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Delitti e Maestrale: Vento di cambiamento per il maresciallo Mariangelo
Delitti e Maestrale: Vento di cambiamento per il maresciallo Mariangelo
Delitti e Maestrale: Vento di cambiamento per il maresciallo Mariangelo
E-book244 pagine3 ore

Delitti e Maestrale: Vento di cambiamento per il maresciallo Mariangelo

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Info su questo ebook

Il corpo di Marco Lopez viene ritrovato senza vita nel vigneto che ha ereditato dal padre. Il maresciallo Gianluca Mariangelo, reduce dalla recente separazione dalla moglie, indaga su un nuovo caso di omicidio, tra i vigneti di Barcellona Pozzo di Gotto e le spiagge di Cicerata, con le Eolie a far da scenario alla morte violenta consumata sui Peloritani. Mariangelo indaga tra l’oblio delle coscienze e una passione clandestina consumata al riparo dalla luce del sole. Che ruolo ha nella morte di Lopez il grosso prestito che la vittima doveva rendere a un noto strozzino? E le numerose telefonate con Carmelo Romano, un travestito conosciuto da tutti come Tiffany? Il sangue scorre tra i filari dei vigneti, tra parenti-serpenti e una gioielleria di famiglia che deve preservare il suo buon nome. A collaborare con Mariangelo, il fidato brigadiere Fabio Fascia e Marcello Dominici, insieme al nuovo elemento trasferito da poco in città: Ettore Soraci, incaricato di un’indagine parallela che coinvolge un pirata della strada.

Antonino Genovese, classe ’84, è Anestesista, Rianimatore e Algologo. Dopo aver esordito con i tipi delle Edizioni Il Foglio, ha pubblicato il romanzo noir Scirocco e Zagara (Fratelli Frilli Editori 2020). I suoi racconti sono inclusi nelle antologie: Mosche contro vento (Morellini 2019), L’Isola delle tenebre (Algra 2020), I luoghi del noir (Fratelli Frilli Editori 2020), Onda Variante (Golem 2020), Giallo Siciliano (Delos Digital 2022). Nel 2019 si è classificato secondo al premio letterario “Tutti i sapori del giallo” in collaborazione con Il Giallo Mondadori. Nel 2020 è arrivato finalista al concorso “Garfagnana in Giallo” con il racconto Sangue Zingaro. Il romanzo Scirocco e Zagara ha vinto il premio “Il Convivio” (2020) e si è classificato 3° al premio “Un libro amico per l’inverno” (X Edizione - Gueciass). Nel 2021 si è classificato primo al concorso “GialloLunaNeroNotte” con il racconto La morte viaggia in cartolina, in collaborazione con Il Giallo Mondadori. In una Barcellona Pozzo di Gotto alle prese con la raccolta differenziata che funziona a singhiozzo, il Maestrale è arrivato prepotente e s’insinua nei recessi più reconditi dell’anima, con il suo gelido alito di morte.
LinguaItaliano
Data di uscita28 giu 2022
ISBN9788869436253
Delitti e Maestrale: Vento di cambiamento per il maresciallo Mariangelo

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    Anteprima del libro

    Delitti e Maestrale - Antonino Genovese

    1

    Pippo parcheggiò la Fiat Panda 4x4 sul ciglio della strada. Uscì dall’abitacolo e si stiracchiò. Era l’alba e l’aria era frizzante. Si avvicinò al cancello della tenuta Lopez, dove sorgeva un vigneto di uva bianca da cui ogni anno si producevano 1.500 bottiglie. Armeggiò con la chiave e fece scattare la serratura del pesante catenaccio. Le campagne di Gurafi sorgevano a sinistra del torrente Longano. Alzò lo sguardo. Poco distante l’antica Torre era sempre una visione che lo affascinava. Anche se l’ammirava ogni mattina, non riusciva a distogliere lo sguardo da quel rudere di forma circolare spaccato a metà.

    Pippo risalì in macchina, poi percorse il vialetto sterrato fiancheggiato da alcuni alberi di sempreverde. Alla fine della strada c’era un piccolo slargo, dove parcheggiò la Panda. Fu sorpreso quando vide la Jeep Renegade di Marco Lopez, il proprietario. Di certo era in ansia per il risultato della vendemmia. Quello era un anno cruciale: in caso di perdita l’azienda rischiava di chiudere. Pippo quella mattina non aveva voglia di lavorare e una strana inquietudine lo metteva di cattivo umore. Accelerò il passo: non voleva far credere al proprietario che peccasse di scarsa efficienza.

    Mannaja ‘a morti buttana – imprecò sottovoce.

    Arrivato alla trazzera voltò lo sguardo sulla destra e scrutò la casupola in pietra con il tetto di canali rossi. La porta era aperta, ma proseguì verso la salita che conduceva alla prime viti.

    – Signor Lopez – chiamò. Ma non rispose nessuno

    Forse Marco non era in casa. Magari stava esaminando le piante. Pippo si affrettò.

    – Signor Lopez!

    Pippo aggrottò la fronte e continuò il giro della tenuta. Dopo aver percorso quasi metà dei campi raggiunse l’albero di albicocche. Era stato piantato dal signor Guglielmo, il padre di Marco, ed era un portafortuna della famiglia. Fosse stato per lui lo avrebbe abbattuto per far spazio ad altre viti, ma i Lopez erano molto scaramantici e tenevano a quell’albicocco più della produzione annuale di vino. Fortuna, poi, non sembrava averne portata molta.

    Proseguì verso l’albero. A ogni passo la figura dell’uomo seduto sotto le fronde con le spalle appoggiate al tronco possente si faceva sempre più nitida.

    – Signor Lopez – urlò Pippo. Poi fu colto da un senso di vertigine. Anziché accelerare il passo, rallentò. Si mosse verso sinistra in diagonale quasi a voler evitare di raggiungere l’uomo seduto a terra.

    Pippo trattenne il respiro. Stropicciò gli occhi. Poi si avvicinò ancora.

    – Signor Lopez – sussurrò. La voce non ebbe la forza di uscire dalle corde vocali. Al posto del suono dalla bocca uscì un getto caldo proveniente dallo stomaco. Si piegò sulle gambe e scoppiò in lacrime: sotto l’albero di albicocche il corpo di Marco Lopez giaceva senza vita.

    – Dove vai? – chiese Gianluca.

    – Prendo un taxi – rispose Giuseppina, senza degnarlo di uno sguardo. Camminava trascinando il suo trolley voluminoso che rumoreggiava sull’acciottolato della banchina. La nave di Costa Smeralda sembrava un iceberg accarezzato dal placido mare del porto di Palermo.

    Gianluca si voltò verso sinistra e il parcheggio dov’era custodita la sua GLA; Giuseppina si diresse verso destra in cerca di un taxi. Il giro del Mediterraneo, più che un viaggio di relax e piacere, era sembrato un girone infernale della Divina Commedia. Aveva litigato con lei fin dal primo passo mosso sulla nave. Si era sentito sempre fuori posto e inadeguato.

    Gianluca diede uno strattone al suo bagaglio che aveva una ruota difettosa e si asciugò la fronte, che ribolliva sotto i colpi del sole. Maledetto il giorno in cui si era sposato! Avrebbe dovuto dare ascolto a sua madre: maritati con una del quartiere. Le parole gli rimbombavano dure nelle orecchie, come se l’ammonizione stesse ancora riverberando tra le pieghe del tempo. Inutile rimuginare sul passato. Caricò il bagaglio nel cofano, mise in moto, aprì il tettuccio e si fece investire dall’aria calda di settembre.

    Non sapeva dove avrebbe dormito quella sera, ma di certo non con la moglie. Aprì il cruscotto e trovò le chiavi della casa dei suoi genitori. Era chiusa da un decennio, ma le bollette della luce le pagava ancora. In tasca aveva il flacone con le gocce di Xanax. Per ricucire il suo matrimonio e sopportate la crociera si era imbottito di farmaci per una settimana. Non era servito a niente! Gettò dal finestrino quel che restava degli ansiolitici, poi pigiò sull’acceleratore e si diresse verso Barcellona Pozzo di Gotto.

    Quando il cellulare squillò il primo impulso di Gianluca fu quello di mettere le mani alle orecchie. Il trillo sembrava un fischio fastidioso che gli penetrava il cervello. Stropicciò gli occhi e si sentì smarrito. Dov’era? Quelle pareti non erano quelle della sua stanza da letto. Si alzò a sedere. Per poco non urtò il capo contro l’armadio a ponte di quella che era stata la sua stanza da ragazzo. Il poster di Roberto Baggio con la maglia della Juve era ancora appeso alla parete. La testa gli doleva. Un senso di pesantezza gravava sulla fronte e sugli occhi che iniziarono a lacrimare. Il cellulare smise di suonare.

    Chi rompe i coglioni di prima mattina? Non voleva saperlo. Si alzò e cercò nella valigia un antidolorifico. Poi si avvicinò alla mensola dov’erano riposti i libri del liceo e anche i fumetti di Diabolik. Ne prese uno e lo sfogliò. L’odore della carta invecchiata lo riportò indietro nel tempo. Ricordò la madre che lo chiamava per andare a scuola. Si voltò come se la sua voce fosse vera e non un gioco della mente. Ripose il fumetto e si diresse in cucina, lasciando numerose impronte sul pavimento impolverato.

    Gianluca storse il naso. La puzza di chiuso impestava la casa. Aprì le tapparelle e spalancò la porta finestra. Il mare rumoreggiava a poche centinaia di metri. Udì il suono indistinto dello sciabordio delle onde sugli scogli di Cicerata. Un giovane uomo dal volto abbronzato urlava la bontà del suo pescato. Guardò l’ora sul cellulare: le otto. Per fortuna sarebbe rientrato in caserma il giorno seguente.

    Fu colto da un attimo di frustrazione. Con Giuseppina non aveva funzionato. Passò in rassegna i sette giorni di crociera vissuti in perenne lite. Anziché riappacificarsi, erano finiti per alimentare le distanze che li separavano. Avevano dormito culo contro culo, come due amici litigiosi. Ma il culmine lo avevano toccato sulla Rambla, quando avevano deciso di visitare Barcellona ognuno per fatti propri e lui ne aveva approfittato per ingozzarsi di tapas e birra alla spina.

    Strinse gli occhi e si massaggiò le tempie. Poi buttò giù l’antinfiammatorio senza acqua e lasciò che il sole si affacciasse dentro casa, insieme all’odore di salsedine.

    Dalla camera da letto il cellulare riprese a rompere. Se chiamavano con tanta insistenza qualcosa doveva essere successo.

    – Pronto?

    – Marescia’, sono Fascia.

    Gianluca udì voci concitate e confusione.

    – Scusate se vi disturbo, ma ho bisogno di voi.

    – Sono ancora in ferie. Rientro domani. Non puoi aspettare?

    – Si tratta di omicidio.

    2

    Gianluca Mariangelo rovistò in valigia, ma non trovò una camicia pulita da indossare. Alzò gli occhi al cielo. Annusò i jeans: potevano andare, così come una polo. Raggiunse la tenuta Lopez in meno di trenta minuti.

    Erano le nove e già faceva caldo. Affrontò a piedi la strada che conduceva al vitigno. Le macchine del pubblico ministero, della Scientifica e delle emittenti televisive occupavano tutto il vialetto.

    Che casino!

    Il mal di testa non accennava a passare. Affrettò il passo per evitare la calca dei giornalisti che si fiondarono verso di lui appena lo videro. Alzò le mani: – Sono appena arrivato. – Poi si abbassò per passare sotto il nastro che transennava la scena del crimine.

    – Maresciallo, buongiorno.

    Gianluca riconobbe la voce: era Rosamaria Sbarbato, il PM che assomigliava a Morticia della famiglia Addams: i capelli neri pettinati all’indietro, le occhiaie perenni, il volto affusolato e scarno e un tailleur grigio scuro.

    – Dottoressa, sono corso appena il brigadiere mi ha avvisato. Ero in ferie e sarei dovuto rientrare in servizio domani…

    La Sbarbato allungò la mano, indicando un gruppo di persone. – Se si affretta non hanno ancora rimosso il corpo.

    Gianluca deglutì, poi si mosse verso le tute bianche della scientifica. La nausea cominciò ad assalirlo al solo pensiero di vedere un cadavere, come al solito. I succhi gastrici iniziarono a ballare la samba. Nella confusione notò il brigadiere Fascia. Tirò un sospiro di sollievo: un volto familiare.

    – Marescia’, per fortuna siete arrivato. La vittima è Marco Lopez, il proprietario della tenuta. – Il brigadiere rassettò il ciuffo brizzolato che copriva la fronte sporgente, poi alzò i pantaloni della divisa che erano scivolati sotto il ventre.

    – Nemmeno l’ultimo giorno di licenza mi avete lasciato in pace – mormorò Gianluca, che era a pochi metri dalla vittima. Una donna era china sul corpo. – Chi è? Non l’ho mai vista.

    – Una nuova. Si chiama Beatrice Sorrentino ed è palermitana. È al suo primo incarico – rispose Fascia, alzando le spalle come per dire che non sapeva altro.

    Appena la donna si alzò, Gianluca vide il cadavere di Marco Lopez. Era seduto con le spalle appoggiate al fusto dell’albero. Le braccia abbandonante lungo il tronco e le gambe divaricate. Sembrava che dormisse, se non fosse stato per le numerose coltellate ricevute al torace e al collo. Gianluca sentì di non riuscire a trattenersi. Si voltò verso il vigneto e rigurgitò caffè e succhi gastrici.

    Fabio gli posò una mano sulla spalla. – Marescia’, come state?

    – Meglio – disse Gianluca.

    Tra poco vomito di nuovo, pensò, ma evitò di dirlo. Un giovane carabiniere dei RIS alzò lo sguardo dal terreno e diede una piccola gomitata all’altro collega. Sorrisero, dopo essersi scambiati una battuta sottovoce.

    La dottoressa si scrollò dai pantaloni scuri la polvere. Gianluca le andò incontro e le porse la mano. – Buongiorno, sono il maresciallo Gianluca Mariangelo.

    – Salve. Sono la dottoressa Sorrentino. Beatrice Sorrentino – rispose lei con un evidente accento palermitano.

    Gianluca fissò il solco tra i seni della donna, stretti in una camicia chiara, poi si soffermò sui capelli biondi e lisci. Sembravano freschi di parrucchiere. Ma fu colpito soprattutto dagli occhi, grandi come quelli dei personaggi dei cartoni animati.

    – Sta bene, maresciallo? Ha un colorito che non mi piace – chiese Beatrice, inclinando la testa sulla sinistra.

    – Avrò mangiato qualcosa che mi ha fatto male – minimizzò Gianluca, accarezzandosi la pancia. – Cosa mi può anticipare?

    Beatrice si voltò verso il cadavere. Gli uomini della scientifica lo avevano coperto con un lenzuolo bianco e stavano finendo i rilievi. – La causa della morte è evidente. È stato accoltellato molte volte. Con rabbia. Una di queste coltellate ha reciso la carotide.

    – Ha già un’idea sull’ora del decesso?

    – Tra le ventuno e le ventiquattro di ieri, ma sarò più precisa dopo l’esame autoptico – rispose la donna, poi salutò con un cenno della mano e si allontanò.

    Gianluca ne percepì il profumo: era buono, ma non riuscì a capirne la fragranza. La osservò fintanto che non la vide parlare con Rosamaria Sbarbato.

    – Marescia’, vi piace la dottoressa?

    Gianluca gli diede una piccola spinta sulla spalla. – Ma che stai a pensare…

    – Bella è bella – commentò Fabio Fascia.

    – Sì ma io ho già tanti di quei problemi che di donne non ne voglio più sentir parlare – disse Gianluca, poi si incamminò verso il cadavere.

    Gianluca notò alcuni cerchi tracciati col gesso sul terreno accanto alla vittima. Ma era lontano e non voleva inquinare la scena del crimine. – Quella è un’impronta? – chiese a un giovane che indossava guanti in lattice e tuta bianca.

    L’uomo si asciugò un rivolo di sudore che dalla fronte pelata scendeva verso la barba scura, poi si rivolse al maresciallo: – Sì. Verosimilmente una scarpa da tennis.

    – Che misura?

    – Quarantaquattro, credo. Saremo più precisi dopo che avremo esaminato tutto in laboratorio.

    Gianluca indicò altri cerchi sul terreno. – E quelle? Sono altre impronte?

    – Sì. Ma sono riconducibili a scarpe anti-infortunistica.

    Gianluca annuì.

    – Quella zona invece – riprese l’uomo, indicando un’area distante circa mezzo metro, – sembra essere stata ripulita. Non ci sono tracce.

    – L’assassino è stato astuto – commentò Gianluca. Il sole era alto e anche in mezze maniche iniziava a sentire la polo appiccicarsi alla pelle. Non invidiava per niente i colleghi della Scientifica, avvolti nelle tute in Tyvek a fare la sauna.

    – Non so se può esserle utile, ma guardi cosa abbiamo trovato – riprese il giovane, porgendogli una busta trasparente.

    Gianluca la prese e ne osservò il contenuto. – Sembra un peperoncino.

    Fabio si sporse per vedere meglio. Tolse gli occhiali e avvicinò l’oggetto al volto, poi disse: – Sembra un pendente.

    Il brigadiere aveva ragione.

    – Già. Un ninnolo. Uno di quelli che hanno i bracciali o le cavigliere – precisò Gianluca, poi si rivolse al collega della Scientifica: – Grazie. Avete trovato altro?

    Il tizio fece segno di no col capo.

    – Chi ha rinvenuto il corpo?

    – Giuseppe Scordia, detto Pippo – rispose Fascia, indicando un uomo seduto all’ombra di un mandorlo. I colori dell’albero in fiore stonavano con il corpo di Marco Lopez poco distante.

    Gianluca e Fabio si mossero verso il testimone.

    – Buongiorno, sono il maresciallo Mariangelo e lui è il brigadiere Fascia.

    Pippo teneva il volto tra le mani. Appena udì le parole di Gianluca tirò su col naso e fece per alzarsi.

    – Stia comodo – disse Fascia.

    Gianluca notò le spalle larghe e le braccia abbronzate dal sole, così come il volto, su cui spiccava un naso con la punta larga.

    – Ci risulta che è stato lei a trovare il corpo e chiamare il 112 – esordì Mariangelo.

    Pippo annuì. – Jo a Marcuzzu ci vulia bene assai.

    Un nuovo singulto colse il testimone impreparato. Gianluca aspettò che si calmasse.

    – Vede, maresciallo, Marco ‘u canuscia di quando’era piccittu. Suo padre, buonanima – Pippo alzò gli occhi al cielo, – se lo portava qui quasi tutti i giorni.

    Gianluca si riparò dal sole col palmo della mano, poi si spostò sotto le fronde del mandorlo. – Lei conosce da molto tempo la famiglia Lopez?

    – Una vita! Curo questa terra da quando avevo dodici anni, ci vinia cu me patri, e ora ne ho cinquantadue. Si facissi ‘u cuntu. E tutto pensavo di aver visto ‘nta me vita… ma cciù giuruchistu non me l’aspettavo! – Pippo non riuscì a trattenere le lacrime.

    Fabio gli mise una mano sulla spalla.

    – Quando lo ha trovato? Stamattina presto?

    – Sì. Io tutti i giorni vengo alla vigna. Sia si chiovi, sia si c’è u suli, cu sciruccu o maestrali. Vede, maresciallo, l’uva va trattata come un figghiu.

    Gianluca indicò in direzione dell’albero di albicocche. – Ha toccato qualcosa?

    Pippo si affrettò a fare segno di no col capo. – Ancora sono terrorizzato. Tuttu ‘u sangu… l’haiu ‘nta l’occhi.

    Un nuovo attacco di pianto.

    – Adesso vada a casa, se avremo bisogno la ricontatteremo – disse Gianluca, che si incamminò verso la macchina, seguito da Fabio Fascia. – Brigadiere, ci vediamo in caserma. Facciamo il punto della situazione.

    – La Sbarbato vorrà presto dei risultati – disse Fascia.

    – Questo morto ce l’ho già sulla pancia.

    3

    Gianluca prese posto dietro la sua scrivania. Accese il condizionatore e aspettò che Fabio iniziasse a relazionare.

    Il brigadiere aprì una carpetta e tirò fuori un foglio dove aveva appuntato alcune informazioni. – Allora, marescia’. Ho fatto una ricerca sulla vittima.

    Gianluca aprì il cassetto e tirò fuori un pacchetto di gomme da masticare alla menta. Ne mise una in bocca: anche se aveva smesso di fumare la voglia tornava quando era sotto pressione. – Sentiamo.

    – Marco Lopez, anni quarantadue. Celibe. È il terzo figlio di Guglielmo Lopez, avuto da una relazione extraconiugale con una ballerina di Flamenco – esordì il brigadiere, poi alzò gli occhi verso il maresciallo. – Gli altri due fratelli sono Alfredo e Vittoria. Entrambi gestiscono la gioielleria di famiglia – continuò.

    – Sono i Lopez allora… quelli famosi.

    Il brigadiere annuì. – Sì, marescia’, sono quelli che hanno realizzato i gioielli del papa.

    – Gente importante – commentò Gianluca, poi si passò una mano tra i capelli.

    – Marco non aveva quote della gioielleria però, a lui in eredità era toccato il vigneto.

    Gianluca si alzò e si mise

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