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L’ultima diaspora
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E-book206 pagine2 ore

L’ultima diaspora

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Info su questo ebook

Gli insegnanti fanno fatica a insegnare la Shoah, soprattutto perché non si può trattare un argomento così importante e complesso senza conoscerne l’intero percorso: sarebbe come pretendere di valutare la prestazione di un ciclista da una sola tappa. Dopo aver seguito con l’abituale attenzione le mie lezioni, la sig.ra Tina mi ha detto: Finalmente ho capito! Provaci anche tu. Il testo è una rielaborazione delle tre lezioni dal titolo “Anzitutto, ovvero La cultura dell’odio.

Dall’antigiudaismo all’antisraelismo, passando per l’antisemitismo e l’antisionismo” tenute presso la Biblioteca dell’Istituto Tecnico Commerciale per l’Università dell’Età Libera di Sansepolcro nel gennaio 2013.
LinguaItaliano
Data di uscita14 mag 2015
ISBN9788891190772
L’ultima diaspora

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    Anteprima del libro

    L’ultima diaspora - Daniele Finzi

    Ma scusi, prof.,

    se tutti ce l’hanno con gli ebrei,

    vuol dire che qualcosa hanno fatto!

    Daniele Finzi

    L’ultima diaspora

    Quello che tutti dovrebbero sapere

    ma non sanno

    Colophon

    Autore: Daniele Finzi.

    In copertina

    Zvi Miller, L’ultima Diaspora, Murales

    Museo della Memoria e dell’Accoglienza, Santa Maria al Bagno, Nardò (LE)

    Il lavoro è una rielaborazione delle tre lezioni ANTITUTTO ovvero LA CULTURA DELL’ODIO Dall’antigiudaismo all’antisraelismo, passando per l’antisemitismo e l’antisionismo, tenute presso la Biblioteca dell’Istituto Tecnico Commerciale per l’UNIVERSITÀ DELL’ETÀ LIBERA di Sansepolcro nel gennaio 2013.

    Per il testo stampato

    Grafica e impaginazione testo stampato

    Bruno Franchi

    © 2015 ICONA - Città di Castello

    075.8511350 - icona.grafica@tiscali.it

    www.iconaeditore.it

    ISBN testo stampato: 978-88-98633-05-0

    Per qualsiasi notazione, contattare: dani.finzi@alice.it

    Grafica impaginazione testo digitale

    Per il testo digitale

    Ada Ascari - Mail: io@ada.ascari.name

    ISBN testo digitale: 9788891190772

    Youcanprint Self-Publishing

    Introduzione

    Ho fatto leggere questo mio lavoro per sapere se valeva la pena di essere pubblicato. Ho rispettato le quote di genere oggi richieste: quattro donne (Marinella, Marcella, Elda, Laura) e un uomo (Stefano), e quelle religiose (quattro cattolici e un’ebrea).

    Marinella ha apprezzato la chiarezza ed è stata lei a darmi lo spunto per il sottotitolo: Quello che tutti dovrebbero sapere ma non sanno.

    Marcella ha trovato il lavoro interessante, soprattutto nell’impianto e nel taglio a domande e risposte. Dice che andrebbe maggiormente sedimentato. Critica le fonti bibliografiche, a volte scarse, troppo divulgative e non sempre accreditate. Forse non ha capito che a me non interessa scrivere un trattato sull’antigiudaismo, ma offrire ai lettori argomentazioni semplici, chiare, fruibili.

    Stefano mi ringrazia per averlo reso più consapevole di una storia, quella dell’Ebraismo, che gli era giunta in qualche modo filtrata e aggiustata […]. Ha molto apprezzato il coraggio delle mie opinioni, mai di circostanza, e la limpidezza del mio argomentare con riferimenti storici, bibliografici e autobiografici talmente inoppugnabili, da fargli comprendere che stava leggendo finalmente la storia scritta da chi ha davvero titolo per scriverla. Ritiene L’ultima Diaspora un valido contributo per capire come sono andate le cose e perché. Si augura che il lavoro trovi ampia diffusione, soprattutto nelle scuole […].

    Elda ha letto con interesse lo scritto, si è resa conto della sua ignoranza sull’argomento. La lettura è stata interessante, coinvolgente, chiaramente leggibile, documentata e ben condotta. Non è cosa da poco condensare in poche pagine la storia lunga e poco conosciuta di un popolo particolare, che sembra potersi paragonare a un’Araba Fenice. Sei riuscito a mantenerti sopra le righe per quasi tutto il lavoro, scrive Elda, ma alla fine, quando hai tirato le fila, ti sei un po’ chiuso, come ha sempre fatto il popolo ebraico nei confronti degli altri. […] Sono dell’idea che sia ormai difficile ogni forma di dialogo, dopo tanti secoli di contrasti e di pregiudizi. Liquidi un po’ troppo velocemente il rapporto con gli arabi della Palestina. Perché, come scrivi, gli arabo-palestinesi avrebbero dovuto accettare una qualsiasi forma di convivenza?

    Laura scrive che il libro è molto interessante e utile per conoscere in modo esauriente chi sono gli ebrei, qual è stato il loro viaggio nella storia, cos’è l’antigiudaismo, l’antisemitismo, l’antisionismo e quello che è oggi l’antisraelismo. L’argomento è veramente complesso, aggiunge, ma il libro con quel suo ritmo di domande e risposte risulta agile, divulgativo, leggibilissimo. Originale e didatticamente opportuno il Ripassino alla fine di ogni capitolo.

    Un consiglio però: meglio leggerlo una seconda volta!

    Premessa

    Gli insegnanti fanno fatica a insegnare la Shoah, soprattutto perché non si può trattare un argomento così importante e complesso senza conoscerne l’intero percorso: sarebbe come pretendere di valutare la prestazione di un ciclista da una sola tappa.

    Dopo aver seguito con l’abituale attenzione le mie lezioni, la sig.ra Tina mi ha detto: Finalmente ho capito!

    Provaci anche tu.

    La rivoluzione religiosa

    Dunque, le cose andarono così. Alcuni millenni orsono (5776 anni per essere precisi), gli ebrei compirono una vera e propria rivoluzione religiosa: abbandonarono l’idolatria e scelsero il monoteismo. Soli, fra tante genti pagane, capirono quanto fosse insignificante il politeismo e sentirono la necessità di avere un loro Dio, unico, eterno, incorporeo; un Dio che era pensiero (logos), parola (verbum) e, proprio per questo, innominabile, invisibile e quindi neppure raffigurabile. La loro professione di fede suscita ancor oggi un’emozione particolare, ma indica soprattutto un progetto di vita:

    Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo. Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze. Questi precetti che oggi ti do, ti stiano fissi nel cuore; li ripeterai ai tuoi figli, ne parlerai quando sarai seduto in casa tua, quando camminerai per via, quando ti coricherai e quando ti alzerai. Te li legherai alla mano come un segno, ti saranno come un pendaglio tra gli occhi e li scriverai sugli stipiti della tua casa e sulle tue porte, …

    (Deuteronomio 6, 4-9)

    Anche la prof. ci ha detto che il monoteismo si contrappose al politeismo.

    Lo immagino, ma stai attento, perché il monoteismo non fu soltanto la scelta di un Dio unico, ma un modus vivendi, un modo particolare di vivere, di essere: si vive nell’amore di Dio, nella sobrietà e nel rispetto delle regole. La Torah, il libro sacro degli ebrei, significa istruzione, insegnamento e si propone sotto forma di norme, prescrizioni, comandamenti che tutti i fedeli devono conoscere e rispettare.

    Mio nonno – scrive Wiesel – amava Dio e la Torah. Non ha vissuto mai lontano o fuori di Dio, lontano o fuori dalla santa Torah. Dal mattino alla sera anche al negozio, era immerso nei libri sacri […]1.

    Scusa, ma tutti gli ebrei erano così religiosi?

    No, certo: Abbiamo i nostri ladri, i nostri delatori, i nostri squilibrati, ci ricorda ancora Wiesel. Non siamo una comunità di mezzi matti o di patiti di Dio. I vicini che schiamazzano, le donne che si invidiano, i concorrenti che si detestano, li trovi dovunque, anche da noi […]2.

    Comunque, tieni presente che fino alla Rivoluzione francese l’ebreo s’identifica con il rispetto delle norme religiose, anche se è vero – e questo s’intuisce facilmente – che un popolo è composto di tante persone, ognuna delle quali fa le sue scelte di vita.

    Il Dio degli ebrei è come quello dei cristiani?

    Sì e no. Il Dio degli ebrei è un’idea di Dio, non è solo amore e bene: con Lui si parla, si discute, si litiga. Gli si chiede aiuto, ma lo si rimprovera quando non te lo concede: Come dice la povera gente, Dio ci vuole bene, se non ci dà dolori, ci dà le pene3.

    Se sei ebreo, devi frequentare la sinagoga, devi mantenere stretti rapporti con il rabbino, che è maestro ma anche punto di riferimento per la comunità; devi rispettare il santo Shabbath e tutte le feste comandate, conoscere e studiare la Torah in tutte le sue forme. Devi pregare tre volte il giorno, saper leggere e scrivere l’ebraico, l’aramaico e far di conto, devi circoncidere i tuoi figli maschi, aiutare i bisognosi, assistere i malati, mangiare cibi macellati secondo il rituale e kosher, cioè conformi alla legge alimentare ebraica.

    Come si fa a vivere costretti da tante regole?

    Sono scelte di vita, comportamenti che con il tempo diventano abitudini, parte di te stesso. Pensa che Maimonide redasse una lista di seicentotredici comandamenti, dei quali sessanta erano obbligatori4.

    La sinagoga era simile ai templi classici?

    No. L’ambiente era povero, disadorno: nell’arca-armadio, orientata verso Gerusalemme, c’erano soltanto i rotoli delle sacre scritture protetti da una tendina. La sinagoga era luogo di culto, d’incontro, di studio, di discussione; era anche la scuola per i bambini, il tribunale e il municipio delle comunità.

    Cos’è il Shabbath?

    È il sabato, il giorno del riposo, nel quale gli ebrei devono cessare ogni attività: i negozi chiudono, le barche stanno ancorate in porto, i carri non circolano, non si fanno affari perché non si può toccare il denaro. I fedeli trascorrono la giornata pregando, leggendo, stando in famiglia, passeggiando, mangiando. Il Shabbath era considerato sacro dagli ebrei e chi non lo rispettava per negligenza era punito addirittura con la morte.

    Leggi con me questa pagina di Agnon, coglierai appieno il senso religioso del Shabbath. Siamo in Palestina nei primi anni del Novecento:

    Isacco [il protagonista del romanzo, ndr] era particolarmente emozionato al venerdì sera, quando il trambusto della città si fermava, e la luce sabbatica s’irradiava ovunque, con quel fulgore che non si era mai spento, nemmeno nei tempi più bui. Il sole non aveva ancora terminato il suo cammino nel firmamento, eppure giù dabbasso, su questa terra tutto era diverso. Ora l’atmosfera è cambiata: una specie di vaga delizia va affiorando. Tutti negozi sono ormai chiusi, ogni attività quotidiana s’interrompe. Le strade di Gerusalemme si vanno svuotando, niente più carri: sulla Terra Santa cala il silenzio. Niente più ruote che girano, frustini che sferzano. Il mondo diventa uno spazio muto, e il silenzio della città accende una calma santa. Giusto a quell’ora, il vecchio scaccino [chi è addetto alle pulizie, ndr] esce dalla sinagoga grande […] gridando: è il momento di accendere i lumi! Intanto qualcuno salta su dall’ospizio al monte Sion, s’arrampica sul tetto di una casa molto alta, e suona il corno per avvertire la gente che il Sabato è giunto. Esattamente di fronte, un pio della congregazione di Sedigura, sale sul tetto della grande sinagoga […] e dà il segnale con una tromba di bronzo lunga due cubiti. In quel preciso istante da tutte le altre sinagoghe qualcuno s’arrampica sul tetto a suonare, finché quei rintocchi sabbatici escono dalle mura della Città Vecchia. Gli studenti, con i vestiti della festa, salgono sui tetti più alti dei nuovi quartieri a far tintinnare dei grossi campanelli che tengono in mano, per annunciare che è tempo di accendere i lumi. Così in ogni casa e cortile ci si affretta nei preparativi sabbatici. Chi assaggia le pietanze festive, perché assaporare il Sabato è cosa che dà vita. Chi fruga nei vestiti, nel timore di avervi dimenticato qualcosa che è proibito trasportare di Sabato. Chi incita i bambini a sistemare i formulari di preghiere, chi versa l’olio nelle lampade di vetro, chi il vino rosso insieme all’olio, per bellezza, chi apparecchia la tavola e chi si cambia d’abito. Niente più facce rabbiose, solo parole gentili: ogni casa e ogni cortile s’illuminano di mille candele, tutta la città assomiglia a un palazzo addobbato di luci. Qui una candela, lì una lanterna. Qui una scodella piena di olio d’oliva, lì candele pure e bianche. Qui due candele a memento del Sabato, qui due tavole del patto, lì dieci candele per i dieci comandamenti. Sette candele per i sette giorni, dodici per le dodici tribù d’Israele. Candele quante sono le persone in casa, candele in numero casuale. […]. Ormai tutta Gerusalemme si riposa dal suo lavoro, e da ogni casa e cortile anziani e giovani escono insieme, vestiti a festa con il viso radioso di luce sabbatica. Gente che durante la settimana non conta nulla per nessuno, in quell’ora pare ispirata. Niente più rabbia in volto, solo luce. Chi va in sinagoga, chi alla casa di studio, chi al Muro del Pianto. Chi cammina con calma, chi di fretta, con stole variopinte che strisciano sulle pietre di Gerusalemme, vestendo la città di raso e velluto. A quell’ora, il cielo lassù si tinge delle sfumature più belle, vuoi perché è il Sabato che lo ammanta, vuoi perché è lo splendore del firmamento a scortare il Sabato che viene […].

    Che bello è l’arrivo del Sabato al Muro del Pianto! Le pietre sante, la cui santità ci fa luce nel buio del nostro esilio, sono ancora più sante in questo giorno, e tutto Israele è più santo e si santifica in esso nella memoria e nell’osservanza, in attesa della redenzione5.

    Sai, mi è venuto in mente Il sabato del villaggio di Leopardi.

    Beh!, come tensione emotiva, come aspettativa, come calore umano. Ma qui c’è una religiosità profonda e totale, sconosciuta a Leopardi.

    Ecco, essere monoteisti significa vivere così, nella fede, nel totale rispetto della Legge e delle norme di diritto civile e penale che la Torah orale e scritta conteneva e che riguardavano tutti i settori della vita.

    Dalle tue parole sembra che furono gli ebrei a scegliere questo modello di vita, ma io ho sempre sentito parlare di popolo eletto!

    È vero, questo è un presupposto imprescindibile per capire gli ebrei: scegliere è ben diverso dall’essere scelto! e implica una responsabilità, personale e collettiva.

    Scrive mio padre:

    L’ebreo, dopo essersi dichiarato monoteista, e aver quindi scavato un profondo solco fra lui e il resto dell’umanità, aumenta sempre più l’ampiezza di questo solco creandosi un modo di vita assolutamente in contrasto con quello degli altri popoli, s’irrigidisce in quel modo di vivere e di pensare e dà origine a quello stato di cose che non potrà portare che a quella conseguenza che la storia delle relazioni tra Israele e il resto del mondo conosce6.

    Per poter gestire il loro modello di vita, gli ebrei avevano bisogno di istituzioni autonome. A Gerusalemme erano governati dal sinedrio (composto da settantuno ministri di Dio e guidato dal Sommo Sacerdote); nelle altre comunità l’autorità era esercitata da consigli di sette anziani, uomini che vivevano di elemosina o esercitando un mestiere. Nei centri ancora più piccoli il rabbino era anche maestro e dottore di Legge. Qualsiasi altro potere era inviso e combattuto. Questo determinò sempre una dura reazione da parte dei conquistatori, che spesso massacrarono o deportarono la popolazione.

    C’è un motivo per cui proprio gli ebrei

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