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Roman e Kanè
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E-book289 pagine4 ore

Roman e Kanè

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Info su questo ebook

Alla periferia di una grande città Roman compie 14 anni. Per celebrare il suo compleanno un cantastorie, di nome Kanè, inizia a raccontare storie che egli definisce «d’amore, di guerra e di saggezza», storie che ha raccontato per piazze e strade nel corso della vita, che però s’intrecciano in un ordito che tutte le comprende, man mano che la narrazione procede verso la risoluzione. Accanto a Roman e a Kanè appaiono altri personaggi marginali, di varia provenienza, e tutti si riconoscono nelle vicende raccontate da Kanè. Roman stesso si identificherà con la figura di un ragazzo protagonista, Leon, tanto da decidere di assumere le funzioni di Kanè alla fine del racconto, facendosi portavoce del suo testamento di cantastorie. Le storie riguardano la società, la legge e il suo valore, l’amore in vari aspetti, la vendetta e l’odio come incapacità di affrontare la verità degli errori commessi, la maternità voluta e ricercata, la paternità persa e ritrovata, i sogni di ricchezza e di felicità, il mito della Creazione come narrato nelle tradizioni popolari. Oggi stiamo capendo che è dalla periferia e dalla marginalità che può arrivare un messaggio, se non addirittura la spinta a conoscere.
LinguaItaliano
EditoreAbel Books
Data di uscita15 giu 2017
ISBN9788867521982
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    Anteprima del libro

    Roman e Kanè - Giulio Marra

    Giulio Marra

    ROMAN E KANÈ

    AbelBooks

    Proprietà letteraria riservata

    © 2017 Abel Books

    www.abelbooks.net

    abelbooks@hotmail.com

    Tutti i diritti sono riservati. È vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata, compresa la fotocopia, anche a uso interno o didattico.

    Le richieste per l’utilizzo della presente opera o di parte di essa in un contesto che non sia la lettura privata devono essere inviate a:

    AbelBooks

    Via Milano 44

    73051 Novoli (LE)

    ISBN 9788867521982

    Alla periferia di una grande città, un ragazzino di nome Roman compie 14 anni. Per celebrare il suo compleanno un cantastorie, di nome Kanè, inizia a raccontare storie che egli definisce «d’amore, di guerra e di saggezza», storie che ha raccontato per piazze e strade nel corso della vita, storie a prima vista autonome che però s’intrecciano in un ordito che tutte le comprende, man mano che la narrazione procede verso la risoluzione. Non è così, in fondo, la vita di un uomo? Si chiede Kanè. E non è così la storia delle nostre civiltà? Accanto a Roman e a Kanè appaiono altri personaggi «marginali», di varia provenienza, e tutti si riconoscono nelle vicende raccontate da Kanè. Roman stesso si identificherà con la figura di un ragazzo protagonista, Leon, tanto da decidere di assumere le funzioni di Kanè alla fine del racconto, facendosi portavoce del suo testamento di cantastorie. Ha compreso che le storie raccolgono l’essenza dell’esperienza di vita di Kanè che deve essere necessariamente tramandata come quella di un aedo classico e moderno al tempo stesso? Le storie riguardano la società, la legge e il suo valore, l’amore in vari aspetti, la vendetta e l’odio come incapacità di affrontare la verità degli errori commessi, la maternità voluta e ricercata, la paternità persa e ritrovata, i sogni di ricchezza e di felicità, il mito della Creazione come narrato nelle tradizioni popolari, figure e sensibilità occidentali e orientali. Oggi stiamo capendo che è dalla periferia e dalla marginalità che può arrivare un messaggio, se non addirittura la spinta a conoscere …. È dall’uomo fuori degli schemi che ci arriva uno stimolo a pensare?

    LE STORIE DI KANÈ

    PER ROMAN

    Indice

    OUVERTURE

    La storia dell’amore di Ibrahim Kahn

    La storia d’amore e di morte di Manomorta

    La storia d’amore della bella e coraggiosa Kum

    E del Maestoso

    Della Piranga

    La fame

    Della morte e della salvezza di Manomorta

    Dei pirati e del tesoro

    Del testamento del capitano

    OUVERTURE

    Leia um livro

    Universo em desencanto

    Leia um livro

    Universo em desencanto

    Leia e vai saber o que è encanto

    Leia e vai salvar o desencanto

    Come se l’Inizio fosse un grilletto da premere, un colpo da fare partire verso chissadove … o una linea che parte da A e va a B, ma è come dire che una pistola non dice nulla dell’uomo che la spara, nulla di nulla … o un treno che va da A a B non sa e non dice nulla dell’uomo che ci sale, come se davvero ci fosse un inizio nella mente di un uomo, di una donna, di un ragazzo, di un ragazzino, come si potesse dire che il tempo ha inizio e la storia ha un inizio …

    Qualcosa inizia nella mente, ma come a volte le nuvole iniziano una forma e poi subito la disfano nel vento, simulando la forma dei pensieri, per il destino che non puoi vedere, che ci soffia dentro come un lievito invisibile, o un demonio pulsante nel cuore, o come il trillo verde della primavera che si alza sulle punte rosee dei pioppi … ed esplode … no, ci vuole la fede, la fede che ci sia un Inizio e una Fine …

    Roman uscì dalla baracca e si mise a camminare per le stradine asciutte del campo. «Ehi, Roman, dove stai andando?»

    Roman riconobbe la voce di Kanè e non ci fece caso, ma quello continuò. «Hai tenuto acceso il fuoco? Ho fame, Roman, quando cucini vengo da te.»

    «Va bene, Kanè.»

    «È vero che vuoi andare a scuola, eh, Roman?» gli chiese articolando attentamente le parole. «Com’è la scuola, Roman? Dov’è la scuola?» e una genuina curiosità si stampò sulle labbra e sul perenne sorriso del vecchio Kanè.

    «Là» rispose Roman, indicando un punto lontano.

    «Là dove? Mostrami dove» fece Kanè sollevandosi dalla sedia zoppa di pezza rossa. Roman tardò a rispondere e Kanè commentò: «A scuola è come andare in cima alla montagna e mettersi una manciata di neve in tasca, eh Roman?»

    «E te la trovi tutta sciolta, lo so, me lo ripeti ogni volta che mi vedi, Kanè!»

    «Come te la fossi fatta addosso, eh Roman?» replicò Kanè sghignazzando come una iena del deserto. «Quando sento questo discorso di studiare e di andare a scuola … per capire il mondo. Credi che i nostri grandi uomini abbiano studiato quando andavano per terra e per mare?»

    Kanè stava al confine del campo, da dove si vedeva la città, fatta di palazzoni di cemento e alberghi di cristallo, pieni di gente una sopra l’altra, con le sue mille luci, con i rumori, gli odori, i fumi e le nebbioline puzzolenti delle friggitorie che ristagnano nei vicoli come un alito afoso. Roman guardava e non si muoveva e pensava al generatore d’elettricità della sua baracca e all’albero di Natale che rimaneva spento per risparmiare. Più o meno in città stava il lavoro di suo padre, alle luci del semaforo, verdi rosse gialle, s’accendevano come le palle del suo albero. E da quel semaforo in lontananza se ne vedeva un altro e un altro ancora come se un gigantesco albero di Natale fosse disteso a terra e lampeggiasse senza mai spegnersi, come una gigantesca speranza da inseguire.

    «Vai al semaforo?» gli chiedeva.

    A volte pioveva e suo padre ci andava con l’ombrello, ci andava per abitudine, invece di rimanere nella baracca. Era paziente come il vecchio Kanè, che aveva sempre in bocca una sentenza per chi rotola nel mondo: «siamo come l’erba che si piega alla pioggia e si rialza appena la tempesta è passata» diceva. Leggere la mano e il futuro era una questione di donne ed era il lavoro di Vesna. Qui Roman non ci metteva lingua; Vesna aveva imparato almeno sei lingue nei costanti vagabondaggi da città a città, da nazione a nazione e poteva leggere la mano a mezza Europa, e sopravvivere. Roman prendeva ad esempio da lei e ci teneva a imparare parole straniere.

    Alla voce di quel ragazzino, che gli s’imprimeva sul timpano come impronte su cemento fresco, Kanè pensò alla prima parte della sua vita, fuggita veloce, volata via sulle ali di un gabbiano che segue il vento. Se si fosse presentato davanti a un giudice onnisciente e gli avesse chiesto ragione di questo e di quello, avrebbe desiderato solo comprensione, ecco, comprensione. Non giudizio. Un uomo non dovrebbe mai sentirsi sotto giudizio, perché mai? Lo sono le creature viventi del mondo? Quanto piccolo è il giudizio in confronto alla vita!

    «Ehi, Roman, tutto bene oggi?» gli chiese Gibo, il poliziotto, ogni volta che lo incontrava nei suoi giri routinari per il campo. Piccolo, veloce, scattoso, attento.

    «Tutto bene» rispondeva Roman, «non c’è nessuno che ruba, te ne puoi andare, non c’è nessuno che fa casino, tranne il vecchio Kanè che sta seduto davanti alla porta della sua baracca e parla, parla, nessuno ruba». Non erano idee morali quelle di Roman, era la forza sincera e positiva di ogni creatura che cresce, che vince la pietra, la siccità e il buio profondo, era quella forza che gli si formava dentro come una grande bolla di sogno.

    «Non è che fai il palo al vecchio Kanè, eh, Roman?»

    «Sta fuori a prendere aria, gli hai mai chiesto cosa fa?»

    «Non sta a me chiedere, tu mi piaci Roman, vai a scuola, sei bravo, se fossi ricco ti adotterei, Roman, mi piacerebbe che tu vivessi con me.»

    «Ho già un padre, Gibo, non posso vivere con te.»

    E la conversazione si chiudeva, un po’ sospesa in verità come sono parole agganciate a un sentimento e non a un pensiero, il quale si stacca decisamente dalle labbra, come una foglia secca si stacca dal ramo. Invece, certe parole indugiano quando sorrette da un sentimento, che attraversa tutte le stagioni. E così stagione dopo stagione, giorno dopo giorno, non gli dispiaceva di rivedere Gibo. Gibo arrivava a verificare che tutto fosse tranquillo, un piccolo dio della pace. Quando appariva non c’erano grida, urla, vociare irato, come per miracolo il campo si faceva silenzioso. Roman amava questi momenti di tregua e così finiva per amare il poliziotto Gibo.

    «Niente luci di Natale?»

    «Ce l’ho, ce l’ho.»

    «Sicuro?»

    «Sono tutte dentro un sacco.»

    «E l’albero e il muschio?»

    «Anche quelli, ne trovo facile qua di muschio, basta girare l’angolo dietro la baracca.»

    Roman tirò dalla tasca una pallina di vetro colorato e cominciò a giocarci, la guardava quasi fosse stata una boccia di cristallo dentro cui vedere il futuro o meglio la necessità della vita.

    «Vogliono chiudere la fontanella dei giardinetti» disse Kanè.

    «Davvero! Quella dove andiamo ogni giorno?»

    «Non ogni giorno, quando fa freddo freddo no.»

    «Hai ragione, io mi porto la pezza per asciugarmi, ci vado prima di andare a scuola …»

    «La mattina presto.»

    «Molto prima, prima di te Kanè e anche del mio Tatà, tu ti porti una brocca e il Tatà si lava prima di andare a lavorare al semaforo … Chi la vuole chiudere?»

    «Qualcuno che diceva che mi spogliavo nudo alla fontana e che rubavo l’acqua.»

    «E allora anche il Tatà rubava prima di andare a lavorare al semaforo?»

    «E anche tu, Roman.»

    E così Roman sentiva calare su di sé un’accusa che non avrebbe mai voluto sentire e, anche quando la fontana fu riaperta, ci ritornò con l’idea che rubava l’acqua e alla fine preferì non andarci più. Si lavava la faccia e le mani nei gabinetti della scuola. Poi seppe che era stata la maestra che l’aveva fatta riaprire, lo disse lei stessa che era un peccato che la fontanella fosse stata chiusa.

    Kanè tirò fuori una mezza sigaretta, l’accese e si mise a fumare. Si avvicinava l’ora del pranzo e la fame cominciava a farsi sentire. Kanè cacciò una boccata di fumo e disse. «Cosa credi, che mi sia dimenticato che venivo a mangiare da te? Cosa credi, che mi sia dimenticato che oggi compi 14 anni, eh Roman?» Roman sorrise e lo prese una gioia inconsueta alle parole affettuose di Kanè.

    «Grazie, spero un giorno di diventare grande come te!»

    «Grande come me? Ho passato tutta la vita a raccontare storie di piazza in piazza, a questo ti riferisci?»

    «Dove hai imparato tutto quello che sai?»

    «Roman, quello che posso dirti è che ho imparato da ogni paese, fiume, mare, monte, città … però bisogna camminare, sentire la terra nei piedi, le scarpe raccontano le mie storie, quanti misteri, quanti diavoli e quanti arcangeli si solleverebbero a loro difesa! Sotto le mie suole c’è la verità della mia vita. Dov’è la verità zingara, eh, Roman? Le mie storie le ho cominciate sempre con questa domanda, sempre con le stesse parole. Ascolta, «Dov’è la verità zingara?»:

    Da quando ho memoria

    giro con la tenda per il mondo

    cerco amore ed affetto

    giustizia e fortuna.

    Sono invecchiato sulla strada

    e non ho trovato vero amore.

    Non ho sentito la parola giusta.

    Dov’è la verità zingara?

    «Insomma, Roman, solo qualche minuto … e ci sarà festa anche per te!» Kanè non disse più nulla, socchiuse gli occhi e continuò ad aspirare la mezza sigaretta; e Roman tenne la lingua tra i denti, anche se era tentato di dirgli che era un simpatico bugiardone. Arrivò per primo Abramo col pappagallino brasiliano sulla spalla, con i capelli grigiastri sparpagliati, labbra imbronciate, la larga fronte rugosa, gli occhi semichiusi, aveva lasciato il piccolo violino sotto la branda e l’orecchino gli dondolava all’orecchio sinistro. E poi si fece vivo Kavin, silenzioso, come solitamente era. Si limitò a guardare il timone addossato alla baracca di Kanè, come un feticcio senza potere e il pezzo dell’albero di trinchetto piantato per terra, come un tronco senza vita. Kanè era stato anche per mare e dal mare era arrivato con i suoi feticci. Ma dove era finito tutto ciò che amava: il caso, la fatalità, l’imponderabile, il rischio delle burrasche e dei venti? Anche il sole splendido gli appariva noioso e solitamente banale. «Imbrogli da miserabili, furti di giorno e di notte, perfino l’acqua ci accusano di rubare, non siamo più in mezzo al grande mare!» diceva. Un minuto ancora ed ecco spuntò Vesna con una grande padella e una sfrigolante frittata e dietro di lei apparvero Drago e Stevan con piatti e bicchieri.

    «Buon compleanno, Roman, a 14 anni diventiamo uomini» disse Vesna e così dicendo afferrò un piatto da Drago e fece volare la frittata in aria per farvela ricadere, ma aihmè! Abramo gridò: cristo! Vesna si mise paura e la frittata finì miseramente a terra nella polvere. Polvere, polvere, nient’altro che polvere! Alle grida arrivarono anche Rocco e Sonny. La delusione si dipinse sui volti affamati. Si misero a fissare la frittata ripetendo che era una iattura perdere quelle belle patate rosse di montagna. Kanè osservò Roman, sconfortato, e Vesna non staccava gli occhi dalla defunta leccornia che le era costata le uova, il latte, la farina e la cipolla della misera dispensa. Nel mezzo del silenzio si alzò Kanè che, con un encomiabile aplomb, disse che la stessa cosa era capitata, tempo addietro, a una signora della cosiddetta buona società, una sera al chiaro della luna, e sostenendo che Roman si meritava una festa, invitò tutti ad ascoltare. «La racconto per te, Roman, la storia della frittata, ma è anche la storia della mia vita, come facevo una volta con uomini e burattini sul ciglio delle strade e delle piazze e mi veniva bene quando mi sentivo triste e scoraggiato e affamato … la memoria funziona meglio. La vedo la costa, la brughiera, la riva, le baracche, il mare e il cielo bianco e blu, troverò un quadrilatero di mare calmo nella tempesta dei ricordi e te ne racconto tre di storie: d’amore, di guerra e di sapienza della vita … le racconto per te e se gli altri vogliono restare, padroni di farlo. Diciamo che te racconto una per ogni pezzo di vita, passata presente e futura, tutto gratis, lasciamola in cantina la bilancia paranoica del dare e dell’avere! Poi, alla fine, spero che vorrai darmi una mano. Va nella baracca a prendere il quadro della mia vecchia barca, e un bicchiere di vino mi basta per cominciare.»

    «Dove hai imparato a parlare, Kanè, dove hai imparato tutte le cose che sai?» gli chiese Roman.

    «Nei libri, nei grandi libri della nostra storia, nella mia vita errabonda un libro in tasca ce l’ho avuto sempre e, come ti ho già detto, per le strade, per le città, dovunque sono stato, Roman, per terra e per mare.»

    «E la frittata?»

    «C’entra pure la storia della frittata».

    Roman si sedette a terra, e gli altri pure, accanto a lui, perché a Kanè non mancavano le parole e con le parole sapeva entrare nei loro cuori. «Vorrei cominciare con una storia d’amore. Quella di Ibrahim Kahn e poi quella della bella Kum e di gente come noi, e magari quella di un cantastorie che si chiamava Fernando …» Si fece silenzio e Kanè iniziò a raccontare di un’isoletta vulcanica, sorta dove il mare Adriatico cede alle calde correnti del mare greco.

    La storia dell’amore di Ibrahim Kahn

    In un castello avvolto dalle nebbie marine un uomo camminava per le sale e poi, d’impeto, saliva una scala di mattoni fino a raggiungere l’alto delle antiche mura. Erano sovrastate da un camminamento per tutto il perimetro, per tre quarti aggettante sul mare e, per un quarto, ancorato alla terra. Terra fatta di roccia aculeata, nerastra, paurosa nel punto in cui essa s’immergeva profonda, abissale, nei flutti, oscurando l’acqua intensamente verde della superficie.

    La fortezza di Modrak piantava le fondamenta su nastri di lava arricciati e arrotolati, simili a zampe rugose di un animale mitologico scaturito dalle viscere della terra: avamposto terribile dei secoli passati, quando flotte di corsari e briganti percorrevano le acque del Mediterraneo e da là venivano cacciati e combattuti. Era diventata la casa di Ibrahim Kahn.

    «Verrai allo scoperto, il cerchio si stringe» andava ripetendo, come se un’ossessione gli divorasse costantemente l’anima. «Il cerchio si stringe attorno a te come una corda amara, che nessuno ti potrà levare, ti ho inseguito, ho trovato le tue tracce e non sai che le sto calpestando a poca distanza da te.» Parole animate da un desiderio mai sopito di vendetta.

    Come la vita cambia nel corso del tempo! Ed è vero che l’oro, l’orgoglio e la gloria ne determinano il mutamento traumatico e violento, come mai succede nella Grande Natura che ci circonda, dove tutto si rinnova senza dolorose rivoluzioni, dove un’unica forza anima gli esseri viventi, una forza che si conserva nella terra e affiora, emerge, cresce, si espande nell’aria, ovunque, ed è l’amore. E per questo dovremmo dire che la vita di Ibra era cambiata, per l’amore di Maryam, prima ancora che a causa dell’oro e della gloria. Come l’amore può cambiare un giovane uomo! Siamo condotti come paladini innamorati da una forza irrinunciabile. L’oro e la gloria portano mutamenti improvvisi e violenti, guerre, battaglie e duelli; l’amore non si nutre, nel suo nascere, di violenza. Per amore si sono fatte lotte, guerre, ma queste sono prodotti dell’orgoglio, dell’ambizione, della gelosia, non in sé dell’amore. Esso produce stupore, meraviglia, un senso poetico dell’esistere, si perde in sogni e desideri, mai gli sovviene la caducità. Ma se questo estasiato amore è sacrificato, ignorato, se lo si nega e lo si ferisce? Allora la sua fonte rigogliosa si disperde e si spegne. A questo punto, disse Kanè, inizia la storia di Ibrahim Kahn.

    Un tempo il giovane Ibra percorreva i viali che lo portavano al palazzo del grande Moghul, nella cui guardia si era arruolato, passando per giardini e lungo specchi d’acqua, in cui fiori di nuvole rispecchiavano l’incanto del cielo e, alla notte, quello di un tremulo raggio di luna. Quale giardino egli sognava dentro la sua anima! Un giardino concluso fatto di gelsomini e tulipani bianchi, o vermigli della felicità, aiuole fiorite di garofani doppi, di iris e di narcisi, e rose superbe! Canali d’acqua, viali di cipressi, d’alberi d’arancio, di mandorli e peschi, palmeti e vigne, un vero paradiso, in cui i sensi venivano invasi senza paura. Quel meraviglioso giardino Ibra lo rendeva vivente, immaginandovi la figura di una donna: Maryam. Grazia e bellezza per Maryam.

    Quando la vide per la prima volta a palazzo, portava un velo incorniciato di perle e una collana di piccole gemme disposte a losanghe, intarsi dorati le coprivano le spalle come mantello luminoso, sotto il quale palpitava un seno di giovane donna. Indossava pantaloni rigonfi, stretti alle caviglie, con pieghe di seta aperti in vari punti. Le labbra turgide erano atteggiate al sorriso. Sopracciglia sottili e ciglia lunghe, arcuate all’insù, accentuavano la dolcezza degli occhi bruni come perle lampanti d’azzurro.

    S’era fermato all’ingresso della sala, non un passo in più gli era permesso sui soffici tappeti persiani. Tutto odorava di fragranze sollecite all’amore: profumi spruzzati sulle stoffe, arsi nei bruciaincensi, mescolati all’acqua o soffusi per cuscini e tappeti … il cuore volava verso Maryam. Lei s’accorse che uno spirito sottile si staccava da quel giovane volto, in cui spiccavano occhi chiari avvolti da nere ciglia e una folta barba del nero più assoluto d’antimonio. Il copricapo giallo era quello di un soldato, gli copriva parte della fronte e saliva fino a un culmine di turbante. Azzurra era la giacca militare che indossava e decorato di ricami dorati era il colletto che segnava il collo virile, pieno di parole e di desiderio d’amore.

    Alla corte del grande Moghul per qualche tempo non gli fu più possibile andare. Trascorreva il tempo lungo i viali del grande giardino. Niente avrebbe risposto al suo sentimento come la vigorosa e vitale natura. Un giorno incontrò un portatore di specchio, egli l’alzò davanti a lui e, essendo prestigiatore, dalla camicia a nove pezzi di tela bianca fece scaturire serpenti. Che gioco è l’attesa della felicità! E quel giorno rivide Maryam, accompagnata da una donna dalla veste bianca. Era pettinata con grande numero di trecce che le scendevano fino alle reni e sul capo portava un fazzoletto di garza, ricamato d’oro. Gli sembrò che uno sguardo, seguito da implicite parole, scivolasse sull’acqua ed egli lo raccolse. Da quel giorno non pensò ad altro che a interpellare il grande Moghul. La sua vita dipendeva da lui. Il grande Moghul aveva in grande considerazione Ibra, lo ascoltò, gli avrebbe permesso di corteggiare Maryam, ma non avrebbe concesso che andasse sposa a un semplice militare. Gli disse di ritornare a corte quando fosse diventato capitano di una delle possenti navi della sua flotta.

    Quali destini riserva la vita! Quando gli uomini intervengono a condizionare i puri sentimenti, cosa mai possono produrre? Lo sapeva il grande Moghul? Il giovane Ibra capì che la sua vita doveva cambiare per l’amore di Maryam, ma cambiava anche per volontà del grande Moghul: Maryam era il premio concesso a un fedele suddito, per il suo valore e il suo coraggio. «L’amore è dunque un premio», pensò Ibra, e decise di meritarlo. Tutto nella vita si paga, anche l’amore? Decise di vincere. Ma non è l’amore un atto segreto del cuore? La sua vita cambiò.

    S’imbarcò come nostromo, imparò a controllare le funi, a collaudare i cavi, a saggiare la robustezza delle catene, a leggere le costellazioni, a verificare le armi da fuoco e che tutto funzionasse a dovere in vista di barche ostili. Acquisì ben presto una tale conoscenza dell’arte marinara che divenne un punto di riferimento essenziale nei lunghi giorni di navigazione, in particolare nelle furiose tempeste che l’aria monsonica trascinava per il mare. Non c’era situazione, anche la più impervia, che non sapesse affrontare. E quando si trattava di attaccare navi nemiche, era lui che guidava gli uomini all’arrembaggio. L’uomo innamorato rimase tale, l’immagine di Maryam seguitava ad apparirgli alla sera quando rimaneva da solo nella cabina, dopo aver lasciato la ruota in mano al timoniere di turno. La vita di mare, il microcosmo della nave, le difficoltà quotidiane della navigazione, ne fecero un uomo deciso, a volte intollerante, a volte spietato nel suo coraggio, un uomo a cui sarebbe ben presto stato affidato il governo di una nave. Saliva a prua da solo, sentiva le sferzate del vento scuotere le vele, fischiare tra il cordame, sentiva la prua tagliare l’onda irosa e la barca beccheggiare, ora piombare dentro l’acqua nera, ora risalire verso il cielo in un susseguirsi di paure e di speranze, che somigliavano in sunto alla drammaticità della vita. E

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