Le scale di ardesia
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Anteprima del libro
Le scale di ardesia - Angelo Poggio
LA CASA DI RIPOSO
Ancora un paio di curve e la casa
si sarebbe vista.
Alla sommità di una collina, circondata da querce secolari, avrebbe mostrato tutta la sua imponenza.
Aveva piccole finestre ai piani alti e un’unica vetrata più bassa che dava all’edificio le sembianze di un volto con la bocca cucita.
La finestra al primo piano era protetta da sbarre di metallo. Era ferro consumato dalla ruggine e dal tempo. Nessuno sapeva quanti anni, forse secoli, potesse avere quella strana costruzione, per la gente del paese era da sempre considerata semplicemente la casa
.
Le generazioni che si erano succedute nel tempo, la ricordavano sempre là, immobile, tetra, triste.
Antonio Dettori, unico pronipote di Augusto Roncallo, si stava inerpicando con la sua auto, lungo i tornanti che conducevano all’edificio ora descritto.
A suo fianco la moglie Tiziana e, sul sedile posteriore, il suo prozio Augusto, un vecchio dall’espressione assente con gli occhi che fissavano fuori dal finestrino.
Augusto non parlava da anni, nessuno, però sapeva se fosse veramente muto e anche sordo.
Il suo mutismo era iniziato un giorno di molti anni prima e nessuno conosceva il motivo della sua decisione di estraniarsi dal mondo che lo circondava.
Il viaggio per raggiungere la dimora durò circa due ore e fu accompagnato, oltre che da un profondo silenzio, da una pioggia battente che iniziò a Genova e continuò fino a destinazione, un paese del basso Piemonte nei pressi della casa natale del padre di Augusto, ormai ridotta in un cumulo di macerie.
Ancora un paio di chilometri e il cancello del parco che circondava la casa di riposo si sarebbe aperto e, tra il rumore che provoca la ghiaia sotto i copertoni, il vecchio avrebbe raggiunto la sua ultima destinazione.
Non si poteva parlare di un addio al mondo e alla vita, perché Augusto aveva già abbandonato la sua esistenza da molto tempo.
Antonio riuscì a parcheggiare l’auto sotto l’ampio porticato davanti all’ingresso facendo in modo che il vecchio non si bagnasse.
Augusto aprì la portiera e scese.
Alzò il bavero del vecchio cappotto per proteggersi dal freddo di quella ventosa giornata di ottobre, prese il suo bagaglio che consisteva in una valigia di finta pelle che per decenni era rimasta sopra un armadio ad accumulare polvere, si diede un’occhiata intorno prestando poca attenzione a ciò che lo circondava, ed entrò nell’atrio di quella che sarebbe stata la sua ultima esperienza sulla terra.
Le porte bianche con lo smalto scalfito dal tempo, erano tutte chiuse.
Antonio emise un finto colpo di tosse perché qualcuno si accorgesse della loro presenza. Tiziana preferì non scendere dall’auto, era piuttosto seccata del dover perdere il suo tempo per uno sconosciuto.
Un rumore cadenzato di passi si avvicinò e, da un buio corridoio, si presentò una donna in camice bianco e dal fisico imperioso che dava l’impressione di essere un fantasma.
Augusto la guardò ma distolse subito lo sguardo costringendo la donna a rivolgersi con un falso sorriso di circostanza ad Antonio per dare loro il benvenuto.
L’uomo le porse la mano e si presentò.
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Alla parola ricovero
la donna in camice bianco cambiò espressione e un lieve rossore le colorò le paffute guance.
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Antonio fece cenno allo zio di seguirli, ma Augusto si voltò in direzione della porta e uscì sotto il porticato. Non aveva intenzione di partecipare al dialogo.
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La donna fece un cenno di approvazione e indicò una delle porte alte e bianche scrostate dal tempo.
Quando Antonio e la dottoressa Germani furono uno di fronte all’altra, le pratiche di Augusto Roncallo erano già pronte sulla scrivania per essere firmate.
Il contratto stabiliva che il vecchio rinunciava al suo appartamento e alla sua pensione in favore del Consiglio di Amministrazione della casa di riposo Maria Ausiliatrice
. Ogni mese la misera retribuzione sarebbe stata versata nelle casse della fondazione fino al giorno del suo decesso, e l’appartamento era a disposizione della stessa fondazione che avrebbe potuto farne ciò che ritenesse più opportuno. Antonio doveva firmare la liberatoria della rinuncia all’eredità dello zio assumendosi la responsabilità del collocamento del parente cui era stata riscontrata l’incapacità d’intendere e di volere da parte di un’apposita commissione nominata dal tribunale di Genova che dichiarava il soggetto sofferente di una grave forma di estraneità a tutto ciò che lo circondava aggravata da mutismo e sordità da accertare.
La dottoressa Germani, dopo aver letto rapidamente le clausole, depose i fogli in modo che Antonio potesse firmare. L’uomo però, aveva da aggiungere un’ulteriore condizione.
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La donna lo interruppe.
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Antonio firmò, salutò la donna con falsa cortesia e raggiunse la moglie, già spazientita, in macchina. Non si voltò neppure per vedere dove fosse Augusto.
Il vecchio era seduto su una panchina di ferro fredda e incrostata dalla ruggine, il bavero sempre alzato fino alle orecchie e lo sguardo perso nel vuoto. L’odore della pioggia era tipico di quella stagione, la brezza portava alle narici pelose dell’uomo i profumi dell’autunno.
Per qualche istante si rivide ragazzo.
Il sapore dell’erba bagnata che gli giungeva al palato, lo riportò indietro nel tempo di almeno settant’anni. Si rivide adolescente correre insieme ai suoi cugini nel grande spiazzo davanti alla casa del nonno.
Un tempo, ottobre era il mese dedicato alla vendemmia: un duro lavoro per donne e uomini, un motivo di gioia per i ragazzi incuranti di essere d’intralcio per coloro che, impregnati di sudore, camminavano lentamente con le ginocchia piegate dal peso delle gerle colme d’uva che incurvavano le schiene doloranti.
A ogni cesta che si riversava nell’enorme bigoncia, si levavano le urla festose dei vecchi assopiti e tremolanti seduti cavalcioni delle sedie impagliate all’ombra dei noccioli ancora gravidi di frutti.
Il fumo e il vino, insieme alla guerra, avevano accelerato la precarietà dei loro fisici e dei volti che dimostravano molti più anni di quelli effettivamente vissuti.
Gli occhi di Augusto erano umidi e arrossati. Quelle pupille scure erano l’unico segnale da cui si poteva misurare l’emozione. Le altre parti del corpo non lasciavano trasparire nessun cenno di vita e di pensiero.
Un volto, in particolare, era impresso nella mente del vecchio. Claudia Ricci, una prosperosa cugina per la