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Tensioni sociali nella Tarda Antichità nelle province occidentali dell’Impero romano
Tensioni sociali nella Tarda Antichità nelle province occidentali dell’Impero romano
Tensioni sociali nella Tarda Antichità nelle province occidentali dell’Impero romano
E-book338 pagine4 ore

Tensioni sociali nella Tarda Antichità nelle province occidentali dell’Impero romano

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Info su questo ebook

La Tarda Antichità nella Pars occidentis del mondo romano è stata caratterizzata da forte tensione sociale dovuta a una situazione socio-economica e culturale ormai trasformata, almeno rispetto ai primi due secoli dell’età imperiale.

Questo volume raccoglie gli Atti del I convegno internazionale Tensioni sociali nella Tarda Antichità nelle province occidentali dell’Impero romano che ha voluto approfondire la caratteristica delle suddette tensioni per dare un quadro della situazione socio-economica della Tarda Antichità soprattutto per quanto concerne le province dell’Africa romana, della Hispania e delle Gallie. L’obiettivo è stato quello di dare una chiave di lettura dell’alto medioevo europeo approfondendo quanto accadde immediatamente prima e immediatamente dopo la fondazione dei cosiddetti regni romano barbarici.

Scrive il curatore nella prefazione: «Ci sembra opportuna una riflessione sulle vicende a cavallo del secolo IV per le forti somiglianze con l’attualità. Il primo decennio del XXI secolo sta infatti riproponendo circostanze simili a quelle del passato, come sovente capita nella storia umana. Affrontare eventi non inediti per la storia umana può, pertanto, risultare anche confortante se non altro perché sappiamo che i problemi che abbiamo davanti non sono irrisolvibili. Sappiamo anche che porteranno da qualche parte e, a volte, non dalla parte desiderata».
LinguaItaliano
Data di uscita26 ott 2015
ISBN9788897010883
Tensioni sociali nella Tarda Antichità nelle province occidentali dell’Impero romano

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    Anteprima del libro

    Tensioni sociali nella Tarda Antichità nelle province occidentali dell’Impero romano - Luca Montecchio

    Techne

    nuova serie

    12

    title

    I edizione, ottobre 2015

    ISBN 978-88-97010-88-3

    PROPRIETÀ LETTERARIA RISERVATA

    IN COPERTINA: Vers-Pont-du-Gard (Francia), Ponte del Gard, circa 19 a.C.

    FOTO: © BoJe / Fotolia.com

    CARTINE: Roberto Di Iulio

    IMPAGINAZIONE E GRAFICA: Eugenia Paffile

    I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,

    di riproduzione e di adattamento totale o parziale,

    con qualsiasi mezzo (compresi microfilm e copie fotostatiche),

    sono riservati per tutti i paesi

    L’Editore è a disposizione degli aventi diritto con i quali non è stato possibile comunicare, nonché per eventuali omissioni o inesattezze nella citazione delle fonti

    eBook by ePubMATIC.com

    LUCA MONTECCHIO (Università e-Campus)

    Introduzione

    1 GONZALO B RAVO C ASTAÑEDA ( Universidad Complutense di Madrid )

    Campesinos y bagaudas en Hispania (siglos III-V): para una valoración crítica del contexto bagáudico

    1.1. Introducción

    1.2. Marco Teórico

    1.3. Contextualización

    1.4. Análisis

    1.4.1. Patrón Textual

    1.4.2. Patrón Contextual,

    1.5. Propuestas de interpretación

    2 RAÚL G ONZÁLEZ S ALINERO ( Universidad Nacional de Educación a Distancia - UNED, Madrid )

    Tensioni tra ebrei e cristiani nella Hispania tardoromana

    3 JAVIER A RCE ( Universitè de Lille 3 )

    Usurpadores en la Hispania tardoantigua (IV-VII)

    4 TRIESTINA B RUNO ( Università e-Campus )

    Tensioni sociali nell’Africa romana: la repressione del Donatismo

    5 LUCA M ONTECCHIO ( Università e-Campus )

    Imperium Galliarum e prima fase della bacauda: conflitti sociali e politica ufficiale

    5.1. Imperium Galliarum

    5.1.1. Perché Postumo?

    5.1.2. Proculo e Bonoso

    5.1.3. I bacaudae

    5.1.4. Carausio

    5.2. Il cristianesimo e i bacaudae

    5.3. Conclusioni

    6 LORENZO M AGLIARO ( Università di Roma III )

    Tensioni sociali ed etniche e dominazione politica in Gallia tra il V e il VI secolo

    6.1. Le invasioni dell’inizio del V secolo, le usurpazioni di Costantino III e Giovino e lo stanziamento di Burgundi e Visigoti

    6.2. Possessores, barbari e hospitalitas . I casi di Rutilio Namaziano e Paolino di Pella

    6.3. Nascita dei regna e tensioni sociali

    6.4. L’espansione merovingia nella prima metà del VI secolo

    6.5. Tensioni sociali e tensioni etniche: tracce di dinamiche differenti

    7 ORIETTA D ORA C ORDOVANA ( Università di Edinburgh )

    Diritti territoriali, migrazioni e conflitti sociali in Africa tardoantica

    8 ANTONELLA D I M AURO ( Università e-Campus )

    Episodi di violenza nel nord Africa: S. Agostino e la legislazione imperiale

    9 ALESSANDRA V ERONESE ( Università degli Studi di Pisa )

    Gli ebrei nel mondo mediterraneo tra fine del mondo antico e primo Medioevo

    9.1. Gli ebrei nella Penisola Iberica

    9.2. Francia meridionale

    9.3. Italia

    9.4. Gli ebrei dell’impero bizantino

    9.5. Conclusioni

    Il secolo III fu per l’impero romano un periodo davvero buio. Il potere centrale pareva disgregarsi davanti ai tanti usurpatori e di ciò approfittarono anche le popolazioni germaniche attestate lungo la riva destra del Reno.

    Fu la Pars occidentis della compagine imperiale a subire maggiormente le conseguenze di tali disordini al punto che gli storici individuarono un termine per sintetizzare ciò che era avvenuto nel III secolo: crisi.

    Brandt in proposito ricorda come i secoli tardo imperiali avessero già assunto una «forma canonica nella prospettiva degli storici dell’antichit໹.

    Ma fu vera crisi nel III secolo?

    Heather sottolinea come per tutto il secolo, sino agli inizi di quello successivo, continuò a crescere il numero dei soldati arruolati da Roma. Egli afferma a ragion veduta che l’esercito fosse «la voce più pesante delle uscite statali»².

    Non si può definire quel secolo come caratterizzato da una ‘crisi’ perché, in realtà non si trattò di una semplice crisi, fu bensì un passaggio difficilissimo che pose le basi per una nuova entità. Proprio in quel secolo infatti si hanno le fondamenta di quello che sarà la feudalità alto medievale. Proprio in quel secolo iniziò una lenta, ma inesorabile affermazione della Ecclesìa cristiana, non solo nelle città ma anche nelle zone rurali. Proprio il quel secolo alcuni usurpatori costituiranno potentati personali di breve durata che saranno prodromi di ciò che si affermerà definitivamente subito dopo i cosiddetti regni romano barbarici.

    Tra il 235 e il 284 d. C. l’impero romano visse, come ricorda Averil Cameron, mezzo secolo caratterizzato «da uno stato di guerra, interna ed esterna, quasi permanente, accompagnato dal tracollo della moneta d’argento e dal ricorso da parte dello Stato ad esazioni in natura»³. Soltanto con Diocleziano si tornò ad avere un imperatore, un dominus, capace di portare nuovamente la situazione, almeno parzialmente, sotto controllo. Il prezzo da pagare però era stato elevatissimo, sia in termini di vite umane, sia in termini economici. Considerato che la classe media romana, soprattutto per quanto concerne le zone rurali, era stata annientata. Una vera ripresa la si ebbe nel secolo IV con Costantino (306-337) che completò le riforme dioclezianee.

    Con ogni evidenza non si può drammatizzare eccessivamente la portata della cosiddetta ‘crisi del III secolo’ perché, come è stato ampiamente dimostrato, una crisi economica certamente ci fu ma, data la vastità dell’impero, era diffusa in modo diverso a seconda delle province che si vanno ad analizzare. Quel che appare certo è il manifestarsi di una crisi politica che portò, lo dicemmo, ad una sorta di anarchia militare. D’altronde non ci sarebbero state scorrerie barbare in profondità con quella frequenza, se ci fosse stato un esercito concentrato sul limes. Quell’esercito che fu riformato da Settimio Severo, divenne, in tempi brevi, la causa dei disordini del secolo successivo. Come sovente accade sono le circostanze che determinano le scelte degli individui e, nel caso specifico, dei militari. Essi stessi, godendo di un’importanza superiore rispetto al passato, in modo inevitabile si sentirono investiti di una responsabilità eccessiva al punto che «non c’è da stupirsi che ogni esercito provinciale avesse un candidato da proporre come imperatore e che, con la stessa facilità con cui lo avesse designato, potesse poi eliminarlo».

    D’altra parte il Senato mai ebbe modo di «controllare gli eserciti e, in tale confusione, anche se c’era un imperatore a Roma, erano scarse le possibilità che egli potesse controllare quanto avveniva nelle regioni più distanti dell’impero»⁴.

    Non si può nemmeno sottovalutare come ogni princeps potesse mettersi al di sopra della legge, purché non forzasse la pazienza del Senato e del popolo oltre il punto di rottura. Quando tale punto veniva superato, gli veniva rifiutata l’apoteosi (che non era certo una grande consolazione per il Senato o per il popolo che avevano subito un tiranno). Comunque ormai, nel secolo III, stava svanendo quell’aurea di antico splendore che aveva avvolto il Senato. Nondimeno sino all’imperatore Tacito, i pretendenti al trono trovavano il loro tornaconto nell’atteggiarsi a campioni del Senato. Certamente era un modo atto ad evitare un mancato riconoscimento dallo stesso che, con ogni probabilità, avrebbe significato una guerra spesso mortale per l’imperatore⁵.

    L’esito naturale del lungo periodo di anarchia del secolo III fu lo scoperto dispotismo di Diocleziano. Ultimo di una serie di soldati di origine illirica riuscì a salvare Roma dal disfacimento minacciato da nemici esterni ma, soprattutto, da nemici interni. All’uopo Diocleziano, seguendo in questo l’esempio di Aureliano, circondò il proprio trono di pompa e maestà nella speranza che un reverente timore potesse far da scudo al potere civile rispetto alla soldataglia sfrenata che, sino ad allora, l’aveva fatta da padrona. La penisola italiana sin dai tempi di Settimio Severo non era più il paese privilegiato in Italia. A seguito del periodo cupo di cui si parlerà nel nostro consesso, il controllo del potere centrale fu reso sistematico anche se mai si raggiunse un’uniformità assoluta. Da Augusto fisco, la giustizia e altri rami dell’amministrazione, venivano modulati a seconda delle particolari condizioni di ciascuna provincia. In tale contesto si era sviluppata e, rafforzata nel corso dei secoli, una burocrazia sempre più vasta che de facto fu concausa di una diminuita importanza dell’apparato senatorio. Il caos del secolo III fu causato anche da una cattiva amministrazione delle province, soprattutto, di quelle della Gallia che indussero i cives a diffidare di chi li affamava, invece di favorire un miglioramento delle condizioni di vita.

    Parallelamente allo sviluppo dell’assolutismo e all’ampliamento della burocrazia, si erano manifestate certe tendenze atte a modificare profondamente la composizione della società nel suo insieme. Le delimitazioni delle varie classi tendevano sempre più a diventare rigide e invalicabili. Pertanto se l’impero era in decadenza, la società si irrigidiva assumendo una configurazione che, per certi versi, poteva ricordare quella orientale. Si considerino, ad esempio, le legioni di frontiera. Esse erano costituite in gran parte dai figli nati nell’accampamento. Si pensi poi alla questione del colonatus e cioè al fatto che si originò un legame inscindibile tra i contadini e la terra. Tale legame, in tempi invero rapidi, degenerò in una schiavitù vera e propria.

    L’approvvigionamento di Roma, nonché il trasporto pubblico delle merci resero ereditarie le mansioni ad esse collegate. Facilmente si arrivò ad una aumentata sperequazione tra le classi sociali. Facilmente si arrivò ad una cristallizzazione di quelle classi sociali che, per qualche tempo, avevano, al contrario, goduto della capacità di coniugarsi in modo tale da non essere statiche ma dinamiche.

    Con Diocleziano si era arrivati a pensare che tutto ciò non sarebbe stato più possibile soprattutto per mere ragioni pratiche.

    Quelle che alcuni chiamarono tensioni del secolo III avevano portato l’imperatore a guardare con sospetto gli ultimi decenni di quel secolo e lo convinsero a voler superare i limiti di quel periodo.

    Per Peter Brown il periodo messo sotto la lente di ingrandimento in questo convegno non è di decadenza, bensì è caratterizzato da un acceso dibattito religioso e culturale che portò all’alto Medieoevo⁶.

    L’ultima fase dell’avventura dell’impero romano di Occidente fu pervasa da contraddizioni (inevitabili quando si parla di storia umana), lotte, incancrenirsi di situazioni e lo stabilirsi di nuove realtà, già esistenti ma non ancora certificate.

    Proprio in epoca dioclezianea si cristallizzano - lo vedemmo - condizioni di vita che già da tempo avevano preso piede nelle zone rurali, su cui nessuno, prima di Diocleziano, aveva legiferato, ma, soprattutto, si acuì lo iato tra le classi sociali e si abbandonano le campagne ai nobiles, ai domini che diventeranno gli unici punti di riferimento, anche dal punto di vista legislativo, di uno stato che si arrocca nelle città.

    Il prendere atto di una realtà già esistente, definirà una situazione che tale resterà, con poche modifiche nella sostanza, per un millennio e mezzo. Non è dunque un aspetto che possa venire messo da parte, perché è la certificazione dell’impotenza di un imperatore nell’amministrare le zone rurali.

    Il secolo che finì con l’imperatore illirico aveva visto lotte di potere che avevano indebolito l’impero, non aveva visto tensioni sociali diverse da quelle che sono sempre sullo sfondo della vita stessa di uno Stato. Ma proprio sulle difficoltà che vivevano i contadini da sempre assenti dalla politica dell’Urbe, aveva fatto leva chi voleva far scaturire ‘tensioni’ di altro tipo. Quelle che in tempi recenti saranno chiamate ‘masse’, infatti, furono la mano d’opera necessaria di chi voleva far emergere o mantenere il proprio potere proprio partendo dalle campagne.

    Ecco dunque che dopo il fronteggiarsi degli eserciti romani al soldo dei loro comandanti bramosi di farsi incoronare imperatori, sembrò che il contado, o comunque alcuni abitanti delle campagne galliche, volesse ribellarsi ad una realtà dura e misera.

    Ward-Perkins riporta che «quando era in voga il marxismo, li si vedeva di solito come contadini oppressi e schiavi in rivolta… oggi si tende a considerarli gruppi autonomi locali di estrazione sociale molto più elevata, che lottavano per difendere i loro interessi in tempi difficili»⁷.

    La storiografia marxista accolse con entusiasmo la lettura di frammenti di fonti, sulle quali fece leva per esaltare la rivolta degli oppressi, senza tentare minimamente di rielaborare gli scritti dello stesso Marx. E quindi scivolando in errori di valutazione grossolani. Eppure ancora oggi il retaggio di quella cultura che impregnò profondamente la società del secolo XX porta lo storico ad affrontare determinati argomenti con prudenza. Lo stesso Ward-Perkins non esita a riconoscere che i bacaudae, cui si sta iniziando a fare cenno, potessero senz’altro essere anche contadini, o schiavi, ma che la loro guida difficilmente poteva essere di personaggi di infima estrazione. Come si vedrà le tattiche militari usate dai comandanti dei bacaudae erano tutt’altro che rozze considerato che permisero loro di tener testa ad attrezzati e preparati eserciti imperiali. Ecco questo è un punto chiave su cui sarà inevitabile un ulteriore approfondimento degli studiosi.

    Andrà altresì approfondito il tema cui facemmo cenno in precedenza e cioè quello dei cambiamenti sociali che porteranno alla società alto medievale sino alla prima epoca comunale.

    In buona sostanza l’antichità tarda - come qualsivoglia epoca storica - è la premessa per l’Alto Medioevo. Una premessa sociale, politica, economica e anche culturale.

    La società romana, pertanto, tese nei fatti al decentramento sotto tutti i punti di vista e, soprattutto, come conseguenza di tale decentramento, vide la forte ascesa delle campagne. La stessa capitale dell’impero era stata spostata e, dopo Roma, fu Treviri (nel secolo IV) e poi dal 402 Ravenna. È inevitabile che un impero fondato su «l’unione di tutte le sue città»⁸, ebbe qualche problema di stabilità proprio quando la centralizzazione del governo stabilita nel secolo IV portò le città ad avere una minore autonomia e con essa una minore capacità decisionale. Come è largamente noto, il Senato venne ampliato e i cittadini più facoltosi poterono ambire ad incarichi prestigiosi non più solo locali. In tal modo, però, lasciarono il potere locale in mano ai consiglieri municipali che avevano quale compito precipuo la riscossione delle tasse. Essi godevano di grandi onori e altresì di grandi oneri, visto che erano responsabili della effettiva copertura delle entrate derivanti dalle tasse. Una tassazione sempre più gravosa sui curiales fu uno dei motivi di abbandono progressivo delle città⁹.

    Oltre al mondo laico esisteva, ormai, e da qualche tempo, il mondo ecclesiastico che si andava radicando sempre più nell’Occidente latino.

    Esso, ormai e in modo crescente, si andava affermando oltre che nelle città anche in quelle zone rurali che i Romani non erano riusciti a conquistare. Il cristianesimo in tempi rapidi diventerà una delle religioni più influenti dell’impero sino a diventarne, con Teodosio, la religione ufficiale.

    Intanto va’ osservato come nelle Galliae la carica di vescovo si era andata configurando - lo sottolinea il Wickham - «come parte della normale carriera laica dei notabili cittadini, esattamente come era stato in precedenza il sacerdozio pagano; la tradizionale gerachia del mondo romano aveva effettivamente assorbito le nuove strutture di potere della cristianit໹⁰.

    Il credo cristiano aveva quindi prodotto una classe dirigente che, pian piano, andava affermandosi in ogni ambito del potere romano.

    Come ricorda Marta Sordi

    "…con i Severi difatto, con Gallieno di diritto, l’ingresso dei cristiani nella classe dirigente dell’impero era stato, non solo permesso, ma incoraggiato e favorito¹¹."

    Eusebio di Cesarea, in proposito, rileva come alla vigilia della grande persecuzione dioclezianea i governatori delle province e i magistrati cristiani fossero stati, de facto (non de jure), dispensati dal culto degli dei¹². Con ciò, evidentemente, si voleva togliere ogni ostacolo all’eventuale accettazione di un cristiano delle cariche dello stato. Si voleva, insomma, una collaborazione anche con quell’elemento¹³. D’altronde la collaborazione vi era stata all’epoca dell’assedio di un quartiere di Alessandria ai tempi di Claudio il Gotico.

    Da questo punto di vista proprio le Galliae rappresentano un emblema di un cambiamento in atto sin dal secolo III.

    Intanto un’osservazione: se i luoghi di culto pagani venivano eretti attorno al foro, dunque nel centro della vita cittadina, le chiese cristiane vennero costruite ai margini delle città, se non proprio all’esterno di esse, nelle aree cimiteriali. Conseguenza immediata di ciò fu una sostanziale decentralizzazione della vita religiosa urbana. Soprattutto in Gallia le civitates cominciarono, come dice acutamente il Wickham, «a frammentarsi dal punto di vista spaziale, con piccoli nuclei urbani attorno a chiese disperse»¹⁴. Ciò, con ogni evidenza, portò alla rovina alcuni tradizionali centri cittadini che, magari, venivano considerati o troppo pagani o troppo laici rispetto ad una visione spirituale della vita. Tale fatto, nondimeno, portò giovamento proprio alla causa cristiana che, in breve, divenne fulcro della vita nei piccoli centri.

    Inoltre va’ detto che, se ancora nel secolo III il clero della Hispania, quello delle Galliae, non era così ricco, esso, però, aveva posto le premesse per poter accumulare ricchezze, in certi casi, superiori rispetto a quella delle diverse amministrazioni civili. Nei secoli IV e V la Chiesa, divenuta una struttura complessa, grazie alle donazioni di privati cittadini, oltre a diventare sempre più ricca, aveva, de facto, assunto la prerogativa di punto di riferimento essenziale per l’impero. Essa infatti riusciva a gestire anche la realtà rurale oltre a governare le zone cittadine. Proprio le campagne erano, invece, un vulnus per i Romani che ebbero sempre difficoltà ad integrarle nella struttura statale.

    Nell’ultimo secolo di storia dell’impero di Occidente, infine, la chiesa cattedrale «fu spesso il più grande proprietario terriero locale (e quindi patrono) e, a differenza della ricchezza delle famiglie private, la sua stabilità poté essere garantita - i vescovi, infatti, non avevano il permesso di alienare la proprietà ecclesiastica»¹⁵.

    Ulteriori questioni da approfondire per quanto concerne le cosiddette tensioni del secolo III sono quelle inerenti la presenza di elementi di religione giudaica in seno all’impero. D’altronde le comunità ebraiche sono precedenti rispetto a quelle cristiane e si erano diffuse nei confini romani anche se non in modo capillare. Presenze giudaiche sono state rilevate nella Hispania nord orientale, oltre che, naturalmente, a Roma e in altre province orientali¹⁶. Tale presenza però era maggiormente significativa nelle province rispetto all’amministrazione dello stato centrale¹⁷. Gli Ebrei infatti ebbero come precipua caratteristica quella di isolarsi rispetto alla comunità che li ospitava nelle province imperiali. Si ricordi che gli Ebrei, stando alle fonti, ebbero la tendenza di fare fronte comune con i pagani contro gli eretici e contro i cristiani qualora se ne fosse presentata l’occasione¹⁸. Giocoforza non furono mai visti di buon occhio dai seguaci di Cristo. Essi rappresentarono sempre un punto di discontinuità nella storia di Roma. Forse il solo Giuliano l’Apostata, nel suo vano tentativo di andare contro i cristiani, giunse ad un’alleanza di fatto con l’elemento ebraico quando optò per la ricostruzione del Tempio di Gerusalemme¹⁹. I seguaci di Jahvé, in buona sostanza, continuarono ad essere ai margini della vita dei principali centri imperiali, ma non per questo avevano una scarsa incidenza nella vita politica locale.

    I suddetti temi sono alla base dell’incontro con studiosi europei che lavorano su temi complementari in quattro regioni dell’Europa: la Spagna, la Francia, la Gran Bretagna e l’Italia. Fare il punto degli studi sul periodo in questione ci sembra necessario per i numerosi scritti in proposito pubblicati negli ultimi quarant’anni. In quei decenni, come già facemmo cenno, molte cose sono cambiate e la stessa percezione dei problemi ha subìto un cambiamento a causa dell’evoluzione di idee ma, soprattutto, delle ideologie che delle idee sono semplici schemi. Le ideologie hanno marcato fortemente buona parte dei secoli XIX e XX e hanno influenzato la visione storica degli specialisti.

    Ci sembra altresì opportuna una riflessione sulle vicende a cavallo del secolo IV per le forti somiglianze con l’attualità. Il primo decennio del XXI secolo sta infatti riproponendo circostanze simili a quelle del passato, come sovente capita nella storia umana. Affrontare eventi non inediti per la storia umana può, pertanto, risultare anche confortante se non altro perché sappiamo che i problemi che abbiamo davanti non sono irrisolvibili. Sappiamo anche che porteranno da qualche parte e, a volte, non dalla parte desiderata.

    LUCA MONTECCHIO

    (Università e-Campus)

    Bibliografia

    H. BRANDT, Das Ende der Antike, München 2001.

    P.R.L. BROWN, The World of Late Antiquity: From Marcus Aurelius to Muhamad, London 1971.

    A CAMERON, Il tardo impero romano, Urbino 1995.

    A. CHASTAGNOL, L’accentrarsi del sistema: la tetrarchia e Costantino, in: AA.VV., Storia di Roma, Torino, 1993.

    D. GOODBLATT, The political and social history of the Jewish in the land of Israel, in The Cambridge History of Judaism, vol. 4, a cura di T. Katz, Cambridge 2006, 416-423.

    P. HEATHER, La caduta dell’impero romano. Una nuova storia, Varese 2012.

    T. KATZ, (a cura di), The Cambridge History of Judaism, vol. 4, Cambridge 2006.

    A. LANIADO, Recherches sur les notables municipaux dans l’empire protobyzantin, Paris 2002.

    J.H.W.G. LIEBESCHUETZ, The Decline of the Ancient City, Oxford 2001.

    V. NERI, L’imperatore e gli ebrei in età tardoantica: la testimonianza della storiografia pagana e cristiana, in: polidoro. Studi offerti a A. Carile, Spoleto, Centro italiano di studi sull’Alto Medioevo, 2013, 37–58.

    C. RAPP, Holy Bishops in Late Antiquity, Berkeley 2005, 274-289.

    M. SORDI, I cristiani e l’impero romano, Como 2006.

    B. WARD-PERKINS, La caduta di Roma e la fine della civiltà, Roma-Bari 2008.

    C. WICKHAM, L’eredità di Roma, Bari 2014.

    A Davide un amico che mi ha spinto ad amare la storia

    LUCA MONTECCHIO

    "I barbari, quelli almeno di uno stesso gruppo

    o sotto lo stesso re, si amano quasi tutti tra loro;

    quasi tutti i Romani, invece, si perseguitano l’un l’altro.

    E quel male, quale sia, quanto sia crudele,

    quanto derivato da questa stessa empietà,

    quanto ignoto ai barbari, quanto familiare ai Romani,

    è tale, che essi si depredano a vicenda con l’esazione fiscale"

    SALVIANO DI MARSIGLIA

    1 Introducción

    La revisión del significado histórico de los conflictos sociales tardorromanos, en general, y de las revueltas bagáudicas, en particular, es un tema recurrente en la historiografía moderna y reciente, que ha atraído la atención de no pocos historiadores en las últimas décadas¹. Por eso el título de esta ponencia no es casual, fortuito ni arbitrario, sino deliberado y, en cualquier caso, provocativo porque, si fuera aceptado en sus propios términos se resolvería parte del debate historiográfico que ha ocupado la atención de los historiadores sobre la naturaleza de la bagauda galo-hispánica de los siglos III al V.

    Para unos se trataba de acciones aisladas protagonizadas por individuos o grupos que atentaban contra la propiedad (latrones), la seguridad (banditi, saltuarii) o la integridad de personas (criminosi) o contra la estabilidad institucional (rebelles). Pero en esta interpretación, unos y otros, si acaso, constituían una forma de organización primaria - prepolítica, según algunos² - incapaz de transformar el sistema sociopolítico vigente y, en todo caso, se trataría de hechos aislados sin la necesaria dimensión social. Para otros historiadores, en cambio, la clave de estas acciones está en la identificación precisa de los agentes y los móviles que explican tales acciones, que no serían sino las precarias condiciones de vida del campesinado, sometido a formas de explotación abusivas (patroni) o a la arbitrariedad de los propietarios de las tierras sobre ellos (coloni, servi).

    Pues bien, la polémica se ha polarizado finalmente en dos posiciones bien definidas: quienes sólo ven en estas acciones bagáudicas un conflicto campesino, que no superó el marco rural, y quienes, por el contrario, pretenden minimizar su significación histórica al considerar estas acciones como hechos aislados, de mero carácter local, imputables a personas que actuaban fuera de la ley en calidad de latrones o banditi. Pero naturalmente, entre ambas posiciones caben otras muchas interpretaciones intermedias, como las siguientes: revueltas campesinas, pero que afectaron también al marco urbano; acciones de carácter regional, pero que desbordaron ampliamente los ámbitos locales; o, si se prefiere, revueltas campesinas, pero promovidas por los propietarios en defensa de sus propios intereses; o incluso revueltas de base campesina a la que se unieron individuos o grupos de extracción urbana movidos por similares intereses, no sólo económicos sino también sociopolíticos, es decir, la bagauda³.

    Hoy trataremos de aportar aquí datos, hipótesis y teorías que ponen en cuestión algunas de estas interpretaciones simplistas de los hechos, al menos por lo que se refiere a la bagauda galo-hispánica del Occidente tardorromano. Porque el problema es ante todo complejo y requiere varios niveles de reflexión y análisis.

    2 Marco Teórico

    El primer nivel es, sin duda, la configuración del

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