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Anteprima del libro
Parallels - Pietro Zunino
Pietro Zunino
Parallels
Proprietà letteraria riservata
© 2016 Edizioni Vallescrivia - Novi Ligure ISBN 978-88-9410-221-5
Prima edizione 2016
Progetto grafico: Studio De Bernardi
www.edizionivallescrivia.it
UUID: 649306ed-b65f-4891-85a7-a394b3cba0f0
Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write
http://write.streetlib.com
Indice dei contenuti
Capitolo zero
Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 8
Capitolo 9
Capitolo 10
Capitolo 11
Capitolo 12
Capitolo 13
Capitolo 14
Capitolo 15
Capitolo 16
Capitolo 17
Capitolo 18
Capitolo 19
Capitolo 20
Capitolo 21
Capitolo 22
Capitolo 23
Capitolo 24
Capitolo 25
Capitolo 26
Capitolo 27
Capitolo 28
Capitolo 29
Capitolo 30
Capitolo 31
Capitolo 32
Capitolo 33
Ultimo capitolo
A Maddalena
Capitolo zero
Luci. Voci. Una inimmaginabile ma esaltante baraonda. Feste e interviste, in un tourbillon molto difficile da seguire. Fotografi ovunque, con i loro flash talmente densi da sentirli quasi premere sulla pelle.
Un sogno si era avverato: il mio racconto (o romanzo, come qualcuno si lanciava a definirlo) aveva ispirato un famoso regista, che ne aveva tratto un film di grande successo: come si sa, Hollywood è sempre sensibile a certi argomenti. E, alla fine, cinque premi Oscar erano stati assegnati al film, di cui uno per il miglior soggetto originale. Cioè, a me! Sul palco avevo detto alcune cose di circostanza con la famosa statuetta in mano, troppo emozionato per fare di meglio. Mani sconosciute e a volte famose da stringere.
Non ricordavo quasi nessuna delle persone alle quali avevo stretto le mani, ma rammentavo un alto ufficia- le dell’aeronautica, chissà perché?
Ero passato da un tranquillo anonimato alla ribalta pressoché mondiale. Avevo collaborato alla sceneggiatura e alla realizzazione di diverse scene, durante dieci esaltanti mesi vissuti in un mondo completamente diverso da qualunque cosa avessi potuto vivere o anche solo immaginare in precedenza.
In fondo, non mi era sembrato di aver scritto nulla di particolare, ma evidentemente qualcosa di buono c’era.
Le vendite del libro, sia in forma cartacea che elettronica, erano state soddisfacenti ed anche il film era stato un successo mondiale.
Adesso, stavo tentando di rientrare in un qualche tipo di normalità; avevo preso con me stesso l’impegno di rileggere quanto avevo scritto, anche perché erano ormai passati quasi due anni dall’ultima lettura completa. Avevo anche un impegno sulla parola, ma non vincolante, di immaginare un qualche sequel, o altri episodi sulla stessa struttura di fondo. Avevo anche ricevuto la proposta di cedere i diritti per la realizzazione di una riduzione televisiva, collaborando anche qui alla sceneggiatura. In ogni caso, il futuro sembrava presentarsi abbastanza roseo.
Insomma, dovevo proprio rileggere tutto con attenzione per vedere cosa si poteva fare, ammesso che si potesse trarne qualcos’altro.
Con il fedele tablet, su cui quasi tutto il racconto era stato scritto, mi sono seduto in poltrona ed ho cominciato a leggere.
Capitolo 1
«Mr. Einstein, Mr. Einstein», risuonava come ormai da qualche giorno, sempre alla stessa ora, all’uscita dall’università di Princeton. Il grande scienziato, di carattere tollerante, si era già più volte chiesto chi fosse quel giovanotto, gentile ma insistente, che tutti i giorni, da almeno un mese, cercava di avere un collo- quio privato con lui.
Einstein era abituato da anni a sentire descrivere qualunque tipo di invenzione bizzarra da parte di persone più o meno squilibrate, le quali credevano che solo un altro genio fosse in grado di capirne la ge- nialità. Normalmente erano cose strampalate e senza alcun fondamento, frutti della mente squilibrata che le aveva generate; però, talvolta, riconosceva un’idea buona, magari solo troppo in anticipo con i tempi, prodotta da qualche novello Leonardo da Vinci. L’esperienza fatta all’inizio del secolo all’ufficio brevetti di Berna gli era di aiuto nel distinguere il buono (poco) dall’assurdo.
Oggi, il giovanotto aveva un’aria ancor più decisa del solito; ma la mente dello scienziato che aveva rivoluzionato la fisica all’inizio del XX secolo era concentrata con preoccupazione su ciò che avveniva a ritmo sempre più incalzante e brutale in Europa: fosche nubi di guerra si profilavano sempre più vicine all’orizzonte in quella primavera del 1939; a questo, si aggiungeva il fatto che Einstein era consapevole del tremendo potere distruttivo insito in alcune delle sue scoperte e, in generale, nelle scoperte realizzate dai fisici occidentali nei fantastici anni degli ultimi decenni.
«Mr. Einstein, lei sta pensando di scrivere una lettera al presidente Roosevelt», aggiunse il giovanotto, uscendo dal copione usato nei giorni scorsi, quando chiedeva solamente di essere ricevuto privatamente.
Questa affermazione aveva colto nel segno: lo scienziato si fermò a riflettere: in effetti, stava rimuginando da un po’ sull’eventualità di scrivere al presidente degli Stati Uniti una lettera, i cui contenuti avrebbero dovuto mettere in allarme le istituzioni sul possibile sviluppo di armi nuove e terrificanti da parte degli scienziati tedeschi controllati dai nazisti.
Certo, era possibile che il giovanotto avesse spara- to a caso; molti pensavano di scrivere a qualche personalità in vista (non ultimo il presidente) per dare consigli o muovere rimproveri. Era comunque curioso che la faccenda della lettera venisse fuori proprio in quel momento. Einstein non era tipo da dare consigli in campi che non gli competevano, tanto meno al presidente; ma soprattutto restava da capire come il giovanotto fosse venuto a conoscenza di tale informazione, visto che non ne aveva parlato ad anima viva.
«Giovanotto, come fa lei a sapere quello di cui non sono nemmeno certo io?»
L’uomo, dall’apparente età di circa trentacinque anni, ben vestito, ma con qualche stranezza non meglio definibile, sembrava non completamente a pro prio agio nel dover dare una risposta per forza di cose concisa e significativa.
«Conosco molte cose, signore, ma sono talmente incredibili che solo una mente come la sua può trova- re il coraggio di darmi ascolto.»
«Ad esempio?»
«Ad esempio… non posso dire ciò che vorrei se prima non mi dimostro un po’ credibile facendole vedere qualcosa che persino lei avrà difficoltà a comprendere: ma solo in privato potrò fare un discorso che la convincerà.»
«Però, giovanotto, se avrò difficoltà a comprendere quello che mi mostrerà, sarà meglio che oggi mi faccia preparare del pesce, che aiuta la mente… Comunque, cedo ai suoi argomenti: venga alle cinque di questo pomeriggio alla mia abitazione, al numero 112 di Mercer Street, e cerchi di essere convincente.»
«Verrò senz’altro, signore, e sarò convincente…; grazie, professore… non se ne pentirà.»
«Speriamo…», pensò Einstein, «al massimo perderò un paio d’ore, che non saranno né le prime né le ultime perse ad ascoltare persone convinte di aver trovato la pietra filosofale o qualche suo surrogato.»
Capitolo 2
L’ora dell’incontro si stava avvicinando ed Albert Einstein aveva alcuni dubbi che lo lasciavano inquieto. Se ne accorse anche la sorella Maja:
«Albert, cosa ti disturba? Sei stato assorto nei tuoi pensieri anche durante il pranzo, come ti capita spesso, ma oggi eri corrucciato, come se pensassi a qualcosa di spiacevole, e non solo al lavoro.»
«Maja cara, tu ormai mi conosci alla perfezione. Sono in pensiero per un incontro che avrò tra poco con un personaggio direi strano ma anche inquietante; anzi, potresti farmi un favore?»
«Ma certo, se posso…»
«Osserva il giovanotto che riceverò alle cinque e poi dimmi cosa ne pensi.»
«Va bene» concluse Maja, leggermente preoccupata dalla richiesta del fratello.
Poco dopo, il campanello del 112 Mercer Street fece sentire la sua voce e il grande scienziato, con un sospiro, si preparò all’incontro, pensando che, forse, era stato inutilmente in ansia.
Poco dopo, il giovanotto fece il suo ingresso nello studio, accompagnato da Maja, la quale non gli staccava neanche per un attimo gli occhi di dosso.
«Grazie, Maja, offriamo qualcosa a questo signo re!» E, rivolto al nuovo arrivato: «Desidera qualcosa? tè, caffè, una bibita?»
«Nulla, grazie.»
Maja si ritirò e i due uomini rimasero faccia a faccia, con un po’ di tensione nell’aria.
«Allora, giovanotto, prima di iniziare il nostro colloquio, vuole dirmi almeno come si chiama?»
«Il mio nome è… XXX YYY.»
«Bene, cominciamo pure.»
XXX esitava, come se non riuscisse a decidersi a compiere un grande passo oppure non sapesse da dove partire. Infine, dopo alcuni secondi pesanti come il piombo, trasse da una borsa alcuni oggetti, in verità tutti piuttosto piccoli, dall’aspetto bizzarro, ma ben rifiniti e apparentemente innocui.
«Professore, questi oggetti sono assolutamente di uso civile e non producono danni alle persone, sia a quelle che le usano sia a quelle che stanno loro intorno. Abbia fiducia, adesso le farò sentire della musica che lei sicuramente conosce.»
Detto questo, XXX prese due strani oggetti rotondi, grandi all’incirca come l’unghia del pollice e disse:
«Signore, per favore, non abbia paura: indossi questi auricolari e ascolti.»
Einstein era piuttosto perplesso, ma la curiosità vinse sul timore e assecondò il suo misterioso ospite. Il giovanotto armeggiò, collegò gli auricolari ad uno degli oggetti, il più piccolo e, poco dopo, nelle orecchie di Albert risuonò il terzo dei Concerti Brandeburghesi di Bach, inconfondibile, con una qualità audio notevolissima. Lo scienziato non si era ancora ripreso dallo stupore quando, con pochi movimen ti delle dita, XXX fece cambiare la musica: adesso si percepivano le note di Pine Top’s Boogie Woogie, un successo della orchestra di Tommy Dorsey, che era impossibile non conoscere.
La musica era piacevole, ma mille domande si facevano largo con prepotenza nella mente dello scienziato, assieme allo stupore di sapere che un oggetto così piccolo permettesse di ascoltare musica con simile limpidezza.
XXX interruppe la musica e Einstein cominciò a porre domande:
«Caro giovane, dove ha comprato questo oggetto così minuscolo ma in grado di riprodurre musica così bene e…»
«Professore, abbia pazienza ancora qualche minuto e poi cercherò di spiegarle tutto: mi permetta di farle vedere quest’altro dispositivo.»
Detto questo, prese un oggetto un po’ più grande del precedente e, premendo un pulsante, fece uscire quello che sembrava un piccolissimo teleobiettivo per macchina fotografica.
«Sembra una macchina fotografica in scala ridotta, vero professore?»
«Già, ma