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La Supernova Keplero: La prima indagine dell'Ispettore Capo Roberto Costa
La Supernova Keplero: La prima indagine dell'Ispettore Capo Roberto Costa
La Supernova Keplero: La prima indagine dell'Ispettore Capo Roberto Costa
E-book348 pagine5 ore

La Supernova Keplero: La prima indagine dell'Ispettore Capo Roberto Costa

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Info su questo ebook

Ottobre 2015, le sette di sera, M.B., senza lasciare alcuna traccia, scompare dalla fonderia di famiglia; le ricerche, dopo le prime ore, si concentrano all'interno dello stabilimento e comincia a prendere forma la macabra ipotesi che il suo corpo sia stato fatto scomparire proprio attraverso uno degli altiforni. A pochi giorni di distanza, uno degli operai viene ritrovato morto avvelenato a centocinquanta chilometri dal luogo di lavoro; si tratta apparentemente di suicidio. Il fatto di cronaca, l'indagine ancora aperta durante la stesura del manoscritto, ispirano la trama di questo romanzo che porterà il lettore, sulle tracce della "verità", a viaggiare attraverso l'Europa e a conoscere la figura dell'Ispettore Capo Roberto Costa, carica dei suoi drammi e della sua ironica accettazione della vita.
LinguaItaliano
Data di uscita26 mag 2022
ISBN9791221405682
La Supernova Keplero: La prima indagine dell'Ispettore Capo Roberto Costa

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    Anteprima del libro

    La Supernova Keplero - Alessandro Pedretti

    Dal nove ottobre del 1604 la supernova Keplero fu vista ad occhio nudo nel cielo della Terra per diciotto mesi consecutivi, e nel suo punto di massimo splendore brillò di giorno come di notte più di ogni altra stella tranne il Sole, e più dei vicini pianeti. Distava dalla Terra non più di ventimila anni luce. Quando il giovane astronomo l’osservò per la prima volta dai marciapiedi di Praga, era esplosa ormai da duecento secoli.

    Del resto di Keplero (come vien definito ciò che rimane di quella potente e misteriosa reazione) ora ne parlano i giornali, le reti, la rete.

    Lo fiutano i cani.

    Lo pensano le polizie.

    Lo piangono gli amanti.

    Lo vogliono tutti, ma…

    Chi sa da quanto tempo era esplosa la scintilla da cui scaturì la fiamma che divampò in idea e lacerò il pensiero divenendo atto omicida, prima che la luce arrivasse a colpire i nostri occhi?

    L’assassino protegge la verità come un giocatore di scacchi fa col suo re.

    parte prima

    Regno di Spagna

    .

    uno (disoccupato suona uguale a filosofo … e a morto di fame)

    Lo scintillio del sole sulle increspature dell’acqua gli ricordava le mattine di età scolare, l’andirivieni dei coetanei dietro la sua schiena e lui, seduto gambe a penzoloni sulla banchina, che fissava la rampa in cemento che scendeva nel mare, coi segni delle barchette impeciate tirate in secca. Si vergognava troppo di essere come era per unirsi a loro e al loro gaio cinguettio spensierato.

    Se ne stava ancora là come allora, trent’anni dopo, con in testa tutta un’altra progenie di pensieri e preoccupazioni, altre dal timore che l’insegnante lo cercasse a casa per l’assenza prolungata. La nuca gli scottava. Rasata di fresco s’arrossava al caldo sole della prossima estate. Una nuvoletta di moscerini s’agitava sopra la sua testa riducendolo ad un triste fumetto che rimugina mumble mumble sulle proprie cattive azioni.

    Una donna in vestaglia a fiori azzurri e maniche rimboccate fino ai gomiti spalancò le ante di un balcone della vicina Villa Fiorita, un grazioso B&B popolato da genti germaniche, per lo più, radi inglesi contromano e per certo da un francese che strillava già da alcuni minuti al telefono sul terrazzo con chicchessia chissenefregamonamour. Il vetro denudato della portafinestra rifletté il sole, illuminando qualcosa sui gradoni in cemento che scendevano in acqua, proprio sotto ai suoi piedi ciondolanti: sembrava un piccolo oggetto in metallo, un monile o un medaglione. Il riflesso era tormentato dalla lieve brezza che arruffava il pelo dell’acqua e portava odore di mare aperto; si sporse in avanti per vedere meglio, ma senza risultato. Cominciò allora ad arrotolarsi i pantaloni della divisa per immergere i suoi mingherlini stinchi di santo in quella incredibile nuova avventura, ma fu interrotto prima di subito da una voce famigliare che gli urlava contro allarmata: Rodrigo! Rodrigo!

    Dove t’eri cacciato? Il ragazzo (almeno cinque anni in meno di Rodrigo) aveva il fiato grosso per la corsa.

    Silverio! Riprendi fiato anziché buttarlo in domande a cui ho già risposto. Mi hai trovato, no?

    Dove non avrei voluto. Abbiamo appuntamento tra quindici minuti ai capannoni Mirolte!

    Rodrigo realizzò: Me n’ero scordato. Ma lo disse apaticamente, senza flessione alcuna, come non importasse. Riprese a rimboccarsi i pantaloni, con calma e metodico, curando la piega della stoffa come fosse un abito da sposo a cui prendere le misure.

    Che stai facendo?! L’espressione sul viso del giovane era schifata e attonita insieme. Non faremo in tempo … e perderemo il lavoro. Se gira voce che non siamo puntuali, nessuno si rivolgerà più a noi per spedire le proprie merci.

    Abbiamo divise nuove nuove però! È indice di grande serietà!

    Non mi fai ridere. Idiota.

    Mia madre era di Genova, sai? Come Colombo. Rodrigo si calò nell’acqua che gli arrivava sotto le ginocchia. Rabbrividì. Era ancora piuttosto fredda benché fosse maggio da tredici giorni. Anche lui è partito più tardi del previsto, ma s’è visto dove è arrivato!! E prese a rimboccarsi la manica destra della giacca, con la stessa cura avuta per i calzoni.

    Ma sei scemo!?

    Filosofo. Pausa riflessiva (guardava il mare, l’orizzonte, la risacca). Suona meglio.

    Disoccupato suona uguale a filosofo … e a morto di fame. E Colombo, comunque, non è arrivato dove pensava di arrivare!

    Fammi vedere cosa c’è qua … La voce usciva distorta dallo sforzo di piegarsi e immergere un braccio a cogliere quella luccicanza sul fondo della riva. E poi … andiamo!!! Esultò tirando fuori il braccio dall’acqua: aveva recuperato una collanina d’oro bianco. La mise in fretta e furia al collo con l’intimo intento di esaminarla più tardi, durante il viaggio.

    Non arriveremo mai per tempo!

    Prediamo una barca: per mare ci vogliono cinque minuti da qui al deposito e poi cinque col carro per arrivare ai magazzini! Chiamava carro il suo T. I. R., come fossero una vecchia ditta di trasporti su ruote di legno trainate da bestie. Ora parlava veloce per trasmettere la dovuta necessità d’estrema efficienza.

    Possiedi una barca magari?!

    No! Foglio e penna svelto!!! Il filosofo era stato scalzato dall’uomo d’azione in un repente volta pagina cinematografico. L’amico e collega eseguiva lesto: frugò nella borsa trovando vecchie bolle di trasporto e una penna a sfera mangiucchiata ma funzionante.

    Rodrigo era già sulla navicella, afferrò il foglio e scrisse grande e male:

    emergencia!! ¡encontrar su barco en el embarcadero 16 ciudadela portual!! desculpa gracias.

    Pose il foglio sotto un sasso accanto al grosso anello in ferro cui era legata la barca, aprì il gas e strattonò la cinghia del motore che diede un colpetto d’esitazione e poi cominciò a girare gradevolmente rumoroso.

    Sali svelto!!

    Si guardarono attorno in cerca del padrone del natante poi lestamente il ragazzo s’imbarcò.

    La barca era in mezzo al golfo, i gabbiani vorticavano in aria, talvolta ne partiva uno in picchiata; teso e senza nessuna paura seguiva l’istinto, saldo alla verità e alla libertà di vivere secondo natura. Rodrigo rideva forte con gli occhi negli occhi del compagno, stringendo nel pugno il ciondolo della catenella che aveva al collo, come avesse agguantato finalmente il senso di una vita cercato da sempre. Il vento li faceva lacrimare e sembravano commossi, forse addirittura felici.

    due (sopra un mondo tutto a buche all’impazzata intorno a lei)

    La ragazza con cui stava adesso lo cercò al telefono non appena la scuola chiamò casa. Poi chiamò l’ospedale, per avvertire che la bambina sarebbe entrata in sala operatoria. Poi lo cercò sua madre, per sapere quando sarebbe passato a ritirare le tute e i pigiami sporchi dalla casa di riposo, perché le lavatrici non erano ancora state aggiustate e la sua stanza odorava d’urina e di minestra, ma Maria, la ragazza di Rodrigo, non le disse nulla riguardo alla nipote. Lei lo cercò tutto il pomeriggio, ma Rodrigo era diretto in Danimarca, il viaggio troppo lungo e sia lui che Silverio avevano dimenticato il carica-batteria al deposito (colpa di quella scorribanda acquatica!)

    Lei se ne stava nel corridoio del settimo piano: i muri scrostati e l’odore di disinfettante; alzava la testa ad ogni camice le passasse sui piedi, in attesa di notizie, inesperta e spaventata. Quando non alzava la testa guardava il telefono. Fissava il vetro opaco nella vana speranza che s’illuminasse. Aspettava in quella corsia già da sei ore quando tentò l’ennesima chiamata al suo compagno senza ottenere risposta, e poi si spense anche il suo. Non le rimase che affidarsi ai messaggi che gli aveva inviato.

    Dove sei stupido camionista!? Disse tra sé e sé con la testa tra le mani.

    Il maggiore la raggiunse in corridoio finito il corso di recupero del pomeriggio. Maria aveva lasciato un paio di messaggi anche a lui. Nei messaggi era stata vaga e tranquillizzante, tanto che il ragazzo le si sedette accanto senza nemmeno guardarla. Scorreva distratto lo schermo del suo telefono e scambiava battute demenziali con altri della sua risma; le chiese se poteva dormire a casa di un amico quella notte e dove fossero i distributori automatici di bibite. Lei non rispose, allora tolse gli occhi dal telefono e si accorse, guardandola in faccia, che qualcosa non andava come avrebbe dovuto. Maria aveva gli occhi tutti rossi e struccati dal pianto e piegò la testa sulla sua spalla, singhiozzando, mentre Glauco, un po’ impacciato, le passava una mano sulla schiena cingendola col braccio. Avevano una decina d’anni di differenza; la stessa che Maria aveva con Rodrigo.

    Anna è ammalata. Disse Maria sollevando la testa. Deve essere operata; anzi, è in sala operatoria adesso.

    Ma perché!? Che cosa ha? Glauco era spaventato.

    Corre il rischio di non vedere più. La frase finì troncata dal pianto e dai singhiozzi. La realtà era insostenibile.

    Anna era una dolce creatura di quattro anni, dai biondi capelli lisci e dalle labbra finemente disegnate. Aveva gli occhi come il cielo, era capricciosa ed estasiata, era divertente ed aveva una mente accesa, sempre, molto. Per lei vedere era raccogliere tutto e poi restituirlo accresciuto e diverso, sempre possibile, sempre una possibilità. Non c’erano state premesse o avvisaglie a tutto questo, solo un controllo da effettuare senza allarmarsi o particolare premura, per un minuscolo punto nero in fondo all’iride. Giusto per capire di cosa si fosse trattato. Aveva detto il dottor Alvaro tre settimane prima.

    Quella mattina invece, Anna a un certo punto aveva detto alla maestra che non riusciva ad aprire gli occhi e che vedeva tutto scuro, ma gli occhi li aveva spalancati e girava su sé stessa, cercando di trovare qualsiasi cosa ma qualcosa, non tutto quel buio sconosciuto alle dieci del mattino nel suo caro asilo assolato. Non solo le voci dei bambini, anche i loro vestiti colorati; non solo i loro odori, anche i loro bianchi sorrisi bucherellati e le rosse gote accaldate.

    Poi iniziò a piangere e a chiamare suo padre, quando capì di non poterlo controllare né riportare a terra quel malanno scuro e improvviso che aveva preso volo dentro di sé e che si stava prendendo le sue magnifiche ore. Poi si sentì sollevare da altre mani e braccia e portare in fretta e furia senza capire dove né chi né perché la prendesse e cercasse di consolare la sua inconsolabile perdita di confini, di struttura, di consuetudine, della realtà come l’aveva fino ad allora conosciuta e concepita.

    Il sedativo fece il resto del lavoro; un bel respiro e dormiva in barella sopra un mondo tutto a buche all’impazzata intorno a lei. Accanto le correva la maestra, in equilibrio sui tacchi bassi le stringeva la mano e le diceva che papà sarebbe arrivato e di non piangere. Le continuò a parlare anche quando Anna si era addormentata; la maestra ripeteva: Tutto passerà amore amore di papà. Era terrorizzata che non riuscisse a recuperare più la vista e le dispiaceva tanto. Quando arrivò Maria la maestra tornò all’asilo, aveva affidato la classe alla responsabilità della bidella. Temeva che quella torma di piccoli briganti se la sarebbe mangiata per merenda.

    In corsia, durante quell’angosciosa attesa, non c’era nulla da fare per stemperare la tensione e affrontare meglio quello che sarebbe stato. A Maria veniva il vomito dall’agitazione, Glauco non sapeva cosa pensare, anche lui voleva che suo padre fosse lì. Il sole fece il giro del palazzo e le ombre quello delle sale d’attesa. Ad ogni ora arrivava un’infermiera a comunicare il bollettino: ancora sotto ai ferri, ancora da aspettare, ancora fiduciosi e tenere alto il morale mi raccomando. Alle diciotto Rodrigo chiamò Glauco, dal telefono di una stazione di servizio nel mezzo di un nulla francese. Dovette chiamare tre volte prima che il figlio rispondesse a quel numero sconosciuto. Toccò a Glauco dirgli di Anna perché Maria non si sentiva di farlo. Rodrigo disse solo Arrivo subito! e dopo essersi rimesso la borsa a tracolla non fece altro che maledire sé stesso, dall’ostello all’aeroporto e in aeroporto e sull’aereo e nel taxi fino all’ospedale, pensando incessantemente alla sua piccola e all’impensabile. Voleva tenerla tra le braccia e guarirla con un bacio e ripeteva a mente le parole di suo figlio: Un problema agli occhi ma vieni prima che puoi. Ma che problema!? Vieni adesso papà, adesso! Il taxi andava troppo piano, l’aereo sempre troppo piano e per strada c’era sempre troppa gente. Maledizione! Batteva le mani sulle ginocchia. Erano fredde e gli sudavano.

    Si sentì in preda all’agitazione per tutto il tempo del tragitto. Non poteva trovare rimedio nei suoi pensieri, lo stomaco gli esplodeva e solamente l’essere sospeso nel cielo, quel senso di distacco che viene dal guardare fisicamente il nostro mondo da lontano, riuscì a placare in parte l’ansia e la paura.

    In aereo non fece altro che guardare nuvole e vederci la figlia. Nessuno gli era seduto accanto, tanto meglio. Pensò a come Silverio avrebbe dovuto cavarsela solo e si chiese come avrebbe potuto rispettare i tempi di consegna senza un cambio alla guida. Avrebbe dovuto affidarsi a un autostoppista, per non morire di sonno. Gli dispiaceva ma poteva anche andare alla malora il lavoro, non avrebbe mai tardato un solo minuto a raggiungere i figli e la ragazza che amava se uno di loro fosse stato in pericolo. Le assistenti di volo camminavano in avanti e in dietro trasportando carrellini ricchi di cattive pietanze e minuscole bottiglie. Ne accettò una al terzo giro di boa ma infine non la bevve; la guardò e la rigirò tra le dita per un certo tempo e dopo aver svitato il tappo e annusato, l’intruglio alcoolico gli diede solo un acuto senso di nausea, quindi la richiuse e la gettò nel vano dove stava un tempo il posacenere. Non aveva mai fumato per abitudine o per vizio ma solo saltuariamente, una sigaretta qua una là, dopo una cena, nel mezzo di una lunga attesa, prima di una doccia al campeggio estivo, ma adesso l’avrebbe aspirata volentieri, a pieni polmoni. Forse l’avrebbe aiutato col senso di impotenza che lo opprimeva. Si chiese se ci fosse una zona fumatori, se esistessero ancora sugli aerei o no.

    La fila dietro stavano due che giocavano a carte, maschio e femmina appena maggiorenni; tornavano da una vacanza, dicevano solo fesserie, si prendevano in giro. Rodrigo non si volse mai a guardarli e involontariamente immaginò le loro facce, i loro vestiti e le loro fattezze. Conosceva il gioco che facevano e anche di che regione fosse l’accento che avevano. Immaginò le loro case e li sentiva baciarsi alla fine di ogni partita. Occhi aperti o chiusi? E le mani? Lui dove le teneva? Le toccava i capelli, la nuca? Premeva la sua bocca contro la propria o aspettava? Erano innamorati o si tenevano solamente compagnia? Lei vinceva sempre e lui l’accusava di barare. Si chiese se avrebbero passato la vita insieme o se il loro amore non sarebbe durato nemmeno l’intera estate. Riuscivano a distrarlo per qualche momento; quando poté scendere finalmente dall’aereo si voltò indietro per guardare quale fosse il loro aspetto e rimase sorpreso nel vedere due ragazzi decisamente sovrappeso e a disagio in quell’angusto corridoio affollato nel cercare di prendere i loro bagagli a mano, mentre persone e cose scivolavano loro accanto: ‘quando giocavano a carte erano così disinvolti e le loro voci così fresche … non portano nemmeno gli occhiali. ‘

    In fin dei conti neanche Maria che distava solo qualche chilometro era riuscita a starle vicino prima che la portassero in sala operatoria. Era successo tutto così rapidamente e all’improvviso. Cercava di sentirsi meno in colpa, ma il pensiero che sua figlia l’avesse cercato e lui non fosse là a risponderle lo atterriva e quel prolungato e ostinato silenzio telefonico lo faceva ammattire. L’avrebbe trovata sorridente a letto, in una camera piena di fiori, con il fratello adorato che la faceva ridere e i dottori che in coro constatavano come tutto fosse andato alla perfezione e che non ci sarebbe stato nulla da temere più. E lui avrebbe potuto abbracciarla e poi perdersi nel grembo di Maria che gli carezzava la testa calmando il suo pianto di sollievo. Lo voleva intensamente ma non ci credeva nemmeno lui.

    tre (i piccoli crucci d’Amleto)

    Cinque ore. Dalla cabina a guide del telefono arricciate dell’autogrill francese al marciapiede lercio e logoro di quell’ospedale spagnolo; cinque terribili ore, ma non le peggiori. Le peggiori sarebbero cominciate proprio allora.

    Sceso dal taxi, davanti ad un vecchio edificio di vetri grigi e cemento armato, con due vocali che mancavano al nome e diversi strati di tinteggiature trascorse in bella vista, Rodrigo s’incupì ulteriormente. Il cielo era terso, pieno di stelle, ma gli appariva plumbeo e opprimente; lo confondeva col tetto del palazzo, come se l’uno si fondesse nell’altro e gli psichiatrici avessero la testa tra le nuvole e medicina generale fosse già in paradiso.

    Quando arrivò al settimo piano trovò Maria in piedi e un dottore davanti a lei; la vide dal fondo del corridoio portarsi le mani alla bocca, soffocare il pianto e poi tenersi al muro, mentre si sedeva piano sulla panca di formica giallo sbiadito. ‘Mia nonna le aveva così, le seggiole della cucina.’ Si trovò a pensare immobile sulla soglia dell’ascensore. Con le gambe che tremavano li raggiunse a grandi passi, ostentando a sé stesso forza d’animo e risolutezza.

    Sono il padre. Disse al dottore sgranando gli occhi e sfregando le mani sudate per l’agitazione sui pantaloni della divisa.

    Stavo dicendo a sua moglie che in questa sede non abbiamo potuto fare di più. Abbiamo arrestato il male.

    Perché piange allora!?

    Il danno fatto non è stato recuperato.

    Dovrà portare gli occhiali?! Non è così grave. Maria vedi? Parlava senza sapere cosa diceva; la paura parlava per lui, chiudeva le frasi del medico perché l’altro non lo facesse, nel suo modo così professionale e così catastrofico. Voleva solo abbracciare sua figlia e dimenticarsi la Danimarca e i piccoli crucci d’Amleto.

    Vorrei fosse così semplice, mi creda. Il medico lo guardava dritto negli occhi, voleva che Rodrigo capisse e accettasse quello che gli avrebbe detto senza che il dolore lo portasse lontano. Quel giovane padre doveva assolutamente rimanere presente a sé stesso. Continuava a fissarlo parlando piano. Rodrigo osservava inebetito le labbra del dottore: come si muovevano, come si aprivano e chiudevano con facilità, mentre gli dicevano che, per come stavano le cose fino a quel momento, la figlia non avrebbe più riacquistato il dono della vista. Labbra voluttuose, carnose e pallide, contornate da una rada peluria di fresca rasatura e adombrate da un sottile naso senza difetti. Facendo maggiore attenzione, la massima attenzione, si riusciva anche a sentire il leggero schiocco del labbro superiore che si staccava da quello inferiore, dietro a tutte quelle ciance sugli occhi d’oro della sua piccola adorata. Per certe lettere che il medico pronunciava s’intravedeva la sua lingua rosa scivolare sotto al palato o battere sui denti. Forse Rodrigo impazziva, non ci sarebbe stato nulla di cui biasimarlo, ma quella lingua batteva come un tamburo nella sua testa e lo rintronava ad ogni parola buttata là; ogni tentativo di esplicare con la ragione il male, nell’intento di spezzettarlo e renderlo più digeribile, come un masticatore in acciaio inox di drammi e tragedie, gli provocava urti e conati di vomito.

    Per come stanno le cose in questo momento? In questa sede? Rodrigo sembrava interdetto, ma cercava di aggrapparsi ad ogni parola, per non scivolare dentro al pozzo della disperazione. Che vuol dire? Cosa intende? Mi faccia capire. Il faccino pulito che sbucava dal camice stava nuovamente per pronunciarsi con calma da manuale, ma d’improvviso Rodrigo scattò d’ira e lo fermò sul nascere. Era come avesse capito, che avesse colto qualcosa nascosto tra le righe che lo faceva imbestialire. Si sentiva preso in giro, rabbonito con giri di parole vuote, ingiustamente illuso: Deve proprio spiegarmi, dottore, ora la sua voce era cresciuta di volume e cambiata di tono, e con le mani gesticolava nervosamente spaventando il chirurgo, cosa intende dire quando dice: abbiamo arrestato il male!? Fissava non più la bocca ma gli occhi, dal basso, poiché il medico era di quattro dita più alto. Non lo lasciò rispondere.

    Ma se mi ha appena detto che mia figlia non potrà più vedere! Dove l’avete arrestato il male!!? Mi vuole prendere in giro!?? Puntava il naso dell’uomo come volesse mangiarselo e arrivò a colpirlo con due dita in petto, proprio sopra il tesserino di riconoscimento appeso al taschino: Benito Suarez - Primario di Oculistica.

    L’altro non si scomposte. Certo di poter calmare un padre sconvolto dal dolore e dalla paura, attese un istante per accertarsi che Rodrigo avesse davvero detto tutto ciò che gli premeva, poi rispose calmo: Proprio in ragione del fatto che siamo intervenuti subito e che abbiamo arrestato il male, esiste ancora una possibilità per vostra figlia.

    Io non sono la madre intervenne Maria apaticamente distrutta. E non siamo sposati.

    Il dottore parve perplesso, certo più dal significante che dal significato delle parole pronunciate dalla ragazza, ma non disse nulla, era ben conscio della varietà di reazioni che hanno gli esseri umani messi di fronte ad una notizia stravolgente; Glauco era atterrito, l’idea della sua dolce sorella che non avrebbe più potuto guardare il mondo che adorava, lo sconvolgeva. Ora s’era avvicinato a suo padre e fissava anche lui il dottore intimandogli, non consapevole, con occhi di bragia, di pronunciare nuovamente la magica parola possibilità.

    E il dottore pronunciò: Una tecnica ancora in fase sperimentale viene eseguita in Svizzera, da un abilissimo medico che la sta perfezionando da metà della sua vita. E non è più un giovanotto da molti anni, voglio precisare. Non è stata approvata dalla comunità internazionale poiché secondo molti ancora troppo rischiosa, ma nel vostro caso non potrà apportare ulteriore danno agli occhi del paziente. Si tratta ovviamente di una clinica privata e …

    Quanto costa?! Rodrigo aveva già deciso, si trattava solamente di sapere quanto denaro avrebbe dovuto recuperare.

    All’incirca, un intervento, senza garanzia di successo, tengo a ricordarlo, costa un milione di euro, poco meno forse.

    Era una condanna. Per Maria, per Glauco, per chiunque nelle loro condizioni avesse ricevuto una notizia simile, ma non per Rodrigo. Aveva già capito che: Il tempo, inoltre, è il fattore determinante. Continuò il dottore. Non si può attendere più di qualche giorno, per intervenire.

    Rodrigo non stava in nessun modo considerando le vie legali possibili e immaginabili per riuscire ad ottenere un milione di euro: vendere mobili, immobili, la licenza del lavoro, il capannone, tutto. Chiedere aiuto ad associazioni, smuovere coscienze … no! Troppo tempo. Inutile anche solo provarci. Nella sua testa stava passando in rassegna tutte le peggiori persone che potesse conoscere o a cui sarebbe potuto arrivare. Era disposto a tutto, o quasi. Stringeva nel pugno la catenella d’oro bianco, senza nemmeno rendersene conto.

    Lo facciamo. Ci dia indicazioni.

    Maria e Glauco lo guardarono allibiti, il medico intese la sua determinazione: Faccio preparare i necessari documenti. Per il momento non pensateci più. Ora sta salendo sua figlia, non mostratevi giù di morale. Sforzatevi di farla sorridere, è molto importante. Non deve spaventarsi ancora. È una piccola molto forte e fiduciosa. Con un cenno del capo si congedò. I tre lo guardarono e basta. La figura bianca che si allontanava sfumava rapidamente in fondo al corridoio, le pareti pareva la inghiottissero e sembrava perdesse consistenza; si mescolava tutto in un giallo arancio soffocante, ogni rumore alle orecchie di Rodrigo arrivava ora ovattato; continuava a pensare ad Anna e ai soldi, ai soldi e ad Anna, senza rendersi conto che le gambe gli cedevano e che stava svenendo. Le ginocchia si chiusero insieme senza preavviso ed egli si ritrovò sul pavimento circondato dai suoi che lo chiamavano a gran voce. Aveva il naso sanguinante, tastandosi se ne accorse e poi sentì il dolore della botta presa nel cadere a peso morto sul pavimento. Maria fece venire qualcuno, una ragazza in completo blu e bianco giunse con un carrello per le pulizie e pensò a tutto lei. Rodrigo fece in tempo ad alzarsi tamponandosi il naso con della carta assorbente, per sentire le porte dell’ascensore aprirsi e vedere il letto di Anna andar loro incontro.

    Infine giunse lei, sveglia nel letto che scivolava in corridoio, sospinta come in mare, sopra un minuscolo vascello alla ricerca di nuovi mondi possibili. Aveva due bende bianche sugli occhi, era un pirata in miniatura che andava a ripararsi nella sua segreta isola fantasma. Dalla portantina la sistemarono nel letto della camera e gli ausiliari poi uscirono. Rodrigo le strinse la mano e lei disse: Papà. Solo quello bastò a disciogliere l’uomo, le ossa, la carne, la pelle, in lacrime. Poi riconobbe i baci di Glauco e di Maria e si sentì sulle guance le loro lacrime calde.

    Dovrai stare a luce spenta qualche giorno, Le disse suo padre, sentendo il sangue che le pulsava nelle vene dei polsi, ma poi sarà tutto meglio di prima.

    Ok. Va bene. Non disse altro e sorrise, poi aggiunse: Ora posso dormire? Sono molto stanca.

    Ma certo tesoro, noi non ci muoveremo da qua.

    Poi fu silenzio, nella stanza bianca di neon, una volta che l’ultimo infermiere accostò la porta uscendo: i tre la guardarono addormentarsi, scivolare all’istante nel mondo dei suoi sogni; videro fermarsi il tempo e congelarsi l’attimo quando di lei c’era solo il respiro, che calmo e regolare gonfiava a sgonfiava la coperta; e il mondo si placò. Quella piccola creatura che si trovava sull’orlo di un baratro spaventoso, riuscì a donare sollievo a tre anime disperate, col solo fiato leggero che le entrava ed usciva dal piccolo pallido naso nascosto dal lenzuolo.

    quattro (un buon odore di terra bagnata e un vago sentore di mare)

    Le grandi ruote correvano sull’asfalto bagnato sollevando nuvole d’acqua

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