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La torre di Babele: Quattro saggi sulla tecnica della traduzione dal russo
La torre di Babele: Quattro saggi sulla tecnica della traduzione dal russo
La torre di Babele: Quattro saggi sulla tecnica della traduzione dal russo
E-book75 pagine51 minuti

La torre di Babele: Quattro saggi sulla tecnica della traduzione dal russo

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Info su questo ebook

Il presente lavoro nasce dall’esperienza sempre nuova e stimolante di anni di attenzione e pratica presso l’Università per Stranieri di Perugia, l’Institut Russkogo Jazyka im. A. S. Puskina di Mosca, nonché l’ACIRS di Porto Alegre (Rio Grande do Sul – Brasile) e il CCIPRSC di Curitiba (Paraná). Parte del materiale presentato nello studio, dedicato alla cosiddetta traduttologia, è stato pensato e strutturato per fungere da riferimento per gli studenti che seguono corsi di traduzione dal russo a livello di competenza C1 e C2 ancora poco esperti, quindi, delle problematiche traduttologiche. La riflessione teorica, che occupa una parte significativa dello studio, è volta a fornire strumenti idonei per una corretta e aggiornata riflessione sull’atto del tradurre e sull’interdipendenza tra il tipo di testo, la sua funzione linguistica o comunicativa e la forma di traduzione, e, allo stesso tempo, presentare strategie traduttive pratiche. Ne La torre di Babele confluisce materiale inedito oltre ad articoli presentati negli Annali dell’Università per Stranieri riveduti, corretti e ampliati.

LinguaItaliano
Data di uscita20 mag 2010
ISBN9788889840771
La torre di Babele: Quattro saggi sulla tecnica della traduzione dal russo

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    Anteprima del libro

    La torre di Babele - Natale P. Fioretto

    La torre di Babele

    Quattro saggi sulla tecnica

    della traduzione dal russo

    Nei casi in cui si è resa indispensabile la traslitterazione dei caratteri cirillici, si è fatto riferimento al sistema adottato dall’ISO, largamente preferito dagli slavisti italiani alla variante anglosassone.

    La traduzione¹ ha avuto una rilevanza straordinaria nella vita dell’uomo, sia a livello culturale che comunicativo, restando in pratica senza regole particolari.

    Se oggi assistiamo al dilatarsi della comunicazione interculturale che investe i campi più disparati dell’attività umana, non dobbiamo pensare che la traduzione sia esclusiva peculiarità dell’epoca moderna e delle società e volute. Le più antiche civiltà euro-asiatiche conoscevano la figura del traduttore e il suo insostituibile ruolo. Studi etnografici hanno dimostrato la costante presenza di un traduttore e/o di un interprete nelle meno evolute e più isolate tribù dell’Asia sudorientale.

    L’austriaco Bernatzik ha osservato che fra i Phi-Tang-Luang dell’Alto Laos «quasi tutti parlavano, a parte la loro lingua, una o due altre lingue, secondo le tribù montane con le quali ciascuno di loro era stato in contatto»².

    A partire della I secolo a. C. con Cicerone³ inizia il dibattito su quelle che in seguito diventeranno delle vere e proprie questioni maledette: bisogna essere fedeli alle parole del testo o al suo pensiero?

    Oltre duemila anni di dispute hanno creato una vastissima letteratura sul problema del tradurre, le teorie si sono aggiunte alle teorie, ma una soluzione definitiva non è stata ancora raggiunta. Con il passare dei secoli e l’evoluzione dei mezzi di indagine il problema teorico-pratico della traduzione si è arricchito di sempre nuove argomentazioni, sviluppatesi a partire dalla dialettica fondamentale.

    Fra il 1522 e il 1534 Lutero completa la traduzione della Bibbia in tedesco e contemporaneamente redige Sendbrief vom Dolmetschen⁴, dove evidenzia la necessità di comprendere il senso intimo del testo, optando non per la lettera, ma per il suo significato. Intenzione esplicita era realizzare una traduzione che fosse adattata al popolo comune. La scelta dei termini e lo stile doveva rendere immediatamente comprensibile il significato per l’uditore tedesco. Per esempio, in Luca 21, 2 Lutero traduce i due λεπτά della vedova con una moneta di Erfurt di scarso valore. L’opera di Lutero fu ampiamente condannata dai cattolici che nel concilio di Trento confermarono il primato della Vulgata come versione ufficiale della chiesa cattolica e, se non proibirono esplicitamente le traduzioni dal latino ai veracoli, tuttavi assunsero un atteggiamento estremamente cauto, impedendo la diffusione della Bibbia tra il popolo per timore di interpretazioni private o della diffusione delle idee protestanti. In ambito cattolico la questione della traduzione della Bibbia è stata definitivamente affrontata e risolta in una nuova prospettiva grazie alle decisioni prese dal concilio Vaticano II (1962-1965). Nella costituzione dogmatica Dei Verbum (18 novembre 1965) si afferma che le traduzioni della Bibbia si possono distinguere in due tipi a seconda del tipo di traduzione:

    •  letterali/letterarie, cioè fatte in base al prncipio di equivalenza formale, che enfatizza la corrispondenza letterale e formale del testo tradotto al testo-base da cui è tradotto;

    •  in lingua corretta, cioè fatte in base al principio di equivalenza funzionale, che mira più alla trasmissione e comprensione da parte del lettore del contenuto e del messaggio del testo di partenza, che alla sua riproduzione formale, secondo un nuovo concetto di una traduzione funzionale.

    Qualche anno dopo la lettera di Lutero (siamo nel 1540) Ètienne Dolet nel trattatello Manière de bien traduire d’une langue en l’autre sintetizza i punti fondamentali che il buon traduttore deve osservare: capire perfettamente il senso del testo che si traduce; avere un’eccellente conoscenza delle due lingue; prescindere dalla resa sintattica letterale; attenersi al francese d’uso comune, evitando i latinismi; creare uno stile sciolto, elegante ma non pretenzioso e, soprattutto, uniforme.

    Nel XVIII secolo le questioni maledette si riaffermano, sotto forma di antitesti fra versione e traduzione, nell’ Encyclopédie di Diderot.

    L’evoluzione continua con Goethe sostenitore della traduzione integrale e va oltre fino ai notevolissimi passi compiuti dalle moderne teorie.

    Fino a qualche decennio fa il problema della traduzione è stato considerato un fatto di competenza letteraria, storica, stilistica, ma certamente non linguistica. J-P. Vinay⁵ e A. V. Fedorov⁶ per primi hanno cercato di affrontare il problema fondandosi sulle definizioni della linguistica generale. Se è vero che il tradurre è considerata un’attività sui generis, è anche vero che lo studio in chiave

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