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Saldi, dubbi e liquide certezze - ovver - L'educazione continua di un giovane predestinato - Luciano Poletto Ghella
Saldi, dubbi e liquide certezze - ovver - L'educazione continua di un giovane predestinato - Luciano Poletto Ghella
Saldi, dubbi e liquide certezze - ovver - L'educazione continua di un giovane predestinato - Luciano Poletto Ghella
E-book116 pagine1 ora

Saldi, dubbi e liquide certezze - ovver - L'educazione continua di un giovane predestinato - Luciano Poletto Ghella

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Info su questo ebook

Un fasullo giornalista per diritto natale, si pone delle domande sfidando tutti i punti di vista rispetto, per esempio, alla melassa degli occhielli della più consueta carta stampata. Al protagonista queste domande non dovrebbero servire, anzi nel suo alto ceto apparirebbero di disturbo, comunque inutili e estranee, come lo sono state per lui.
Perciò le cela a tutti, tranne che al co-protagonista, un hacker, vale a dire il solo detentore di informazioni riservate, che appartengono a gruppi selezionati dei quali lui stesso non fa parte.
La vicenda si evolve in incontri con personaggi socialmente marginali: una cassiera, un piccolo imprenditore, uno studioso, un pensionato, una commessa, la proprietaria di una catena di pompe funebri, un clochard, una hostess, altri malcapitati.
LinguaItaliano
EditoreAbel Books
Data di uscita12 nov 2012
ISBN9788867520268
Saldi, dubbi e liquide certezze - ovver - L'educazione continua di un giovane predestinato - Luciano Poletto Ghella

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    Anteprima del libro

    Saldi, dubbi e liquide certezze - ovver - L'educazione continua di un giovane predestinato - Luciano Poletto Ghella - Luciano Poletto Ghella

    Luciano Poletto Ghella

    Saldi dubbi e liquide certezze

    Ovverol’Educazione continuadi un giovane predestinato

    Abel Books

    Proprietà letteraria riservata

    © 2012 Abel Books

    Tutti i diritti sono riservati. È  vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata, compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico.

    Le richieste per l’utilizzo della presente opera o di parte di essa in un contesto che non sia la lettura privata devono essere inviate a:

    Abel Books

    via Terme di Traiano, 25

    00053 Civitavecchia (Roma)

    ISBN 9788867520268

    Sommario

    - Figlio di

    - Oziose curiosità e un fornelletto

    - Cros con la esse

    - Picchetto d’onore e volumetrie

    - Energica e la telecamera sbarazzina

    - L’estetica dell’ubbidienza

    - L’esenzione del pannello

    - Client oriented & black

    - Il funzionamento delle cose: riservatezze e iniziazione

    - Qui nuda? (Porquerolles)

    - Le astrazioni dell’avvoltoio

    - Se hai dubbi prova a sparare

    - Nebbie ai tropici

    - La paura e il vuoto della paura

    - Crasniecovica indra glabrenza

    - Continui così

    - La presunzione della bottiglia

    - Darwin e il laghetto del cambiamento

    - Il bel moto dell’onde

    - La consultazione d’oggidì

    - Vecchie musiche ci accompagnano

    Rigorosamente inventato. Scevro di qualsivoglia riferimento a Persone, fatti, luoghi e cose reali.

    I Figlio di

    La televisione ripeteva l’ennesimo disastro e le anchor femmine concitate dipingevano pixel di rossetti per labbra XXX, L. Le famiglie potendo celebravano qualche resurrezione dalle macerie e l’eroe del badile nel fango.

    I fulgidi stavano seduti dietro cupe scrivanie: la penombra dei vasti uffici di cuoio e boiseries confondeva i muti lineamenti con gli intarsi e le incisioni di un candelabro. Uno per scrivania, uno per ufficio, uno ogni cinquanta palazzi patrizi: davanti ai portoni e ai cancelli, talora, la scorta.

    Fortuna che capitano, rifletteva un fulgido. Fanno più chiasso della finale ai mondiali, meditava un altro. Un disastro al giorno leva il popolo di torno, considerava amabilmente un terzo, scuotendo il capo come a rimproverarsi per la sua indelicata spiritosaggine: No. Questa è esagerata: non potrò ripeterla domani. Bisogna che ne inventi una meno, come dire, meno qualche cosa. Questi conservava fama di essere genialmente spiritoso, presso i suoi studenti che lo vedevano di sfuggita anche tre volte l’anno. Però la sentivano ripetere dagli altri studenti in procinto di laurearsi, e dai vari gradi dei secondi e terzi livelli accademici: tutti adoranti per il tanto o poco di pagnotta che arrivava, o che si sperava apparisse.

    Seri i conduttori delle reti lamentavano il numero delle vittime accertate e l’incertezza sui dispersi. Gli esperti lamentavano l’incurie e le burocrazie e i troppo pochi soldi destinati, mai ne rimanessero. I più autorevoli, in collegamento dal giardino, velatamente lamentavano una qualche inconsistenza o inadeguata incisività nell’iniziativa politica. Frammezzo alle lamentazioni, i vice-sottocapi delle istituzioni, per un minuto in televisione, vantavano recitando a mitraglietta le loro iniziative ben più significative di quelle di quelli di prima. Quelli di prima, in spezzoni vecchi di almeno mezza giornata, accusavano qua e là. I giornalisti registravano gli interventi per poi mixarli con le agenzie e derivarne gli articoli da inviare. Venti ospiti per quattro ore in sette studi televisivi ripetevano ossessivamente quello che la gente voleva leggere il giorno dopo. Cros assisteva. Era giornalista di nome, non di fatto.

    Figlio di un giornalista e perciò giornalista: non ancora trentenne, non aveva mai scritto due righe. Leggeva. Partecipava a riunioni, ascoltava, non diceva mai nulla, posava l’agenda, la riprendeva per la riunione successiva. Assunto come redattore di sicuro avvenire, senza essere assegnato a qualche incarico, per raccomandazione del Direttore seguiva quel che gli pareva. In questo modo un giorno avrebbe certamente saputo scegliere di quali tematiche interessarsi. Ogni due o tre mesi il Direttore, mai scordare la maiuscola, lo chiamava, per sapere che cosa ne pensasse. Non precisava di che cosa: l’argomento non era rilevante. Ogni tanto appariva opportuno verificare che non avesse di che lamentarsi. Il papà la sapeva troppo lunga e il ragazzo non costava quel granché: soprattutto non dava fastidio, papà nemmeno. Il Direttore temeva che un giorno o l’altro il ragazzo chiedesse di occuparsi di qualche cosa. Di organizzazione o di approvvigionamenti. Peggio, di relazioni. Quando lo farà, sarà dietro suggerimento del padre. Che vorrà mettere il becco nei fatti miei, era certo. A volte pregustava di promuoverlo giornalista effettivo, inviato in qualche remoto Paese, purché sonnolento e senza notizie da riportare. Subito rinunciava all’illusione: papà avrebbe colto il suo desiderio di levarselo dai piedi, senza concedergli di passarla liscia.

    Cros andava a non far nulla quasi tutti i giorni. Aveva a suo tempo scelto una postazione contro la parete, di fronte ai nove finestroni dell’open space, accanto al retro di un alto armadio da ufficio collocato perpendicolarmente. S’era quindi accomodato la scrivania un poco di traverso, in modo sufficiente perché nessuno passando potesse spiare i contenuti dello schermo del suo portatile. Da un amico s’era fatto installare un sistema di sicurezza assai restrittivo: i tecnici del giornale avevano il loro daffare per tentare di tenerlo sotto controllo, senza riuscirci.

    Pur isolandosi non era isolato. Ormai certi del suo silenzio alle riunioni e soprattutto dopo, tutti lo convocavano per quell’ennesime orette da trascorrere insieme. Che partecipasse oppure no era secondario: lo scopo per chiunque stava nel manifestare il preciso intendimento di far contento il Direttore che l’aveva raccomandato. Fra sé  augurandosi che anche papà lo venisse a sapere, non si sa mai. Come in qualsiasi azienda, per lasciare le cose come stavano le riunioni non servivano, e per cambiare le cose ci volevano soldi, quindi era inutile discutere.

    Però le riunioni si tenevano ugualmente perché dovevano esserci. Per molteplici ragioni. Fra queste primeggiava il fatto concreto che al dipendente, di qualsiasi livello, da qualche parte doveva essere concessa l’occasione perché potesse dire: Yes!.

    Cros era esentato: la sua opinione, mai richiesta, sarebbe eventualmente stata temuta, anche se positiva. Perciò e per non inquietare alcuno, lasciava il tavolo o la poltroncina senza mai esplicitarla, posto che segretamente ne rimuginasse una.

    La professione del giornalista era davvero gradita a Cros, che molto l’apprezzava, pur non praticandola, per com’era andata evolvendosi nel tempo. Almeno secondo la voce comune. Questa diceva, e i colleghi la ripetevano insistentemente, che un tempo il mestiere consisteva nella caccia quotidiana alla verità. Inseguita per strada, a contatto con le persone, nei bar, nelle stazioni, nei bar delle stazioni. Che invece era andata svuotandosi progressivamente dei contenuti autentici, avendo smarrito la vita. La gente. La vita della gente. Senza più la vita era svanita anche la morte. Un tempo la rubrica dei necrologi era un fiorire di commossi accenni, lacrimevoli e per di più orgogliosi, finendo appunto sui giornali: "fulgido esempio di civiche virtù, fulgido campione delle ginniche virtù, fulgido ammaestramento per le muliebri virtù, fulgido eroe della Nazione, fulgido interprete dei suoi fulgidi destini. Fulgido insomma. Che si trattasse del vecchio maestro del paesello o del grande generale vittorioso fra le stragi o del potentissimo plutocrate o statista o astrologo, durante le esequie e dentro le cornicette il fulgido rifulgeva. Oggi siamo al ne danno il triste annuncio. Cioè il defunto passa in secondo piano: in testa si contendono il primato d’ascolto la moglie afflitta e i nipoti sconsolati.

    Smarrendo la vita e la morte della gente il giornalista può occuparsi solo più della gente, che cessa di essere protagonista delle proprie vicende, per diventarne la consumatrice. In questo modo, anche quando schiatta malamente per qualche disastro, occorre cibarla con quel che di lei dicono coloro che per posizione o caso si cibano di lei.

    A Cros piaceva tantissimo

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