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L'incoscienza dell'età
L'incoscienza dell'età
L'incoscienza dell'età
E-book298 pagine4 ore

L'incoscienza dell'età

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Info su questo ebook

Giovanni e Virginia hanno sedici anni e si conoscono da sempre, per colpa dei loro caratteri diametralmente opposti non sono mai riusciti ad andare d'accordo, un mattino come tanti altri si guardano un po' più del necessario e inaspettatamente tra di loro tutto cambia.
Improvvisamente si ritrovano a dover ammettere che probabilmente la loro reciproca antipatia, forse, nasconde un sentimento molto più profondo e inaspettato.
LinguaItaliano
EditorePubMe
Data di uscita23 giu 2017
ISBN9788871631905
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    Anteprima del libro

    L'incoscienza dell'età - Francesca Rogano

    casuale.

    PRIMA PARTE

    CAPITOLO UNO

    Tale padre, tale figlio

    Era una tranquilla sera di metà Settembre, la città era immersa in un silenzio quasi innaturale, le strade sarebbero state pressoché deserte se non fosse stato per quello scooter blu notte che stava sfrecciando a una velocità un po' troppo sostenuta.

    Nella stessa città quella stessa sera una donna era affacciata alla finestra, i suoi profondi occhi neri stavano osservando la strada deserta, fuori era già buio, le lancette dell'orologio segnavano le 20.00 e lui ancora non era tornato, iniziava a stare in pensiero.

    Improvvisamente il rumore di una prepotente sgasata ruppe il silenzio della sera, la donna tirò un sospirò di sollievo e vide avvicinarsi alla casa un adolescente.

    Indossava un vecchio giubbotto di pelle, aveva dei corti capelli corvini e due rapaci occhi neri, sul bel viso spiccava un irresistibile sorrisetto malandrino e ribelle che lei conosceva benissimo perché un tempo lontano era appartenuto a un altro ragazzo.

    Sentendo girare la chiave nella serratura la donna lasciò andare la tenda che pigra e silenziosa tornò tranquillamente al suo posto, si voltò con uno sguardo accigliato:«Ti sembra questa l'ora di rientrare?» chiese; il ragazzo la osservò in silenzio e si limitò a stringersi nelle spalle.

    La donna sospirò pesantemente:«Sei diventato sordo? Sto parlando con te» disse; il ragazzo alzò gli occhi al cielo:«Uffa mamma» rispose; la donna lo fulminò con un'occhiataccia: «Uffa mamma un corno» urlò.

    Improvvisamente sulla soglia della porta apparve una figura imponente e la donna sentì il cuore accelerare i battiti, l'ultima cosa che avrebbe voluto sarebbe stata attirare l'attenzione di suo marito ma avendola sentita gridare era corso per vedere cosa stava succedendo.

    L'uomo guardò la moglie:«Cosa succede?» chiese; la donna scosse la testa:«Niente» rispose; l'uomo sospirò e puntò i suoi rapaci occhi neri verso il figlio:«Ti sembra questa l'ora di rientrare?» disse duramente.

    Il ragazzo sbuffò:«Non ti ci mettere pure tu» ribatté; l'uomo sentì le mani prudere fastidiosamente e strinse forte i pugni:«Non farmi perdere la pazienza» lo ammonì; il figlio - per niente intimorito e con spavalderia - ghignò.

    Il ragazzo guardò il padre e si strinse indifferentemente nelle spalle:«Me ne farò una ragione» rispose; l'uomo gli lanciò un'occhiataccia:«Giovanni» disse in un tono che non prometteva niente di buono.

    Il figlio sorrise:«Devo tremare di paura?» chiese; l'uomo contrasse la mascella, era terribilmente arrabbiato e senza pensare si avvicinò al ragazzo.

    La donna li stava osservando in silenzio - se non interveniva sarebbe successo l'inevitabile - sospirò:«Samuele» disse; lui sentendosi chiamare si voltò:«Cosa c'è Stefania?» chiese; lei si morse un labbro:«Se lo picchi non risolvi nulla» rispose semplicemente.

    Samuele sospirò pesantemente:«Ringrazia tua madre» disse; Giovanni ghignò:«Altrimenti cosa mi facevi?» chiese spavaldamente; Samuele gli lanciò un occhiataccia pericolosa e si trattenne a stento dal mollargli un ceffone.

    Stefania alzò gli occhi al cielo:«La vuoi finire?» disse; Giovanni stava per aprire bocca ma Stefania scosse la testa:«Basta così, adesso fila in camera tua» aggiunse in un tono che non ammetteva repliche.

    Quando il ragazzo sparì oltre la porta della sua stanza Samuele guardò seriamente sua moglie:«Soddisfatta?» chiese; Stefania inarcò un sopracciglio:«Se non ti fermavo come minimo lo prendevi a schiaffi» rispose; Samuele sospirò:«E se lo sarebbe anche meritato» disse.

    Stefania non condividendo il punto di vista del marito scosse la testa:«Lo sai meglio di me che prenderlo a schiaffi non servirebbe a nulla» rispose.

    Samuele la guardò - il tempo l'aveva cambiata poco, i capelli erano sempre lunghi e tra il nero si poteva vedere qualche filo grigio, sul bel viso dalla pelle candida c'era qualche piccola ruga che qualche anno prima non c'era, ma in fondo era sempre lei - sospirò consapevole che sua moglie non avesse completamente torto.

    Stefania lo osservò in silenzio - non era cambiato poi molto, il suo viso anche se invecchiato era sempre lo stesso, i capelli una volta esageratamente corti ora erano più lunghi e un po' più grigi, ma tutto sommato era sempre lui - poteva benissimo intuire a cosa stesse pensando ma sapeva che era troppo orgoglioso per darle ragione.

    Improvvisamente sentirono aprirsi la porta di casa e Samuele si voltò di scatto, vide entrare in casa una bellissima ragazza dai lunghi capelli neri con due occhi profondi e sinceri dello stesso colore, era Noemi.

    La ragazza osservò i genitori incuriosita:«Cosa ci fate in corridoio?» chiese; Samuele sorrise:«Ti volevamo spiare» rispose; Noemi scosse la testa:«Stai perdendo colpi papà, non mi sembra una tattica degna di te, se vuoi scoprire qualcosa ti consiglio di seguirmi il Sabato sera» disse.

    Samuele si morse un labbro:«E cosa ci sarebbe da scoprire?» esclamò; Stefania sospirò:«Direi proprio niente» ribatté e si lanciò uno sguardo complice con la figlia; Samuele se ne accorse:«Cosa mi state nascondendo? Guardate che rispolvero il mio vestito da cespuglio» minacciò.

    Le due donne scoppiarono a ridere, Stefania lo prese a braccetto:«Ma piantala» lo rimproverò poi prima che potesse aggiungere altro lo trascinò in cucina.

    Il mattino dopo Giovanni si alzò controvoglia, purtroppo le vacanze estive erano finite e doveva ritornare a scuola, la prospettiva non gli piaceva per niente e se fosse dipeso da lui si sarebbe girato dall'altra parte e avrebbe continuato a dormire ma non poteva farlo, per sua sfortuna sua madre insegnava nella stessa scuola in cui era stato iscritto.

    Arrivò in cucina con gli occhi ancora gonfi di sonno - come al solito suo padre e sua sorella non c'erano - e soffocando uno sbadiglio si lasciò cadere pesantemente su una sedia.

    Stefania sorrise:«Pronto per un nuovo anno scolastico?» chiese; il ragazzo la guardò come a dire "Non vedi come sono felice? Non salto solo perché non c'è abbastanza spazio", Stefania leggendogli il disappunto sul viso scosse la testa:«Come non detto» aggiunse.

    Mezz'ora dopo madre e figlio uscirono dal portone di casa, Stefania sorrise:«Vuoi un passaggio?» chiese; Giovanni la guardò orripilato:«Mamma ti sembra che posso arrivare a scuola con te?» rispose.

    Stefania sospirò:«E va bene ho capito, ci vediamo a scuola» lo salutò; Giovanni salì svogliatamente sul suo scooter:«Non per mia scelta» rispose poi ingranò la prima e con una forte e prepotente sgasata si allontanò.

    Giovanni imboccò la via della scuola alle 7.45 e si guardò intorno, proprio davanti al vecchio portone seduto su uno scooter nero, con una massa di capelli castani al vento, due occhi dello stesso colore e una sigaretta in bocca per darsi un tono e forse qualche anno di più c'era il suo migliore amico, accelerando si avvicinò e gli sorrise furbescamente:«Ciao Giacomo» salutò.

    Stefania arrivò davanti alla scuola poco dopo, stava cercando suo figlio quando improvvisamente una voce nota fece eco dietro di lei:«Ciao» disse.

    Si voltò di scatto, davanti a lei c'era una donna con i capelli castani con qualche filo grigio di troppo e sul viso che conosceva così bene c'era un'espressione più adulta e matura ma nel profondo era sempre lei, la sua più cara e vecchia amica:«Ciao Debora» rispose.

    Debora lanciò uno sguardo verso il vecchio portone della scuola e indicò i due ragazzi:«Non ti ricordano nessuno?» chiese; Stefania osservando il figlio e il suo inseparabile amico annuì:«Sembrano Samuele e Davide» rispose.

    Debora si morse un labbro:«Più passa il tempo più diventano simili ai loro padri, ogni tanto ho come l'impressione che gli anni non siano mai passati» disse; Stefania sorrise pallidamente:«:«C'è da sperare che crescendo si diano una regolata» disse.

    Debora sospirò nuovamente:«Me lo auguro» rispose, sorrise:«Per fortuna c'è anche Virginia, almeno lei qualche soddisfazione la da» aggiunse; Stefania si morse un labbro:«Ogni tanto mi chiedo come facciano Giacomo e Virginia a essere gemelli» esclamò.

    Debora si strinse nelle spalle:«Se non fossero figli miei me lo chiederei anche io, sono come il giorno e la notte» disse; Stefania scoppiò a ridere mentre la campanella iniziava a suonare, le vacanze erano ufficialmente finite.

    Giovanni e Giacomo si lanciarono uno sguardo complice, sui loro volti c'era la stessa identica espressione, osservarono gli scooter, la tentazione di metterli in moto e allontanarsi era terribilmente forte.

    Inaspettatamente - quasi avesse intuito le loro intenzioni - Virginia si parò aggressivamente davanti a loro:«Fossi in voi non ci proverei» sibilò; Giovanni e Giacomo inarcarono un sopracciglio:«A fare cosa?» esclamarono.

    Virginia si portò le mani ai fianchi:«A scappare» rispose; Giacomo la guardò con la sua aria più innocente:«Tu sei completamente fuori» protestò indignato; Giovanni annuì la sua approvazione.

    Virginia li fulminò con un'occhiataccia:«Se ci provate giuro che lo dico a mamma e...(Guardò Giovanni)...A zia Stefania» minacciò; Giovanni incrociò le braccia al petto:«Sei una ricattatrice» ribatté.

    Giovanni e Virginia si guardarono con aria di sfida, improvvisamente lui sentì il cuore mancare un battito, con i lunghi capelli castani lasciati liberi sulle spalle e negli occhi color nocciola una determinazione che non le aveva mai visto era tremendamente bella.

    Il secondo suono della campanella riportò Giovanni alla realtà, Giacomo sbuffò:«Brava hai vinto ora non possiamo più scappare» disse risentito; Virginia sorrise soddisfatta:«Ci vediamo in classe fuggiaschi» disse e se ne andò.

    Giacomo era furioso - avrebbe voluto strozzare sua sorella - incrociò le braccia al petto:«Che vipera» sibilò; Giovanni scese dallo scooter:«Dai entriamo o ci becchiamo una nota» borbottò; controvoglia i due ragazzi si avviarono dentro la scuola.

    Arrivarono in aula e per loro con grande disappunto videro l'odiato insegnante di matematica, Gianmarco Greco:«Reale e Gramellini la scuola non è neanche incominciata e già vi prendete una nota per essere in ritardo, direi che avete stabilito un nuovo record» disse.

    Giovanni lo guardò con aria di sufficienza:«Dovrebbe ringraziarci per esserci presentati, pretendere che fossimo pure in orario mi sembra decisamente troppo» rispose con tutta la sua spavalderia.

    Greco gli lanciò un'occhiataccia:«Molto bene Reale accomodati pure fuori e stai tranquillo che racconterò della tua bella impresa a tua madre» disse; Giovanni sorrise:«Non si disturbi prof glielo dico direttamente io, non mi costa nulla ho le chiamate gratuite» rispose allontanandosi.

    Greco era livido:«Fuori insolente» urlò a pieni polmoni; Giacomo guardò il professore:«Ma anche io voglio un'ora buca» disse; Greco lo fulminò con un'occhiataccia:«Vuoi uscire pure tu Gramellini?» chiese; Giacomo annuì:«Mica è giusto avere accontentato solo Giovanni» rispose.

    Greco era arrivato al limite:«Sparisci e non farti vedere fino alla fine della mia ora» urlò; Giacomo sorrise:«Grazie prof lei si che capisce i bisogni dei suoi studenti» ribatté divertito poi senza nessuna vergogna si avviò alla porta.

    Giovanni era appoggiato al davanzale della finestra, sapeva che era solo questione di tempo poi sarebbe stato raggiunto dal suo degno compare.

    Quando Giacomo uscì dall'aula fingendo indifferenza allungò un po' il collo, per una frazione di secondo riuscì a scorgere Virginia, era seduta diligentemente nel primo banco stava scrivendo qualcosa sul suo diario «Sto sbirciando una di cui non me può fregare proprio niente» pensò.

    Giovanni lanciò un'ultima occhiata verso la porta dell'aula poi sorrise:«Andiamo al bar?» chiese; Giacomo annuì:«Ottima idea così magari Greco esce a cercarci, non ci trova ci sospende e allunghiamo le vacanze estive» rispose.

    Giovanni si morse un labbro:«Si ma ci accorciamo la vita, tua madre e mia madre ci ammazzano lo sai vero?» ribatté; si guardarono e ridendo si allontanarono.

    Stefania e Debora quel giorno erano state incaricate di accogliere i nuovi studenti e non avevano impegni fino alle 9.00 e non avendo nulla da fare avevano deciso di andarsi a prendere un caffè, stavano parlando del più e del meno quando girando lo sguardo li videro.

    Il cappuccino andò di traverso sia a Giovanni che a Giacomo, per un attimo ebbero la tentazione di nascondersi sotto il tavolino ma si resero conto che fosse un'idea decisamente infantile:«Ciao» salutarono all'unisono.

    Stefania e Debora li incenerirono con lo sguardo:«Cosa ci fate qui?» chiesero; Giovanni e Giacomo si strinsero nelle spalle:«Facciamo colazione» risposero.

    Stefania reprimette l'impulso di prendere a schiaffi suo figlio:«A quest'ora dovresti essere in classe non al bar» sibilò; Giovanni sorrise:«Greco mi ha sbattuto fuori» disse; Stefania era nera:«Cosa?» esclamò.

    Debora osservò il figlio, stava bevendo tranquillamente il suo cappuccino e reprimette l'impulso di affogarlo nella tazza:«Ti sei fatto sbattere fuori anche te?» chiese; Giacomo sorrise:«Non mi ha proprio fatto entrare» rispose.

    Stefania lanciò un'occhiataccia a Giovanni:«Sei in punizione signorino» disse; il ragazzo scosse la testa:«Non puoi» protestò; Stefania l'avrebbe ucciso:«Non posso? L'ho appena fatto» ribatté.

    Debora sospirò:«Sei in punizione anche te Giacomo» annunciò; Giacomo alzò gli occhi al cielo ma non disse nulla, tanto sarebbe stato inutile.

    La campanella iniziò a suonare, Stefania e Debora indicarono la porta:«Filate in classe» sibilarono all'unisono; Giovanni si alzò«Si ci vado non voglio mica finire recluso per l'eternità» disse; Giacomo si morse un labbro:«Sto andando anche io eh? Mi basta e avanza una sola punizione» brontolò seguendo il suo degno compare.

    Quando i due ragazzi arrivarono in classe videro che il professore dell'ora successiva non era ancora arrivato e decisero di rimanere ancora un po' in corridoio.

    Giovanni si appoggiò al davanzale della finestra «Tra tutti quelli che potevano entrare al bar è entrata proprio mia madre» pensò, era così preso a rimuginare sulle sue disgrazie che non si accorse di avere Virginia dietro le spalle.

    Giacomo vedendola si girò dall'altra parte e lei poco gentilmente gli diede un colpetto sulla spalla:«Com'è andata l'ora buca?» chiese; Giacomo sospirò:«Una meraviglia, mamma mi ha beccato al bar» rispose; Virginia sgranò gli occhi:«E perché non ti ha ucciso?» esclamò.

    Giacomo si strinse nelle spalle:«Probabilmente perché c'erano dei testimoni ma la sua vendetta è stata comunque immediata, mi ha messo in punizione» disse; Virginia scoppiò a ridere di gusto, era una risata genuina, una di quelle risate vere e spontanee.

    Giovanni si voltò di scatto, non l'aveva mai notato prima ma Virginia aveva un sorriso bellissimo, sentì il cuore arrivargli in gola e per un attimo immaginò di appoggiare le sue labbra su quelle della ragazza.

    Virginia sentendosi addosso lo sguardo di Giovanni si voltò verso di lui e per un attimo si perse dentro la profondità di quei rapaci occhi neri, si morse un labbro «Quanto non lo sopporto» pensò, incrociò le braccia al petto:«Cos'hai da guardare?» chiese.

    Il ragazzo deglutì:«Non sto guardando te, non sei neanche nei miei pensieri» rispose; Virginia sorrise malignamente:«Dubito che dentro la tua testa ci sia abbastanza spazio per contenere qualcos'altro che non sia il calcio» disse; Giovanni le lanciò un'occhiataccia:«Veramente sei così piena di te che non potrei contenerti» ribatté piccato.

    Virginia provò l'impulso di prenderlo a schiaffi «Stronzo» pensò, lo osservò meglio, era fermo di fronte a lei con le braccia conserte e sul viso aveva l'ombra di un sorrisetto malandrino, se fosse stata più attenta si sarebbe accorta che forse il suo cuore aveva un altro battito.

    Verso le 18.30 come sempre Samuele iniziò a rimettere in ordine i suoi attrezzi, finalmente quella lunga giornata era giunta al termine.

    Girando lo sguardo lo vide, erano passati tanti anni - quasi non riusciva a contarli - era un po' diverso da com'era da ragazzino, ora i capelli castani erano ormai quasi completamente grigi e il viso aveva qualche ruga in più ma in fondo era sempre lui, il suo migliore amico, Faccia.

    Samuele finì di mettere in ordine la sua postazione da lavoro e guardò l'amico:«Io andrei a casa» disse; Faccia annuì:«Sono d'accordo» rispose; Samuele alzò gli occhi al cielo:«Non so perché ma lo immaginavo» ribatté.

    I due uomini presero i loro giubbotti poi spensero tutte le luci dell'officina, tirarono giù la serranda, si salutarono e finalmente si diressero alle rispettive automobili.

    Poco dopo Samuele arrivò sotto casa e scendendo dalla macchina vide lo scooter di suo figlio davanti al portone «Questa si che è una novità è già a casa» pensò.

    Entrando in casa ebbe l'impressione che ci fosse un po' troppo silenzio:«Ciao» salutò, non ottenendo risposta si tolse il giubbotto, appoggiò le chiavi sul mobiletto dell'entrata poi tranquillamente andò in cucina.

    Vide che sua moglie era seduta al tavolo e stava controllando alcune carte, Samuele si appoggiò allo stipite della porta:«Ciao» disse; Stefania sentendo la sua voce sorrise:«Ciao amore» rispose.

    Samuele le diede un leggero bacio sulle labbra:«Com'è andata a lavoro?» chiese; Stefania si morse un labbro:«Direi bene, mi hanno nominata Vicepreside» rispose; Samuele la guardò stupito:«Ma è una bellissima notizia» disse.

    Stefania sospirò:« Si certo peccato però che non riuscirò più a controllare come si deve Giovanni» disse; Samuele inarcò un sopracciglio:«Perché ho come l'impressione che oggi ne abbia combinata una delle sue?» chiese.

    Stefania annuì:«Hai ragione, si è fatto sbattere fuori ma ci ho già pensato io, l'ho messo in punizione» rispose; istintivamente Samuele strinse forte i pugni e nei suoi rapaci occhi neri passò un pericoloso lampo d'ira.

    Giovanni ebbe l'infelice idea di arrivare in cucina proprio in quel momento e vedendolo Samuele si alzò in piedi di scatto, gli puntò contro un dito:«Cos'hai combinato a scuola?» chiese; Giovanni si strinse nelle spalle:«Niente» rispose.

    Samuele lo fulminò con un'occhiataccia:«Non mi dire bugie tua madre mi ha raccontato tutto» sibilò; Giovanni sbuffò:«Se sai già tutto perché me lo chiedi?» esclamò; Samuele provò l'insano impulso di strozzarlo.

    Si passò un mano tra i corti capelli neri:«Si può sapere cos'hai in quella testa vuota che ti ritrovi?» quasi urlò; Giovanni sorrise spavaldamente:«Se è vuota ovviamente non c'è niente dentro» rispose.

    Stefania intuendo che il marito era ad un passo dal perdere la pazienza decise di intervenire:«Giovanni basta! Fila in camera tua» disse in un tono che non ammetteva repliche; il figlio la guardò con aria di sfida ma le ubbidì.

    Quando rimasero da soli Samuele guardò severamente sua moglie:«La prossima volta che rimprovero mio figlio sei pregata di non metterti in mezzo» disse; Stefania sospirò:«Ho solo evitato che lo prendessi a schiaffi» rispose.

    Samuele sospirò pesantemente:«È così insolente che due schiaffi gli farebbero solo bene» sibilò; Stefania sorrise:«Giovanni farebbe perdere la pazienza a un santo ma non sarà picchiandolo che otterrai qualcosa» ribatté.

    Samuele si specchiò dentro quei profondi occhi neri che a lui piacevano tanto e sospirò:«Hai ragione Stefy» disse; Stefania gli accarezzò dolcemente una guancia«Ricordati che tuo figlio ti assomiglia più di quello che credi» rispose.

    Era solo Settembre e tante cose c'erano ancora da scoprire ma solo una cosa sembrava certa, Samuele e Giovanni erano tale padre, tale figlio.

    CAPITOLO DUE

    Quando l'amore bussa

    Era passato un mese da quando la scuola era incominciata, Giovanni era strano - non che avesse mai prestato attenzione alle lezioni - ma passava il tempo a osservare Virginia e trovava la cosa interessantissima.

    Giacomo lo osservava contrariato, si era reso conto che da un bel pezzo il suo amico sembrava assente, per sapere cosa lo distraeva avrebbe dato qualunque cosa "Si può sapere che diavolo hai?" scrisse su un foglietto.

    Giovanni lesse il bigliettino e si morse un labbro «Posso dirgli che sua sorella si è installata nei miei pensieri? Questo mi sfotte fino alla morte» pensò, prese una penna "Non ho niente" rispose e lanciò uno sguardo al suo niente.

    Virginia quel giorno era stranamente distratta, stava pensando al ragazzo che aveva visto in cortile nell'intervallo - un bel tipo alto, moro e due occhi azzurro cielo - non aveva avuto ancora occasione di conoscerlo ma era intenzionata a farlo.

    Denise - la sua vicina di banco - le lanciò un'occhiata:«Virgi che hai?» bisbigliò; Virginia sentendo la sua voce sobbalzò:«Niente perché?» rispose; Denise inarcò un sopracciglio:«È tutta la mattina che sei distratta» disse.

    Virginia sorrise:«Stavo pensando al ragazzo che abbiamo visto l'altro giorno» ribatté; Denise alzò gli occhi al cielo:«Ancora?» esclamò, lei lo aveva osservato per mezzo secondo e lo aveva trovato decisamente antipatico.

    Vedendo chi stava osservando l'amico Giacomo inarcò un sopracciglio "Immagino che il tuo niente sia seduto tre banchi davanti a noi e che sia mia sorella scrisse, Giovanni colto in flagrante deglutì Tu farnetichi" rispose.

    Giacomo stava per ribattere ma improvvisamente la campanella iniziò a suonare e si alzò, Giovanni lanciò un'occhiata verso Virginia e vedendola uscire dall'aula inarcò un sopracciglio «Dove sta correndo?» si chiese; era perplesso perché si stava allontanando da sola.

    Si avvicinò a Denise e la ragazza vedendolo sorrise:«Cosa vuoi cuginetto?» chiese; Giovanni si strinse nelle spalle:«Virginia dove sta andando?» rispose; Denise inarcò un sopracciglio:«Come mai ti interessa?» ribatté.

    Giovanni affondò le mani nelle tasche del giubbotto:«Ero solo curioso di sapere come mai è uscita senza di te» disse, si mise la sigaretta spenta in bocca:«Ci vediamo» aggiunse; Denise lo osservò allontanarsi con un sorrisetto stampato sul viso, sembrava che avesse intuito qualcosa.

    Giovanni arrivò in cortile e si guardò intorno alla ricerca di Virginia ma il cortile era talmente pieno di studenti che trovarla gli sembrava un'impresa disperata, stava per accendersi la sigaretta quando riuscì ad individuarla.

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