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Il Torino dalla A alla Z
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E-book349 pagine4 ore

Il Torino dalla A alla Z

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Info su questo ebook

Tutto quello che devi sapere sul mito granata

La storia granata come non l'avete mai letta

Per il calcio non esiste un unico vocabolario. Ne esistono tanti quante sono le squadre. In questo solco il Torino, la squadra più antica d’Italia, ne ha consolidato uno proprio che va arricchendosi di stagione in stagione, mano a mano che nuovi personaggi (presidenti, dirigenti, allenatori o calciatori) entrano a far parte della vita del club e vittorie o sconfitte ne segnano la storia. Un dato è certo: una mano straordinaria alla creazione di questo specialissimo vocabolario l’ha data la tifoseria, instancabile nel creare suggestioni e in modo particolare appellativi per i suoi beniamini. Anche in questo modo si può raccontare un club sportivo: aggiungere qualche cosa in più a una storia intensa e straordinaria come quella granata.
Franco Ossola
Franco Ossola Junior, torinese, figlio dell’omonimo campione del Grande Torino caduto a Superga, architetto e scrittore, collabora con diversi quotidiani sportivi. È autore di numerosi libri tra cui, I 30 grandi del Torino, Grande Torino per sempre! (Premio Speciale del CONI 1999), Cuore Toro, Un secolo di Toro (con l’artista Giampaolo Muliari), 365 volte Toro, 100 anni da Toro e Grande Torino: la storia a fumetti (con Paolo Fizzarotti e Emilio Grasso). Con la Newton Compton ha pubblicato 101 motivi per odiare la Juventus e tifare il Torino, 101 gol che hanno fatto grande il Torino, Il Torino dalla A alla Z; e, scritti a quattro mani con Renato Tavella, Cento anni di calcio italiano (Premio Selezione Bancarella 1998) e Il romanzo del Grande Torino (Premio CONI e Selezione Bancarella 1995), da cui è stata tratta la fiction RAI in due puntate Il Grande Torino, per la regia di Claudio Bonivento.
LinguaItaliano
Data di uscita23 ott 2017
ISBN9788822714893
Il Torino dalla A alla Z

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    Anteprima del libro

    Il Torino dalla A alla Z - Franco Ossola

    527

    Illustrazioni © Fabio Piacentini

    Prima edizione ebook: novembre 2017

    © 2017 Newton Compton editori s.r.l.

    Roma, Casella postale 6214

    ISBN 978-88-227-1489-3

    www.newtoncompton.com

    Realizzazione a cura di Librofficina

    Franco Ossola

    Il Torino dalla A alla Z

    Tutto quello che devi sapere sul mito granata

    Indice

    Introduzione

    Il Torino dalla A alla Z

    Bibliografia

    Dedicato a tutti i tifosi del Torino,

    stoici e intrepidi guerrieri, che hanno amato,

    amano e continueranno ad amare una squadra

    che nella sua unicità ha scritto pagine di storia

    che sanno scaldare il cuore.

    Nota: i dati statistici che compaiono nel testo sono aggiornati al 30 giugno 2017.

    Introduzione

    Per il calcio non esiste un unico e solo vocabolario.

    Ne esistono tanti quanti sono le squadre.

    Ciascuna è gelosa del proprio lessico, al punto che neppure due club conviventi nella stessa città o limitrofi per ragioni geografiche, meno che mai, si sentono di spartire anche solo qualche lemma.

    E così se per il Torino parole pur normalissime come rigore o tempi supplementari, grinta o fede hanno certi e precisi significati, per la controparte cittadina, la Juventus, ne presentano altri, diversissimi.

    Se poi le società sono antiche, vantano cioè vicende più che centenarie, va da sé che la ricchezza del loro vocabolario è tanto più articolata quanto maggiore è il tempo che l’ha consegnata alla storia.

    Tradizione e folclore, vicende umane e sportive differenti, nei risultati, negli uomini, nei successi e nelle sconfitte, da cui linguaggi particolari, a volte intimi, che solo il tifoso, l’appassionato è in grado di cogliere e apprezzare.

    In questo solco il Torino ha consolidato un suo proprio vocabolario che va arricchendosi di stagione in stagione, a mano a mano che nuovi personaggi (siano essi presidenti, dirigenti, allenatori, tifosi o calciatori) entrano a far parte della vita del club o nuove vittorie o sconfitte ne segnano la storia.

    Qualcosa di vivo, di continuamente mutevole, costantemente aggiornato dai fatti, dagli eventi, dalle imprese. Proprio come la lingua parlata, capace di andare incontro a trasformazioni incessanti.

    Entrare in questo mondo particolare, fatto di nomi e soprannomi, date e anniversari, sconfitte e vittorie, oltre che divertente è anche estremamente complesso. Dimenticare, trascurare, passare sotto silenzio è facile, facilissimo.

    Questo però non pregiudica il dato essenziale: la società dei granata per eccellenza, quella che orgogliosamente porta il nome della città in cui è nata, palpitante e viva ancora oggi, valicata da tempo la fatidica tappa del secolo, è quanto mai dinamica, attiva, e non smette, nel suo continuo divenire, di stimolare, avvincere, suscitare immaginazioni e fantasie.

    Alla creazione di questo specialissimo vocabolario una mano straordinaria l’ha data la tifoseria, instancabile nel creare suggestioni e, in particolare, appellativi per i propri beniamini. Un gioco di allusioni che è uno spasso (fantastico, su tutti o paralitico, affibbiato a Vittorio Morelli di Popolo per la lentezza nel muoversi!).

    Anche in questo modo si può fare la storia di un club ed è stata proprio questa l’intenzione di chi scrive: aggiungere, per modi e strade diverse dalle solite narrazioni, qualche cosa di più a una storia intensa e straordinaria, quella granata, del Torino, appunto.

    Il Torino dalla A alla Z

    A

    1_AGROPPIAldo.tif

    Aldo Agroppi.

    A. Prima lettera non solo dell’alfabeto, ma anche del mondo pallonaro nostrano. Di anno in anno raccoglie, sotto il suo ombrello protettivo e rassicurante, il meglio del calcio italiano. Come per tutti i club esclusivi conta frequentatori affezionati, altri meno assidui e altri ancora del tutto provvisori, per non dire improvvisati, che timbrano la tessera di adesione magari per una sola annata. Un unico nome non è mai mancato all’appello, quello dell’Internazionale. Persino la tanto ammirata signora del calcio italiano ha dato buca almeno una volta, nella stagione 2006-2007. Da parte sua il Torino ha sempre fatto del proprio meglio per vidimare la tessera di presenza, ma non sempre è riuscito a iscriversi. La prima volta, storica, in cui l’affiliazione è venuta meno è accaduta per la stagione 1959-1960. Quasi un miracolo così tardi, se si pensa ai dieci strenui anni di resistenza da Superga, quando la realtà calcistica Torino si era completamente polverizzata. E siccome una volta rotto il ghiaccio e assecondata la prima volta, altre ne seguono inevitabilmente, in ben altre undici occasioni (o annate) il nome Torino non è comparso nell’elenco delle prime della classe. Tralasciando le annate del calcio eroico – dove comunque i granata han sempre sottoscritto una più che illustre presenza – quando il campionato della stagione 1929-30 assume la forma attuale del girone unico, il Torino c’è. La prima contesa è esterna. A Trieste i granata vincono 0-1 grazie a un gol della punta Luciano Vezzani. È per lo meno dovuto rammentare quella storica formazione: Bosia, Monti

    III

    , Martin

    II

    , Colombari, Janni, Aliberti, Silano, Rossetti

    II

    , Vezzani, Lorini, Mongero. Quando il 6 luglio 1930 i granata chiudono il torneo con la trasferta di Busto Arsizio opposti alla Pro Patria, la classifica finale li colloca al quarto posto con 39 punti, dietro solo ad Ambrosiana Inter, Genoa e Juventus. Appena passati e ancora lontani a rinnovarsi gli anni dell’assoluta eccellenza, vale a dire i due scudetti (di cui uno revocato) di appena qualche anno prima e i cinque filati del Grande Torino da lì a due decadi. Dopo, la massima vetta della classifica sarà conquistata soltanto un’altra volta nella magica stagione 1975-76 con il Toro, davvero furioso, del presidente Orfeo Pianelli e del trainer Gigi Radice.

    AEREO. Vuoi mettere, l’aereo! Prima infinite, interminabili trasferte, poi la velocità, il lampo, il tempo risparmiato non in ore ma a giornate. Tuttavia, salvo rare, casuali eccezioni, è soltanto dopo la seconda guerra mondiale che diventa, poco alla volta, il mezzo sostitutivo di treni e torpedoni. Guarda caso, una delle prime società a farne uso in modo coraggiosamente continuo per i tempi è proprio il Torino. Il primo torneo nazionale del dopo conflitto è diviso in due tronconi: l’Alta Italia e il Centro Sud, le prime quattro dei due raggruppamenti andranno a comporre il girone finale. Per il Nord staccano il pass le solite note: Torino, Juventus, Internazionale e Milan. Per il Centro Sud si impongono: Bari, Napoli, Pro Livorno e Roma. Il 19 maggio i granata sono chiamati a far visita al Bari per il quarto match di finale. Scatta un accordo: il Torino vola in terra di Puglia e al ritorno su quello stesso aereo che lo riporterà a casa troveranno posto anche i giocatori pugliesi attesi a Torino per la partita con la Juventus. Come a dire due piccioni con una fava. I costi sono ancora alti e risparmiare è d’obbligo. Dalla stagione successiva l’utilizzo dell’aereo per le trasferte più lunghe diventa di routine. Inutile raccontare apprensioni e timori, ma il progresso impone cambiamenti epocali e ci si deve adattare. E così, quando anche spaventi e paure sembrano dimenticati, arriva la tragedia di Superga e il terribile schianto sul colle. Nel calcio per tornare a volare l’aereo dovrà attendere di nuovo un altro po’. Basti pensare che – ancora viva la sindrome di Superga – la Nazionale italiana attesa ai Mondiali brasiliani del 1950 compie la traversata oceanica in nave (la

    SISES

    ) e va incontro a un vero disastro. Occupato il ponte più alto della nave, in pochi giorni tutti i palloni a disposizione degli azzurri finirono nell’oceano forse per colpa delle folate di vento (qualcuno, malignamente, parlò dei piedi storti dei nostri calciatori) così che il solo allenamento che riuscirono a fare fu quello atletico. Inutile rammentare ciò che avvenne sul campo: Italia subito estromessa dal prosieguo del torneo, una débâcle davvero inattesa per i campioni uscenti di Parigi 1938.

    AIRONE. Perfetto e azzeccato soprannome distintivo del difensore centrale Giorgio Puia, colonna granata degli anni Sessanta. Alto, segaligno e incanutito anzitempo, Puia ricordava veramente il longilineo uccello dal colore cinerino. Trasformato da Nereo Rocco da interno a stopper, Puia è stato l’esempio concreto del giocatore di qualità, ma soprattutto di rara intelligenza. Entrando in campo la sua figura si notava al volo, elegante nel passo e svettante. Difficile evitare la sua guardia attenta e quasi impossibile superarlo nel gioco aereo. Quando la palla spioveva in area Puia apriva le sue ali da airone e, lungo lungo qual era, saliva in cielo a sventare la minaccia. Quando saliva nelle altrui aree era a sua volta marcato a vista, meglio… a volo.

    ALA. Sono in tanti, tra gli addetti ai lavori e tra i tifosi più attempati, ad averne nostalgia. Un tempo le squadre volavano, letteralmente sospinte dalle ali, i due giocatori che portavano sulla maglia i numeri 7 e 11. Poi, da quando sul principiare degli anni Cinquanta con la maglia nerazzura dell’Internazionale in campo si presentò Ginetto Armano le cose cominciarono a cambiare. In una squadra che l’allenatore Alfredo Foni amava schierare in modo guardingo, Armano, attaccante prolifico di scuola alessandrina, incominciò a essere utilizzato come ala di ripiego. Nacque quello che in gergo veniva definito il tornante. E il calcio andò incontro a un cambiamento tattico importante. Dopo i trionfi nerazzurri, per la stagione 1956-57 Armano approdò al Torino per restarvi tre stagioni e chiudere la carriera in granata. In un Torino sempre sofferente e sempre in bilico fra

    A

    e

    B

    giocò con animo pugnace e tanta grinta, offrendo ogni volta un rendimento notevole. Dalla destra i suoi cross al centro arrivavano puntuali, e infallibile era il suo tiro quando si presentava sul dischetto degli undici metri per calciare un rigore. Raramente falliva. Con un bottino di 12 gol nel suo primo anno in granata è il capocannoniere della squadra.

    ALLENATORE. Coach, guida, trainer, mister… chiamatelo come volete è sempre lui, è lui la mente che dirige la squadra fuori e dentro il campo di gioco. Un tempo, in quel calcio d’antan che ci piace definire eroico, l’allenatore non c’era. Molto sbrigativamente, era il capitano o il giocatore più carismatico, la cui autorità era da tutti i compagni riconosciuta, a decidere chi dovesse scendere in partita. Va da sé che la cosa poteva lasciare non solo dubbi, ma anche l’amaro in bocca a qualcuno. La trappola delle amicizie e preferenze personali era sempre in agguato. Fra i primi a comprendere che si poteva cambiare ci fu Vittorio Pozzo diventato nel 1912 il primo vero trainer del Torino. Era palese a chiunque come un osservatore esterno, non facente parte dei titolari, potesse valutare con maggiore serenità e cognizione le prestazioni e il valore dei singoli ergo definire la formazione migliore da mandare in campo. Pozzo, giocatore mediocre, aveva però, come si dice, l’occhio lungo e di football se ne intendeva, per via di trascorsi all’estero e di un innato senso calcistico. Nella più che centenaria storia del Torino sono stati molti gli allenatori che si sono accodati a Pozzo in una lista lunghissima. Alcuni hanno lasciato impronte incancellabili conquistando vittorie importanti; altri sono arrivati, partiti e tornati; altri hanno fallito clamorosamente; altri ancora sono passati nel cielo granata come meteore senza lasciare tracce. I mister più fedeli e anche, alla fine, più amati dal popolo granata non sono comunque molti. Fra i più recenti, di certo a questo breve elenco appartengono Nereo Rocco, Gustavo Giagnoni, Luigi Gigi Radice (che detiene il record di panchine), Emiliano Mondonico, Giancarlo Camolese, Gianni De Biasi e Giampiero Ventura; fra i meno recenti: Antonio Cargnelli, Andrea (András) Kutik, Mario Sperone, Ernesto Egri Erbstein, Beniamino Santos. I vincenti sono: Cargnelli (Coppa Italia 1936), Kutik-Janni (campionato e Coppa Italia 1942-43); Luigi Ferrero (campionati 1945-46 e 1946-47); Mario Sperone (campionato 1947-48); Ernesto Egri Erbstein (campionato 1948-49); Edmondo Fabbri (Coppa Italia 1966-67); Giancarlo Cadè-Beniamino Cancian (Coppa Italia 1970-71); Luigi Radice (campionato 1975-76); Emiliano Mondonico (Mitropa Cup 1990-91 e Coppa Italia 1992-93).

    ALPI. Al di là del nome con cui venne battezzato il nuovo stadio della città di Torino (Delle Alpi) per ospitare qualche gara del Mondiale di Italia ’90, c’è da ricordare che un tempo esisteva una coppa europea (oggi soppressa) che portava questo nome. Il Torino vi ha partecipato una sola volta nel 1967 concludendo al quarto posto. Nell’occasione si schierarono squadre della Germania Ovest, della Svizzera e dell’Italia. Cinque le partite disputate dai granata agli ordini di Giacinto Ellena, in panchina in via provvisoria. Il tabellino degli incontri vede: vittoria a Basilea (0-1) con gol di Giorgio Ferrini; sconfitta a Ginevra (2-1) contro il Servette con rete di Baisi; pareggio a Monaco (0-0) contro il Monaco 1860; pareggio con lo Zurigo (0-0), pareggio a Wiesbaden (1-1) contro l’Eintracht di Francoforte con gol di Puia. A onor di cronaca, quest’ultimo match venne interrotto al 79' per invasione di campo a seguito dei continui rudi scontri fra le due squadre. Inutile rammentare che l’organo federale europeo affibbiò al Torino tutte le colpe degli incidenti, approfittando del fatto che i granata in Europa contavano pressoché zero.

    AMICHEVOLE. È quel tipo di partita che, lo dice l’aggettivo stesso, si disputa in forma non ufficiale, con l’intento di fare qualcosa in più di un semplice allenamento e che vede schierate due formazioni che dovrebbero fare sfoggio di fair play, ovvero di galanteria sportiva. Tutto vero, salvo qualche eccezione, quando magari fra i due contendenti riaffiora della vecchia ruggine. Il caso più clamoroso di amichevole al contrario è quello successo la domenica di Pasqua, primo aprile 1945, allo stadio torinese all’epoca intitolato al duce. È prevista la partita Juventus-Torino per la disputa della coppa intestata a Pio Marchi, calciatore juventino morto qualche anno prima a seguito di un’incursione aerea sulla città. Ne capitano di tutti i colori, fatti descritti solo in parte dai quotidiani del giorno dopo. Ecco uno dei resoconti:

    Un pubblico foltissimo ha assistito ieri allo stadio Mussolini all’incontro tra la Juventus e il Torino valevole per l’assegnazione della Coppa intestata a Pio Marchi. Disgraziatamente la gara non ha avuto un esito regolare. Dopo un discreto primo tempo terminato alla pari avendo segnato Mazzola per il Torino e pareggiato Sentimenti

    III

    per la Juventus (forse in posizione di offside), nella ripresa il nervosismo appena affiorato all’inizio portava i giocatori delle due squadre a un gioco falloso che l’arbitro non sapeva in tempo reprimere. Segnava ancora Sentimenti

    III

    per la Juventus, ma in seguito a rudi scontri si accendeva una mischia fra elementi delle due unità, con partecipazione anche di estranei e così la partita subiva una interruzione di circa mezz’ora. Si riprendeva, infine, ma Capaccioli e Loik risultavano espulsi e Mazzola non rientrava per contusione. Segnava ancora Conti per la Juventus e l’arbitro si sentiva in dovere di fischiare la fine del match con circa un quarto d’ora di anticipo rispetto al tempo regolamentare.

    Queste le formazioni scese in campo: Juventus: Sentimenti

    IV

    , Foni, Rava, Depetrini, Parola, Capaccioli, Sentimenti

    III

    , Borel

    II

    , Raccis, Lushta, Conti. Torino: Bodoira, Di Gennaro, Osvaldo Ferrini, Castelli, Ellena, Baldi, Ossola, Loik, Gabetto, Mazzola, Barbero. Arbitro: signor Canavesio di Torino. Il cronista sottace che dagli spalti si alzarono anche dei colpi di arma da fuoco. La tensione sociale era palpabile in ogni dove e gente, dell’una e dell’altra parte, che andava in giro armata era all’ordine del giorno. Chissà come la prese il povero Marchi! Lo scrittore granata Giuseppe Culicchia ci ha scritto su un divertente libricino dal titolo Ma in seguito a rudi scontri.

    AMICIZIA. Etichetta attribuita a una coppa europea, ora scomparsa, cui il Torino ha partecipato due volte, nel 1960 e nel 1962 per un totale di 10 incontri, ricavando 5 vittorie, 4 pareggi e 1 sconfitta. Nella prima partecipazione (Amicizia italo-francese) le squadre rappresentavano non se stesse, ma la loro nazione, in questo caso Francia e Italia. I granata, chiamati ad affrontare il Nancy, portano alla causa 3 punti, frutto di uno 0-0 in casa e di una vittoria esterna per 1-2 grazie a una doppietta del centravanti Giuseppe Virgili. Nella seconda partecipazione (Amicizia italo-svizzera-francese) la formula è diversa. La coppa spetta al club e non più alla nazione che rappresenta, con match di andata e ritorno a eliminazione diretta. I granata, guidati in panchina da Beniamino Santos, eliminano prima il Losanna (due volte 2-1), poi l’Olympique Lione (1-2 fuori e 1-1 in casa), quindi la connazionale Milan (superata 2-1 in casa e stoppata sull’1-1 a San Siro) approdando alla finalissima con il Lens. Ai francesi, già vittoriosi 2-1 in casa, basta l’1-1 rimediato al Filadelfia per aggiudicarsi il trofeo. Un po’ di amarezza per i granata che si vedono sfuggire la coppa proprio sul filo di lana, ma non certo una delusione così cocente quanto quella che proveranno, a maggio del 1992 nella finale contro l’Ajax, i granata di Emiliano Mondonico.

    AMSTERDAM. La stagione 1991-92 fissò per il Torino del presidente Gian Mauro Borsano e dell’allenatore Emiliano Mondonico un momento magico. Terza in campionato con 43 punti, dietro soltanto al vincente Milan e alla Juventus, la squadra agguanta anche la finale di Coppa

    UEFA

    , dopo un percorso esaltante che manda in brodo di giuggiole il popolo granata. Una dopo l’altra le avversarie di turno vengono lasciate per strada, Real Madrid compreso. La doppia finale prevede lo scontro con gli olandesi dell’Ajax, la mitica squadra portata all’onor del mondo dal grande Johan Cruijff. Per il Torino è l’occasione della vita, l’opportunità di porre in bacheca un trofeo prestigioso. Sull’onda dell’euforia tutti tentano di nascondere sotto il tappeto, facendo finta di niente, la proverbiale sfiga che (oggettivamente) da sempre accompagna la società. La fiducia non viene neppure meno dopo che il match casalingo di andata è finito in parità (2-2). «Ce la giochiamo in Olanda e vinceremo», esclama Mondonico e la squadra gli fa eco. Serve ovviamente una vittoria o un pareggio con più di due reti. I tifosi granata si assiepano in tanti all’interno dello stadio Olimpico di Amsterdam per la seconda, decisiva finale. È il 13 maggio 1992 e in campo si consuma un match incredibile. Il Torino gioca bene e merita di vincere, ma il pallone non ne vuole sapere di entrare nella porta avversaria e va a stamparsi per ben tre volte sui pali e traversa sui tiri di Casagrande, Mussi e Sordo. Sono i numi del pallone, non le azioni degli uomini in campo a stabilire l’esito del match. Mondonico lo intuisce e, come ispirato da questo pensiero, afferrata una sedia a bordo campo la solleva al cielo come a chiamare a raccolta affinché si giustifichino gli dèi pallonari: perché, perché questo? Lo 0-0 sancisce la vittoria dell’Ajax e rispedisce a casa il Torino a mani vuote. Sciamano via anche i tifosi, ma il loro orgoglio non si tace e cantano: «Torneremo, torneremo, torneremo ad Amsterdam», come a dire: noi non ci arrendiamo, la prossima finale la vinceremo.

    ANDREA DORIA. Gloriosa società di Genova, fondata nel 1895, dai colori bianco e blu. Il Torino l’affronta solo in ambito di campionato a cominciare dal primo a cui partecipa in modo ufficiale. A Genova il match finisce 0-0 e ancora non si sa quanto peserà questo risultato sull’esito finale del torneo. I granata sono nettamente superiori ai liguri e il pronostico è tutto dalla loro parte, ma accade un fatto decisivo. Al treno che parte da Porta Nuova destinazione stazione Piazza Principe manca un giocatore, Walter Streule (che arriverà solo a convoglio ormai avviato) e così la squadra è costretta a giocare in dieci. La vittoria sfuma e con essa un punto che sarebbe risultato decisivo per l’assegnazione del titolo ai granata anziché al Milan. Per punizione Streule verrà non solo allontanato dalla rosa dei calciatori da parte di Alfred Dick, facente funzione di presidente, ma persino sospeso dal posto di lavoro presso l’azienda di cuoio e pellami diretta dallo stesso dirigente granata. Quella sveglia non sentita è l’inizio di una sequela di guai di varia forma e natura che sin dagli esordi hanno accompagnato da sempre il club granata.

    ANGELI DI SUPERGA. È uno dei tanti appellativi a cui la tifoseria granata si riconduce quando vuole ricordare i campioni del Grande Torino caduti il 4 maggio 1949 sulla collina che domina la città. Altri sono: gli Invincibili, i Campionissimi, gli Eroi di Superga, i Campioni del Mito…

    ANNIVERSARIO. Molte le date che il popolo granata si è appuntato nella sua immaginaria e romantica rubrica del cuore. La prima, ovviamente, è il 4 maggio 1949 a ricordo della tragedia di Superga. Restando sul fronte dolente, incise nella pietra del ricordo indelebile sono il 15 ottobre 1967 e l’8 novembre 1976, giorni in cui se ne vanno per sempre in tragiche circostanze Luigino Meroni e Giorgio Ferrini. Il 16 maggio 1976 celebra la vittoria del settimo scudetto (riconosciuto) e con esso il gol spettacolo di Paolo Pulici; mentre il 4 maggio 2003 (54º anniversario di Superga) resterà a vita negli occhi di chi c’era e l’ha vissuta, l’incredibile marcia dell’orgoglio granata di 50.000 tifosi uniti, il giorno dopo il verdetto di retrocessione della squadra, in folla oceanica a reclamare il proprio amore per il Torino.

    ANTICONFORMISTA. Per definizione colui che va contro, che assume linguaggio e comportamenti non allineati. Vivo il concetto nell’arte, in specie pittorica, ma altrettanto applicabile al mondo del calcio, quando alcuni dei suoi protagonisti più illustri assumono atteggiamenti, come dire, provocatori. Ovviamente, possono permettersi di andare contro corrente solo i grandi, quei giocatori di classe superiore, capaci, per la loro personalità sportiva di attirare attenzioni e pareri. Nella storia del calcio se ne contano molti, in quella del Torino alcuni, ma il top spetta a Luigi Meroni detto Gigi o più affettuosamente Calimero (a ricordare il piccolo pulcino nero del cartone animato di una celebre pubblicità apparso la prima volta in televisione nel luglio del 1963). Meroni, giocatore dallo stile inconfondibile e di classe cristallina, approda al Torino nella stagione 1964-65, colpo da novanta del mercato estivo del presidente Orfeo Pianelli. Ha solo vent’anni, ma già segnala di essere prodigiosamente maturo: dribbling ubriacanti, intelligenza di gioco, altruismo, fantasia galoppante, tecnica raffinata. Non gioca soltanto al calcio, come fanno tanti, Meroni vive in modo intenso il proprio tempo. Che è quello delle prime contestazioni, dei figli dei fiori, delle rock band, di una società sempre più complessa e articolata. Porta una zazzera corvina, barba e baffi, veste in modo eccentrico (disegna lui stesso gli abiti da portare), dipinge e legge persino (cosa rara per un calciatore, meglio i giochi di carte e, oggi, i videogame). Fa dell’ironia un’arma pungente, sta nel sistema, ma cerca di migliorarlo, di renderlo meno ingessato, cerca di spalancarlo al mondo nuovo che incalza e si insinua in ogni risvolto della società. Contesta e rema contro, ma lo fa con garbo, con intelligenza, quasi in punta di piedi. Ci rimette sovente di suo, ma non si spaventa. Per un certo periodo si vede negata la maglia azzurra che meriterebbe; si ritrova sui giornali, visto come una mosca bianca, alla fin fine pericolosa. Lui si diverte e in campo gioca con allegria spensierata, i calzettoni calati sulle scarpe, senza paura di incassare calci e botte. Quando si rialza stringe sorridendo la mano a chi lo ha atterrato, quasi a ringraziarlo. Ci sono volte in cui lo si vede portare a spasso una gallina al guinzaglio o muoversi su una vecchia Balilla che ha riportato all’onor del mondo. Il culmine lo raggiunge quando si improvvisa reporter e va in giro per la città a intervistare la gente e chiedere: «Scusi, lei sa chi è Gigi Meroni?», guardando dritto negli occhi l’interpellato. Le risate più schiette gli vengono quando la risposta è un no secco, oppure, quando qualcuno gli parla di cantanti o attori. Un modo divertente per prendere meno sul serio il pianeta calcio, rendendo i suoi idoli (e Meroni era uno di questi) più vicini alla gente comune e alla realtà della vita di ogni giorno.

    ANZIANO. Tutto è relativo. Quando un uomo raggiunge i trent’anni si sta affacciando alla vita, se la stessa carta d’identità appartiene a chi gioca al calcio si sta inesorabilmente avvicinando a una soglia pericolosa, quella del ritiro dall’agonismo. Tuttavia, se fino a non molti anni or sono a un ultratrentenne poco si concedeva, oggi il limite si è senz’altro spostato e sono sempre più numerosi i giocatori che osano spingersi fin sul limitare dei quaranta. Sfogliando l’Almanacco Panini 2017 si scopre che nella massima serie i nati nella decade dei Settanta (quella che ci indica chi ha superato da mo’ i trenta) tanti non sono, ma neppure pochi: Aldegani Gabriele (1976), portiere; Amenta Federico (1979), difensore; Bizzarri Albano (1977), portiere; Brienza Franco (1979), attaccante; Buffon Gianluigi (1978), portiere; Castellini Paolo (1979), difensore; Colombo Roberto (1975), portiere; Comotto Gianluca (1978) difensore; Coppola Ferdinando (1978), portiere; Dainelli Danilo (1979), difensore; De Sanctis Morgan (1977), portiere; Lobonț Bogdan (1978), portiere; Maccarone Massimo (1979), attaccante; Márquez Rafael (1979), difensore; Pellissier Sergio (1979), attaccante; Pestrin Manolo (1978), centrocampista; Pugliesi Maurizio (1976), portiere; Sardo

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