All’osteria con Pinocchio
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Anteprima del libro
All’osteria con Pinocchio - Anna Vivarelli
Il naso più famoso del mondo
Ti mando questa bambinata, fanne quello che ti pare,
ma se la stampi pagamela bene,
per farmi venire la voglia di seguitarla.
Carlo Lorenzini, nota all’editore con il primo capitolo della
Storia di un burattino
C’era una volta…
– Un re! – diranno i miei piccoli lettori.
– No, ragazzi, avete sbagliato. C’era una volta un pezzo di legno.
Non era un legno di lusso, ma un semplice pezzo da catasta, di quelli che d’inverno si mettono nelle stufe e nei caminetti per accendere il fuoco e riscaldare le stanze.
Questo è uno degli incipit più celebri della letteratura italiana. È l’inizio di una storia che già dalle prime parole promette di sorprendere i suoi lettori e che, nei ben trentasei capitoli attraverso cui si snodano le avventure del burattino, non tradisce mai le aspettative. Pinocchio, la Fata Turchina, il Gatto e la Volpe, il Grillo parlante, da oltre un secolo fanno parte della nostra memoria collettiva. Memoria che viene incessantemente sollecitata da riscoperte, riletture, drammatizzazioni, rinnovate nei linguaggi e nelle forme ma sempre appassionate.
Di Pinocchio tutto è stato scandagliato, interpretato e analizzato. Dall’analisi freudiana del naso, all’interpretazione esoterica di un Geppetto che, stregone sui generis, costruisce nel suo antro allegorico un burattino dotato di anima (anche se un’anima riot-tosa e ribelle…), dalla riduzione a romanzo formativo attraverso i valori Lavoro-Patria-Famiglia, a quella più maliziosa di un Collodi anarcoide (il paese di Acchiappacitrulli come un luogo metaforico in cui si puniscono gli onesti e si premiano i criminali), ogni aspetto del romanzo è stato riletto infinite volte dalla critica letteraria e pedagogica. Senza trascurare le trasposizioni cinema-tografiche e televisive che, seguendo percorsi molto eterogenei, hanno dato un volto al burattino, alla Fata, a Geppetto e a quei due farabutti del Gatto e della Volpe, nel tentativo di fissare ciò che invece continua a sfuggire a ogni fotografia.
Perché Pinocchio è sfuggente e misterioso, come lo è del resto ogni classico. Un libro per ragazzi, pubblicato alla fine dell’Ottocento e radicato nell’Italia postunitaria povera e rurale, si è progressivamente trasformato in un classico della letteratura mondiale, con oltre 220 traduzioni, contando anche numerosi dialetti, e incalcolabili edizioni. Destino meraviglioso: dall’Italia contadina a metafora universale, dalle colline toscane tra San Miniato e Ponte d’Elsa, al mondo intero.
Ogni personaggio, ogni carattere del Pinocchio, possono esser visti come archetipi, e ogni avventura del burattino può essere letta come un percorso universalmente umano: la solitudine, l’assenza, il perdono, la menzogna, il crescere, il trasformarsi…
Pinocchio è una storia e Collodi è un narratore. E come in ogni buona storia, anche in quella del burattino gli ingredienti si mescolano e si accavallano in un susseguirsi sorprendente: la fatalità del caso, la natura meravigliosa, gli animali parlanti, l’amicizia, la Nascita e la Morte, la Prigione, i paesi utopici, insomma: i labirinti del vivere in cui ci si perde e, come succede spesso nelle storie, alla fine ci si ritrova.
In mezzo a tutte queste meraviglie, che si succedevano le une alle altre, Pinocchio non sapeva più nemmeno lui se era desto davvero o se sognava sempre ad occhi aperti…
Le leggende vogliono che Pinocchio sia nato per caso, dalla penna di uno scontroso giornalista spesso al verde, sempre insoddisfatto, ironico e idealista, che l’avrebbe creato nel 1881 quasi controvoglia, soprattutto per saldare i propri debiti. La realtà è diversa, perché Carlo Lorenzini, nei primi anni Ottanta, non era affatto un neofita nel campo della letteratura per ragazzi. Grande giornalista satirico e politico, aveva all’attivo la creazione di Minuzzolo e Giannettino e la traduzione delle fiabe di Perrault, e dunque era da tempo, per vocazione e non solo per caso o per necessità, uno scrittore per l’infanzia. Inoltre pare che i suoi debiti di gioco non fossero poi così pressanti…
Ma forse qualche conflitto con il suo burattino Collodi deve averlo vissuto, visto che tentò di uccidere la sua creatura di legno quasi a ogni capitolo: bruciato tra le fiamme di Mangiafoco, impiccato a una quercia, annegato nella pelle di un somaro, mangiato da un pescecane, infarinato e fritto insieme a sogliole e naselli. A grande richiesta, tuttavia, fu costretto ogni volta a salvarlo in extremis, fino alla trasformazione in bambino vero, che in fondo è la morte
definitiva del burattino di legno.
E comunque, per tutto il romanzo, Collodi si divertì ad affamarlo e a giocargli scherzi cattivi, come il pollo di cartone offerto dalla Lumaca o l’uovo che vola via o ancora il paiolo dipinto sul muro. Gli riempì la testa di sogni meravigliosi, fatti di maccheroni al ragù e cialde alla panna, ma non una volta gli offrì la concreta possibilità di un pasto come si deve.
Portatemi almeno qualcosa da mangiare, perché mi sento rifinito…
f0010-01Il Pinocchio collodiano
e la Scienza artusiana
Ognuno, caro mio, in questo mondo recita la sua parte.
C’è chi nasce per mangiare e chi nasce per essere mangiato…
Carlo Collodi, Macchiette.
Un Pinocchio mangereccio? Non è una nuova ermeneutica della storia del burattino, né una bizzarra analisi interpretativa di testo e metatesto, bensì soltanto una piccola ricerca gastronomica su usanze e tradizioni che ancora oggi fanno parte del nostro bagaglio alimentare, dunque storico e culturale, a partire dal più famoso testo per l’infanzia della nostra letteratura e forse di quella mondiale.
E il miglior viatico di questo cammino attraverso il capolavoro collodiano è senza dubbio un altro (nel suo genere) capolavoro: La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene di Pellegrino Artusi.
Fra uno dei più celebrati romanzi per ragazzi e il più celebre ricettario italiano c’è un legame stretto e immediato, perché spaziale e temporale, dunque anche linguistico. Due libri di diversissima funzione, apparentemente. Composti a Firenze nella seconda metà dell’Ottocento per destinatari diversi, rivelano tuttavia coincidenze, intersezioni, rimandi e un sistema di valori comune a entrambi.
commonCarlo Lorenzini, in arte Collodi, dal nome del paese natale di sua madre, era nato a Firenze nel 1826. Pellegrino