Dall'Aquila imperiale al Regno d'Italia
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Attraverso un lavoro di accurata ricerca negli archivi locali, si è potuto finalmente porre l’accento sul Risorgimento veneto, sull’occupazione napoleonica, sull’impero austriaco, sul nascente regno d’Italia, sull’entusiasmo dei giovani veneti disertori che si arruolavano tra i garibaldini e di quelli invece costretti a combattere con la divisa austriaca, sulla guerra perduta e vinta del 1866 (III Guerra d’indipendenza) che ha permesso l’annessione, sulle speranze e delusioni che sono seguite all’evento plebiscitario.
Nella seconda parte del libro trovano spazio alcuni contributi di studiosi che approfondiscono ed allargano la visuale sul periodo oggetto di studio accompagnandoci alle soglie del XX secolo.
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Anteprima del libro
Dall'Aquila imperiale al Regno d'Italia - Centro Studi e Ricerche della Pianura Veronese
Note
Centro Studi e Ricerche della Pianura Veronese
Dall’Aquila imperiale
al Regno d’Italia
La pianura veronese
negli anni del Risorgimento
Frammenti di Storia
Ottobre 2016
della stessa collana: Bovolone – Frammenti di Storia
© Copyright 2016, by Centro Studi e Ricerche Bovolone,
via Piave 16 – 37051 Bovolone (VR)
Tutti i diritti riservati – Printed in Italy
Introduzione
a cura del Centro Studi e Ricerche della Pianura Veronese
Quando all’inizio del 2016 ci siamo riuniti per gettare le fondamenta dell’attività della nostra Associazione per il nuovo anno, ci è subito balzata l’idea di riappropriarci di quella parte di storia che ha portato il nostro Veneto all’annessione all’Italia, giusto 150 anni fa.
Questo perché ci siamo accorti che oggi solo alcune persone conoscono veramente ciò che è realmente accaduto. Le cause possono essere molteplici, a partire dalla formazione scolastica di base che ha relegato l’argomento a un pallido accenno, fino a prestarsi a sventate strumentalizzazioni ideologiche che snaturano colpevolmente la realtà dei fatti.
Anche noi, come tanti, abbiamo fatto nostro l’assunto che per vivere compiutamente il presente e dirigere con responsabilità il futuro dobbiamo conoscere a fondo i processi che ci hanno portato ad essere quello che siamo, in sostanza abbiamo l’assoluto bisogno di conoscere il nostro passato. Specialmente se il passato in questione è abbastanza recente (150 anni per la Storia non sono moltissimi!).
Quando nel 2011 in tutta l’Italia si tenevano i festeggiamenti per il 150° dell’unità, qualcuno aveva osservato che per il Veneto, teoricamente, non era ancora giunto il momento, in quanto il 17 marzo 1861 e per altri cinque lunghi anni gli abitanti veneti erano ancora sudditi dell’Austria. Ora però ci siamo ufficialmente anche noi e, al di là delle celebrazioni ufficiali che non ci competono, intendiamo cogliere l’occasione per porre l’accento sul Risorgimento veneto, sull’occupazione napoleonica, sull’impero austriaco, sul nascente regno d’Italia, sull’entusiasmo dei giovani veneti disertori che si arruolavano tra i garibaldini e di quelli invece costretti a combattere con la divisa austriaca, sulla guerra perduta e vinta del 1866 (III Guerra d’indipendenza) che ha permesso l’annessione, sulle speranze e delusioni che sono seguite all’evento plebiscitario.
Questa pubblicazione, pertanto, si pone l’obiettivo di ripercorrere lo scenario del Risorgimento nazionale nell’ottica particolare che parte dalla nostra terra e dalla nostra gente, rendendola protagonista di una microstoria che andrebbe altrimenti completamente perduta nel calderone della storia nazionale. I contributi degli studiosi nella seconda parte del libro approfondiscono ed allargano la visuale sul periodo oggetto di studio accompagnandoci alle soglie del XX secolo.
Un sincero grazie a tutti coloro che, a vario titolo, si sono prestati per la pubblicazione di questo libro.
Centro Studi e Ricerche della Pianura Veronese
Dall’Aquila imperiale al Regno d’Italia
di Federico Melotto
1. Napoleone: tiranno o liberatore?
L’inizio del Risorgimento veronese coincide con una data, il 1° giugno 1796, e un avvenimento importante, non soltanto per le vicende locali, ovvero l’entrata a Verona dell’Armèe d’Italie guidata da un ventinovenne generale originario dell’isola di Corsica, Napoleone Bonaparte.
Nella primavera del 1796 il generale francese, dopo aver brillantemente sconfitto gli eserciti austro-piemontesi in Piemonte e in Lombardia, inseguì gli austriaci in ritirata avvicinandosi così progressivamente al territorio Veronese: in breve occupò prima la piazzaforte di Peschiera, posta strategicamente nel punto di confluenza del Garda nel Mincio, e poi, il 1° giugno, la stessa Verona con 12.000 uomini al seguito.
La Repubblica di Venezia, dichiaratasi neutrale rispetto al conflitto franco-austriaco, concesse il passaggio delle truppe transalpine sul proprio territorio. Il generale, una volta giunto a Verona, non si dimostrò in realtà per nulla ossequioso nei confronti delle autorità veneziane che infatti furono sostanzialmente esautorate. Nel suo complesso la città scaligera accolse piuttosto freddamente l’armée fatta eccezione per quei pochi, ma non del tutto trascurabili, giacobini contagiati dal sogno rivoluzionario che da quasi un decennio erano presenti anche a Verona e che gravitavano attorno al mondo delle tre logge massoniche. Tra di loro troviamo alcuni nobili, vari esponenti del mondo delle libere professioni, medici e avvocati, un certo numero di ufficiali, alcuni possidenti, intellettuali (come ad esempio il poeta Ippolito Pindemonte), insegnanti ed infine anche qualche ecclesiastico. Il resto della città, comunque, visse i repentini cambiamenti politici in maniera del tutto diversa. Ben 5.000 nobili, ad esempio, si affrettarono a lasciare Verona per rifugiarsi in campagna, così come racconta l’aristocratico Girolamo de’ Medici nella sua cronaca: tutta la cittadinanza che rimase entro le mura dovette invece subire i disagi tipici di un’occupazione militare, acuiti dal fatto che l’armee, per espressa volontà del direttorio parigino, doveva approvvigionarsi in loco di cibo, vestiario, cavalli e carriaggi.
Fin da subito si pose peraltro la grave questione del reperimento degli alloggi per gli ufficiali: si pensò così di usufruire delle case lasciate libere da coloro che erano scappati, ma queste si dimostrarono insufficienti. Lo stesso problema si presentò anche per la dislocazione della truppa che «non conosceva l’uso delle tende, onde convenne alla meglio ricovrarla in luoghi chiusi». Si dovette anche risolvere la questione del vettovagliamento che sarebbe stato a carico del governo cittadino e quindi dei veronesi. Alcuni dati annotati dal de’ Medici, relativi alla fine del settembre 1796, illustrano bene come la presenza militare a Verona pesasse sulle precarie economie civiche
: all’interno delle mura vi erano circa 50.000 abitanti più «14.500 francesi, de’ quali 7.050 alloggiati nelle case, 4.000 negli ospitali e 1.500 soldati». Anche le piazzeforti di Peschiera e Legnago, capisaldi fondamentali per il controllo del territorio, subirono lo stesso processo di militarizzazione.
2. Truppe francesi nella pianura veronese: il punto di vista di un parroco
L’inarrestabile avanzata dell’esercito francese costrinse gli austriaci a ritirarsi all’interno della piazzaforte di Mantova. Napoleone decise quindi di concentrare i propri sforzi militari proprio sulla città virgiliana ma per fare questo aveva bisogno di assicurarsi il controllo della retroguardia occupando anche la fortezza di Legnago posta all’estremo confine meridionale del territorio della Repubblica di Venezia a guardia dell’immensa area paludosa delle Valli Grandi veronesi e ostigliesi.
Il 14 giugno 1796 un drappello francese lasciò Verona cavalcando verso sud, attraversò tra lo stupore generale alcuni paesi della provincia, tra cui Bovolone, e infine si presentò alle porte della piazza legnaghese chiedendo alle autorità venete il permesso di fermarsi per il vettovagliamento. Dopo qualche ora proseguì per Badia Polesine. Entro la fine del mese 3.000 soldati francesi comandati da Charles Pierre François Augereau occuparono stabilmente l’area attorno a Legnago. Il 10 luglio arrivò Napoleone in persona a ispezionare la fortezza e ancora una volta transitò con la sua guardia armata da Bovolone.
Il medico Ignazio Menin, originario di Minerbe e fiero esponente del partito antifrancese, descrisse con toni piuttosto vivaci il comportamento della truppa transalpina: «ov’arrivavano questi ladroni - scrisse - tutti erano allo stesso passo» poiché la «prepotente vil ciurma usava continue ruberie il che già faceva in ogni città indistintamente». Spesso i soldati si recavano nelle osterie e non pagavano o addirittura rubavano «ai fruttaroli i frutti in piazza». Poi, introducendosi nelle case di campagna, chiedevano «da mangiare, e da bevere» e «i poveri contadini» che naturalmente li temevano davano «tutto ciò che potevano; m’alle volte poi dopo aver ricevuto tal beneficio portavano via o i tovaglioli, o le galline, o farina, o salami, o lardo, e cose simili». Insomma «chiaramente si comprende, che tale armata francese era una ciurma di