Eldoras - Il risveglio del dio dormiente
Di Simone Iocca
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Eldoras - Il risveglio del dio dormiente - Simone Iocca
Simone Iocca
ELDORAS
Il risveglio del dio dormiente
GDS
Simone Iocca
Eldoras
Il risveglio del dio dormiente
Editrice GDS
Via Matteotti 23
20069 Vaprio d’adda-Mi
www.bookstoregds.com
www.gdsedizioni.it
www.editoriunitigds.it
Copertina: Fotolia .com Maya Prophecy
Frenta
TUTTI I DIRITTI SONO RISERVATI
INTRODUZIONE
Il sole stava tramontando sul mare ed ormai appariva solo come una sfera color metallo fuso e crogiolante, circondata da fiamme dorate e vermiglie di pura luce che dipingevano l’orizzonte dei loro stessi colori. Un aeroplano solcava il cielo a grande altezza lasciando solo una sottile scia bianca dietro di se: volava spavaldo, tra il sole e la luna, quasi a volerli toccare.
L’uomo seduto in riva al mare iniziò soltanto allora a perdere lo sguardo nell’immensità blu che aveva davanti. Il suo pensiero corse al mondo che viveva sotto la massa d’acqua degli oceani: monti e vallate di cui nessun uomo avrebbe visto la vastità ... o forse che nessun uomo vedeva da moltissimo tempo.
Le basse onde create dal vento portavano la loro bianca spuma fino a lambire le scarpe dell’uomo, che prese una grande boccata d’aria salmastra prima di guardare di nuovo il cielo.
Il cielo: altro ricettacolo di misteri. C’era chi sosteneva che ci fossero più cose in cielo ed in terra di quante ne conoscano le filosofie: l’uomo sulla spiaggia si chiese se le cose stessero veramente così. Per ora lui sapeva solo che la scia dell’aereo si era trasformata in una chiazza oblunga e bianca simile ad una nuvola.
Un rumore alle sue spalle lo fece voltare: una persona in giacca e cravatta avanzava con disinvoltura sulla spiaggia, stringendo in mano una pistola di grosso calibro e tuttavia l’uomo che sedeva in riva al mare non ne parve sorpreso. Il suo volto non tradiva la benché minima emozione.
Signor Nagai, la macchina per Roma è pronta
disse l'uomo con la pistola.
L’uomo chiamato Nagai guardò ancora il mare e si prese una lunga pausa prima di rispondere, come se intuisse quali eventi caotici sarebbero iniziati di lì a poco e volesse conservare almeno un forte ricordo di quella placida serenità.
Mark, come hai detto che si chiama questo posto?
Torvaianica, signore
L’uomo chiamato Nagai sospirò.
Pensi che quando tutto sarà finito torneremo qui e potremo stare ancora in pace a guardare il mare?
Era uno di quei momenti in cui pareva ovvio che una persona ha disperatamente bisogno di sentirsi rassicurata; tuttavia proprio in certi momenti persone che hanno un saldo senso dell’amicizia raramente riescono a mentire.
Io non lo so signor Nagai, non riesco proprio ad immaginare cosa accadrà dopo. Alle volte penso che tutto finirà con la conclusione del nostro compito: sono talmente impegnato in tutto questo che non riesco ad immaginare la mia vita dopo la fine del progetto.
Come se tutto finisse con la fine del nostro compito
sussurrò l’uomo chiamato Nagai E proprio per impedire che tutto finisca che esiste il progetto.
Nagai si alzò e si tolse con decisione la sabbia dal retro dei pantaloni, poi marciò verso la litoranea, seguito senza una parola da Mark. Una volta arrivato davanti alla bellissima Mercedes blu scuro coi finestrini a specchio, aprì uno degli sportelli laterali posteriori e si accomodò sul sedile mentre Mark si sedeva davanti, al posto del passeggero.
Nagai notò che la persona accanto a lui portava un fucile d’assalto di ultima generazione: sapeva per esperienza che quella arma sparava raffiche di quasi mille colpi al minuto, ognuno dei quali aveva oltre il doppio della capacità di penetrazione di una 45 magnum.
Ecco che tutta la poesia se ne è andata
pensò l’uomo chiamato Nagai, allontanando gli occhi dall'arma e guardando invece il mare fuori dal finestrino. La sfera ormai viola scuro del Sole si era tuffata oltre l'orizzonte.
La macchina partì seguendo il cartello che recitava Ostia
: per Nagai il momento di pace prima della tempesta era finito.
CAPITOLO PRIMO
Il commissario Giovanni Polonco si svegliò nel suo letto con il canto degli uccellini fuori dalla finestra, la luce del mattino diceva che era molto presto o molto tardi, a seconda dei punti di vista.
Si voltò e vide sua moglie che dormiva accanto a lui. Decise di non svegliarla: era così bella quando dormiva. Le accarezzò i capelli e lei si mosse nel sonno.
Giovanni uscì dalla stanza in vestaglia e scese al piano di sotto facendo attenzione a non svegliare la figlia. Oggi era Domenica e quindi lei non doveva andare a scuola: sarebbe stato molto brutto svegliarla presto.
Andò in cucina e mise su la macchinetta del caffè, poi aprì la credenza e mise sul tavolo fette biscottate, pan carré, marmellata, burro e nutella. Ogni tanto gli piaceva preparare la colazione della domenica.
Mentre la macchinetta cominciava a fischiare per la pressione, lui andò alla porta a finestra che dava sul balcone del primo piano, terminando di mangiare la sua fetta biscottata alla nutella. Al di là si vedeva il giardino che dividevano con l’altra famiglia e poi il muro con il cancello ricoperto dall’edera verde. Giovanni pensava con soddisfazione che era la stessa edera che aveva visto in viaggio da ragazzo in Irlanda e che aveva poi trapiantato a casa sua.
Giovanni chiuse gli occhi e ricordò quando aveva finito l’università e sarebbe dovuto partire per il militare, quando suo zio gli disse che aveva un aggancio per fargli passare quell’anno come poliziotto facendolo anche retribuire. Al termine di quell’anno era tornato a casa, aveva passato tutto il giorno a spasso per il Nuovo Salario a visitare tutti i luoghi a lui cari e tutti gli amici. Poi aveva guardato il tramonto scendere sui campi che segnano l’estrema periferia nord di Roma, stando semplicemente seduto là con una granita al caffè in mano su una panchina di marmo riscaldata dai raggi del sole. Sopratutto ricordava molto bene che aveva passato quel pomeriggio lontano a pensare a quella parte della sua infanzia che era rimasta un mistero, come un buco nella sua mente.
Quando il sole era tramontato aveva fatto domanda per entrare in polizia come effettivo.
Pensò a tutti i libri ed a tutti i film che aveva visto in vita sua, soprattutto a quelli d’avventura e di fantasia. Gli vennero in mente i mari di Corto Maltese, le giungle di Salgari e persino gli spazi sconfinati di Asimov: forse persino le avventure più fantastiche di cui aveva letto in realtà potevano essere state vissute da persone che, forse, vivevano nella casa affianco. In fondo, il cliché più classico di tutti i libri d’avventura (persino de Il Signore degli Anelli
) era quello della persona normale che, per un caso che non riteneva possibile, iniziava a vivere la sua avventura.
Ma questo, pensava Giovanni, accadeva solo nei libri.
Un rumore lo convinse a rientrare: sua moglie era scesa e stava spalmando la marmellata di albicocche su una fetta biscottata. Lui le sorrise e lei lo ricambiò. Fu un lungo attimo di pace, Giovanni non poteva sapere che si trattava dell'ultimo che avrebbe avuto per molto tempo.
Squillò il telefono e Giovanni ebbe l’istinto di fregarsene di quel trillo, di dare per scontato che fosse qualcosa di poco importante.
Ma, invece, andando a parlare in un'altra stanza, rispose.
Pronto?
disse. E cominciò tutto così.
Giovanni, sono io
disse una voce familiare.
Marco?
.
Si, senti c’è un problema: è scoppiato un casino all’Eur
.
Sono molto dispiaciuto per il commissario locale ma la mia zona è Talenti
rispose lui.
Il pubblico ministero ha chiesto di te espressamente. Hai vinto la bambolina
rispose Marco.
...
Giovanni …. Sei ancora lì?
Si, Marco, ci sono. Senti ... cosa è successo?
rispose il commissario sbuffando.
Hanno ucciso uno dei professori che tengono le conferenze al convegno internazionale di ingegneria
rispose l'amico.
Quando?
chiese mentre sentiva i suoi neuroni abbandonare il placido e poetico torpore della domenica mattina per tornare alla sua professionalità.
Quarantacinque minuti fa è stato ritrovato il corpo. Di Venanzio ha chiesto di te
.
Giovanni ebbe esplicitamente la visione di lui che strozzava il pubblico ministero: Andrei in prigione ma ne varrebbe la pena
pensò.
Marco, prima che uccida qualcuno anche io, sai anche perché Di Venanzio ha chiesto di me?
Dice che una cosa del genere l’avete vista solo tu e lui, due anni fa ad Anzio
Giovanni chiuse gli occhi. A parte i buchi nei ricordi della sua infanzia, gli eventi di due anni prima ad Anzio erano la cosa che lo spaventava di più al mondo.
Ok, Marco, arrivo
disse.
"Già convinto? Fece sarcastico l'amico.
Diciamo che voglio capire cosa ha visto Di Venanzio che possa avergli ricordato quella storia
.
Ti passo a prendere
disse Marco
Grazie, ti aspetto
.
Giovanni mise giù il telefono e sospirò: a lavoro, ecco dove andava a finire il resto della sua promettente giornata! Tornò in cucina abbastanza mogio ma sforzandosi di tenere il sorriso sulle labbra.
Con sua moglie non aveva mai funzionato.
Lei lo squadrò da capo a piedi e poi sospirò a sua volta, parlando con voce affranta:
Cosa c’è stavolta?
Lui si sedette a tavola e cominciò a spalmare un’altra fetta di nutella che sapeva non avrebbe avuto lo stomaco di mangiare.
Hanno ucciso un uomo
disse dandosi il tono del duro E’ successo al colosseo quadrato, dove stanno facendo quel convegno di cui parlano tutti i tg
.
Quando?
riprese la moglie con tono preoccupato
Neanche un’ora fa. Di Venanzio è già lì
E perché ci vai proprio tu?
incalzò lei.
Giovanni non rispose
Sapevo che sposare un commissario che ama il suo lavoro significa avere una rivale formidabile. Cerca almeno di tornare per cena se puoi
disse.
In quel momento Giovanni si sentì quasi sopraffare dall’amore per lei: quanto era perfetta! Come avrebbe fatto senza di lei, senza il suo amore?
Sofia, ascolta cosa facciamo: la prossima volta che ho un giorno libero partiamo per il lago solo io, Martina e te
.
La moglie rise:
Ti chiamerebbero sul cellulare e, se lo spegnessi, sono certa che la polizia di Roma ti manderebbe a chiamare coi segnali di fumo
.
Anche lui rise: Forse
.
Giovanni si fece la barba e la doccia, si mise il suo completo gessato e finì giusto in tempo per l’arrivo di Marco, che lo aspettava nella sua macchina sportiva davanti al cancello. Era l’amico di più vecchia data che aveva nella polizia, anche se lui era diventato commissario e Marco era restato ispettore: nei ritagli di tempo, cercava di prendersi la laurea ed aspettava il concorso.
Giovanni entrò in macchina con una mossa decisa, che tradiva fretta, poi richiuse lo sportello con un gesto più brusco del solito. Sapeva che Marco lo stava fissando.
Cosa c’è?
fece Giovanni.
Niente
gli rispose l’amico trattenendo a stento una risata Buona domenica
.
Giovanni sospirò: Dai, dimmi almeno qualcosa di più sull’omicidio
.
Aspettati il peggio: tutte le riviste scientifiche e moltissimi quotidiani avevano i riflettori puntati su quel convegno e quest’omicidio cade proprio come il cacio sui maccheroni per loro. Moltissimi colleghi sono stati mobilitati solo per isolare il colosseo quadrato
.
Isolarlo?
chiese stupito Polonco
L’omicidio è roba recente, si è sparsa la voce subito e gli agenti di sorveglianza al convegno hanno subito allertato Di Venanzio. Purtroppo hanno fatto lo stesso anche i giornalisti. Da quello che ho capito l’assassino potrebbe essere ancora là, comunque troveremo sul posto il pm ad aspettarci
Giovanni abitava in un’insieme di piccole villette con giardino separate da piccole strade sufficienti appena a far passare una macchina. Quando l’auto di Marco si immerse in una delle arterie di flusso principale del traffico, il silenzio nella macchina si era fatto tale che Giovanni aveva capito come fosse imminente una domanda.
Cosa successe esattamente due anni fa ad Anzio?
chiese Marco.
Tombola.
Perché lo vuoi sapere?
Perché voglio sapere la ragione per cui Di Venanzio ti vuole. Siamo amici, no?
Giovanni prese una pausa prima di rispondere, non erano ricordi che amava particolarmente ricordare.
Era un periodo in cui ad Anzio si stavano sviluppando delle reti clandestine di occultisti folli, adoratori di cose strane e tizi del genere. All’inizio si limitavano a squartare gatti giù al porto e a scrivere robe strane sui muri, allora impensierivano solo i preti la Domenica. Poi le cose cambiarono: ci fu un rapimento di ragazze per un violenza sessuale rituale, effrazioni nelle chiese o furti per il finanziamento delle loro attività. Il culmine fu quando, all'ennesima sparizione, tutti gli indizi portarono me e Di Venanzio a pensare che avrebbe potuto trattarsi di un rapimento a scopo di ...
Marco concluse la frase per lui:
Di sacrificio umano?
Si
.
Ci fu qualche secondo di silenzio assoluto.
Ti va di continuare?
Si, si, continuo ....
Giovanni si era accorto che parlare lo faceva stare meglio, quindi andò avanti:
Infiltrammo alcuni agenti fra i membri di questa setta, scoprimmo dove si riunivano e quando il loro capo aveva programmato il rituale. Doveva avvenire in un posto e momento preciso, perché secondo loro dovevano evocare una specie di demone o schifezza simile. Chi guidava quei tizi doveva essere uno che sapeva il fatto suo però, perché riuscì sempre a individuare gli infiltrati ed a estrometterli prima che raccogliessero un numero significativo di informazioni. Era pazzesco perché si trattava di agente esperti, eppure alcuni di loro riuscirono a stento a scappare dalla vendetta di quel gruppo di esaltati. Il loro capo era sempre un passo avanti a noi: sembrava quasi … leggere nel pensiero, ecco, scoprire di chi poteva fidarsi e di chi no. Io e Di Venanzio riuscimmo alla fine ad ottenere l'informazione per il rotto della cuffia: mi infiltrai io. Ti risparmio quello che ho visto e sentito. Comunque la sera del sacrificio ordinammo un blitz in quello che mi avevano detto essere il covo principale
.
Il racconto sembrava finito così, ormai le strade che la macchina stava percorrendo non erano più quelle familiari di Talenti e Montesacro ma quelle del centro che portavano all'Eur. L'auto imboccava via Cristoforo Colombo, che congiungeva Roma ad Ostia.
Marco guardò il suo amico sull'altra poltrona:
Ma non finì tutto qui, vero?
Giovanni non lo fissò neppure per un attimo, ma guardò i palazzi che scorrevano dal finestrino ad alta velocità:
No, non è per questo che io e Di Venanzio non amiamo parlare di questa storia. Fu quello che accadde quella sera che ci fece rabbrividire. Entrammo in una palazzina vicino al porto con l'intera squadra, non incontrammo resistenza mentre scendevamo nelle cantine: trovammo la porta che ci era stata indicata e la sfondammo. Dietro qualcuno aveva scavato l'intero ambiente e invece di esserci una stanza di tre metri per quattro c'era l'inizio di una galleria. Non eravamo preparati ma entrammo, sicuri che non ci poteva essere effetto sorpresa per quella via. Arrivammo in un vasto ambiente sotterraneo che in pratica era una grotta: al centro c'era una roccia nera scolpita come un altare ed il ragazzo rapito sopra, nudo, legato con delle catene e drogato. Tutto intorno c'erano persone vestite di tuniche nere lunghe con dei cappucci come in un pessimo b-movie. Ordinammo il mani in alto ma nessuno di loro si mosse, il che ci lasciò un po' esterrefatti. Avanzammo per slegare il ragazzo e fu allora che avvenne
.
Marco a questo punto non era più tanto sicuro di voler sapere cosa era successo ma era troppo avanti per dire al suo amico di smettere.
"Improvvisamente tutto si fece nebuloso, confuso … strano. Vidi gli altri attorno a me barcollare mentre