma non quella del mare e delle spiagge, delle vacanze e dei locali alla moda, che, onestamente, non conosco proprio. La Sardegna che amo è una Sardegna più recondita e segreta: quella dell'interno fatta di sterminati orizzonti, di rocce scabre tra la folta vegetazione dei mirti e dei lentischi, e dei grandi altopiani spazzati dal vento sovrastati dalle selvagge montagne coperte di macchia mediterranea. E' la Sardegna meno conosciuta ma di certo la più autentica ed affascinante.
Almeno io la rammento così la mia
Sardegna, quella che mi è rimasta dentro come una cosa bella e preziosa, sebbene io ne manchi da un'infinità di tempo e ci abbia vissuto, in definitiva, solo sei anni. Veramente ci sono anche nata, in una cittadina della Barbagia, ma solo per combinazione.
Mio padre e mia madre erano entrambi piemontesi. Erano
, perché purtroppo sono morti tutti e due già da tempo. Del resto io stessa non sono un ragazzina, avendo compiuto da poco cinquantotto anni. I miei genitori si erano sposati piuttosto giovani, papà era impiegato di banca, mamma faceva la maestra, perciò economicamente stavano abbastanza bene. Ma papà era un tipo ambizioso e accettava volentieri il trasferimento nelle varie filiali dell'importante banca per cui lavorava in modo da far velocemente carriera, anche quando era ormai un uomo sposato. Del resto mamma si adattava di buon grado a seguirlo. Di solito otteneva subito il trasferimento per ricongiunzione familiare
e si era ritrovata, lungo gli anni, ad insegnare a bambini toscani, veneti o calabresi, senza per questo trovare spiacevoli i frequenti spostamenti. Amava il marito, desiderava solo stare con lui e non intendeva, per quanto riguardava il suo lavoro, tarpargli le ali.
Dopo dieci anni di questa vita errabonda mio padre accettò di dirigere la filiale che la banca aveva aperto di recente in una città sarda dell'interno e dunque ci fu per loro l'ennesimo trasloco. Era giugno, mamma aveva appena terminato l'anno scolastico e fece i bagagli a cuor leggero: aveva chiesto il trasferimento di sede e tutto sarebbe andato liscio come al solito. Tuttavia mamma quell'anno non riuscì a prendere servizio: dopo appena quindici giorni da che erano arrivati in Sardegna, si rese conto di attendere un bimbo e, quando l'anno scolastico ebbe inizio, lei era fissa a letto, immobilizzata da una gravidanza che si era annunciata subito difficile, nella tranquillità della casetta tra il verde che mio padre aveva affittato alla periferia della città dove aveva sede la banca. Era da tempo che i miei genitori cercavano di avere un figlio, la cosa li riempiva di gioia e non intendevano correre rischi. Così papà trovò subito una donna che venisse a mandare avanti la casa e che accudisse mamma, in modo che lei potesse starsene coricata per quasi tutto il giorno.
Io nacqui alla fine di marzo, quando il vento portava fino in città i profumi aspri e forti della brughiera in fiore e il fiume Isalle, che scorre nella zona in un valle profonda e scoscesa, gonfio delle acque del disgelo si precipitava con violenza nelle forre rocciose del suo letto tra sponde verdeggianti di menta e di giunco…
- Sarà una bambina vivace e ardimentosa, poiché è nata di marzo quando la natura si risveglia e sprigiona tutta la sua potenza - sentenziò Paska, la donna che aveva accudito mamma come fosse stata una figlia e che aveva aiutato il medico a farmi nascere, quando mi ebbe tra la braccia.
Mamma era piuttosto debilitata e fu Paska ad occuparsi di me. E continuò a farlo quando, all'inizio dell'anno scolastico, mia madre prese servizio nella scuoletta di un paese che distava quasi un'ora di automobile dalla città. Mamma per fortuna aveva la patente, cosa che, a quei tempi, suscitava nelle donne del posto, che ancora portavano il costume tradizionale, curiosità e ammirazione. Certo, avrebbe potuto dare le dimissioni e pensare solo alla famiglia, mio padre guadagnava bene, ma lei amava il suo lavoro e non era il tipo da starsene tutto il giorno confinata in casa ad accudire un bambino, anche se questo bambino era sua figlia. Perciò io trascorrevo tutta la mattinata con Paska e spesso anche il pomeriggio: mamma aveva da correggere i compiti, da preparare le lezioni e anche da scrivere. La scrittura era la sua passione, credo che in quel periodo tenesse una specie di diario sulle sue esperienze scolastiche ma, soprattutto, sull'ambiente sardo e le sue genti, che la affascinavano. Mi pare ancora di vederla mentre batteva velocissima, assorta e concentrata, sui tasti della sua macchina da scrivere portatile, dimentica di tutto e di tutti. Anche di me, che pure adorava. Ma io non ne soffrivo. Volevo un gran