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Sangue Longobardo
Sangue Longobardo
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E-book636 pagine8 ore

Sangue Longobardo

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Info su questo ebook

Un romanzo epico, avventuroso e cavalleresco che si svolge all’alba del nono secolo.
Mentre Carlo Magno consolida il proprio regno trasformandolo in un potente impero, gli Arabi affrontano le lotte intestine che ne rallentano l’espansione e alla corte di Costantinopoli si svolge un gioco mortale che avrà come posta il trono.
L’eunuco Aezio, potentissimo Domestico delle Scholai, si muoverà con astuzia e intelligenza per eliminare gli avversari e consolidare la propria preminenza nella gerarchia imperiale. Metterà in campo inganni e ordirà luttuose congiure, sempre in bilico tra il trionfo e la più rovinosa delle cadute.
L’anziana imperatrice Irene, dopo aver fatto eliminare il proprio figlio, darà avvio a una serie di sanguinose epurazioni che porteranno a una guerra all’interno dei suoi stessi domini.
Euin, il Logogeta, affronterà una perigliosa campagna invernale al comando di un pugno di uomini a lui fedeli. Sua moglie Wigilinda e i suoi figli dovranno fuggire per mare fino a sbarcare, dopo una vera odissea, sulle coste meridionali del Mediterraneo.
Da un vortice di vicissitudini e colpi di scena emergerà l’imperatore della Nuova Roma.
LinguaItaliano
Data di uscita18 nov 2015
ISBN9788896608555
Sangue Longobardo

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    Anteprima del libro

    Sangue Longobardo - Ugo Moriano

    lettura!

    Habent sua fata libelli

    (I libri hanno il loro destino)

    1

    Ezio era seduto su un basso sgabello di legno all’ombra delle fronde di un vigoroso oleandro. Poco più in basso alle sue spalle, ad un paio di pertiche di distanza, scorrevano le tranquille acque limpide del al-Wādi al-Kebīr, il grande fiume che un tempo i romani avevano conosciuto con il nome iberico di Baetis. Se invece di concentrarsi sulla pergamena appoggiata sulle sue ginocchia avesse volto lo sguardo verso levante, avrebbe potuto scorgere il lontano profilo delle grigie mura di Cordova da cui sporgevano i tetti rossi della case e dei palazzi.

    Per nulla distraendosi, con un movimento tranquillo della mano sinistra, senza infastidirla particolarmente, scacciò un’ape che si era avvicinata a ronzare incuriosita intorno al suo cappello di paglia intrecciata.

    - Ezio! Guarda, guarda che bella farfalla! – Gridò con voce acuta il piccolo Rodolfo correndo, al meglio delle sue possibilità, dietro alle evoluzioni dell’insetto dalle grandi ali gialle punteggiate di nero mentre leggero si spostava tra i fiori e i bassi arbusti che punteggiavano il prato.

    Ezio mise da parte la pergamena e rimase a osservare il bambino biondo, che tra un paio di mesi avrebbe compiuto sei anni, inseguire zoppicando vistosamente la sua improbabile preda. Nonostante solo nove settimane prima avesse subito una parziale amputazione della gamba destra proprio sotto il ginocchio e fossero solo pochi giorni che utilizzava una grezza protesi di legno per sostituire la parte di arto mancante, già, con la capacità che solo i più giovani sanno mettere in campo, riusciva a deambulare in modo soddisfacente.

    Il giorno della disgrazia il piccolo era sfuggito all’attenzione della sorella maggiore e, correndo sull’aia senza accertarsi di eventuali pericoli, era finito con la gamba sotto una delle ruote di un pesante carro trainato da due buoi. Il terribile danno subito dall’arto era stato immediatamente evidente, schegge d’osso emergevano dalla pelle e dai muscoli lacerati.

    I parenti presenti al fatto lo avevano portato subito in casa e fortunatamente erano riusciti a bloccare l’emorragia che lo stava dissanguando. Era poi intervenuto un cerusico di Cordova, ma si era limitato a fasciare strettamente la gamba per poi immobilizzarla con delle stecche di legno.

    Nei giorni successivi la situazione era velocemente peggiorata e Rodolfo, ogni volta che riacquistava coscienza, urlava fino a sfinirsi mentre i familiari, a turno, si alternavano impotenti al suo capezzale. Il cerusico, dopo la seconda visita, aveva sentenziato con tono grave che non c’era più nulla da fare. Il fanciullo era troppo piccolo ed aveva perso troppo sangue per poter sopportare l’amputazione di tutta la gamba e senza quel drastico intervento non avrebbe avuto speranze di sopravvivere più di quattro o cinque giorni.

    In preda allo sconforto la madre del bambino si era ricordata di una sua amica di Cordova che le aveva magnificato le capacità di un vecchio medico bizantino giunto in città all’inizio dell’anno e così, spinta dal dolore e dalla disperazione, aveva mandato suo marito a cercarlo.

    Il pover’uomo impiegò due giorni a rintracciare l’abitazione del medico e dopo aver visto che viveva in uno dei palazzi più sontuosi della capitale era stato tentato di rinunciare perchè si attendeva di esserne scacciato in malo modo.

    Con sua sorpresa fu ben accolto dalla servitù ormai abituata all’arrivo di persone sconfortate che richiedevano l’aiuto dello strano vecchio che occupava alcune stanze al terzo piano.

    Quel pomeriggio Ezio era fuori, ma quando rientrò e si ritrovò ad ascoltare le parole del padre di Rodolfo, non perse un solo attimo di tempo, mandò un servitore a prendere in camera le proprie borse con l’attrezzatura chirurgica e poi salì nuovamente sul carro trainato dal suo Marcoaurelio, un cavallo nero e brutto come il peccato, per avviarsi immediatamente verso l’abitazione fuori città.

    Non appena vide la povera gamba martoriata e gonfia aveva compreso che occorreva amputarla però, mettendo in campo tutta l’esperienza accumulata nella sua lunghissima vita, contò di riuscire anche a mantenere le articolazioni del ginocchio.

    Quello che, in quel tardo pomeriggio piovoso, aveva praticato sul giovanissimo Rodolfo fu un intervento chirurgico piuttosto brutale, ma quando l’avevano chiamato al suo capezzale ormai la situazione era disperata e quello era l’unico modo per salvargli la vita.

    Nei cinque giorni successivi l’anziano chirurgo era rimasto nella fattoria continuando a prendersi cura del bambino e, soprattutto, a mantenerlo sedato per evitargli di dover sopportare la fase più atroce dei dolori post operatori.

    Usare gli infusi di fiori di papavero sugli adulti comportava sempre una certa quantità di rischi, ma su un fanciullo, per di più molto debilitato, ogni errore di dosaggio poteva rivelarsi letale.

    Quando Ezio capì che il ragazzino si trovava fuori pericolo, aveva fatto ritorno in città, ma continuò ad andare a visitarlo due volte alla settimana e questo fece sì che tra loro nascesse una piccola amicizia.

    Un nitrito stizzito di Marcaurelio attirò l’attenzione del medico.

    Il cavallo, a dimostrazione che era un vero attaccabrighe, piuttosto che niente stava litigando con due cinciallegre. I due piccoli uccelli cinguettavano furiosi volteggiando agguerriti intorno al suo muso mentre lui, sbuffando, continuava a mordere e strattonare il basso ramo di quercia dove evidentemente loro avevano fatto il nido.

    - Ma è possibile che riesci a infastidire anche le bestiole più innocue? – Brontolò il medico sollevandosi in piedi per poi agitare minacciosamente il proprio bastone alla volta del cavallo.

    Marcoaurelio diede ancora un violento strappo al ramo e poi, non pago, cercò di mordere al volo uno dei due uccelli che si era avventato verso il suo muso. Costretto suo malgrado a rinunciare alla rissa, rilasciò due roboanti peti e, dopo aver abbondantemente defecato, si avviò trotterellando in diagonale verso il centro del prato dove Rodolfo stava ancora correndo.

    - Non posso portarti al macello perché si rifiuterebbero anche di abbatterti, tanto sei vecchio e brutto, - Ezio agitò ancora una volta il proprio bastone alla volta del quadrupede, - ma continuo a domandarmi cosa mi impedisce di scacciarti e comprarmi uno splendido cavallo arabo.

    Marcoaurelio gli rispose con un nitrito beffardo e poi, avendo scorto dei movimenti dietro ad un cespuglio di lavanda, dirizzò le orecchie e si avviò a investigare forse sperando di poter attaccare briga con qualche altro povero animale.

    Il medico tornando a sedersi scrollò le spalle sconsolato.

    Voleva bene a quel vecchio cavallo iracondo. Quando lo aveva acquistato presso un macello pubblico di Pavia lo aveva chiamato come il grande imperatore romano filosofo. Lo stesso aveva già fatto con tutti i suoi predecessori perché, visto che le bestie erano la brutta copia una dell’altra, tanto valeva che portassero pure tutte lo stesso nome.

    Marcoaurelio, dopo essersi avvicinato con circospezione alla pianta di lavanda, tuffò il proprio muso tra gli steli coperti di grappoli di profumati fiori viola provocando la fuga di una piccola lepre. Felice come un giovane puledro emise un nitrito soddisfatto e si lanciò all’inseguimento. La sua corsa irregolare non era paragonabile a quella di qualsiasi altro quadrupede sulla terra. Procedeva slanciando in avanti le zampe come se non sapesse nemmeno lui come usarle. Ne derivava un procedere assolutamente irregolare, privo di qualsiasi ritmo, con gli zoccoli che colpivano il suolo senza una precisa cadenza. Sembrava sempre sul punto di inciampare ed invece Ezio, da quando lo aveva preso al proprio servizio, non lo aveva mai visto neppure incespicare.

    La piccola lepre, dopo un paio di guizzi a destra e a manca, riuscì a sfuggire all’inseguitore e così, dopo aver sottolineato il proprio disappunto con l’ennesima correggia, il cavallo decise di ritornare nelle vicinanze del medico.

    - Sono stanco e la gamba mi fa male. Possiamo ritornare a casa? – Domandò Rodolfo incamminandosi dietro al quadrupede.

    - Certamente. Preparo il carro e andiamo. – Rispose Ezio arrotolando con cura la pergamena che stava nuovamente leggendo.

    - Ho raccolto dei fiori per la mamma. – Disse il bambino mostrando il mazzetto di margherite bianche e gialle che stringeva in pugno.

    - Bravo. Ne sarà contenta. Marcoaurelio! Vieni, che dobbiamo riportare a casa il nostro piccolo amico!

    Il cavallo per qualche istante sembrò volersi rifiutare, poi, dopo aver fissato con in suoi occhi perennemente arrossati l’anziano uomo affiancato dal ragazzino, decise di non creare problemi e da solo prese posto docilmente tra le stanghe del carro.

    Ezio si chinò e con infinita delicatezza afferrò Rodolfo e lo posò in cassetta.

    La sua lunghissima carriera di medico e chirurgo era iniziata a Costantinopoli nella scuola di Giustino, il più famoso chirurgo di corte. La continuò prestando con onore servizio nell’esercito. Dopo essersi congedato, ormai da quasi cinquant’anni proseguiva a perfezionarsi e a prodigarsi a curare qualsiasi tipo di malattia o trauma, aveva visto ogni possibile menomazione del corpo umano, ma nonostante ciò non smarrì mai la pietas verso chi in quel momento soffriva, tanto meno se le vittime erano bambini.

    Dopo che anche il secondo viaggiatore ebbe preso posto sul carro, senza bisogno di ordini o incitamenti, Marcoaurelio si avviò con andatura svogliata verso la fattoria.

    - Posso avere un granello di sale arabo? – Domandò il ragazzino mentre si massaggiava la gamba menomata.

    - Se non ricordo male ieri sera dovrei averne giusto presi due dalle mie borse. – Rispose il dottore frugando con la mano in una tasca della sua veste. - Che ne dici se ce li dividiamo?

    - Sì! – Gridò felice Rodolfo dimenticando per qualche momento i suoi dolori.

    La mano di Ezio ricomparve e sul suo palmo vi era un piccolo pezzo di stoffa arrotolato che, una volta aperto, mostrò due piccoli cristalli bianchi grandi quanto dei grani di pepe.

    - Scegli prima tu, io intanto mi aggiusto il cappello che continua a scivolarmi all’indietro.

    Il piccolo prese con deferenza la stoffa, poi soppesò attentamente con lo sguardo i due granelli candidi scegliendo infine quello che gli era sembrato il più grande.

    Il resto del viaggio di ritorno fu assolutamente tranquillo, con Marcoaurelio che decideva autonomamente l’andatura e i due sul carro che conversavano sottovoce.

    La fattoria dei genitori di Rodolfo era una bassa costruzione che, secoli prima, doveva essere appartenuta a qualche piccolo proprietario terriero romano. Una volta giunti i Vandali, la proprietà aveva cambiato di mano, ciò non si era ripetuto sotto la conquista araba perché gli invasori si erano limitati a conquistare le città lasciando una discreta autonomia alle popolazioni locali.

    Questo spiegava i capelli biondi del bambino, come pure quelli di due sue sorelle e della madre, mentre il padre e altri tre fratelli avevano carnagione e capelli più scuri, sicura traccia della presenza di una percentuale di sangue romano o più probabilmente iberico nelle loro vene. Nei tratti somatici non compariva invece nessuna delle caratteristiche tipiche delle popolazioni arabe.

    Oltre al fabbricato principale, le stalle e il fienile, lungo i lati dell’aia vi erano altre tre case con i tetti di paglia in cui abitavano le famiglie dei braccianti che lavoravano la terra agli ordini di Abraglia, il padre del bambino.

    Il giorno della disgrazia alla guida del carro che aveva schiacciato la gamba di Rodolfo c’era uno dei figli del più anziano dei braccianti. Come si venne a sapere in seguito, già altre volte il bambino era passato correndo tra le ruote del pesante mezzo, ma questa volta si era inciampato e non era riuscito a evitare che una delle ruote gli passasse sopra alla gamba. Nonostante il dolore per l’accaduto, Abraglia non mise in atto alcuna vendetta e questo aveva vieppiù aumentato la stima che i braccianti portavano verso di lui.

    Appena l’anziano chirurgo e il bambino giunsero davanti alla costruzione padronale, un solido edificio in pietra e mattoni, Marcoaurelio emise un sonoro nitrito e dalla porta uscì Fulla, una delle sorelle di Rodolfo che, dopo aver aiutato il fratello a scendere dal carro, lo prese per mano è lo accompagnò in casa.

    - Ezio! Finalmente siete arrivato! Non hanno saputo dirmi dove avrei potuto trovarvi, se no mi sarei affrettato a raggiungervi.

    Il medico, con una parte della sua lunga veste color verde chiaro ancora raccolta in una mano e il piede destro parzialmente sollevato per scendere a terra si bloccò e, spostando all’indietro l’ampio cappello di paglia, osservò incuriosito un prestante giovane uomo che, dopo essere a sua volta uscito di casa, gli stava venendo incontro tutto sorridente.

    - Abu, che cosa ti porta qui in campagna lontano dai tuoi studi e dai tuoi libri? – Domandò Ezio scendendo e appoggiando con precauzione sulla terra battuta ambedue i piedi calzati da scarpe a punta rivestite di pelle conciata.

    - Ho fatto una scoperta incredibile e allora sono corso subito da voi. – Rispose il giovane che non riusciva a stare fermo per l’eccitazione.

    Il medico, conoscendo la proverbiale avversione del suo interlocutore per qualsiasi esercizio fisico, lo squadrò da capo a piedi con i suoi limpidi occhi azzurri.

    A dispetto della sua passione per la medicina e i libri Abu aveva un fisico degno di un ginnasta della Grecia classica: alto ben oltre sei piedi, spalle larghe, fianchi stretti e muscoli perfettamente tonici e definiti; due occhi scuri illuminavano il suo viso regolare incorniciato da lunghi e folti capelli neri.

    Vedendo che il giovane teneva in mano con reverenza una pergamena dall’aspetto molto antico, Ezio fece con impazienza due passi verso di lui.

    - Allora che mi devi dire?

    Abu non rispose, ma porse il rotolo al medico e questi, non appena lo ebbe in mano, riconobbe immediatamente il sigillo, ormai spezzato, che un tempo la racchiudeva.

    Viene dall’antica biblioteca perduta di Alessandria!

    2

    - Shh, fate piano! – Intimò Abu sottovoce. – Quella dovrebbe essere l’acquasantiera.

    Nonostante il suo richiamo fosse stato fatto con appena un filo di voce, sembrò che le parole volassero da una colonna all’altra della grande moschea e, invece di affievolirsi, acquistassero nuova sonorità percorrendo le undici navate separate l’una dall’altra da aggraziati pilastri di marmo sicuramente provenienti da antichi edifici romani e dalla preesistente chiesa che sorgeva sul posto.

    -Tu vorresti che spostassimo quel blocco di marmo? – Domandò Khalid con un sussurro incredulo. – Ma sei impazzito?

    - L’architetto ha scritto che spostandola di lato si può accedere alla scala che porta alla cripta. Non credo che anche allora fossero necessari dieci uomini per aprire il passaggio segreto, se no che segreto sarebbe stato?

    - Qui finiamo tutti male. – Khalid non era un vigliacco e neppure un uomo timoroso, ma quello che stavano facendo travalicava ogni limite dettato dal buonsenso. – Se le guardie ci scoprono mentre profaniamo la moschea, finiamo tutti e due con la testa sul ceppo del boia! Per non parlare dell’infedele al nostro seguito!

    - La profanazione alla fine sarebbe ancora la cosa meno spiacevole. – Abu non era disposto ad essere additato come unico incosciente del gruppo. – Il fatto ancor più grave è che abbiamo introdotto pure due donne nella parte di moschea riservata agli uomini! Secondo me prima di tagliarci la testa ci scuoiano!

    Seppur quella fosse l’ora serale in cui il luogo di culto era poco o niente frequentato, questo non li poneva completamente al sicuro, qualcuno poteva sempre giungere per una tardiva preghiera.

    - La finite di brontolare e vi sbrigate a spostare quell’acquasantiera così vediamo se lo scritto lasciato dal marito di Musheera risponde a verità? – Farida non vedeva l’ora di entrare in azione e mal sopportava le esitazioni dei suoi compagni.

    - Vorresti dire che il mio amato Bashir ha scritto delle falsità? Guarda che non permetto a nessuno di infangarne il ricordo! – Minacciò Musheera quasi rivoltandosi verso la donna più giovane.

    Dopo che sei rimasta vedova ci hai messo davvero poco a farti scaldare il letto dal mio amico Abu e adesso ne prendi le difese? Pensò Farida evitando però di esprimere il suo giudizio a voce alta.

    - Ora ci manca solo che queste due si mettano a litigare qui!- Khalid era sempre più convinto che quella spedizione avrebbe condotto tutti in un mare di guai. – Anche se siamo riusciti ad entrare in un momento in cui generalmente non c’è nessuno, potrebbe sempre sopraggiungere qualche fedele.

    - Donne, fate silenzio! E voi due, invece di dondolarvi sulle gambe, vedete se riuscite a spostare quel blocco di marmo. Arrivato alla mia età non vorrei farmi ammazzare perché mi sono accompagnato a dei buoni a nulla! – Le parole sussurrate da Ezio tacitarono le donne e spinsero i due giovani a mettersi all’opera.

    In realtà non occorse utilizzare molta forza perché, grazie a un perfetto meccanismo e a una serie di contrappesi posti all’interno della parete alle spalle dell’acquasantiera, il blocco marmoreo comprendente la vasca e il retrostante supporto ruotò su se stesso permettendo a tutti loro di scorgere, appena illuminata dalla fioca luce delle poche lanterne appese alle volte delle navate, la via d’accesso alla sottostante cripta.

    - Allora! Adesso che volete fare? – Domandò Farida con tono spazientito. – Entriamo o restiamo qui ad attendere l’arrivo delle guardie?

    Gli altri quattro le scoccarono occhiate risentite, ma poi, uno alla volta, si infilarono nell’apertura iniziando a scendere le ripide scale in pietra illuminate solo dalla piccolissima lanterna tenuta in pugno da Abu.

    Il primo della fila era il giovane scopritore della pergamena che sorreggeva in alto la loro unica fonte di luce, dietro di lui procedevano Ezio, Farida e Musheera, per ultimo veniva Khalid che, dopo essere sceso per due scalini, si era voltato e aveva cercato di riposizionare meglio che poteva l’acquasantiera.

    Quando Abu gli aveva mostrato la pergamena con il sigillo della biblioteca di Alessandria, Ezio ne era rimasto colpito, ma già in passato aveva avuto occasione di visionare, soprattutto a Costantinopoli, altri reperti sfuggiti alla distruzione, misere briciole dell’immenso sapere un tempo conservato alla foce del Nilo.

    Nella città fondata dal grande Alessandro Magno, era stato Tolomeo I Sotere a ordinarne la costruzione e fu il grande Zenodoto di Efeso, famoso per l’edizione critica dei poemi di Omero, ad essere il primo direttore della biblioteca imponendo la sistemazione in ordine alfabetico del già consistente patrimonio librario.

    Durante i secoli successivi, sia lo splendido edificio che il suo contenuto, erano stati più volte danneggiati portando a perdite di documenti dal valore inestimabile. Teodosio I con il suo editto di Tessalonica e i successivi decreti aveva già seriamente messo in pericolo quel tesoro di saperi, ma erano stati gli Arabi del generale Amr ibn al-As, su ordine del Califfo Omar, a decretarne la fine distruggendo quanto era rimasto.

    Nei decenni successivi al disastro tra gli eruditi girarono leggende circa una parziale sopravvivenza dei contenuti della biblioteca, ma nessuno era riuscito a scoprire, ammesso che tale notizia avesse un minimo di fondamento, dove potevano essere stati nascosti.

    - Che posto enorme! – Esclamò Musheera quando riuscirono ad accendere tutte le lanterne che si erano portati appresso.

    - Sembrerebbe corrispondere alla stessa superficie della chiesa visigota di San Vincenzo che esisteva prima della moschea. – Disse Abu facendo alcuni passi tra le possenti colonne di pietra che sostenevano le volte del soffitto.

    - E’ incredibile che abbiano lasciato questa grossa cavità sotterranea. – Khalid aggirò due colonne e si ritrovò a fissare un bassorilievo in cui si vedevano due angeli sollevare un uomo verso il cielo.

    - Qui sotto è pieno di immagini profane. – Commentò Farida avvicinandosi ad una parete per osservare meglio alcune figure. – Com’è possibile che non siano state distrutte?

    - Come vi ho raccontato ieri Bashir, il compianto marito di Musheera, era l’architetto incaricato dall’emiro Abd al-Rahmān I di progettare e seguire i lavori della costruzione della nostra moschea. – Abu appoggiò una mano su una delle colonne e si accorse che era perfettamente liscia. - Una volta demolita la chiesa si era posto subito il problema delle fondazioni, almeno nella parte occupata dal precedente edificio religioso. Avrebbero potuto riempire di terra la cripta, ma per un discorso di economicità e di riduzione dei tempi di costruzione, visto che le volte della cripta erano in perfetto stato, hanno preferito limitarsi a chiuderla ed edificarci sopra.

    - Mio marito era un grande studioso, un bravissimo architetto e uno dei più grandi eruditi che sia vissuto nelle terre di al-Andalus. Odiava distruggere le cose fatte bene, anche se queste avevano origini cristiane e così se poteva cercava di preservarle. – Musheera voleva che tutti avessero ben chiaro che era stata sposata a un uomo importante.

    - Vi sembra il momento di stare a conversare sui pregi e le qualità del suo defunto marito? – Domandò Khalid. – Vorrei ricordarvi che più restiamo qui sotto e più aumentano le probabilità che qualcuno si accorga del passaggio segreto e dia l’allarme.

    - Ha ragione Khalid, non possiamo permetterci di perdere tempo! – Farida era ben conscia dei rischi che stavano correndo. - Allora, cosa dobbiamo cercare? Una mappa? Un disegno? Delle scritte con le indicazioni di come ritrovare i libri e i manoscritti?

    - Sai benissimo che non lo so. – Abu sapeva che quella era la vera nota dolente. - Gli scritti lasciati da Bashir non dicono cosa cercare perché neppure lui lo sapeva. Tant’è che nonostante si fosse impegnato a fondo non ha mai trovato nulla.

    - E quindi se lui, avendo avuto a disposizione anni, non ha scoperto nulla, come possiamo pensare di farlo noi nel poco tempo che ci è concesso? – Farida, dopo aver visto quanto spazio avrebbero dovuto esplorare, sembrava sul punto di mandare tutti al diavolo.

    - Perché con noi c’è Ezio! – La risposta di Abu fece convergere tutti gli sguardi sull’anziano medico che in quel momento stava osservando un’immagine di San Giovanni Battista scolpita sopra una delle tante colonne.

    Da come mi stanno osservando sembrerebbero in attesa che io mi metta a gironzolare qui intorno annusando pilastri e pareti per poi annunciare, magari scodinzolando, di aver scoperto l’arcano!

    In fondo pure lui capiva che quella spedizione notturna aveva pochissime possibilità di portare qualche frutto. Non sapevano cosa cercare e neppure dove guardare.

    Ciò che vedo intorno a me e sulla mia testa sono le prove tangibili della nostra transitorietà su questa terra e, soprattutto, che nulla di quello che crediamo è una certezza definitiva Ezio prima di avventurarsi in quella spedizione notturna aveva cercato di documentarsi sull’edificio che si apprestavano a esplorare. "Gli iberici in questo posto vi avevano costruito un tempio dedicato a qualche loro divinità, poi sono arrivati i romani e lo hanno modificato per poi intitolarlo a Mitra, nell’era cristiana è stato ampliato e consacrato a San Vincenzo, adesso è una moschea dedicata a Allāh. Ogni stagione ha i suoi uomini che si prostrano davanti a quelle che credono immortali verità rivelate, salvo poi essere sostituiti e dimenticati da altri che giungono al loro posto cambiando i nomi da adorare mantenendo però sempre le identiche certezze."

    Quando Abu gli aveva mostrato la pergamena con il sigillo della biblioteca di Alessandria, gli aveva pure parlato di una specie di diario tenuto dal marito della sua attuale amante. L’uomo, oltre ad annotare i progressi dei lavori, aveva descritto la cripta e il passaggio per accedervi. Aveva pure riportato una leggenda di cui anche Ezio, seppur non in modo particolareggiato, aveva già sentito parlare in alcuni scritti tratti dalle cronache di un monaco anacoreta che, dopo essere vissuto a lungo in un monastero cenobitico in Egitto, aveva trascorso i suoi ultimi anni di vita lavorando nello scriptorium dell’Abbazia di San Colombano a Bobbio.

    La storia narrava delle vicende dell’ultimo Vescovo nominato dal Patriarca di Alessandria prima della conquista araba. Costui assunse il nome di Aniano, come il primo rettore della Cattedra di San Marco, allora nominato dallo stesso santo quando questi lasciò la città per raggiungere Pietro a Roma.

    Dopo l’editto di Milano del 313, finalmente liberi di agire alla luce del sole, i Patriarchi si assunsero anche il compito di mantenere nel tempo a venire la grande biblioteca presente nella loro città e Aniano ne fu l’ultimo direttore.

    All’arrivo delle truppe arabe, avendo ben chiaro che le poche unità di Costantinopoli presenti in città non avrebbero potuto contrastare le forze nemiche, con la benedizione del Patriarca, il Vescovo dovette affrontare la decisione dolorosa di abbandonare parte del tesoro culturale a lui affidato per portare in salvo almeno i testi più importanti e antichi.

    Otto carri trainati da possenti buoi lasciarono di notte la città avviandosi verso sud. Li guidavano sedici giovani chierici e alla loro testa vi era Aniano. Da allora nessuno in terra d’Africa aveva più avuto notizie di loro e del prezioso carico che trasportavano.

    Dai testi ritrovati e conservati da Bashir sembrava che il Vescovo avesse nascosto libri e manoscritti in qualche città del deserto e poi, dopo aver lasciato i chierici a vegliarli, si era diretto in Spagna fermandosi a Cordova dove per anni aveva guidato la locale comunità cristiana. Conosciuto da tutti con il nome di Zenodoto da Efeso era morto senza rivelare nulla di preciso sulle vicende che lo avevano condotto nella penisola iberica. Adesso, se quegli scritti ritrovati dall’architetto fossero veramente attribuibili al prelato alessandrino, sembrerebbe allora aver lasciato delle indicazioni per ritrovare ciò che restava della biblioteca di Alessandria. Secondo Aniano esse erano sotto gli occhi di tutti e quando, nei secoli venturi, Dio avesse deciso che era giunto il momento, avrebbe mandato uno studioso in grado di coglierli.

    Quindi che cosa dovevano rintracciare?

    - Se i documenti ritrovati nella nicchia sotto l’altare della cripta da parte del marito di Musheera non sono dei falsi, direi che dobbiamo cercare qualcosa di non facilmente deperibile, quindi niente pergamene o libri. – Mormorò Ezio, quasi stesse parlando tra sé.

    - Ma qui sotto, a parte tutti questi bassorilievi e statue, sembra non esservi rimasto nient’altro! – Rispose Khalid gettando poi uno sguardo alla scala che avevano disceso.

    - Se io dovessi tramandare un messaggio e volessi essere sicuro che fosse ancora leggibile dopo molti secoli, lo scolpirei nella pietra. – Il medico prese ad aggirarsi tra le navate sotterranee. – Aiutatemi a cercare!

    - Però dovremo dare la caccia a qualcosa di nascosto, camuffato tra molti altri simboli e segni, perché non credo che Aniano abbia lasciato una scritta dove ha indicato chiaramente il luogo in cui trovare i resti della biblioteca. – Abu sollevò la sua lampada ed iniziò a scrutare con attenzione le figure lungo un tratto di muro. - Altrimenti l’avrebbero già scoperta, no?

    Giusto, ma noi come facciamo a trovare le sue indicazioni? Pensa Ezio, pensa. Tu che avresti fatto?

    L’anziano chirurgo si fermò e permise alla sua mente di sgombrarsi da ogni pensiero legato al tempo che scorreva via veloce e ai rischi che stavano correndo.

    I suoi occhi, ancora buoni nonostante l’età, scivolavano lungo le pareti illuminate a tratti dalla luce delle lanterne e ad un certo punto si accorse che il grigio di una lastra di pietra del rivestimento era di una sfumatura più chiara rispetto a quelle accanto. Sembrava che fosse meno antica di quelle che la circondavano.

    Che cieco sono stato!

    - Venite! Forse ho trovato qualcosa. Guardate qui! – Disse facendo un paio di passi in avanti e sollevando bene la lanterna.

    Tutti gli altri componenti di quella spedizione lo raggiunsero e rimasero a guardare il bassorilievo indicato dal medico.

    - Che cosa vedete? – Domandò Ezio.

    - Un’immagine della madonna o di una santa. – Rispose per tutti Musheera.

    - Io invece vedo la musa Clio.

    - Clio? – La vedova era incredula.

    - Intendi dire che quella è la rappresentazione di una delle figlie di Zeus nate dalla sua unione con Mnemosine, la Dea della memoria? – Domandò Abu dando sfoggio di tutta la sua erudizione.

    - Certo, - rispose il medico, - e se non mi fossi fatto fuorviare dal fatto che siamo in una cripta cristiana l’avrei riconosciuta immediatamente. Vedete? Seduta con una pergamena in mano. Siamo di fronte a colei che rende celebre la storia.

    - Ammesso che quella sia davvero l’immagine di una musa, ora che dovremmo fare? – Domandò Khalid la cui unica vera preoccupazione continuava ad essere legata ai rischi che stavano correndo.

    Anche se lui era il nipote o meglio, come amavano rimarcare i suoi amici, uno dei nipoti del grande Abd al-Rahman ibn Mu’awiya fondatore dell’emirato di Cordova, se le guardie della moschea li avessero sopresi in mezzo a tutte quelle immagini cristiane, non avrebbe goduto di alcun trattamento di favore, né tanto meno i suoi compagni. Questo sembrava che tutti gli altri lo avessero dimenticato.

    - Potremmo provare a leggere cosa c’è scritto sulla pergamena. – Rispose Abu facendosi avanti e ripulendo con la mano il bassorilievo. – Se il vescovo ha fatto togliere la lastra precedente per piazzarci questa immagine, forse ha pure lasciato scritto un messaggio.

    - C’è davvero scolpito qualcosa? – Domandò Farida sporgendosi oltre le sue spalle.

    - Sì. C’è scritto: la tragedia tocca la città della biblioteca.

    - Alessandia? – Il tono di Musheera era sconsolato. – Allora ne sappiamo quanto prima. Certo che per un vescovo cristiano la tragedia ha colpito Alessandia! La città è stata conquistata, la biblioteca incendiata ed ora su tutte quelle terre regna la vera fede indicata dal nostro Profeta.

    Mentre la donna parlava, Ezio aveva continuato a controllare le figure vicino a quella della musa alla ricerca di qualche altra parte del rivestimento che risultasse più recente rispetto a quelle circostanti.

    - Non la tragedia, ma La tragedia. Aniano ha lasciato scritto di cercare un’altra musa. – Disse il medico indicando un’altra immagine a poco più di due pertiche di distanza dalla prima.

    - Un bastone appoggiato su una spada con sopra una maschera? Questa sarebbe l’altra musa? – Musheera continuava a dimostrarsi scettica. Forse quell’uomo incredibilmente vecchio aveva perso, se non completamente, almeno una parte di senno.

    - Sì, stiamo parlando di Melpomene, colei che canta la tragedia. – Le rispose Abu cercando di contenere la propria eccitazione. – Alle volte viene rappresentata con una maschera, una spada e il bastone di Ercole.

    - La maschera con i suoi bordi tocca un albero e una giovenca con davanti un fiore di loto. – Commentò Farida dopo essersi avvicinata a guardare.

    - Dendera! – Disse Ezio quasi fosse stata una cosa ovvia per tutti. – Ecco dove si trovano i resti della biblioteca di Alessandria. L’albero è un sicomoro del sud e la giovenca con lo scettro a forma di fiore di loto è la dea Hathor.

    - Hathor era onorata solennemente a Dendera da sacerdoti e sacerdotesse che svolgevano i loro riti all’interno di un importante tempio eretto in suo onore. – Spiegò Abu dando fondo alle sue conoscenze sull’antico Egitto. – Dendera ovvero Ta-netheret, la città della Dea.

    - Allora volete dire che il Vescovo Aniano ha nascosto gli otto carri di libri, manoscritti e papiri nel tempio della dea Hathor a Dendera contando che un giorno qualcuno decifrasse le sue indicazioni scolpite in questa cripta e riuscisse in tal modo a ritrovarli? – Khalid iniziava a presagire un prossimo viaggio in Egitto. – Ma come poteva ragionevolmente affidarsi a una simile congettura? Quante possibilità c’erano che veramente accadesse, ammesso che tutte le nostre supposizioni siano esatte?

    - Questo potremo scoprirlo solo andando laggiù. – Rispose Ezio. - Habent sua fata libelli.

    Acta est fabula

    (La storia è finita.)

    Quanto può valere una spada stretta in pugno da un uomo a cui sono stati cavati gli occhi?

    Se qualcuno glielo avesse domandato alcuni anni prima, Costantino VI, figlio di Leone IV detto il Cazaro e di Irene, avrebbe risposto senza esitare: nulla.

    Quel giorno però, nell’anticamera del suo appartamento nella grande villa costruita sul fianco scosceso del promontorio che domina la piccola isola di Saria, la sua opinione sarebbe stata ben diversa e quasi certamente avrebbe risposto: tutto, perché quando sei completamente impotente, anche un inutile appiglio diventa un sostegno per affrontare il destino con dignità.

    Stavano arrivando per ucciderlo e questo non lo sorprendeva minimamente perché sapeva di essere sopravvissuto ben quattro anni oltre quello che, per volontà di sua madre, doveva essere il suo appuntamento con il Creatore dell’universo e di tutte le cose.

    In fondo, quel 15 agosto del 797, nessuno si sarebbe aspettato che potesse guarire dall’atroce e volutamente maldestra asportazione degli occhi avvenuta nella stessa sala in cui 36 anni prima, tra onori e fasti, era stato battezzato.

    Poche ore prima della mutilazione era caduto vittima di una congiura di palazzo ordita da sua madre e organizzata fin nei minimi dettagli da Aezio, il potentissimo eunuco da sempre al servizio dell’imperatrice. Lo avevano assalito mentre ritornava al palazzo Mamante, ma grazie al sacrificio delle sue poche guardie del corpo era riuscito a sfuggire momentaneamente ai cospiratori.

    Arato, il suo fedelissimo drungario, comandante della guardia, seppur ferito gravemente ad un fianco, lo aveva condotto fino alla riva del Bosforo dove, con le ultime energie, aveva costretto un vecchio pescatore a mettere in mare la sua barca e a condurli verso la sponda asiatica.

    - Mio Signore...appena raggiungerete la riva, allontanatevi immediatamente e poi cercate di raggiungere Nicea. – Arato, steso sul fondo di legno dell’imbarcazione, più che parlare, rantolava. – Il turmaco e gli ufficiali di stanza in quella città vi sono completamente fedeli. Radunate in fretta tutta la guarnigione e poi dirigetevi verso Antiochia dove vi sono acquartierate tre tagmate appena rientrate dalla campagna contro gli Arabi. Con il loro appoggio nessuno potrà ostacolare un vostro ritorno a Costantinopoli.

    Costantino VI alternava la propria attenzione tra l’ufficiale morente e le due strette sponde del mare. Apparentemente su quella che avevano appena abbandonato non era ancora giunto nessun congiurato e su quella opposta non si notavano movimenti sospetti.

    Pur essendo un brevissimo tratto d’acqua, all’Imperatore parve uno spazio interminabile. Se fosse stato capace di remare si sarebbe precipitato a sostituire l’uomo seduto sulla tavola centrale, ma in vita sua non aveva mai governato una barca, né tantomeno aveva vogato.

    Il loro involontario conduttore faceva il proprio dovere alzando e poi immergendo nel grigio liquido salmastro i due remi, ma era terrorizzato. L’uomo, di un’età indefinita tra i quaranta e i sessant’anni, ogni volta che sollevava il suo viso stravolto cotto dal sole e dalla salsedine, puntava il proprio sguardo colmo di paura sui suoi due ospiti indesiderati e le sue labbra mormoravano preghiere a Dio e a tutti i santi. Il poveretto, pur non avendo alcuna conoscenza degli intrighi e delle congiure di palazzo, capiva benissimo che se l’imperatore, accompagnato da un altissimo ufficiale ormai agonizzante, stava fuggendo sulla sua miserabile imbarcazione, voleva dire che era caduto in disgrazia e quasi certamente chi lo avesse aiutato nella sua fuga sarebbe stato giustiziato.

    Costantino alzò lo sguardo sulla volta celeste che stava trascolorando dall’azzurro all’arancione intanto che il sole calava a occidente oltre l’orizzonte. Lo fece quasi distrattamente mentre cercava di progettare i prossimi passi della sua fuga.

    Pur in quella drammatica situazione non immaginava neppure lontanamente che quella potesse essere una delle ultime volte in cui avrebbe osservato quello splendido paesaggio trapuntato di piccole nuvole bianche sotto cui volteggiavano stormi di gabbiani impegnati a pescare il pesce poco sotto la superficie.

    L’imperatore non era certamente un bell’uomo, ma era di costituzione forte e robusta. Leggermente più basso della media, aveva le spalle larghe e un ampio torace. Le gambe erano decisamente corte, ma vigorose. I tratti del viso, seppur irregolari e butterati, non riuscivano a mettere in ombra le sue labbra sempre pronte, quando ve n’era motivo, a dischiudersi in un caldo sorriso. Portava i capelli, folti e castani, lunghi fino alle spalle.

    - Arato … - Chiamò forse per sentire ancora una volta la voce del fidato drungario, ma l’uomo che aveva cercato di proteggerlo durante gli ultimi otto anni, ormai giaceva morto in mezzo agli avanzi di pesce che costellavano il fondo della barca. Il suo sangue aveva ulteriormente scurito l’acqua sporca e stagnante che ricopriva la chiglia.

    Il comandante della Guardia gli era rimasto fedele quando nel 790 sua madre Irene lo aveva fatto arrestare per poi essere subito costretta a liberarlo sotto la pressione delle truppe anatoliche e grazie alle sue capacità diplomatiche era riuscito addirittura a farlo nominare unico imperatore, costringendo la sovrana a lasciare il Palazzo. A quel tempo Arato lo aveva scongiurato in tutti i modi di permettergli di eliminare quella donna, ma Costantino non se l’era sentita di fare uccidere sua madre e fu così che due anni dopo lei, tramando nuovamente con l’appoggio di Aezio, riuscì a riprendersi il titolo di Imperatrice e ritornare a corte.

    Altri dissidi e altre macchinazioni avevano punteggiato gli anni successivi ed ecco che ora era nuovamente lui il fuggitivo.

    La vita degli imperatori della dinastia isaurica, come d’altronde quelli delle dinastie precedenti, era stata costellata da morti violente e uno dei pochi che riuscì a spirare di vecchiaia restando al potere era stato il suo bisnonno Leone III detto ‘l’Isaurico", per il resto o si periva in battaglia o si cadeva per mano dei congiurati.

    La barca toccò il fondale e, con un sordo rumore, raschiò i ciottoli della breve spiaggia, poi si fermò bruscamente a un paio di passi dalla riva. Il pescatore, a dispetto della sua età avanzata, lasciò i remi e senza proferir parola balzò in acqua, poi fuggì senza voltarsi lasciando il suo imperatore in piedi nell’imbarcazione ondeggiante.

    Costantino, seppur con minore agilità, lo imitò. Dopo essersi allontanato dalla sponda si fermò e si guardò intorno. Fin dalla sua nascita, insieme a lui vi erano sempre stati altri uomini pronti a precedere e soddisfare ogni sua necessità. Anche quando aveva guidato l’esercito in battaglia era stato attorniato da alti ufficiali e attendenti per cui si era dovuto limitare a dare alcune disposizioni, invece ora era da solo e si rese conto di non saper cosa fare.

    Certo, si sarebbe potuto mettere a correre, ma per andare dove? Poco distante sorgeva un gruppo di basse case e a meno di un paio di stadi verso destra si scorgeva una costruzione più grande, sicuramente una villa. Arato gli aveva detto di andare a Nicea e poi ad Antiochia, ma come avrebbe fatto a raggiungere la salvezza se non aveva nessun mezzo di trasporto? Doveva rischiare di andare alla villa e chiedere al proprietario un cavallo?

    I suoi dilemmi vennero risolti dall’arrivo di un gruppo di congiurati che, evidentemente ben indirizzati da Aezio, si erano appostati su quella sponda per catturarlo in caso di fuga.

    Trovandosi accerchiato da una ventina di uomini armati, lui non oppose resistenza e loro si dimostrarono veloci ed efficienti. Lo legarono e imbavagliarono, poi lo coprirono con i loro mantelli per impedire a chiunque di riconoscere il loro prigioniero, infine lo sospinsero verso un carro che attendeva poco distante e lo trasportarono fino ad un dromone ormeggiato a poco meno di un miglio più a nord.

    Due ore dopo, ancora legato, venne portato al cospetto di sua madre che per l’occasione si era vestita con il manto imperiale e tra i capelli portava un diadema tempestato di gemme.

    Pochissimi assistettero alla sua mutilazione. Irene non aveva detto una parola, Aezio si era limitato a fare un cenno al boia e ai suoi assistenti che immediatamente lo avevano preso in consegna per poi costringerlo a stendersi sul pavimento.

    Se non fosse stato l’impotente vittima di quella situazione, sicuramente, come spesso amava fare in passato, avrebbe potuto ancora una volta filosofeggiare sul comportamento degli uomini e sui casi della vita. I suoi attuali aguzzini fino a poche ore prima erano ancora ai suoi ordini e avrebbero obbedito ad ogni suo cenno ed ora, con la stessa efficienza di cui molte volte avevano dato prova in passato, stavano occupandosi di lui.

    Pur assolutamente terrorizzato, perché nessun uomo affronta il proprio supplizio senza paura, quando vide quale strumento stava impugnando il suo carnefice, non riuscì ad impedirsi di pensare che ora stava per sperimentare quanto aveva fatto a suo zio Nikēphoros quando questi aveva tentato di usurpare il trono.

    Prima di iniziare gli tolsero il bavaglio e lui aveva urlato a lungo.

    Il rumore causato dallo schianto di un grande vaso gettato a terra nell’antistante peristilio, lo fece trasalire. All’inizio dell’assalto nella villa si erano levate grida di uomini e donne. Gli aggressori urlavano come indemoniati, mentre le vittime strillavano di paura o supplicavano pietà. Poi era calato il silenzio e Costantino si era preparato ad affrontare il proprio destino.

    Nessuno di coloro che in quegli ultimi anni aveva abitato quell’edificio solitario sull’isola di Saria poteva sperare in un atto di clemenza. L’imperatrice Irene aveva dichiarato pubblicamente che suo figlio Costantino VI era morto sul finire dell’estate del 797 e pertanto non poteva certo lasciare sopravvivere testimoni in grado di smentirla.

    In passato Costantino si era domandato cosa impedisse a sua madre di portare a termine quello che aveva iniziato quella sera nel palazzo imperiale, ma, pur facendo di volta in volta nuove ipotesi, non era riuscito a trovare una spiegazione logica per il prolungarsi della sua sopravvivenza.

    Spesso ne aveva discusso con Eunapio, un anziano filosofo che agli inizi del 798 Aezio aveva fatto trasportare sull’isola. Durante un soggiorno nella città di Afrodisia, proprio dinanzi al portale monumentale delle terme di Adriano, quell’uomo di profonda cultura aveva criticato pubblicamente l’eunuco e la risposta non si era fatta attendere.

    Naturalmente poteva essere l’ennesima spia inviata per tenerlo sotto controllo, ma Costantino fin da subito si era trovato a suo agio in compagnia del nuovo arrivato e così dopo alcuni giorni avevano inaugurato la prima delle passeggiate giornaliere che da allora avevano affrontato ogni volta che il clima lo permetteva. Parlavano di tutto, dalla politica alla filosofia, dalla religione all’arte del buon governo, fino ad arrivare a raccontarsi episodi della propria vita passata scoprendo di essere stati accaniti avversari per quanto riguardava la diatriba sull’iconoclastia.

    L’andatura dell’anziano erudito si confaceva perfettamente a quella dell’imperatore cieco e così, sostenendosi a vicenda, percorrevano di volta in volta sentieri diversi anche se nel giro di un paio di mesi avevano stabilito di comune accordo di averli perlustrati tutti, ma questo non impedì loro di riaffrontarli più e più volte.

    Quel giorno stavano camminando su un tracciato che portava nel punto più a nord dell’isola quando Eunapio si era bloccato di colpo.

    - Sta arrivando una galera carica di soldati. – Aveva detto con lo stesso tono che fino a poco prima usava per descrivere alcuni aspetti del paesaggio circostante.

    - Da dove giunge? – Aveva domandato Costantino volgendo il viso come se ancora, aguzzando lo sguardo, avesse potuto scorgerla a sua volta.

    - Da nord est. Quasi certamente è salpata da uno dei porti di Rodi. Troppi armati a bordo. Stanno arrivando per te, lo sai vero?

    - Lo so e non credo che lo facciano per riportarmi in trionfo sul trono a Costantinopoli.

    - Non lo credo neppure io. Tutto è possibile, ma se ti volessero riconfermare imperatore, sarebbero arrivati con più navi e decisamente più sfarzo. Quella che sta giungendo sembrerebbe quasi una nave di pirati.

    - Sai benissimo che quegli uomini non lo sono. Aezio per fare questo lavoro li avrà fatti arrivare da qualche lontana guarnigione di frontiera e appena avranno finito, sarà laggiù che in fretta li rispedirà.

    - Probabilmente pure loro non arriveranno mai a destinazione. – Eunapio si concesse il tempo di un sospiro. - Qualche altra guarnigione li assalirà durante il tragitto di ritorno e l’ordine sarà quello di non fare prigionieri. Così scompariranno gli ultimi testimoni della tua sopravvivenza all’accecamento. Direi che dovremmo ritornare alla villa. Se ci incamminiamo ora arriveremo prima di loro.

    E così era stato. Arrivarono alla villa e portarono la notizia dell’arrivo della nave. Tutti avevano

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