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L'inverno in estate
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E-book293 pagine4 ore

L'inverno in estate

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Info su questo ebook

Raoul, uomo losco e malvagio, gestisce un circo itinerante senza animali dove gli artisti sono bambini dai sei ai dodici anni. A quell'età, giudicandoli troppo grandi, li "passa" a Don Pedro, un finto prete che in realtà ha ben altri scopi che farli diventare dei ferventi religiosi. Si intrecciano alle loro disavventure la storia della piccola Gaëlle, che sfugge al padre tiranno, e quella di Nicole, una diciassettenne che incontra per caso i bimbi del circo.
LinguaItaliano
Data di uscita5 gen 2022
ISBN9791220881920
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    Anteprima del libro

    L'inverno in estate - Nicoletta Bosio

    Frontespizio

    Nicoletta Bosio

    L’inverno in estate

    Dedico questo libro alle tre persone che voglio ringraziare infinitamente, quelle che da sempre mi aiutano a rendere possibili le storie che ho in testa.

    Queste persone sono:

    - Ivan, mio marito, infallibile nello scovare la benché minima incongruenza strutturale.

    - Simonetta, ineguagliabile nel passare al setaccio ogni frase alla ricerca del più piccolo errore grammaticale.

    - Mariagrazia, la mia mamma nonché mia accanita lettrice, impareggiabile nel dimostrarmi il suo entusiasmo e nello spronarmi a proseguire dopo aver letto un nuovo capitolo.

    A tutti voi un grazie speciale dal profondo del cuore...

    Nico

    PROLOGO

    Milano, 10 luglio 1956

    Era una domenica mattina di luglio quella che vide Ramon, Miguel, Remedios e altri bambini più piccoli affrontare uno dei giorni più tristi della loro giovane vita.

    Lo sparuto gruppetto di minuti volti segnati dal dolore si era radunato dietro le quinte del Circo, il più lontano possibile ma non abbastanza da destare sospetti.

    Ramon, il più grande di loro, aveva preso in braccio la piccola Mimì, diventata improvvisamente molto più pesante del solito, e insieme ai compagni l’aveva portata in una piccola radura adatta al loro scopo: seppellire il corpicino della bimba.

    Mimì era una delle più giovani artiste del Cirque de Pétites Étoiles, ma la sua fortuna era finita prima di cominciare: il suo carattere già molto deciso le aveva giocato uno scherzo fatale. Non c’era da scherzare con Raoul, ma lei aveva avuto paura, forse troppa paura di affrontare quell’estrema fatica: lanciarsi nel vuoto senza rete non era affatto tra le sue priorità a sette anni.

    I suoi giovani amici si erano portati dietro delle vanghe e avevano iniziato a scavare proprio mentre un capriccioso raggio di sole faceva capolino da dietro un’enorme nuvola grigia e tetra. Il cielo era rimasto plumbeo per tutto il giorno e minacciava temporale, ma questo non spaventava minimamente la combriccola di ragazzini radunati in quello strano rituale che volevano celebrare pur non conoscendolo affatto.

    Nessuno di loro aveva mai assistito a un funerale, tuttavia avevano sentito il bisogno di seppellire Mimì, di darle una fine dignitosa, dopo che Raoul l’aveva scaraventata senza alcun riguardo fuori dal Circo, perché sapevano che diversamente, l’uomo avrebbe lasciato alle cornacchie l’ingrato compito di disfarsi del cadavere.

    Non possiamo lasciarla lì così, aveva mormorato cupamente Ramon.

    Tutti avevano compreso all’istante e, armatisi degli attrezzi necessari, si erano diretti in quella radura per inscenare un funerale improvvisato, senza preti né messe, ufficiato unicamente dalle poche parole che ognuno di loro si sentì di pronunciare in memoria dell’amica scomparsa. Poco importava che stesse già tuonando e che di lì a poco si sarebbe scatenato l’inferno, avevano un compito importante da portare a termine.

    Avevano appena finito di gettare l’ultima vangata di terra sulla tomba quando il cielo non resistette e si squarciò facendo ricadere sul gruppetto una gran quantità di pioggia, con gocce grosse come biglie. La ferocia del clima non distrasse neanche per un attimo i bambini. Solo Miguel si concesse un secondo per guardare il cielo e disse:

    Guardate, anche le nuvole piangono per Mimì.

    Un tacito assenso serpeggiò sui volti bagnati.

    Io non conosco preghiere, concluse Ramon ma spero che tu sia andata in un posto migliore.

    Così dicendo, si voltò decretando la fine del funerale e tutti lo seguirono in silenzio, i capelli bagnati appiccicati al viso, in fila indiana verso il capannone del Circo. Il tempo stringeva e Raoul avrebbe potuto iniziare a porsi delle domande. Decisamente, non era il caso né il momento di irritarlo di nuovo.

    La piccola comitiva lasciò quel luogo sotto la pioggia scrosciante. Nessuno si voltò indietro, tranne Miguel. Avevano già percorso diversi metri quando improvvisamente si era bloccato, non visto perché ultimo della fila, come se un pensiero improvviso gli avesse attraversato la mente. Fu la sua corsa, verso la tomba appena scavata, a destare l’attenzione degli altri.

    Dove vai?, chiese Remedios in un grido strozzato.

    Torno subito... voi andate avanti

    Cosa ti salta in mente, Miguel? Lo sai che dobbiamo andare... o vuoi fare la stessa fine di Mimì?

    Manca una cosa, è troppo importante, rispose il bimbo stando fermo sotto la pioggia.

    Guardava dritto in faccia gli altri, con uno sguardo che tradiva una forte determinazione.

    Davvero, faccio presto, ripeté, mentre ormai le gocce gli colavano persino dalle maniche della giacca, troppo grande per lui.

    E va bene, se è così importante per te... ma fai presto, sentenziò Ramon.

    Con un gesto fulmineo, Miguel si chinò a raccogliere un rametto di legno e andò a piazzarlo al centro della tomba scavata poco prima.

    CAPITOLO UNO

    NICOLE

    Milano, 6 luglio 1956

    Pioveva forte quella domenica su Milano.

    Nonostante fosse piena estate, quell’anno il caldo non voleva saperne di farsi avanti. L’acciottolato scivoloso delle strade riversava l’acqua nei tombini della città, i quali non facevano che riempirsi per poi traboccare in continuazione. L’asfalto di Corso Vercelli era lucido e pulito, o almeno così sembrava sotto la pioggia. Centinaia di persone a caccia di un bar aperto, si affrettavano spintonandosi sotto i loro ombrelli grigi e neri. Tutto era grigio e nero, soprattutto l’umore delle signore in tailleur e tacchi alti, che rischiavano di rimanere incastrate nelle rotaie del tram, tentando di attraversare velocemente la strada, non volendo aspettare che quel dannato semaforo desse loro il diritto di precedenza sugli automezzi.

    Solo Nicole dava un tocco di colore a quella città triste e annoiata, come le era parsa fin da quando ci aveva messo piede. Era una ragazza di diciotto anni, originaria di Montpellier. Indossava un paio di pantaloni larghi a strisce verticali e colorate, comprati il sabato precedente alla Fiera di Sinigallia, uno dei luoghi più pittoreschi di Milano tra quelli che aveva visitato finora. Sopra i pantaloni di tela, una margherita bianca che sembrava disegnata da un bambino, spiccava su una maglietta rossa, e per completare il suo look, una felpa patchwork larga e un po’ sformata nascondeva la sua magrezza.

    Nicole era arrivata in Italia due settimane prima in viaggio premio: i suoi genitori avevano voluto darle un incentivo per lo studio. Quell’anno era stata faticosamente promossa, arrivando a fine anno con l’acqua alla gola, e l’anno successivo era quello della maturità, quindi aveva promesso solennemente che si sarebbe impegnata fin dall’inizio, per non rischiare brutte sorprese.

    E così eccola lì, nel bel mezzo di Corso Vercelli, ad osservare la gente litigare con gli ombrelli. Lei invece se ne andava tranquillamente in giro sotto la pioggia, lasciando che le grosse gocce che cadevano dal cielo le bagnassero i lunghi e folti capelli castani. Lei non se ne curava, non aveva mai amato proteggersi dalla pioggia, anzi, le piaceva quella specie di solletico provocato da una goccia dispettosa che riusciva a intrufolarsi fino al collo.

    Ripensò a quell’anno scolastico e al motivo per cui, per la prima volta dai tempi delle elementari, aveva rischiato di farsi bocciare. Si raccontò un sacco di frottole come: Sto crescendo, oppure sarà l’età, o ancora forse è colpa di Stéphan....

    Già, Stéphan, il suo grande amore di quell’anno. Peccato che lui la maturità l’aveva superata a giugno, e così da settembre... addio Stéphan.

    No, comunque non poteva essere neanche quello. In fondo al cuore, Nicole sapeva bene cosa l’aveva allontanata dallo studio negli ultimi mesi: nel viaggio alla ricerca di se stessa, aveva deciso di iniziare un corso di mimo, tanto per fare una cosa diversa dal solito pianoforte o chitarra o danza, che facevano tutte le sue amiche. Non era mai stata la sua passione, ma aveva visto un volantino per strada raffigurante Marcel Marceau in una posa buffa e la cosa l’aveva affascinata. Aveva iniziato il corso senza nemmeno pensare di essere dotata, era solo un diversivo. Il suo insegnante, invece, ci aveva messo poco a intravedere in lei un grande talento e l’aveva spronata ad esercitarsi il più possibile per migliorare la tecnica e diventare un Mimo con i fiocchi. Lei si era fidata e aveva seguito i consigli di Mathieu, arrivando a scoprire non solo di essere brava veramente, ma di avere una passione nascosta nel cuore, e così i suoi pomeriggi si erano riempiti di fatica fisica; provava le nuove tecniche per ore ed ore, da quelle iniziali di manipolazione, tipo il bastone o il bicchiere, che non le erano nemmeno costate fatica, a quelle più complicate come le camminate o il volo.

    Già, il volo: quella magia che solo il Mimo aveva saputo insegnarle. Il suo unico vero sogno, da quando era bambina, era sempre stato saper volare, ed ora, grazie al Mimo, poteva avere almeno la sensazione di farlo. Questo perché Mathieu le aveva insegnato a non fidarsi mai di quelli che dicono che i Mimi fingono, nooo, il Mimo vive profondamente tutte le emozioni che mostra e le restituisce al pubblico, amplificate e sublimate dall’amore che l’interprete ci mette. Principalmente il Mimo ama: ama la sua arte, ama il suo pubblico, ama la nostalgia e la tenerezza che esprime, e vive profondamente tutto questo amore. Quindi il volo non era solo un agitare le braccia in aria, cercando di imitare un uccello, ma significava sentire il proprio corpo librarsi in aria, leggero come una piuma, non perdere neanche un istante di tutta quella meravigliosa magia, perché se perdi un istante, la magia finisce.

    Ed ecco che la sua camera da letto era diventata una piccola palestra, lo specchio non serviva più per controllare il ciuffo ribelle che ogni mattina doveva domare, ma per verificare ogni minima sbavatura nella perfezione sempre crescente della sua tecnica, dei suoi gesti. Quando sua madre, preoccupata, le chiedeva da dietro la porta chiusa cosa stesse facendo, lei rispondeva, senza in realtà mentire:

    Sto studiando, mamma, ma in quel momento la concentrazione si dileguava e doveva ricominciare tutto daccapo.

    Ecco cosa l’aveva distolta dai libri di scuola, ma cosa importava? Aveva scoperto un mondo fantastico fatto di fantasia, amore, fatica e felicità.

    Attraversando la strada, persa nei suoi pensieri, arrivò in Piazzale Baracca, senza quasi accorgersi di dove la stessero portando i suoi piedi, finché un cartello rosso e giallo non attirò la sua attenzione:

    Ah, c’è il circo pensò, leggendo l’intestazione dell’annuncio pubblicitario. Il cartello sarà vecchio, è tutto lacero!, si disse, ma questo pensiero le fece venire la curiosità di leggere le date in cui ci sarebbero state le rappresentazioni: diceva

    DAL 10 AL 17 LUGLIO

    Beh, era la settimana successiva: il cartello probabilmente si era lacerato a causa della pioggia. Continuò a leggere e vide questa scritta:

    GRANDE SPETTACOLO! NOVITÀ MOZZAFIATO! NUOVO SPETTACOLO DI TRAPEZIO ACROBATICO SENZA RETE!!

    TRAPEZIO… ACROBATICO… SENZA RETE?!? Ma questo era fantastico! Molto molto più di quanto Nicole osasse sperare di vedere in vita sua! Qualcuno che volava davvero ! E senza protezione! Doveva assolutamente andarci. Attese quella domenica freneticamente, quasi come se il suo viaggio a Milano non avesse avuto altro scopo che andare a vedere quello spettacolo. In realtà da anni si rifiutava di andare al circo: non sopportava l’idea di animali selvaggi costretti a fare i pagliacci ed esibirsi in esercizi assolutamente fuori da ogni loro natura. Questo però, in un’occasione così particolare, per una volta poteva passare in secondo piano. Doveva studiare, doveva vedere come un essere umano può volare, volare senza ali, senza l’ausilio di attrezzi artificiali, ma solo affidandosi alle sue capacità.

    Oh, era la cosa più eccitante del mondo!

    CAPITOLO DUE

    MIGUEL

    Milano, 10 luglio 1956

    Dietro le quinte del tendone da circo, Miguel se la vedeva brutta. Raoul era molto arrabbiato con lui, e questo era un pessimo segno, perché quando Raoul si arrabbiava, tremavano anche i muri. Gli artisti del circo erano già passati tutti per quella terribile esperienza, e quando vedevano Il Capo - come usavano chiamarlo - diventare rosso in faccia e dirigersi verso qualcuno con aria minacciosa, sapevano che poteva anche essere la fine per quel poveretto. La piccola Graciela era stata l’ultima delle sue vittime: se la ricordavano tutti, distesa sul suo lettino bianco con il viso tumefatto e quasi irriconoscibile. Raoul era solito dare questo monito:

    Tutti siete utili, nessuno indispensabile, il che faceva capire bene a chiunque che avrebbe potuto essere l’artista migliore del mondo, ma Raoul non si sarebbe fermato solo per questo. Picchiava, e picchiava forte, di modo che i più deboli, o i più piccoli, a volte non ce la facevano e perivano a causa dei traumi subiti. Naturalmente non esistevano dottori né ospedali, al massimo una benda e un po’ di disinfettante, a volte scaduto, che qualche anima buona, impietosita dalle sofferenze di un compagno, applicava alle ferite inferte con ferocia dal Capo. Nessuno osava ribellarsi a questa tremenda situazione, per il semplice motivo che nessuno degli artisti era abbastanza grande per poter reagire. Infatti, la peculiarità del Cirque de Pétites Étoiles era il fatto di essere costituito esclusivamente da artisti bambini. Raoul aveva un sesto senso nel trovare orfanelli o ragazzini che vivevano in mezzo alla strada, costretti a procurarsi da vivere rubacchiando qua e là come dei furfantelli. La sua offerta era semplice e convincente: prometteva un letto caldo, cibo due volte al giorno e un lavoro sicuro. L’unica cosa che chiedeva in cambio era che imparassero un mestiere, per l’appunto, quello del clown, del giocoliere, del contorsionista o dell’acrobata, a seconda di quanto in quel momento gli necessitava.

    Chi non era dotato, tanto peggio per lui, sarebbe presto finito in un obitorio, tanto si trattava di bambini che nessuno avrebbe cercato. Inoltre, essendo come tutti i circhi, itinerante, non era un grosso problema sfuggire alle eventuali indagini. Raoul poteva ammazzare e continuare a delinquere a suo piacimento, e questo lo avevano capito molto bene anche i bimbi più piccoli. Si sa, quando la vita costringe all’arte dell’arrangiarsi, anche i bambini capiscono le cose da adulti, e le imparano velocemente.

    E così Miguel stava per subire uno dei tanti attacchi d’ira di Raoul. Al solo pensiero gli tremavano le gambe: Raoul era enorme, o almeno così lo vedeva lui. In effetti si trattava di un omone corpulento, sempre sporco, con una carnagione scura che lo faceva sembrare un orco agli occhi di Miguel; il naso era grosso e rotondo, spesso arrossato dall’alcool che Raoul ingurgitava in gran quantità. La lunga barba e i baffi non facevano che accentuare l’aria minacciosa dei piccoli occhi neri e infossati dell’uomo, che, chino sul piccolo acrobata, stava perdendo bava e sudore mentre urlava in faccia al giovane artista che era un incapace, un inetto, che non sapeva come gli fosse venuto in mente di prenderlo con sé e altre sfuriate simili.

    Miguel si faceva più piccolo che poteva, ma ormai aveva dieci anni e non suscitava più la compassione che ogni tanto i piccoli riuscivano a solleticare nel Capo. Inoltre Miguel lavorava per lui da sempre, e finora si era comportato molto bene: aveva sempre imparato i numeri senza fatica, avendo la fortuna di essere predisposto ad un simile esercizio fisico, e quindi non aveva mai dovuto passare sotto le sue grinfie, anche perché per Raoul, Miguel era un bambino un po’ speciale. Era arrivato al circo che era ancora un neonato. Quella volta Raoul aveva rischiato grosso: si trovavano a Montpellier per uno spettacolo, e una sera, sbronzo marcio dopo la performance, aveva iniziato a girare per la città senza meta. Ad un certo punto aveva scorto una famigliola felice, in un ristorante, con un bimbo molto piccolo. L’idea gli era balenata nella mente all’istante: non aveva mai allevato un bambino fin dai primi anni di vita e voleva fare l’esperimento. Seguì la famiglia che si stava apprestando a tornare a casa a piedi. Sfruttando il momento di distrazione che i genitori si concessero per aprire la porta e la figlia più grande per ripararsi dalla pioggia che aveva cominciato a cadere, aveva afferrato il bambino dentro la carrozzina e si era allontanato con rapidità felina. Non aveva nemmeno dovuto fare la fatica di trovargli un nome, il piccolo aveva un bavaglino con su scritto il suo: Michel, che Raoul ribattezzò immediatamente Miguel.

    Ora però, il nuovo numero che Raoul aveva inventato era molto difficile e faceva paura: Miguel non era più da solo, ma c’era una bambina insieme a lui, la piccola Mimì, l’ultima arrivata. Era una bimba di soli sette anni. Raoul l’aveva adocchiata perché aveva un fisico molto longilineo e particolarmente armonioso. L’idea gli era venuta all’improvviso: un nuovo numero sul trapezio, nel quale Miguel avrebbe lanciato e ripreso più volte la compagna di sventura da un trapezio all’altro... il tutto senza rete di protezione.

    Durante le prove di quest’ultimo numero, Miguel aveva avuto una piccola incertezza e Mimì era precipitata, per fortuna sulla rete che almeno durante le prove era concessa. Miguel temeva che Mimì fosse troppo piccola per quel numero e aveva paura ogni volta che la lanciava, ma soprattutto quando doveva riprenderla. Aveva il timore che lei non si sarebbe fidata... in fondo era con loro solo da poco tempo, come poteva vedere in Miguel un compagno fidato?

    Raoul doveva aver indovinato i pensieri del bambino e gli aveva già assestato due bei ceffoni, che avevano immediatamente arrossato il suo viso pallido e scavato.

    Perché non fai quello che sai fare, eh? gli sbraitò in faccia. Sei diventato una femminuccia per caso?, continuò con voce cavernosa. Poi, addolcendosi, domandò:

    Cos’è che ti preoccupa, Miguel? Dillo a papà Raoul, non ti mangio mica, ma Miguel conosceva fin troppo bene quelle tecniche del Capo per farsi confessare le paure più profonde dei suoi artisti nei confronti dei nuovi numeri, per poi decidere se erano superabili o meno. Nel caso decidesse che non lo erano, la fine era vicina.

    Niente, rispose quindi abbassando la testa, starò più attento, lo giuro, disse guardando Raoul dritto negli occhi e cercando di non mostrare il terrore che provava.

    Bene, concluse Raoul, "ma sappi che è la tua ultima possibilità, poi..." e accompagnò queste parole passandosi eloquentemente l’indice davanti alla gola.

    La sera successiva il nuovo numero aveva debuttato a Milano. Il tendone era stracolmo di gente che si aspettava sì, di vedere uno spettacolare numero di acrobazia, ma anche elefanti, cavalli, leoni ecc... insomma, tutto quello che di solito si vede al circo.

    Non piccola fu infatti la sorpresa generale, quando uscirono due minuscoli clown. All’inizio il pubblico pensò a due nani, ma ben presto fu chiaro a tutti che non potevano essere che bambini. La cosa divertì i presenti e il numero si guadagnò una gran quantità di applausi.

    Lo stupore proseguì quando anche il secondo numero, questa volta di giocoleria, fu svolto da un bambino di età non superiore ai dieci anni. Quando fu la volta del mago, iniziò a serpeggiare una strana sensazione: sicuramente quei bambini erano molto bravi e pieni di talento... ma come mai, si chiedevano ormai tutti, non interviene un numero con gli animali o con degli adulti? I numeri si susseguivano in rapida progressione. Si alternarono sulla pedana contorsionisti, ginnasti ai quali era affidata la creazione di piramidi umane, trampolieri e giocolieri.

    I dubbi furono fugati definitivamente con l’ultimo numero, il più atteso: quello del trapezio acrobatico. Sulla pedana del circo comparvero due trapezi ad un’altezza di venti metri da terra. Quando scesero, fecero capolino due bimbetti, uno di circa dieci anni e una bimba che non poteva averne più di sette o otto.

    Sfoggiavano entrambi un costume argenteo con strisce rosse sui fianchi, sfavillante e allegro, in totale contraddizione con l’umore dei due piccoli ginnasti, terrorizzati dal compito che li attendeva. Si esibirono inizialmente in una serie di acrobazie sul trapezio come le capriole e i salti incrociati. Poi fu la volta del numero che più spaventava Miguel e Mimì: il salto mortale da un trapezio all’altro, che doveva essere eseguito da Mimì e coordinato da Miguel, il quale aveva il compito di riprendere Mimì dopo il salto mortale.

    L’esercizio era di una difficoltà particolare, innanzitutto perché la bimba era troppo piccola per il salto mortale, e inoltre aveva imparato a farlo da poco tempo, essendo l’ultima arrivata, ma Raoul aveva giudicato che doveva essere lei a farlo: era la persona giusta perché con Miguel aveva un feeling particolare. Fino a quel momento Miguel era stato l’unico trapezista e Raoul voleva aggiungere un po’ di pepe allo spettacolo.

    Così, giunto il grande momento, quando cioè i due trapezi furono alla distanza esatta tra loro, Miguel gridò:

    Ora, ma Mimì non se la sentì, il suo cuore batteva all’impazzata e inoltre aveva commesso un errore tragico: aveva guardato giù, rendendosi conto di quanto fosse in alto. La prima cosa che viene insegnata ad ogni trapezista è proprio quella di non guardare mai in basso, ma Mimì sapeva di essere ad un’altezza esagerata per le sue capacità e per la sua giovane età, e l’occhio le era caduto prima che potesse razionalmente fermarlo.

    Le era immediatamente girata la testa e aveva a malapena sentito Miguel darle il via. Passò un altro giro, e la seconda volta Miguel la esortò per tutto il tempo:

    Mimì, guarda me, guarda sempre solo me, andrà tutto bene, le urlava.

    Al secondo Ora la bimba ebbe un’altra lieve esitazione, e quando decise di lanciarsi il momento non era più

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