A tavola con Bella ed Edward: La cucina dei Vampiri
Di Grazia Cioce
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Anteprima del libro
A tavola con Bella ed Edward - Grazia Cioce
Introduzione
Twilight, il crepuscolo: l’ora della giornata in cui il sole tramonta, la luce abbandona la sua vitalità per trasformarsi in una zona di confine, la fine del giorno e l’inizio della notte, porta d’accesso alle tenebre.
È una zona intermedia in cui tutto è possibile, in cui luce e oscurità si incontrano come due amanti clandestini: il giorno, nel suo tripudio di luce, non c’è più e la notte è solo una promessa. Il crepuscolo, allora, non è ancora né notte né giorno: è un sottile passaggio magico tra due mondi, reali e al tempo stesso magici, come quello in cui vivono i personaggi di Twilight.
Forks, giorni nostri: questo il dove e il quando in cui è ambientata la saga di Twilight.
Una tranquilla cittadina dello stato di Washington, con un clima estremamente piovoso, un’economia basata sul commercio del legname e sulla pesca e una convivenza pacifica con la vicina riserva indiana di La Push.
La scrittrice si è ben documentata sulla cittadina che avrebbe dovuto essere la sede della convivenza tra i Cullen, vampiri buoni, e gli umani. Un luogo in cui la mimetizzazione è semplice per la maggior parte dell’anno grazie al clima: la mancanza del sole, infatti, rende possibile ai vampiri di uscire alla luce del sole, contravvenendo così ogni stereotipo classico della letteratura che li descrive in genere come esseri tetri e notturni.
I vampiri di Twilight, invece, sono esseri anche diurni, pur preferendo il crepuscolo, come ora del giorno in cui si affacciano alla vita, loro che vivi non sono.
L’ora più leggera, ma in un certo senso, anche la più triste… la fine di un altro giorno, il ritorno della notte. L’oscurità è troppo prevedibile, non credi?
, dice Edward Cullen alla sua Bella. In queste poche righe è racchiuso il senso dell’immortalità dei vampiri di Twilight: la notte come inizio vero e proprio della loro esistenza, un’esistenza non completamente accettata, vissuta non come dono, ma come castigo. La ripetitività dei giorni, il doversi nutrire per sopravvivere, la loro eterna diversità dagli uomini in mezzo ai quali possono mimetizzarsi, ma mai integrarsi pienamente: è questa la tristezza profonda che percepiamo in questa frase. Tristezza antica come quella che leggiamo nei vampiri di Anne Rice (o almeno di alcuni di loro, quelli più senzienti) o nei vampiri di Lisa Jane Smith, che si contrappongono al famigerato, e ben più truce, Dracula stokeriano, che vive la notte con lussurioso amore e l’abbraccia con tutti i sensi.
Una linea di confine, quella segnata dalla Meyer, che passando attraverso i romanzi di Anne Rice, ci porta in un mondo di vampiri che vivono, si fondono e si confondono con l’umanità e che, a volte, si comportano persino come creature migliori rispetto agli stessi uomini.
Vampiri che non vivono in una Londra nebbiosa e fumosa, né in una Budapest cupa e tetra, ma in una città modernissima e attuale. Una città piovosa e reale, dove convivono la scuola e la casa dei Cullen, la cucina di Bella e la riserva dei Quileute¹, in un connubio tra magia delle situazioni, dei luoghi, dei personaggi e delle emozioni; in una fitta trama di storie magiche e sentimentali che si intrecciano ad avventura, emozioni e situazioni in continua evoluzione.
Il lettore, in questo modo, riesce ad addentrarsi perfettamente nella narrazione, calandosi completamente nei luoghi frequentati da umani e vampiri, vivendo con loro le avventure che popolano le pagine.
È una storia di fantasia, ma che si appiglia alla realtà. E nella tranquilla cittadina di Forks realtà e magia convivono e coesistono senza rotture, in una simbiosi silenziosa e serena che rende le pagine di questi libri reali come reale può essere una grande storia d’amore, in un crepuscolo quotidiano che è sia temporale sia emozionale: un paradosso, ma perfettamente coerente.
La scrittrice, Stephanie Meyer, rende quindi, in un certo senso, reale l’irreale. Ciò che permette questa singolare simbiosi è un modo di scrivere fortemente ancorato alla quotidiana concretezza: Forks è una cittadina reale, ma abitata da creature irreali.
Come si può conciliare una simile dicotomia? Con la particolareggiata descrizione di ambienti favorevoli all’esistenza di queste creature. Una città umida, piovosa, dal cielo plumbeo.
Ma non basta: una città con un supermercato ubicato in periferia, un ospedale, un fiume che l’attraversa, una fitta foresta con una vegetazione rigogliosa, una scuola. Una descrizione particolareggiata, concreta, vivida, perché più i racconti sono favolistici, più l’ancoraggio alla realtà, paradossalmente, si rende necessario.
Se non ci fosse questa descrizione particolareggiata del contesto, le situazioni immaginarie descritte non avrebbero tale presa. Le pagine di Twilight sono, quindi, ancorate alla cittadina in cui sono ambientate e alla sua quotidianità, facendo convivere pacificamente il banale con lo stupore, il quotidiano con l’irreale. La Meyer fonde e confonde la banalità della scuola di Forks, anonima e chiassosa, con la meraviglia di cinque creature che di ordinario non hanno nulla, i Cullen, che Bella al primo incontro descrive come modelli di riviste di moda patinata.
Bella è una ragazza giovane e introversa che incontra questo mondo magico: si è sempre presa cura della madre, in un certo senso hippy, con la testa tra le nuvole, troppo spensierata e giocosa per assolvere a pieno al ruolo di madre.
Quando si trasferisce a Forks, inizierà anche qui a prendersi cura del padre, e a cucinare per lui… Una giovane ragazza che dimostra più della sua età, che si adatta alle situazioni con umiltà e generosità.
Spesso leggiamo che Bella chiede ad Edward "un minuto da umana". Questo minuto
le serve per non perdere il contatto con la realtà. Sembrerebbe un particolare superfluo, eppure è estremamente significativo e imprescindibile. Il suo minuto da umana serve a noi lettori per entrare nel mondo di Bella, nella sua casa, nella sua camera, dove Edward l’attende. Serve a Bella per ricomporsi, per razionalizzare l’irreale situazione che vive. Serve ad entrambi, a Bella e al lettore, per capire l’irreale, calandolo nel reale. Prendere in mano lo spazzolino da denti, insomma, concede sia a Bella che al lettore quel minuto necessario per comprendere che di là, nella sua camera da letto, c’è Edward che è quanto di più irreale vi sia. Un sogno, come spesso lo descrive Bella, vissuto col timore di svegliarsi.
Ed è proprio in questo contesto che si colloca la cucina: in una linea di confine, una sorta di crepuscolo di passaggio, che accompagna i personaggi e scandisce gli eventi.
Una linea gastronomica presente in tutta la saga, dal primo all’ultimo libro. Capiremo che il cibo non è solo un mero contorno a situazioni ed eventi, non è solo un aspetto periferico che fa da sfondo per le storie importanti, ma una vera e propria chiave di lettura.
Una delle tante, certo, ma molto significativa.
Scopriremo una Bella che sa cucinare, che ama preparare cibi per suo padre, che riversa nelle ricette le sue ansie, le sue paure, ma anche le sue gioie: i lavori manuali la distraggono, la rilassano. È ciò che può capitare a chi cucina: il piacere di sfamare e deliziare i propri cari, ma anche il dover allentare la tensione con la manualità che, legata alla creatività, alleggerisce la mente.
Il tema della cucina, delle ricette, della gastronomia in generale, infatti, è presente in tutta la saga. Può certo sembrare strano, visto e considerato che i vampiri non mangiano… non nel senso umano almeno. Tuttavia, scopriremo proprio un ancoraggio alla realtà scandito da ricette e sapori, da odori di pietanze cucinate e preparate con cura; da gusti forti che accompagnano gli episodi della vita di Bella e li sottolineano e, a volte, li evidenziano con decisione. Il cibo come elemento che rappresenta con forza le emozioni e le situazioni che Bella vive.
Le pagine di questi romanzi sono quindi pregne di odori, percepiti da tutti i personaggi, vampiri compresi, che non riguardano il sangue umano,